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Autore: formerly_known_as_A    24/09/2006    12 recensioni
Dopo aver letto "sunshine in winter", mi è venuta in mente la trama per questa fanfction...
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Just before the sunset

My redemption

 

Stava rannicchiato nella stessa identica posizione da ore...

Il suo sguardo era fisso sulle proprie bende. Ma non le vedeva. I suoi occhi erano vuoti, privi di qualsiasi sentimento.

Una pozza di sangue.

 

Scosse la testa, evitando di tornare sull’argomento.

 

Sembrava un bambino piccolo. Un bambino solo. Ma non era quello che era sempre stato?

Anche crescendo, nel posto più profondo della sua anima era rimasto il vuoto che rimane quando si perdono poco per volta le persone che si amano... E il suo sguardo era una finestra aperta su quel luogo.

 

Sospirò ed avanzò di un passo.

 

-Vincent?-

 

Non battè ciglio. Non sembrava aver notato la sua presenza.

O forse, l’ignorava soltanto...

 

Un altro passo, questa volta più deciso. Seguito da un altro. Ed un altro ancora.

Sembrava un soldato di stagno, tanto era irrigidita.

 

Posò un mazzo di fiori bianchi sul comodino e si sforzò di sorridere.

 

Gigli.

Un giorno le aveva confessato che gli piacevano molto. Perché erano puri.

 

-Come stai, oggi? L’infermiera mi ha detto che non hai mangiato, ancora! Ti ho portato dei dolci! Ecco!- esclamò, appoggiando la scatola accanto ai fiori, con cautela, sperando che non si fossero rovesciati.

 

Sapeva che non li avrebbe mai sfiorati. Allora, perché preoccuparsi?

La forza della disperazione, pensava...

 

S’inginocchiò davanti a lui e gli accarezzò il viso. Era freddo.

 

Sbattè per un attimo le palpebre, ma non accennò altro movimento.

Era frustrante.

 

-Dovresti provare a mangiare, sai?- sussurrò.

 

Nessuna risposta. Sentì le lacrime formarsi nei propri occhi e si alzò immediatamente.

Doveva essere forte. O, almeno, evitare di piangere proprio in quel reparto.

Davanti a lui.

 

-Oggi mi ha telefonato Reeve, sai? Mi ha chiesto di salutarti! Sta facendo così tanto, per Midgar! Lui e Barret stanno lavorando come pazzi su quel nuovo progetto! Uhm... Pozzo di petrolio... Sì, ha detto proprio così! Dovresti vederla, quella roba! E’ viscosa, puzza e...- s’interruppe.

 

Perché stava parlando? Tanto non l’ascoltava...

In fondo, cosa poteva importargli di Barret, di Reeve o qualsiasi altra cosa?

Era nel suo mondo...

 

Sperava fosse un pò più felice.

Era sicuramente così...

 

-Vincent... Più ti guardo, più...- sentì la porta aprirsi. Il dottore.

 

-Allora, non mangia?- chiese. –Vincent, Vincent, fai preoccupare questa bella ragazza!-

 

E la faceva piangere, anche... Ma non poteva di certo dirgli ciò che pensava realmente.

Non poteva...

 

Doveva occuparsi di lui e farlo guarire, nonostante non accennasse a voler tentare di stare meglio.

 

Lui controllò la flebo. –Signor Valentine, devo controllare i punti. Si volti, per favore.-

 

Vincent alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Gli diede immediatamente le spalle.

Un rettile. Nessun sentimento. Nessun rancore, ovviamente. Ma neppure qualcosa di più positivo.

 

Era ancora peggio di prima.

 

Non serviva a niente piangere...

Ma ne aveva così bisogno...

 

Aveva bisogno dell’abbraccio di qualcuno. Qualcuno qualsiasi. Si sarebbe accontentata persino di Jenova. Anche se non aveva delle braccia, ma dei tentacoli...

 

-Si sente bene?- si sentì chiedere.

Il dottore aveva una voce calma e dolce... Cominciava a pensare che fosse psichiatra solo per quel motivo.

 

-Sì, certo, dottore!- esclamò, sforzandosi di sorridergli. –Pensa che potrà andare presto a casa?-

 

-Tra poco. Dovrà comunque continuare ad essere seguito qui all’ospedale. Ha bisogno di riposare, in un ambiente famigliare... Senta... Abbiamo una dottoressa che si occupa dei parenti dei pazienti che...- iniziò.

 

-Sto bene, dottore!- lo interruppe, fingendosi allegra. –L’importante è che lui sia ancora qui, no?-

 

Doveva esserne felice... Però...

Però non poteva evitare di pensare che LUI non ne era felice. Che si era comportata da egoista proprio quando lui aveva più bisogno che qualcuno gli dimostrasse... Che cosa? Pietà? Amicizia?

 

Abbassò la testa.

Era un crimine se voleva averlo ancora vicino?

 

-Può farmi visita in qualsiasi momento...- sussurrò lui, uscendo dalla stanza.

 

Si sedette pesantemente su una sedia.

 

Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.

Inutilmente.

 

La pozza di sangue che si allargava, lei, ferma, immobile, completamente priva di volontà.

Non sapeva cosa fare...

 

Da quanto tempo era perseguitata da quell’immagine? Da quanto tempo non riusciva a dormire?

Le sembrava fosse trascorsa un’eternità... Invece...

 

Era passata solo una settimana.

 

Li riaprì di scatto e percorse con lo sguardo la figura davanti a sé. Una bambola dalla pelle diafana e gli occhi cremisi.

Una bambola vuota. Abbandonata su un letto.

 

Una bambola che avrebbe voluto recuperare, ma non sapeva come...

Non era giusto abbandonarla così...

 

-Perché? Perché, Vinnie? Me lo spiegherai, un giorno? Uscirai da questo silenzio? Anche solo per mandarmi a quel paese, perché sono una stupida e non ho capito niente di te... Non mi sono accorta in tempo di quanto fosse profonda la tua cicatrice... Scusami... Scusami...- mormorò.

 

Aveva avuto la faccia tosta di pensare che avrebbe potuto sostituire lei, l’altra...

Ma l’altra era perfetta.

Era un angelo.

E lui ne era sempre innamorato.

 

E lo sarebbe sempre stato.

 

Gli afferrò una mano e gliela strinse.

 

-Quando i tuoi tendini staranno meglio, riuscirai a fare un sacco di cose, come prima... Il dottore mi ha consigliato di comprarti una piantina... Così potrai occupartene... Fa parte della terapia... La metterò in camera tua... Vicina alla finestra... Ho cambiato le tende... E volevo anche ridipingere! Però, ultimamente, non ne ho il tempo... Ah... Spero che non ti dispiaccia, se mi occupo un pò della casa, in tua assenza... Dormo sul divano, comunque... E’ comodo...- raccontò, cercando di farsi coraggio.

 

Passò le dita sulla benda che fasciava il polso.

Si chiese se provava dolore.

Se, al contrario, fosse insensibile a tutto ciò che succedeva intorno a lui.

 

Si trovava in fondo al pozzo e stava cercando di risalire? O si accontentava di galleggiare?

 

Non pensare più a niente. Eliminare il dolore. Eliminare ogni ricordo.

Forse ne aveva bisogno.

Forse non avrebbe dovuto fermarlo.

 

Forse era ciò che desiderava anche lei...

Quello che ognuno desiderava.

 

Valeva veramente la pena di vivere?

 

Valeva la pena di scegliere un mondo in cui si era ignorati e calpestati? In cui i nostri migliori sentimenti dovevano essere soffocati nel profondo del nostro cuore per non essere disprezzati?

 

Ma cosa avrebbe dovuto fare? Lasciarlo morire?!

 

Non poteva permetterselo.

C’era andata vicino. Per poco non aveva ceduto al suo ricatto.

 

Ma non aveva potuto andare fino in fondo.

Era debole.

Era egoista.

Lo sapeva.

 

Ma non voleva perderlo.

Non poteva.

 

Ormai faceva parte della sua vita, in un modo o nell’altro.

Finché pensava di dover morire, toccava a lei occuparsene.

 

A quale parte di sé appartenevano quei sentimenti?

Quella di amica?

Di madre?

 

O, semplicemente, era così egoista da voler soltanto redimere sé stessa?

 

Una campana risuonò per i corridoi dell’ospedale, annunciando la fine delle visite.

 

Si chinò su di lui e lo baciò sulla fronte: -Ti prego, non odiarmi perché non ti ho lasciato morire...-

 

 

 

 

-Vincent! Che diavolo stai...?!-

 

S’inginocchiò accanto a lui, affannata, cercando il cellulare in borsa.

Sentì qualcosa di caldo e viscido afferarle il polso, per poi scivolare.

 

La sua mano.

 

Ci riprovò, ma scivolò miseramente.

 

I tendini non erano in buono stato...

 

-Yuffie... Ti prego... No.-

 

-No cosa?! Vuoi forse che ti lasci morire?!- urlò, con le lacrime agli occhi.

 

Lui annuì. –Altrimenti non l’avrei fatto. Và via...-

 

-Non ci penso nemmeno!- protestò, sentendo un gusto metallico in bocca.

Sangue.

 

Le aveva posato la mano sulle labbra, delicatamente. –Vattene. Se davvero vuoi fare qualcosa per me. Vattene.-

Non si era mai comportato così. Non era mai stato gentile. Mai.

Perché proprio in quel momento?

 

La ninja serrò gli occhi e si alzò di scatto.

 

-Grazie.- lo sentì sussurrare.

 

 Egoista bastardo.

 

Chiuse la porta dell’appartamento dietro di sé, completamente svuotata.

Non poteva lasciarlo morire. Nonostante non l’avesse mai considerata un’amica, nonostante gliel’avesse chiesto, nonostante forse fosse l’unica cosa che l’avrebbe fatto felice.

 

Voleva che vivesse. Voleva che fosse felice in vita.

 

- Ho bisogno di un’ambulanza al numero 7 di Silence Street. E’ urgente.-

 

Sperò che non la odiasse troppo, dopo.




Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno commentato le mie precedenti fanfiction!!! Vi adoro!!! Spero che vi piaccia anche questa, nonostante sia particolare...
   
 
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