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Autore: Il Professor What    08/03/2012    3 recensioni
Sto finendo di guardare "I Tudors", e suggestionato dall'ultima puntata, dove Enrico VIII vede i fantasmi delle sue prime tre mogli, ho deciso di fare incontrare al sovrano altri due spettri, di due persone importanti del suo passato.
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio. Vuoto. Quelle pareti che per anni avevano sentito e rimbombato ogni tipo di rumore, adesso erano solo barriere che lo isolavano dal mondo esterno. C’erano state risate e c’erano state lacrime, c’erano stati i gemiti del piacere e quelli della tortura, i suoni della bellezza e quelli del terrore: ma adesso, di tutto questo non rimanevano che i muri, testimoni senza voce ma forse non senza memoria.
L’unico essere ancora vivo in quella immensa costruzione si trascinava faticosamente verso il proprio letto. Sbuffava e sudava, imprecando contro la propria gamba da anni malferma, mentre il letto sembrava allontanarsi invece che diventare più vicino. Il dolore voleva farlo urlare, ma lui non avrebbe ceduto, mai. Il re d’Inghilterra non si sarebbe fatto piegare dalla propria gamba, lui che nella vita non si era mai fermato di fronte a nulla pur di ottenere ciò che voleva.
Finalmente raggiunse le coperte e vi si aggrappò. Con tutta la forza dei suoi muscoli doloranti, si tirò sul letto e strisciò fino al cuscino, su cui infine si accasciò, stanco ma soddisfatto. Ce l’aveva fatta. Adesso poteva finalmente dormire, concedere al proprio corpo e alla propria mente il riposo di cui aveva bisogno.
No, non poteva. Glielo disse l’improvvisa consapevolezza di non essere solo, quel senso raffinato da anni di precauzioni contro la propria vita. Ma non era solo quello. Aveva già provato altre tre volte quel brivido, negli ultimi giorni, da quando loro avevano cominciato ad apparire. Caterina. Anna. Jane. E adesso?
Si rifiutò di alzare gli occhi verso la figura che, lo sapeva, lo stava aspettando di fronte al suo letto, alla tremula luce della luna. Non ancora, Signore. Ti prego, non ancora. Perché adesso? Perché? Non ebbe risposta alla sua muta preghiera. La sensazione non se ne andò. Era ancora lì. Si strinse ancora di più al cuscino, rifiutando caparbiamente di alzare gli occhi. Non avrebbe parlato con quel fantasma, restasse lì quanto voleva. Era stanco, e avrebbe dormito.
 
“Potrei quasi ritenermi offeso, sai, Enrico?”
 
Riconobbe la voce: calda, tranquilla, lievemente divertita. Una sensazione di calore lo avvolse, mentre il peso che portava sul cuore da anni sembrava d’un tratto essere divenuto più leggero. Era la sua voce! Lui! Lui!
 
“Tommaso!” Gli occhi di Enrico si alzarono a incontrare lo sguardo dell’uomo che più di chiunque gli era mancato, l’unico uomo che avesse mai osato contraddirlo, l’unico che gli aveva mai parlato sinceramente.
 
Tommaso Moro era in piedi di fronte alla finestra, con il vestito nero e la collana d’oro che Enrico ricordava così bene, una piccola croce d’argento nel pugno chiuso. Il cuore di Enrico si strinse nel riconoscerla: era la croce che quell’uomo aveva stretto sul patibolo, che Brandon gli aveva portato e che lui aveva gettato nello stagno del palazzo, incapace di sopportarne la vista. Il peso gli ripiombò sul suo cuore con tutta la sua pesantezza.
 
“Anche tu vieni ad accusarmi, Tommaso? Anche tu vuoi vendicarti di me?”
“Perché credi che io voglia vendicarmi, Enrico?”
“Non è così, forse? Io ti ho… ti ho ucciso…” Il groppo in gola quasi gli soffocò quest’ammissione, mentre le lacrime gli risalivano di nuovo agli occhi, e la memoria ricordava le ultime parole del suo maestro come Brandon gliele aveva riferite.
 
“Vi chiedo di essere testimoni che ora mi appresto a morire, nella e per la fede della Chiesa cattolica. Vi chiedo sinceramente di pregare per il re, e di dirgli che sono morto come servitore suo, ma di Dio prima di tutto.
 
“Era necessario, se non sbaglio.” La voce di Tommaso rimase calma. “Tu non volevi cedere. Io nemmeno. In tali situazioni, due uomini non possono che annientarsi.”
“E perché non hai ceduto?” La rabbia fu la risposta alla calma dell’ombra. “Perché non hai voluto fare come gli altri? Non me ne importava nulla di quel pazzo di Fisher, ma tu! Io ti ammiravo, per Dio, lo sai questo? Non ho trovato nessun altro come te! Volevo salvarti, ma tu… tu non mi hai dato scelta! Perché?”
“Povero Enrico…” disse l’ombra scuotendo la testa. “Così dunque sei finito… Il mio grande re.” Aveva il tono del buon professore che riprende l’allievo indisciplinato ma non cattivo. Quante volte gli aveva parlato così, calmandogli i dubbi e la rabbia, mentre guardavano le stelle, o studiavano come creare il reame perfetto, dove vi fosse piena libertà di parola, e tutti potessero contribuire al benessere dello stato in pace, perché la guerra non era più necessaria.
Una fitta acuta di dolore lo colse al cuore, e lui reagì nel modo che gli era solito: negando.
“Io sono un grande re! Ho difeso le mie genti, ho protetto e finanziato gli artisti, ho perfino vinto non una, ma due guerre! Ho realizzato la più grande riforma della storia inglese! Lo neghi, forse?”
“Non oserei mai contraddire Sua Maestà. Non adesso, perlomeno. Volevo solo rivederti, Enrico. Non potevo più attendere, anche se manca poco, come sai anche tu. Il mio affetto per te non è mai venuto meno. Anche quando ho posato la mia testa sul patibolo, pregavo Dio che ti perdonasse, perché non sapevi quel che facevi.”
Fu troppo. Era pronto all’odio, alla rabbia, alla vendetta, non a questo. Lui aveva annientato quell’uomo, costringendolo a scegliere fra lui e Dio. La sua testa era rimasta appesa per un giorno come monito per i traditori, e la sua famiglia bandita per sempre da corte. Come poteva adesso dirgli che pregava per lui? Come poteva ancora… volergli bene?
“Vattene, Tommaso” pronunciò a fatica tra le lacrime che gli irroravano le guance. “Vattene, ti prego.”
Non ci fu risposta. Tommaso Moro era di nuovo svanito.
E il cuore di Enrico VIII, re d’Inghilterra, Irlanda e Francia, scoppiò. Il torrente delle lacrime uscì dai suoi occhi bagnando le guance, i baffi e la barba del loro sapore salato. Si aggrappò al cuscino cercando di soffocare i gemiti, lottando per soffocare quella dolorosa stretta al cuore che lo appesantiva. E intanto la memoria gli rimandava indietro le immagini dei momenti trascorsi con quell’uomo che era stato il suo migliore amico.
 
Lo rivide mentre lo accoglieva sulla riva del lago, con sua moglie Alice e i suoi figli accanto, in una meravigliosa giornata di sole. Si discuteva di una possibile guerra contro la Francia, a cui Enrico era favorevole mentre Moro e Wolsey no. Ricordava le sue parole: “La guerra è un’attività da bestie, ma nessuna bestia la pratica con la stessa perseveranza dell’uomo.”
 
Lui ci era andato alla fine in guerra. Aveva assediato Boulogne per sette mesi, preparandosi poi a entrare a Parigi e riconquistare la Francia. Boulogne era caduta, ma lui non era re di Francia. Si sforzava ancora di credere che fosse stata una grande vittoria.
 
Gli stava facendo leggere l’opuscolo che aveva scritto contro Lutero. Tommaso lo ammoniva per il tono poco diplomatico, e lui rispondeva: “Nessun linguaggio è troppo basso per insultare Lutero o esaltare Sua Santità. Ne invierò una copia al Papa e voi, sir Tommaso, gliela porterete.”
“Perché mi chiamate sir Tommaso?”
“E’ il minimo che possa concedervi”
“Ciò va al di là di quanto merito!”
“Andiamo, Tommaso, non siate modesto! Non siete un Santo!”
 
Era un martire, adesso. E lui, Enrico, era stato l’artefice del suo martirio.
 
Era il primo Natale che lui e Anna passavano da sposati. Tommaso si era presentato portando in dono un crocefisso d’argento: “Ci ricorda Colui che dobbiamo festeggiare.” Sapeva che era anche una ripicca per il modo con cui Enrico si ostinava a riformare la Chiesa, ma non era riuscito ad arrabbiarsi. Non con lui, non a Natale.
“Grazie, sir Tommaso. Ne farò tesoro. Ci dobbiamo incontrare presto: ho ricevuto lamentele sul comportamento di alcuni clerici.”
Lui si era dichiarato disponibile alla chiamata, e si era voltato per andarsene. Enrico aveva sentito la mano di Anna nella sua distendersi, quella stessa mano che lei aveva tentato di ritirare quando Moro era stato annunciato. Quel gesto gli aveva fatto voglia di scendere dal trono e abbracciarlo, perché non tollerava che sua moglie parlasse contro il suo cancelliere.
“Tommaso!”
Ma non c’era riuscito. Aveva pensato a cosa volesse dire fare un gesto così sgradito alla donna per cui aveva spaccato il paese, la donna che amava. No, doveva stare sul trono, per evitare che nella corte si diffondessero voci inopportune. Eppure, ormai l’aveva richiamato… e lui aspettava il suo comando.
“Buon Natale” si era limitato a dire. Ma in quelle due parole sentì che c’era tutto un mondo di sentimenti e di parole che da tempo avrebbe voluto dirgli.
 
Non poteva non ucciderlo, se l’era detto tante di quelle volte. Non poteva fare un’eccezione proprio per lui, perché allora ognuno avrebbe potuto pretendere lo stesso trattamento: giurare solo quella parte del giuramento con cui era d’accordo. No, Tommaso doveva giurare su tutto oppure non giurare affatto e morire. Ne andava della sua credibilità come sovrano di fronte ad Anna, di fronte al popolo inglese, di fronte agli altri re: con tutto quello che aveva fatto per Anna, non poteva tornare indietro. Ma allora perché questo non bastava a togliergli dal cuore quel peso immane?
Aveva pensato di calmarlo con la morte di Anna, ma si era illuso. Ora che ci ripensava, tutto gli sembrava inutile. Aveva scatenato rivolte, bruciato eretici, ignorato la sua figlia maggiore, decapitato il suo migliore amico… per una donna che aveva poi ripudiato e fatto uccidere. Perché era stato solo dopo la morte di Anna che aveva abbracciato l’idea della Riforma in tutte le sue conseguenze, di per sé, e non come mezzo per avere la moglie che bramava.
Urlò, cercando di scacciare quelle riflessioni che teneva rinchiuse nella sua testa da anni, quei pensieri che aveva represso dentro di sé, troppo orgoglioso per ammettere che ci fossero, troppo codardo per affrontare quello che implicavano. Si sentì le mani bagnate, ma non osò guardarle. Aveva paura che non fosse sudore, ma qualcosa di più rosso.
  
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