Queste Inaspettate Apparizioni
Il Piccolo Spirito Dai Capelli
Rossi
Poltergeist 2
Ovvero: Un vero uomo non teme i
portapenne!
-Un
fantasma.- il volto di Atsuya si tramutò in una maschera imperscrutabile.
Guardò il padre ed aggrottò le sopracciglia, perplesso -… Ma non lo è già?- si
grattò a guancia –Insomma, è mor…-
-No.- con
un lento sospiro nervoso, troncando la frase del figlio, l’uomo di fronte a lui
si passò una mano sul volto –Non lo è. Qui siamo semplici anime.- spiegò, gesticolando –Anime che non hanno nulla a che
vedere con il mondo dei vivi.- indicò il terreno sotto i suoi piedi, immobile.
Il più piccolo socchiuse gli occhi, sforzandosi di capire.
-Quando
un’anima scende giù…- sembrò cercare le parole più adatte, sistemandosi per
l’ennesima volta gli occhiali sul naso –Lo fa per un motivo. Sempre. Che sia
per rivedere persone a lui care, per spaventare qualcuno o per semplice
divertimento.- aveva abbassato la voce, e per un attimo Atsuya potè giurare di
aver visto i suoi occhi velarsi appena.
Il più grande si riprese ingoiando a vuoto, e andò avanti –Qualsiasi sia il
motivo che spinge un’anima a scendere giù, una volta fatto non le è possibile
risalire finchè non riesce a portare a termine ciò che si era prefissata di
fare.-
Notando lo sguardo assente del figlio, che con la bocca semiaperta lo fissava
come fosse un alieno, scosse la testa –Quindi. Se un’anima scende per
divertirsi, finchè non si diverte non può tornare. Così come se un’anima scende
per rivedere persone a lei care, rimane bloccata tra i vivi finchè non le vede,
e così via.- terminò, tornando a puntare gli occhi su Atsuya.
-…-
-…-
-Papà,
credo di non…-
-Hai
presente Casper?- esasperato, l’uomo si portò le mani ai capelli: che figlio
cocciuto!
-Casper?- il bambino sbattè le palpebre.
Era irritante sentirlo rispondere a domande con altre domande.
-Si,
Casper.- cercando di non perdere il controllo, l’uomo rallentò la parlata,
scandendo per bene ogni parola, gesticolando con le mani –Casper è un fantasma
perché ha “qualcosa in sospeso” da fare, qualcosa che non ha potuto risolvere
in vita.- si fissò le mani che aveva fermato alla fine della frase,
imbarazzato.
L’altro
però, a quell’esempio, parve illuminarsi –E quindi finchè non risolve la sua
“roba in sospeso”- disegnò delle virgolette in aria con le dita -non può morire
davvero!- e si battè il pugno sul palmo, ovvio.
Il padre sospirò di sollievo –Il principio per noi anime è molto simile. Dunque
se scendiamo, fino a che non portiamo a termine il nostro obiettivo, non
possiamo tornare su.- ribadì concludendo, e rilassò le spalle.
Atsuya,
annuendo, si sporse in avanti, increspando le labbra –Quindi Hiroto…- si morse
il labbro, distogliendo lo sguardo.
-Esatto.
Non tornerà su fino a che non avrà fatto ciò per cui è sceso.-
***
-Come.
Faccio. A. Spaventare. Qualcuno. Se. Non. Riesco. A. Toccare. Niente.- a ritmo
dei propri gesti, un esasperato fantasmino continuava a muovere a casaccio le
mani, nel tentativo di afferrare un portapenne –Ci. Passo. Attraver… OOH!!- incrociò le braccia al petto,
gonfiando le guance e fissando quel dannato portapenne come avesse voluto farlo
esplodere.
Il
ragazzo affianco a lui inarcò un sopracciglio -… Forse dovresti concentrarti di
più e non andare a fortuna.- gli suggerì, beccandosi un’occhiataccia languida.
Erano
passati già due giorni da quando il piccolo Hirocchan era arrivato al Sun
Garden, e Hiroto-kun aveva dovuto ammettere che non era stato poi così male,
averlo attorno.
Forse
perché per tutte e quarantotto le ore era stato concentrato sul portapenne e
sul cercare di prenderlo e non si era né visto né sentito.
…
In ogni
caso, nei pochi momenti di confronto con il bambino, il più grande aveva potuto
constatare quanto fosse educato e silenzioso. Aveva dimostrato poca pazienza e
spesso se ne era uscito con urla di disperazione, è vero, ma era pur sempre
colpa del portapenne.
… Avrebbe
dovuto buttarlo, quel portapenne. Non
gli era mai piaciuto.
Non aveva
affrontato il discorso sulle sue origini (quelle di Hirocchan, non del
portapenne), non gli aveva chiesto chi fosse stato e com’era il posto da dove
proveniva. Si era limitato a qualche osservazione sui suoi tentativi col
portapenne e a discutere del più e del meno: i litigi di Haruya e Fuusuke, le
stramberie di Maki, di quanto fossero favolosamente morbidi e lucenti i capelli
di Midorikawa e di quanto Reina riuscisse ad estraniarsi dal mondo attorno a
lei quando leggeva un libro.
Così
facendo, al piccolo Hirocchan era venuta ancora più voglia di incontrare gli
amici di Hiroto-kun. Li aveva osservati spesso, quando era su.
Mollando
al suo destino il portapenne bastardo, si voltò verso il più grande, che nel
frattempo si era buttato sul letto con una rivista in mano –Hiroto-kun,-
chiamò, sbattendo le palpebre e guardandolo negli occhi –posso venire a lezione
con te, domani?-
Hiroto-kun si rimangiò tutto.
Quel
ragazzino non era educato. Né tanto meno silenzioso.
Battè la
fronte sul banco all’ennesimo “Uooh, e questo come si risolve?”, ignorando il
seguente “Ragazzo-tulipano, ho sempre sognato di vederti da vicino!”.
Reina, di
fianco a lui, inarcò un sopracciglio –Tutto bene?- chiese, chinandosi per
guardarlo in faccia.
Esasperato,
quello alzò una mano –Meravigliosamente.- accennò ad un sorriso tirato, mentre
un “Hiroto-kun! Questa ha due ventilatori in testa!” lo faceva voltare e
storcere le labbra.
Il
fantasmino volteggiava euforico tra i banchi, osservando i suoi compagni di
classe uno ad uno. Pareva conoscerli tutti, e si soffermava su ognuno con gli
occhi verdi che brillavano. Ma non si azzardava a toccarli nemmeno con un dito,
anche se, ed Hiroto-kun potè vederlo da come il piccolo fissava i capelli di
Nagumo, moriva dalla voglia di afferrare e tirare il tulipano che il rosso si
ritrovava in testa.
-Kiyama,
ti vedo assente oggi.- sibilò la loro responsabile, che faceva loro anche da
insegnante, picchiettando le dita sulla cattedra –Dai, smettila di fissare il
vuoto e vieni a risolvere l’espressione.- e, increspando le labbra, indicò la
lavagna.
Il
ragazzo sospirò e si alzò come gli era stato detto.
Non fece in tempo a prendere il gesso che Hirocchan gli apparve davanti –Fammi
vedere come si fa!- trillò, battendo le manine. Il più grande sobbalzò ed
indietreggiò sotto lo sguardo perplesso della classe. Si guardò attorno, si
aprì in un sorriso di circostanza e si grattò il capo, voltandosi alla lavagna
per risolvere l’espressione scritta.
-Non fare
tutto questo baccano!- ammonì l’altro, che continuava a levitare, abbassando la
voce per non farsi sentire.
Il bimbo
si rotolò su sé stesso –Ma tanto non mi sentono, no?- sorrise ovvio.
Hiroto-kun
scosse la testa scoraggiato “Ma io ti sento. Forte e chiaro.” E riprese a
scrivere con il gesso.
La classe
rimaneva in silenzio, e la professoressa osservava attentamente il lavoro del
rosso, annuendo di tanto in tanto.
Era arrivato a metà espressione, quando si accorse che c’era anche fin troppo silenzio.
Fece
appena in tempo a voltarsi e a notare lo sguardo concentratissimo di Hirocchan
che, gli occhi socchiusi, allungava la mano verso il ciuffo-tulipano di Haruya.
Un
brivido freddo gli attraversò la spina dorsale, e fece un passo in avanti,
uscendosene con un –No!- convinto.
Ma il
resto della classe non ebbe nemmeno il tempo di guardarlo male e porsi qualche
domanda: Nagumo, lo sguardo impassibile, si irrigidì per un secondo sulla
sedia.
-…-
Passarono
istanti interminabili durante i quali il suo ciuffo parve a tutti tirato in
aria da una forza invisibile.
-
-Hiroto-kun.-
-Hiroto-kun.-
-Hiroto-kun,
sei arrabbiato con me?-
-Hiroto-kuuun!-
-Ti
prego, ti prego, basta!-sbottò il ragazzo, le mani alle orecchie, mentre
camminava avanti e indietro per la propria stanza.
Il bimbo
davanti a lui mise il broncio (un tenero, piccolo broncio) ed abbassò lo
sguardo, lasciando perdere il portapenne che aveva ricominciato a tentare di
afferrare da quando era rientrato in camera.
Lo
sguardo del più grande si addolcì, e Hiroto-kun si avvicinò di un passo -No,
non sono arrabbiato.- disse, per poi socchiudere gli occhi verdi –Però era
meglio evitare. Gli hai quasi strappato il ciuffo dai capelli.-
-Ma era
un così bel tulipano!- piagnucolò il bimbo, agitando i pugnetti, al che l’altro
ridacchiò. Ma si ricompose subito e, una mano al fianco e il dito indice
dell’altra puntato verso il fantasma, replicò con un –Gli hai fatto male. E’
entrato in uno stato di shock e non sappiamo quando ne uscirà.-
Dopo
“l’incidente”, infatti, il povero Nagumo, le mani ancora tra i capelli, aveva
perso completamente coscienza di sé stesso. Pareva quasi che, avendogli tirato
il tulipano, gli avessero staccato la spina. In quel momento era in camera sua
a dondolarsi all’angolino, con un poco paziente Suzuno che gli sbraitava contro
di smetterla di fare il cretino.
-E poi,
come hai fatto?- aggiunse Hiroto-kun, perplesso. Ammiccò al portapenne –Quello
ancora non sei riuscito a prenderlo, e…-
-Non lo
so, ma è stato fantastico! Hiroto-kun, ho sentito i capelli tra le dita, sono
riuscito a toccarli!- il più piccolo si riprese in quattro e quattr’otto,
prendendo a saltellare per aria –Non so nemmeno io come ho fatto, ma è stata
una vera forza!- rimase in silenzio per un paio di secondi, durante i quali
parve perdere un po’ del suo entusiasmo –Non toccavo qualcuno da un sacco di
tempo.- mormorò, distogliendo lo sguardo.
Hiroto-kun
fissò le labbra strette di Hirocchan, e si sentì stringere il cuore.
Già, quel
bambino era un fantasma.
Quel
bambino non aveva contatti con le persone da chissà quanto tempo. Dentro di sé
lo sapeva, lo sapeva perfettamente quanto fosse quel tempo. Ma ignorò quel
sentore, quel presentimento che aveva avuto dalla prima volta che aveva visto
il piccolo.
Alzò lo
sguardo verde, nascondendo con un sorriso le proprie preoccupazioni e tentando
di dissolvere quelle dell’altro –Dopo andrai a chiedergli scusa.- concluse
indurendo scherzoso un poco il tono, arrossendo.
Non gli
era mai capitato di comportarsi a quel modo, come un fratello maggiore. Era
sempre stato tra i più piccoli, e con i suoi coetanei non aveva mai preso le
parti di “quello responsabile”. Non troppo, almeno
Si
accorse che la cosa gli provocava una sensazione stranamente piacevole, ma lo
tenne per sé.
-Ma,
Hiroto-kun, il ragazzo-tulipano non può vedermi!- rispose il bimbo, guardandolo
stupito.
-E’ una
questione di principio. Oggi pomeriggio andrò a vedere come sta. Verrai con me
e gli chiederai scus…- non riuscì a terminare la frase, che si sentì gelare in
tutto il corpo, com’era successo appena due giorni prima: Hirocchan gli era
piombato addosso, intrecciando le braccia attorno al suo corpo come a volerlo
abbracciare, ma era riuscito solo a passargli attraverso.
-Hiroto, sei un
portento!- le urla di un bambino, che euforico addita un pallone da calcio –Sei
un grande!- ribadisce, mentre un piccoletto con i capelli rossi ridacchia
lusingato e si strofina il naso con un dito.
-Ma no, dai, non ho
fatto nien…-
-Hiroto, hai rubato
la palla a Balam!- si aggiunge una bambina con i codini biondi, pestando un
piede a terra, indicando un quarto bimbo che singhiozza all’angolino –Sei
veramente un antipatico!-
-Ma io non ho fatto
niente!!- ribatte quello, gonfiando le guance.
-Hirochan.-
un’ultima figura, una ragazza giovane, con lunghi capelli scuri, li raggiunge.
Si abbassa e, aggrottando le sopracciglia, rimprovera gentilmente il piccolino
con i capelli rossi –Hirochan, non sta bene far piangere le persone, che sia
fatto apposta o meno. Vai a chiedere scusa a Balam.- lo esorta con un sorriso
dolce.
Quello arrossisce ed increspa le labbra. Unisce i piedi e annuisce convinto
–Si, hai ragione!- ammette, stringendo i pugni –Vado subito.- e fa per andare.
Si volta a metà strada.
-Grazie, Hitomiko
Nee-san.-
Inizialmente
non si accorse che il più piccolo l’aveva lasciato mascherando una smorfietta
di fastidio.
Non si
rese conto di avere gli occhi sgranati.
Quando
tornò alla realtà, vide solo Hirocchan svolazzargli attorno preoccupato
–Hiroto-kun, Hiroto-kun, tutto ok?- chiedeva.
Il più
grande spostò lo sguardo vacuo su di lui. Rimase in silenzio un paio di
secondi. Poi ridacchiò nervoso, piano, grattandosi il capo –T-Tutto a posto.-
mormorò.
-S-Scusami.-
balbettò l’altro, arrossendo –N-Non volevo spaventarti, e…-
-Ma no.
Davvero, non è niente.- si riprese del tutto, e piegò il capo di lato,
regalandogli un piccolo sorriso –Ma… A te non ha dato fastidio, vero?-chiese.
In fondo, il bimbo gliel’aveva detto che toccare un essere umano non era
piacevole.
-Un po’.-
spiegò quello, ritrovando il sorriso –Ma non importa! Prima o poi riuscirò ad
abbracciarti veramente, come ho fatto con i capelli del ragazzo-tulipano!-
promise, annuendo convinto. Pareva entusiasta, e l’altro non riusciva a
spiegarsi il perché.
Hiroto-kun
lo guardò negli occhi.
Il
sorriso gli si incrinò.
-Si.-
bisbigliò, per poi riallargarlo, nascondendo in un angolino del proprio cuore
quella visione che gli aveva attraversato la mente, come se non fosse mai
esistita.
-Com’è stato?
-… ?-
- Abbracciarmi,
intendo.-
-… Freddo. E caldo
insieme, Hiroto-kun.-
*
Et voilà!
Eccomi
qui con il secondo capitolo!
E’ troppo
lungo?
I nomi
Hiroto-kun e Hirocchan vi confondono?
Spero di
no, che sia tutto comprensibile *inchino* e che il capitolo vi sia piaciuto,
perché mi ha divertita molto scriverlo. Non che succeda questo granchè, ma
immaginarmi Nagumo in quello stato mi ha fatto ridere da sola come un’idiota xD
L’ultima
parte specialmente mi è piaciuto molto scriverla. Nei prossimi capitolo il
rapporto tra Hiroto-kun e Hirocchan si farà più intenso, e si scopriranno cose
che nemmeno loro pensavano di conoscere riguardo loro stessi.
Ma non vi
anticipo nient’altro u.u
Ringrazio
tutti coloro che hanno letto, recensito, messo tra le preferite/ ricordate/
seguite questa fic, mi rendete sempre più contenta, davvero!! *sparge fiori e
regala cioccolatini* çAç
Detto
questo, mi dileguo!
Al
prossimo capitolo!!
Greta.