Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Rosebud_secret    08/03/2012    2 recensioni
Spoiler: ambientata tre anni dopo la 2x03
Sono passati tre anni dalla morte di Sherlock.
Ora probabilmente vi aspettereste un John che sta tanto male, che soffre, che ha sempre stampata negli occhi l'immagine dell'amico che si schianta al suolo.
Beh, vi state sbagliando.
John sta bene, ha una compagna, una vita, persino una figlia, non pensa al passato, l'ha lasciato dietro di sé.
Lui non ha più un passato.
Sherlock lo osserva da lontano e lo osserva da vicino, ma John non sembra proprio accorgersi di lui, lo ha dimenticato.
È passato oltre e Sherlock ne soffre.
Mai avrebbe pensato che il suo amico, la persona più importante per lui potesse dimenticarlo, lasciandolo da solo a vagare nel nulla. Non pensa nemmeno di poter uscire dal loop in cui è caduto, nemmeno gli importa, fino a che una frase di Mycroft non lo risbatte nel passato:
«Hanno arrestato Gregory.»
Ma vorrà tornarci, senza John?
Nota: nessuna Mary Sue, i personaggi originali saranno secondari, odio le Mary Sue.
Buona lettura!
Ros.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non do peso alla tua frase e mi siedo sul davanzale, continuando a guardare fuori.

Rifletto, rifletto, mentre sfioro il vetro con le dita.

 

«Sherlock?»

 

No, Mycroft, no.

 

«Farai tardi, se non ti muovi.»

 

Devio il discorso.

Sbuffi e vieni a sederti di fronte a me.

 

«Non ti interessa nemmeno sapere il perché?»

 

Sei così preoccupato che se io non fossi io e tu non fossi tu, mi faresti quasi tenerezza nelle tue premure.

No, comunque, il perché non mi interessa.

Mi alzo e sguscio sul divano, dove apro la piccola scatola di legno intagliato e mi preparo a farmi la mia dose.

Poso la boccetta piena di polvere e con precisione schiero tutto.

La percentuale in soluzione dev'essere precisa, ma ormai la faccio da così tanto tempo che non ho più alcun bisogno di strumenti per misurarla.

 

«Avevamo detto: mai prima delle otto di mattina. Non sono nemmeno le sette.»

 

«Non mi rompere i coglioni.»

 

Ok, mi è scappato.

Quest'uscita proprio non è da me, ma, ormai, sono solo un tossico come tanti che lotta per combattere i suoi fantasmi.

Ti avvicini, prendi tutto e lo richiudi nella cassettina, infilandotela sotto braccio.

 

«Gregory è un tuo amico!» mi sibili contro come se avessi commesso chissà quale crudeltà.

 

Non voglio affrontare questo discorso.

Il che significa: tienti pure la cocaina.

Scappo a passo svelto verso la porta del salotto.

 

«Io non ho amici.»

 

Non è la prima volta che pronuncio questa frase.

La prima volta ero sconvolto, non volevo mostrarmi debole, ora sono drammaticamente certo del fatto che sia così.

Ti scocco un'occhiata e non oso immaginare quale sia la mia espressione, ora.

 

«N-Non ne ho mai avuti.»

 

La mia voce è uscita flebile, incerta, arrochita.

No! No!

Sono patetico!

Patetico!

Mi chiudo nella mia camera e giro la chiave nella toppa.

Questo non sono io...

Dev'essere la droga, ho decisamente esagerato.

Oppure è dovuto al fatto che non ho preso la mia dose.

 

«Sherlock...»

 

Bussi alla porta, ma non ho intenzione di aprirti.

Mi vergogno di me stesso, anche di fronte a te, mio fratello. So che stai indugiando con la mano posata sulla maniglia.

Non mi interessa!

NON MI INTERESSA!

 

 

 

«Puncake per la mia principessa!» sorrise John, posando un piatto di frittelle di fronte alla bimba che, impaziente, aspettava la sua colazione.

 

«Grazie papà!» esclamò Patricia, stampandogli un bacio su una guancia, quando lui si chinò verso di lei.

 

Non era suo padre, ma la piccola era orfana e, a conti fatti, aveva passato più tempo con lui che con il suo vero padre, visto che aveva solo quattro anni e lui e Denise stavano insieme da due abbondanti, mentre suo padre era morto quando aveva solo sei mesi.

Era stata Patricia, più che Denise ad aiutarlo a uscire dal suo baratro.

Gli aveva dato delle responsabilità e lui, di sicuro, non voleva deluderla.

Non che non amasse la sua compagna, adorava Denise, ma Patricia era la luce dei suoi occhi.

Era così orgoglioso quando gli portava i disegni che aveva fatto all'asilo o quando, per qualche motivo, diceva o faceva qualcosa che somigliava al suo atteggiamento.

Il concetto di biologia era ininfluente per lui, non era il DNA a rendere genitori o figli.

Spense il fornello e le insaporì il latte con due cucchiai di cacao in polvere.

Denise fece il suo ingresso in cucina, i capelli pettinati alla meglio in una coda di cavallo e il colletto della camicetta rigirato male, sotto al maglioncino.

 

«Buongiorno. Ci sono delle frittelle anche per te.» le notificò John.

 

«No, no, sono in ritardissimo! Senti, ci pensi tu a portare Trisha all'asilo?»

 

L'uomo annuì, passandole la sua tazza di caffè.

 

«Ti ho già messo lo zucchero.»

 

«Sei un angelo, il miglior uomo che si possa desiderare!» esclamò lei.

 

«E il miglior papà.» aggiunse la bimba.

 

«E voi due le migliori ruffiane.» ridacchiò l'uomo che, in momenti del genere si sentiva come se stesse vivendo dentro una pubblicità, tanto era perfetta la sua vita.

 

Denise gli diede un bacio e poi ne diede uno alla figlia, prima di sparire fuori dalla cucina.

Tornò indietro, facendo capolino.

 

«Non è che nella pausa pranzo porti fuori Toby? Non vorrei che ci lasciasse un altro regalino in mezzo al corridoio.»

 

Toby era un cuccioletto, un bastardino misto labrador, fortemente voluto sia da Patricia che da Denise che si erano sperticate in promesse assurde di prendersene cura e poi, come aveva previsto, era finito sulle sue spalle.

Non gli pesava.

Stava talmente bene che adorava anche il cane. Non aveva mai avuto un cane, prima e, beh, era davvero il migliore amico dell'uomo.

Tolti i regalini che lasciava in giro.

 

«Oggi inizio il turno alle dieci, lo porto fuori dopo aver portato Trisha all'asilo.»

 

«Ti amo!» Denise si defilò, correndo a lavoro.

 

«Pronta principessa? Oggi mi porti un bel disegno?»

 

La bimba saltò giù dalla sedia e gli corse incontro, facendosi sollevare tra le braccia.

 

«E tu mi compri la Barbie sirenetta?» chiese lei, stampandogli un altro bacio sulla guancia.

 

«Vedrò cosa posso fare.»

 

 

 

Ogni giorno...

Ogni giorno mi ripeto che devo smetterla di seguirti ed eccomi qui, nell'auto dietro la tua.

Alla fine ti sei comprato una macchina e hai smesso di andare in taxi, John.

Una di quelle brutte macchine con tanti posti adatte ai padri di famiglia.

Beh, in fondo è quello che sei...

Già...

Potrei persino tamponarti, non ti accorgeresti di me comunque.

Ho aspettato che Mycroft uscisse, prima di prendere l'auto, non che pensi che non immagini dove sia.

Ormai ho imparato i tuoi ritmi, so quello che fai e lui, di conseguenza, sa sempre dove trovarmi, in base ad essi.

La mia vita è diventata una noiosa routine.

Accosti di fronte all'asilo e scorti la bambina sin dentro i cancelli.

Niente da dire, sei proprio scrupoloso, ma non mi sorprende, con tutti gli orrori che hai visto, un po' anche a causa mia, è comprensibile che tu non distolga mai l'attenzione dal “tuo cucciolo”.

È una cosa comune a molte razze animali, uomo compreso, o meglio, certi uomini compresi.

La saluti, vi scambiate qualche parola che, con i finestrini chiusi, non riesco a sentire, ma immagino siano le solite banalità del caso.

 

«Fai la brava, tesoro! Fammi un bel disegno!»

 

«Sì, John! Ti voglio bene, John!»

 

O forse ti chiama “papà”?

Sì, così piccola e con il fatto che sei fidanzato con sua madre da due anni, tredici giorni, ventidue ore e trentasette minuti è presumibile che ti giudichi suo padre.

Non lo sei, ma, probabilmente non te ne curi, altrimenti non la guarderesti con tutto quell'affetto.

Una volta guardavi me così.

Era così che mi vedevi? Come un cucciolo da proteggere?

Beh, faccio tanti auguri alla piccola, magari di lei non ti scorderai!

 

Sono... pieno di rabbia.

 

Ti guardo risalire in macchina.

Sorridi.

Sei felice.

Non ti ho mai visto così felice con me.

Era per colpa mia?

E ora andiamo a portar fuori il cane, coraggio! Che vita esaltante!

Ti dà qualche soddisfazione scorrazzare in giro con quell'ammasso puzzolente di pulci e microbi? Ti dà più soddisfazione della vita che avevi con me?!

Aaah, meglio che lascio perdere.

Parcheggio e ti seguo lungo i giardini di Hide Park, lasci andare quel cagnaccio stupido e ti siedi a leggere il giornale che hai comprato al chiosco.

Non avrei nemmeno bisogno di seguirti per sapere esattamente quel che fai.

Sei patetico e io lo sono più di te, perché, nonostante tutto, sono qui, ti seguo, proprio come se fossi anche io un altro tuo stupido cane.

Ti basterebbe voltarti per accorgerti di me, ma non lo farai.

Passo così drammaticamente vicino a te che sento il il profumo del tuo scadente dopobarba riempirmi le narici, potrei quasi sfiorarti i capelli della nuca, non lo faccio, ma indugio comunque qualche istante, sperando che...

 

Inutilmente.

 

Torno a distanza di sicurezza.

Una parte di me nemmeno vuole che tu mi veda.

Non così.

Non come il tuo essere cieco mi ha reso.

Riprendi il cane e si torna a casa, poi allo studio medico dove lavori, ma le cose non vanno come ogni dannato martedì, no.

Oggi no.

Ci sono degli agenti che ti stanno aspettando e questo mi mette sull'avviso.

Sono sicuramente qui per farti delle domande su Lestrade.

Sembri sorpreso e anche a disagio.

Che succede, John? Non sei più abituato a trattare con i poliziotti?

Entri un secondo nello studio per informare che dovrai saltare i pazienti della mattinata e poi segui gli agenti a Scotland Yard.

Io me ne vado.

L'ho detto e lo ripeto: non voglio saperne niente di questa faccenda.

 

 

 

«E' vero che il detective Lestrade ha passato due ore a casa sua, ieri notte?» domandò il detective Moore, appena arrivato alla sezione omicidi di Scotland Yard.

 

John, seduto nel suo ufficio, sbuffò: «Quante volte devo risponderle di sì? È arrivato da me verso le undici e mezza, per la precisione, lo so perché quando hanno suonato al campanello ho controllato l'ora e mi sono chiesto chi fosse l'idiota che si presentava a casa della gente a quell'ora.»

 

«In che stato d'animo lo ha trovato?»

 

Il dottore strinse i pugni, nervosamente.

Non gli piaceva quel tipo, era troppo giovane e dall'aspetto troppo stronzo.

Inoltre non sembrava affatto turbato dal fatto che il presunto criminale in questione fosse un suo collega più anziano e, di sicuro, più capace e noto nel dipartimento.

Sembrava quasi goderne, invece, come se giudicasse quella situazione un'opportunità per fare carriera.

Non gli aveva ancora detto di cosa era stato accusato Lestrade, probabilmente aveva finito con lo schiantarsi dentro una vetrina, ubriaco, o qualcosa del genere, anche se non capiva perché se ne occupasse la omicidi.

 

«Era leggermente alterato, cosa più che normale se si viene piantati dalla moglie.» borbottò, incrociando le braccia al petto.

 

Odiava stare in quel posto.

Il detective Moore sfogliò delle foto.

 

«Sufficientemente alterato da fare questo?» chiese, posandogliene una di fronte.

 

John la sollevò.

Cristo...

Il corpo di Sofia era legato al letto, completamente nudo.

Il ventre e il torace erano gonfi per le percosse ricevute prima della morte. Contò tre fori di proiettile, uno appena sopra la vagina, uno al cuore, uno sulla fronte, sparati a distanza ravvicinata. Le lenzuola erano intrise di sangue.

 

«Non è stato Greg.» disse, semplicemente, facendo ricadere la foto sulla scrivania.

 

«L'ora del decesso è risalente alle tre di notte, quindi ben dopo che il detective Lestrade aveva lasciato casa sua.»

 

John balzò in piedi, furibondo e gli puntò un dito contro. «Sentimi bene, figlio di puttana: Lestrade non c'entra niente con tutto questo, lui non avrebbe mai toccato Sofia con un dito, lo conosco bene!»

 

«Come conosceva bene il suo migliore amico, Sherlock Holmes, suppongo.»

 

Colpo basso.

Questo era stato davvero un colpo basso.

Il volto di John mutò completamente, diventando minaccioso.

 

«Piccolo, arrogante arrampicatore rampante, sei solo un bastardo saccente. Non ti permetterò di rovinare Lestrade per far carriera!»

 

«Minaccia e offesa a pubblico ufficiale...» cantilenò Moore.

 

«Io non ho sentito niente, detective, e nemmeno lei suppongo.» disse una terza voce.

 

John rimase immobile, senza voltarsi.

L'altro, invece, si alzò con fare scocciato.

 

«E' lei chi diavolo è? Non ha l'autorità per entrare...»

 

Mycroft avanzò, ponendosi al fianco di John, come a volerlo proteggere. «Mycroft Holmes.» si presentò.

 

Quando il giovane detective sentì questo nome impallidì un poco.

Sapeva chi fosse e quanto fosse importante.

 

«Immagino che non abbia intenzione di perseguire il dottor Watson, dico bene? A meno che non voglia che il momento più eccitante della sua carriera non diventi dirigere il traffico a qualche crocicchio di periferia.»

 

«Questo è abuso di potere!»

 

«Ah, davvero? Non ne ho sentore.» sibilò Mycroft.

 

John chiuse gli occhi, cercando in tutti i modi di mantenersi calmo.

Mycroft faceva parte del punto A, quello che si era lasciato alle spalle, avrebbe preferito essere incriminato, piuttosto che vederlo rientrare nella sua vita, seppur a livello minimale.

 

«Puoi andare John, il detective ha finito con te.» gli sentì dire con tono gentile.

 

Si voltò, senza degnarlo di uno sguardo e uscì sbattendo la porta.

 

 

 

Sono quasi le otto quando ti sento rientrare, Mycroft.

Ok, lo ammetto, mi sono comportato davvero in maniera terribile, questa mattina, per questo ho deciso di preparare la cena.

 

«Sei di buon umore.» mi dici.

 

No, non lo sono affatto, ma ti sei portato via la cocaina, quindi qualcosa dovevo pur fare.

Non rispondo nulla e mi chino a tirar fuori il pasticcio dal forno.

Ho mal di testa.

 

«Ho visto John, oggi.»

 

«Mh mh. Il bordo si è un po' bruciato, lo vuoi lo stesso?»

 

Il tuo sospiro palesa, ancora una volta, la tua preoccupazione.

Non ho voglia di discutere, Mycroft, goditi la cena e sta' zitto.

 

«Sì, va bene lo stesso. Torno subito.»

 

Vai a metterti gli abiti da casa, come tua abitudine.

Ti aspetto in cucina dove, quando torni, ceniamo in completo silenzio.

Ci sarebbero troppi discorsi che tu vorresti fare e troppi che io vorrei evitare. È una partita a scacchi su una scacchiera che si perde all'infinito e su cui indugiamo refrattari, immobili.

 

«Voglio la mia droga.» dico, solo a fine cena.

 

«Trovi tutto sul tavolo. Io vado nella mia stanza.»

 

Sistemo i piatti, li lavo, ormai mi sono abituato al tuo ordine.

Non mi riconosco più.

Torno in salotto, almeno con la mia dose forse starò un po' meno peggio.

La disposizione degli oggetti sul tavolo mi fa sussultare.

Nell'angolo a sinistra: la scatola intagliata con la mia droga, in quello a destra: il mio violino e l'archetto, al centro: un fascicolo della polizia.

Che tu sia maledetto, Mycroft!

 

 

 

Quando Mycroft venne svegliato in piena notte dallo stridere del violino, sorrise, sapendo che le cose avevano ripreso a muoversi secondo la loro natura.

 

 

 

N.d.A: Eccoci qui ^^, ringrazio tutti quelli che leggono e che mi recensiscono, fa' sempre piacere sapere che a qualcuno il proprio lavoro piace! Qualsiasi appunto o critica costruttiva è più che bene accetta =)!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Rosebud_secret