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Autore: Aishwarya    29/02/2012    1 recensioni
[INCOMPIUTA]
Per quanto il vento possa soffiare impetuoso, un fiore resta sempre in piedi, fiero e forte, flettendosi e non opponendosi ad esso.
A volte, nel lungo corso dell'esistenza, perde i petali più deboli della sua corolla o qualche foglia secca del suo lungo stelo,
ma mai si lascia andare. Sembra quasi vivere per rallegrare ogni essere che abbia l'opportunità di ammirare i suoi splendidi colori.
La vita è una sfida diversa per ognuno, ma allo stesso modo complessa e ingannevole per tutti.
Dovremmo affrontarla come se, anche noi, fossimo fiori al vento.
Anche per questo la natura è meravigliosa: in silenzio, riesce a darci più risposte di quante riusciamo a percepirne.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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3 Novembre 2010

Giorno -1418

 

Dopo settimane di pioggia, quella mattina a governare il cielo vi era il sole e nient’altro. Come spesso accadeva, il tempo era in perfetta armonia con il mio umore. Svegliarsi mentre fuori ancora era buio, sedersi per terra sul pavimento di freddo granito dell’ingresso di casa mia,per guardare aldilà del vetro spesso della porta che si affacciava alla strada e poter ammirare quell’azzurro limpido che pian piano si rischiarava ai primi raggi della grande stella, era senza dubbio una delle cose che più mi piaceva fare. Era questo quello che facevo nelle belle mattinate, appena sveglia, mentre aspettavo che mio padre liberasse il bagno andando a lavoro. Quella mattina non aveva fatto eccezione, apparte che per il particolare che mi sentivo serena. Dire che ero felice è decisamente troppo. Sembrava quasi che avessi dimenticato gli effetti di quell’emozione per quanto tempo era passato dall’ultima volta che l’avevo provata. Però essere serena mi bastava. Non mi facevo complessi. Pensieri asfissianti non giravano ad occupare la mia mente stanca. Semplicemente vivevo senza pensarci, forse sorvolandoli.

Mio padre liberò il bagno del piano terra e lentamente mi alzai con movimenti ancora goffi che rispecchiavano la mia stanchezza. Lo salutai, come ogni mattina, e m’infilai in bagno dal quale sarei uscita solo un’ora dopo. Però, guardandomi allo specchio, con mia grande sorpresa, notai che non c’era il solito mostriciattolo a fissarmi. Una figura bella ed elegante mi osservava attonita, senza battere ciglio. Mi sembrava di conoscerla. Forse l’avevo già vista una volta guardando in quello stesso specchio, ma non riuscivo a scorgerla da tempo. Alzai la mano, per sistemarmi un ciuffo di capelli color cioccolata dietro l’orecchio destro e la figura nello specchio mi imitò. Non era possibile. Non potevo essere io.. o forse si?

Gli occhi erano gli stessi, le labbra tali e quali. Allora perché quella mattina mi vedevo in maniera totalmente differente? La maglia del pigiama di un verde pastello, cadeva perfettamente sulle mie spalle e sul mio petto. Notai un particolare che, essendo diventato un’abitudine non ricordavo più di tanto: avevo una lunga catenina d’oro al collo, con un piccolo ciondolo a forma di cuore che cadeva innocente sul seno semiscoperto. Non potei fare a meno di sfiorarla. Era per me un oggetto veramente prezioso, forse il più prezioso. L’avevamo comprata assieme, molto tempo prima, io Dafne e Ilaria. Stava a significare l’affetto che provavamo l’una per l’altra e che, eravamo certe, non ci avrebbe mai divise nonostante ogni difficoltà. Ma passò poco tempo e le mie due amiche litigarono. Ilaria decise di non indossare più il ciondolo, mentre Dafne lo abbandonò quando ella stessa si sentì abbandonata da me. Io invece, non avevo avuto il coraggio di sfilarla. Era colpa mia se tutto si era rovinato e l’affetto per Dafne non era affatto mutato, quindi strinsi il cuoricino d’oro e lo risistemai al suo posto.

Quando mi ripresi da quello stato di meditazione, fui presa da un attimo di sconforto che però scomparve quando tornai a guardare la fanciulla, decisamente molto carina, che sembrava rispecchiarmi. Quindi mi lavai e avvolta nella mia tovaglia personale, rossa e morbida, mi avviai verso l’armadio. Effettivamente non avevo un motivo preciso per cui fosse la mia preferita, ne del perché la scelsi quando mia madre me la propose, stringendo nell’altra mano una tovaglia azzurra. Solitamente era l’azzurro ad attrarmi: ogni tonalità del blu m’ispirava più di ogni altro colore, probabilmente perché le cose che più amavo di quelle che mi circondavano, erano proprio di quel colore: il meraviglioso mare a due passi da casa mia e il cielo, l’unico vero amico che non mi avrebbe mai abbandonata.

Eppure quel rosso fuoco mi attirava, forse rispecchiava la mia personalità di una volta che sembrava essere perduta. C’era stato un tempo, in cui anche io sembravo umana: sorridevo, mi divertivo almeno tanto quanto facevo divertire le persone che avevo accanto, arrossivo nelle situazioni d’imbarazzo, sapevo amare con passione e provare affetto per ogni persona che era sinceramente carina con me. Adesso le cose erano molto cambiate.

Zombie, asociale, fredda, cuore di ghiaccio erano talmente tanti i nomignoli che mi erano stati assegnati dai miei stessi amici e parenti, che quasi li dimenticavo. Eppure era vero, il mio cuore poteva sembrare di ghiaccio. Avevo fatto il possibile per congelarlo, per anestetizzarlo e renderlo insensibile alle sofferenze, ma l’unico risultato che avevo ottenuto, era stato quello di cancellare ogni traccia d’amore apparte che quella per i miei familiari e per la mia migliore amica. Avevo provato a rendermi occupata e non pensare alle altre persone. Le uniche che avevano tenuto duro e che mi avevano sopportata nei mesi più bui, erano state di certo quelle che mi amavano più di altre.

Questo invece, era un periodo in cui sentivo che il mio cuore di ghiaccio era coperto di crepe, anche se non profonde. Qualcosa di sconosciuto e inaspettato lo stava scaldando e l’involucro gelato che lo avvolgeva, era appena scheggiato.

Aprii le ante del grande armadio e scelsi una camicia lilla e un paio di jeans neri. Mi specchiai e lei era ancora lì. Probabilmente, si prospettava proprio una strana ma bella giornata.

Il viaggio in autobus e la giornata scolastica, non furono delle più pesanti. Mi sentivo osservata, ma stranamente questa cosa non mi irritava. Sorrisi dolcemente a ogni persona che mi rivolgeva lo sguardo e mi sentivo appagata quando ricambiavano con un sorriso altrettanto luminoso, il che, quel giorno, accadde molto spesso.

Durante le lezioni, mi risedetti a quel posto in fondo all’aula accanto a Rachele e come al solito, ci facemmo un breve resoconto delle cose che erano accadute il pomeriggio precedente. Era veramente una ragazza adorabile. La bella Giulia si era spostata accanto a un gruppetto molto più vicino alla grande lavagna e il suo posto era stato occupato da Diego. Quest’ultimo era uno dei “belli” della classe e di bei ragazzi ve ne erano molti fra i venti su trenta alunni in tutto. Mentre mi guardavo attorno sorridente, i miei occhi furono richiamati da una situazione che non avevo mai notato prima: la mano di Chiara era stretta in quella di Simone e le loro dita si intrecciavano dolcemente. Fui come incantata da quella visione. Feci scorrere il mio sguardo fino ai loro volti. Stavano chiacchierando con Nadia, Rosy e Adele mentre per un attimo i loro sguardi s’incrociarono e sembrarono intrecciarsi come le loro dita. Non vedevo degli sguardi così carichi d’amore da molto tempo.

Come avrei voluto che ci fosse un “Simone” anche per me … ma quel giorno mi ero ripromessa di non essere triste e distolsi lo sguardo per rivolgerlo a Rachele che ancora stava raccontandomi quanto bello fosse il ragazzo che l’aveva baciata e conquistata il giorno prima. Effettivamente se lo meritava. Era una ragazza che, come me, aveva sofferto molto e vederla felice mi rasserenava ancor di più, così come vedere Diego che tranquillo giocava con la psp e il resto della classe che si muoveva, ma mai in maniera disordinata. Sembrava essere un coro per quanto fosse armoniosa, o forse erano i miei occhi a vederla così: un dolce luogo dove potevo essere semplicemente me. Proprio li, scoprii che per essere grandi, bastava essere se stessi. L’insegnante entrò di corsa in aula, dopo il suo ritardo di quindici minuti ma il coro non interruppe la sua performance che, anzi, acquistò una dolce voce in più.

Uscii da scuola con lo stesso sorriso di quella mattina ancora stampato in viso stringendo il libro di storia al petto e mi diressi verso la fermata dell’autobus senza andare al Terminal. Andarci avrebbe significato passare due ore da sola ad ascoltare musica o a scarabocchiare su qualche foglio stropicciato, strappato dal centro di un quaderno di brutta copia e di certo non era una cosa da fare in una splendida giornata, soprattutto se ci si è alzati stranamente di ottimo umore. Andai quindi alla fermata più popolata del centro del mio paese che era il punto d’incontro per gli amici che avevano fatto scelte scolastiche differenti ma che non avevano smesso di provare affetto l’uno per l’altro. Lì ovviamente trovai Ilaria che, vedendomi arrivare, mi rivolse uno sguardo interrogativo e sorpreso e poi mi corse in contro felice di vedermi sorridente e in quel posto che poco tempo prima avrei definito “troppo pieno di gente”. – Vale! Tu che ci fai qui? –disse dolcemente.

- Torno tra gli umani.- esclamai sorridendo. Era bello vedere un filo di speranza nello sguardo che mi rivolgeva. Sperava di rivedermi felice e forse, di li a poco, ci sarebbe riuscita.

- Poco fa è successa una cosa strana. è passato Luca, il nostro compagno d’asilo e mi ha chiesto di te..- aveva uno strano sorrisetto, come se mi stesse chiedendo: “cosa mi sono persa?”

- è meglio che tu ti sieda.- aggiunsi sarcastica, scoppiando in una risata e avviandomi verso il gradino della piazza. Quello era veramente un bel posto. Ci sedemmo sul gradino una accanto all’altra e lei mi guardava curiosa di conoscere cosa mi aveva rallegrato a tal punto da farmi indossare un colore diverso dal blu, marrone o nero che erano diventati gli unici monotoni colori che indossavo nell’ultimo periodo.

Alle nostre spalle, circondata da aiuole di fiori e palme altissime, si trovava una fontana di marmo, vecchia di più di un secolo con dei cavalli impennati e circondati da imponenti tritoni. Davanti ai nostri occhi, invece, si ergeva una grande statua al centro di un’altra piazza. Il cielo era completamente azzurro, non vi era una nuvola ad occuparlo. Era meraviglioso poterlo osservare cambiare tonalità, dal mare alle spalle della grande piazza che ci stava di fronte, dove era di un celeste tendente al bianco, fino a sopra di noi dove era di un azzurro intenso. Chiusi gli occhi e inspirai il profumo di salsedine che mi riempiva il cuore e iniziai con il mio racconto.

Qualche giorno prima era stato “quel” giorno. Il cielo era leggermente nuvoloso e ogni cosa mi era sembrata inquietante fin dal mattino. Forse mi facevo condizionare troppo dalla festività che ricorreva proprio in quella giornata: Halloween. A dirla tutta non avevo mai ben capito il senso di quella giornata che invece contribuiva a colorare con festoni e luci le vetrine di ogni negozio. Eppure quasi ogni anno mi ritrovavo a passare quelle ore assieme alle persone più care.

Quest’anno era stato diverso. Era stato speciale. La notte prima non era stata delle migliori e normalmente non mi sarei nemmeno sognata di uscire in una domenica che non sembrava promettere un filo di sole, ma decisi di non deludere Stella infrangendo la mia promessa, quindi subito dopo pranzo feci una doccia veloce e mi preparai a uscire. Mi sentivo imbarazzata anche solo al pensiero di dover incontrare tutte quelle persone. Avrei dovuto guardarle e sembrare disinvolta, naturale ma pensavo di non riuscirci. Ero alquanto arrugginita con le relazioni sociali. Mi sentii sciocca quando mi ritrovai a guardarmi allo specchio facendo le “prove sorriso disinvolto” stile film americano. Solo che nei film a recitare quelle parti sono meravigliose ragazze ansiose d’incontrare il ragazzo che amano, non sciocche adolescenti che hanno la paura di non piacere ad un gruppo di amici della sorella. Un lampo di tristezza balenò nei miei occhi a quel pensiero ma mi preoccupai di chiuderli e fare un profondo sospiro per scacciare via quelle brutte sensazioni.

Improvvisamente Stella aprì la porta della nostra stanza e mi sorrise facendo un segno d’assenso con la testa come a dire che era giunta l’ora di andare e lentamente si avviò verso le scale aspettando che la seguissi. Lanciai un ultima occhiata allo specchio e fui soddisfatta almeno del mio abbigliamento: semplice vestitino bordeaux a fantasie nere che richiamavano le scarpe basse ma eleganti. Seguii Stella al piano di sotto e poi fino alla piazza, quella piazza. Lì trovai un gruppo di ragazzi intenti a scherzare e ridere rumorosamente che si voltarono contemporaneamente a fissarmi, evidentemente sorpresi di vedermi assieme a Stella dirigermi verso loro.

Arrivati nelle loro prossimità sorrisi e Melania corse a salutarmi assieme a Monica che sembravano veramente felici di vedermi. Gli altri ragazzi restarono seduti sui gradini e accennarono dei cortesi saluti. C’erano Luca, Giosuè, Christian che era il fidanzato di Stella e una ragazza che non avevo mai visto. In seguito scoprii che si trattava di Emma, cugina di Melania. Stavo per sedermi proprio accanto a lei quando Melania attirò l’attenzione di tutti per darci un grande annuncio: il suo programma per la serata.

- Ragazzi ascoltatemi un attimo!- esclamò sorridendo e scuotendo i ricci rossi – ho recuperato una zucca e possiamo prepararla assieme se volete!-.

Magnifico”pensai con un pizzico di sarcasmo. I maschi della comitiva la guardarono dapprima sorpresi, poi divertiti e scambiandosi sguardi complici scoppiarono a ridere e rifiutarono l’offerta e Melania non la prese proprio bene.

-Secondo me è una buona idea- esclamai sorridendo, non mi piaceva vederla giù. –Dai, ti do una mano io! –

Quindi sorridendomi mi disse di seguirla e il resto delle ragazze ci venne dietro. Certo, non ero proprio vestita in modo adatto per svuotare una zucca ma ero certa che mi sarei divertita e poi ero la più grande fra le ragazze e mi sentivo un po’ in dovere di prendermi qualche responsabilità. Melania corse felice a prendere la zucca. Un’orribile minuscola zucca che più che arancione era di uno strano verde. Tutte le ragazze la osservarono per poi passare a Melania che sorrideva dolce come a scusarsi.

é l’unica che ho trovato!-. Scoppiammo tutte a ridere. Svuotarla fu un’impresa e i ragazzi che mentre giocavano a calcio nella stradina, ci guardavano schifati. Allora ebbi un’illuminazione e chiamai tutte le ragazze ad avvicinarsi a me sussurandogli il piano diabolico che mi era venuto in mente. Fatto sta che subito dopo ci ritrovammo con le braccia arancioni, viscide e gocciolanti di polpa di zucca a inseguire i tre ragazzi a destra e a manca. Decisamente fu una cosa divertente e soddisfacente e in più mi assicurai la loro simpatia. La serata continuò fra foto, risate e passeggiate su e giù per la stradina accanto alla piazza, proprio dove si trovava la casa di Melania. Mi misi a parlare e scherzare in particolare con Emma e Luca quando lo vidi avviarsi a passo più spedito verso due figure che apparivano sbiadite in fondo alla stradina.

- Gioele!- esclamò sorridente come al solito.

No, non poteva essere.” Pensai. Non volevo vederlo, non ero pronta per questo. Come mi sarei dovuta comportare? Presentarmi sarebbe stato sciocco. Sapeva chi fossi. Avrei avuto il coraggio di parlargli? Di guardare ancora quegli occhi? Provavo una strana sensazione, era paura mista a eccitazione. Emma mi fissava in modo interrogativo ma la guardai come per rassicurarla. – è tutto okay- le sussurrai.

Continuammo a camminare verso la fine della stradina. Luca che salterellava tutto felice calciando la palla davanti a sé, ci veniva incontro assieme alle due figure, ma era solo una delle due che io fissavo incantata. Era più forte di me. Proprio come allora, lo guardavo. Però qualcosa cambiò. Stavolta i suoi occhi non erano puntati sul pavimento ma su di me. Mi osservava. Scrutava la mia espressione mentre lentamente si avvicinava. Era sempre più bello. Portava ancora i lunghi capelli neri di allora e gli occhi sembravano ancora più intensi. Era mai possibile? Quegli attimi sembravano non passare mai e forse non avrei voluto che passassero. Eravamo a ormai mezzo metro di distanza quando entrambi, ancora guardandoci, sorridemmo quasi all’unisono e sussurrammo un – ciao – e fu il “ciao” più dolce che avessi mai udito.

Quello scambio di sguardi fu interrotto da una ragazza che realizzai fosse l’altra figura che si era avvicinata assieme a Gioele. Le porsi la mano e gentile mi presentai con più sicurezza di quella che credevo di possedere.

- Piacere Cristina - mi disse cortese –sono la cugina di Gioele -.

Intanto vedevo Luca ridacchiare fra se e se. Fu proprio lui ad aprire un discorso chiedendomi della scuola. Ci sedemmo sul muretto al coperto sotto a un albero e parlammo come se uscissimo assieme da una vita mentre le ragazze assieme a Emma continuarono una specie di servizio fotografico. Non smisi per un attimo di blaterare. Mi sentivo a mio agio, ero davvero serena. Era questo che si provava a uscire con altre persone come te? Se era così, la cosa mi piaceva anche molto. Gioele non smise un attimo di guardarmi e parlarmi di ogni cosa gli passasse per la mentre. Sembrava intenzionato quanto me a sorvolare quello che ci era successo e questa cosa mi faceva star bene.

- Ragazzi, vi va di andare alla casa stregata?- esclamò Melania eccitata all’idea e soddisfatta di aver trovato qualcosa da fare che sembrò allettare tutti e non solo le ragazze. Quindi ci alzammo e ci congiungemmo al resto del gruppo. Iniziava a farsi buio e le luci della stradina ne illuminavano solo la prima metà. L’altra metà si perdeva nel buio così come i nostri sguardi. Ancora una volta rimpiansi il mio abbigliamento: ne il vestito ne le scarpe erano adatte per un’escursione fra i campi di sera e in più iniziavo ad avere freddo. La comitiva si muoveva capeggiata da Cristina e Luca, seguiti da Monica, Melania ed Emma che camminavano a braccetto. Dietro vi erano Stella che stava abbracciata a Christian e a seguire io con accanto Gioele. Ci avviammo verso la fine della strada che si divideva in un bivio fra le erbacce secche dal periodo estivo e imboccammo la viuzza più stretta e polverosa che andava alla sinistra. Camminavamo in silenzio. L’unica cosa che riuscivo a udire era il rumore dei passi sul suolo pietroso e il respiro di Gioele che sembrava essere sempre più vicino. Ovviamente non poteva mancare la mia pessima figura della serata: presi in pieno una buca e stavo per cadere se solo Gioele non mi avesse presa al volo. Sentii le sue braccia che si stringevano forti alle mie per non lasciarmi scivolare. Mi tirò in piedi e mi guardò preoccupato. Come potevano i suoi occhi neri brillare al buio? Lo trovavo surreale, quasi magico. Come quel momento. Sentii il sangue irrorare le mie guance e renderle di un rosso ardente. Ringraziai perché ci trovavamo al buio, almeno ero certa che lui non potesse scorgere il mio imbarazzo. Ma qualcos’altro accadde mentre lui mi sistemava con dolcezza una ciocca di capelli accanto al viso. Sfiorò la guancia e sentii come un esplosione nel mio petto. Forse quel ghiaccio si era spaccato. Forse era riuscito a riaccendere una fiamma nel mio cuore che adesso aveva ripreso a battere. Riuscivo a sentirlo, forte e desideroso di provare emozioni, di amare e soffrire, perché era giusto così. Mi accorsi di star stringendo il suo maglioncino con i pugni sul suo petto mentre lui preoccupato per il mio silenzio, continuava a scrutarmi e a stringere le mani attorno alle mia braccia come se fosse stato pronto a sorreggermi nel caso avessi ceduto ancora. Migliaia di emozioni riempivano il mio petto e la mia testa era piena di pensieri. Allentai la stretta dei pugni e portai la mano destra sulla sua spalla. Lentamente avvicinai il mio viso al suo mentre le mie guance continuavano ad ardere e gli diedi un bacio sulla guancia, accorgendomi che anche le sue ardevano.

- Grazie – gli sussurrai dolcemente.

Lui annuì con la testa sorridendomi –andiamo, gli altri saranno arrivati- mi disse.

Restammo assieme tutto il tempo di quella giornata che avrebbe cambiato ogni cosa: la mia vita e la sua.

 

Ilaria mi fissava sbalordita. Il suo viso esprimeva sorpresa e speranza ma mutò velocemente aprendosi in un sorriso. –Era ora! – e iniziò a ridere senza fermarsi in una specie di risata nervosa trattenuta per chissà quanti mesi di preoccupazione per me. Improvvisamente mi sentii in colpa. Chissà quanta sofferenza avevo procurato a lei e a tutte le altre persone che provavano sincero affetto nei miei confronti. Ma quest’idea non mi rattristò. Avrei avuto tutto il tempo per riparare e senz’altro vedermi finalmente serena sarebbe stato per loro un grande sollievo. Avrei ricominciato da capo. Sarebbe stato il mio secondo inizio e avrei scritto la mia storia esattamente come volevo che fosse. Avrei seguito la strada che mi veniva offerta, a testa alta e senza esitare, e anche se non avevo idea di dove potesse portarmi, la intrapresi fiera di esser finalmente riuscita a tornare in me. 

   
 
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