Home sweet home
Un altro gemito.
Stava facendo un incubo, di
nuovo...
La spaventava, a volte... Il
più delle volte, ad essere sinceri.
All’inizio riusciva a calmarlo,
non sapeva ancora per quale miracolo divino, almeno un pò...
Con il tempo aveva perso quel
potere. O, forse, i suoi incubi erano peggiori dei precedenti...
Non poteva far altro che
stringergli una mano ed aspettare.
Che si risvegliasse di scatto,
cercando aria come se stesse soffocando e, a volte, sussurrando il suo nome.
Come un bambino.
Era l’unico momento in cui
riusciva ad avere il coraggio di sfiorarlo...
Sollevò lo sguardo dal libro su
cui stava cercando inutilmente di studiare e controllò per l’ennesima volta che
cosa stesse facendo.
Guardava semplicemente il
soffitto, immerso nei propri pensieri.
Non era né migliorato né
peggiorato.
Era sempre muto, apatico, privo
di volontà.
Lei, al contrario, era
terrorizzata. Non voleva lasciarlo solo. Non poteva.
Anche il dottore le aveva detto
che avrebbe potuto avere delle ricadute.
Aveva detto che il cervello è
un meccanismo complesso, pieno d’ingranaggi che, per funzionare bene, non
devono assolutamente subire ripetuti urti o altri shock.
Spesso la persona subiva questi
“urti” ma continuava a comportarsi normalmente.
A volte, però, un ingranaggio
saltava e si poteva arrivare a tentare il suicidio.
E riuscirci, quasi sempre.
Ammettere che era qualcosa di
sbagliato, pensare di porre fine alla propria vita, era necessario per avviarsi
verso una guarigione più o meno completa, ma quasi mai definitiva.
E, per prima cosa, bisognava
parlare.
Ciò che era più frustrante, per
lei, era che Vincent parlava con lo psichiatra. Ma non apriva bocca a casa.
Le avevano ripetuto che era
molto fortunato. Perché era sopravvissuto.
Ma lo era?
L’unica cosa che desiderava era
morire e lei gliel’aveva impedito. L’aveva fatto diventare un’automa. Un sacco
vuoto.
Solo perché voleva vederlo
vivo.
Era sicura che i suoi pensieri
oscuri lo stessero tormentando molto più di prima.
Che si sentisse ancora più
solo.
Che volesse morire, più di
prima.
Tornò a fissare, senza però
vederle realmente, le lettere ordinatamente allineate sul suo libro.
Le era impossibile riuscire a
concentrarsi.
Si massaggiò le tempie, accorgendosi
che il suo cellulare stava lampeggiando.
Si chiese se fosse giusto
rispondere al posto suo...
Era Shelke, dopotutto.
Tra lui e la ragazza c’era un
buon rapporto e non se la sentiva d’insinuare in lei qualunque dubbio sulla sua
fedeltà...
Sempre che stessero veramente
insieme...
Erano usciti insieme parecchie
volte e Vincent sembrava così felice... Come se le ombre del suo passato non
riuscissero più a raggiungerlo.
Il telefono smise di
lampeggiare.
Cinque chiamate senza risposta.
Un pò la invidiava... Le
riusciva semplice farlo felice...
Per lei era così difficile...
Non avrebbe saputo da dove
iniziare.
Al contrario, tutto ciò che
faceva per il suo bene sembrava agire in modo inverso.
Un flash la riportò nuovamente
alla realtà.
Un nuovo messaggio.
Shelke.
Osservò la figura immobile
dell’ex Turk e, sospirando, lo lesse.
Ciao. Se non sentirmi, dimmelo, non c’è bisogno di evitarmi in questo modo, non mi sembra di averti fatto nulla di male. Dove sei sparito durante questo mese? Ho provato ad andare a casa tua ma le luci erano spente. Hai cambiato casa? Ti prego, Vivi, rispondimi...
Vivi... Che ironia...
-Vincent, c’è Shelke che cerca
di chiamarti da un’ora, vuoi almeno rispondere al suo messaggio? E’ preoccupata
per te.- annunciò, stizzita, mostrandogli inutilmente il cellulare, con una
gran voglia di tirarglielo in faccia.
Non la degnò di uno sguardo.
Credeva che avrebbe reagito,
sentendo il nome dell’amata...
Non gl’importava neppure di
lei.
Come poteva essere tanto
egoista?!
Come poteva solo pensare che a
nessuno potesse importare se viveva o moriva?!
Il suo pensiero fisso era
Lucrecia...
...Andare da lei.
...Morire.
Afferrò la propria borsa ed
uscì sul terrazzino della cucina, accendendosi una sigaretta e componendo il numero
di Shelke.
Che rispose quasi
immediatamente.
-Vivi?!-
Sospirò:-Shelke, sono Yuffie,
devo dirti una cosa...-
L’altra scoppiò improvvisamente
a piangere. Rimase a bocca aperta.
Ma non era una mocciosetta
idiota che chiamava la gente per nome e cognome e se ne fregava altamente di
tutto e di tutti?
-Ho capito, non c’è bisogno che
aggiunga niente. Sì felice con lui.- rispose, tra i singhiozzi.
@_@
Che razza di paranoica...
Credeva veramente che potessero
stare insieme?
-Shelke, non hai capito niente,
aspetta!- la fermò prima che riattaccasse. –Vincent non mi parla nemmeno, come
vuoi che sia possibile una relazione tra noi?!-
Silenzio.
-Non state insieme?-
-No... E’ successo qualcosa di
grave, è per questo che non ha potuto risponderti personalmente... Ecco...
Vedi... Vincent ha...- si schiarì la voce ed aspirò profondamente il fumo della
sua sigaretta.
Sentì il cellulare scivolarele
dalle mani.
-Ciao Shelke. Sì, scusa, sono
stato occupato. No, niente, sai com’è fatta... No, no, certo... Ok... Senti,
avrò da fare anche questo mese, quindi non potrò chiamarti. Ti chiamo io.
Sì...-
La voce di Vincent...
Alzò lo sguardo.
Stava meglio?
Lo osservò sedersi su una
sedia, in cucina e discutere tranquillamente con la ragazzina.
Finì la sigaretta, la spense
sul proprio palmo e andò a sedersi dall’altra parte del tavolo.
-Ti amo anche io...- lo sentì
sussurrare, con la solita voce monotona.
Ti amo anche io...
Quanto c’era di vero in quella
frase tanto falsa?
E, poi, perché aveva tanta
voglia di finirsi il pacchetto di sigarette seduta stante?
Si sentiva triste.
Per Shelke, principalmente. Ci
credeva veramente?
Lo sentì alzarsi.
E poi avvertì un bruciore
intenso alla guancia.
Le aveva tirato uno schiaffo.
-Perché?!- esclamò, alzandosi a
sua volta. –Perchè ho detto la verità? Perchè non faccio finta come te? Quel ti
amo era davvero patetico, lo sai?-
La ignorò e tornò in camera.
Prendersela con lui non ne
valeva la pena, anche se l’avrebbe volentieri preso a pugni.
Soprattutto perchè non aveva
pensato a dosare la sua forza sovrumana, dandole quello schiaffo. Le aveva
fatto dannatamente male.
Voleva piangere.
Sedersi in un angolino buio e
piangere.
Ma non poteva. Se avesse
pianto, sarebbe saltata tutta la terapia...
E lo psichiatra l’avrebbe
ammazzata di sicuro.
-Egoista bastardo. Egoista
bastardo. - sibilò.
***Note***
Grazie molte per i vostri
commenti... Come avrete notato, non è una One shot.
Non so se riuscirò a finirla,
perché non è semplice, per me, scrivere su questo tema. Ma ci proverò, se
v’interessa sapere come finisce.
Assistere una persona che ha
tentato il suicidio non è molto semplice... E la ninja purtroppo non è iron
woman...
Credo che noterete un
progressivo crollo della salute mentale di Yuffie... Anche in questo capitolo,
quando si spegne la sigaretta sulla mano... (cosa che, per me, è diventata
un’abitudine... Per fortuna ho smesso! ^_^)
In realtà non so bene dove
voglio arrivare, se avrà un lieto fine o meno...
Quindi, ho bisogno dei vostri
commenti!
Comunque, non scriverò dal
punto di vista di Vincent, mi dispiace... Ciò che pensa rimarrà un mistero...
Almeno per un pò!
Sto cercando di mettermi nei
panni di Yuchan!