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Autore: TuttaColpaDelCielo    11/03/2012    5 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 6 – Specchio




Fissava la porta bianca da un tempo indefinibile, senza mai allontanare gli occhi dalla cifra rossa in rilievo, dagli asterischi sotto di essa.
Quarta classe, ottavo gruppo.
Al di là vi era il dormitorio, la Presenza intensa e materna e confortante, le ali ancora così rosse e gli squarci sanguinanti. Amitiel.
Quarta classe.
Spaventosamente immatura. Avrebbe dovuto insistere con Michael per aspettare ancora e prepararla meglio, perché era troppo acerba, troppo fragile. Ma cosa importava a lui? Non passava periodi interi a guardarla piangere e agitarsi nel sonno, non la spiava da una fessura della porta sino a quando non scivolava in un riposo più quieto, non incontrava i suoi occhi spaesati e spietati.
Non fissava il suo viso in lacrime chiedendosi se, un tempo, anche il proprio fosse apparso così – se fosse uno specchio crudele di come il dolore e l’incertezza non mutassero mai, dilaniando tutti in ugual modo. Non sentiva riaprirsi vecchie cicatrici che, in fondo, non erano né vecchie né cicatrici.
Non si accasciava in preda all’angoscia nel proprio letto, non temeva per la sorte di quella che considerava più di una sorella, non si logorava per il senso di colpa straziante. Non passava interi cicli a fissare il cielo con occhi vacui, invocando nomi che avrebbe dovuto dimenticare – e in quei momenti avrebbe desiderato persino la carezza di ipocrita comprensione di Eisheth, per scacciare la solitudine.
Fuggì lungo il corridoio, singhiozzando, senza il coraggio di aprire quella porta per vedere ancora una volta gli incubi di Amitiel. Non le importava di farsi scoprire dalle Custodi, o di svegliare qualcuno con il rumore della sua corsa: voleva solo allontanarsi da lì, da quel numero rosso in rilievo che sembrava accusarla e giudicarla.
Quarta classe.
Così spaventosamente immatura.

* * *

«Amitiel.»
«Anane, ciao.»
Un incontro casuale nel caos del secondo periodo, quando gli allievi si affrettavano a centinaia verso le aule. Voluto, forse, ma non cercato. Avrebbero potuto fingere di non essersi viste, continuare per la propria strada con la scusa del ritardo, salutarsi con un cenno e correre via; ma l’affetto tra loro era tanto – troppo, per lasciare che lo insultassero ancora in quel modo.
«Come va?»
«Bene, tu? Ridwan ti ha detto qualcosa sul tuo Sviluppo?»
Sguardi sfuggenti, mani nervose che torturavano la divisa, un silenzio impacciato e titubante.
«No, non lo vedo da un po’, è sempre occupato.»
«Capisco.» pausa incerta «Scusa, ora devo andare. Se arrivo un’altra volta in ritardo, Nelchael mi uccide.»
«Allora ciao. Mi ha fatto piacere vederti.»
«Sì, anche... anche a me.»
Prima che l’altra si allontanasse, Anane le afferrò un braccio, facendola di nuovo voltare verso di sé.
«Ti va di...» mormorò, mentre il sangue le affluiva alle guance, rendendole candide e luminose d’imbarazzo «Quarto periodo, solito posto?»
«Qualcosa di più appartato? Per parlare più tranquille. Se vuoi, ovvio.»
«La settima è nella dimensione uma-» s’interruppe all’improvviso, timorosa di ricordare all’altra la loro esperienza lì «La settima non c’è, possiamo andare nella loro biblioteca.»
«Mh... tetto di quella degli insegnanti?»
«Giusto, lì non ci sono i Custodi.»
«E così possiamo stare un po’ all’aperto.» aggiunse Amitiel, come per sottolineare che non c’era nulla da nascondere, nei loro discorsi – o almeno così le piaceva pensare.
«Certo. Be’, allora a dopo.» le lasciò il braccio e sorrise, incerta «Se Nelchael vuole ucciderti, digli pure che sei in ritardo per colpa mia.»
«...no, io non ti tradisco.»
E quella frase fece nascere uno sguardo d’intesa, lo specchio di ciò che vi era stato prima di quella notte; un riflesso forse un po’ distorto e incrinato, ma per quel momento bastava.

* * *

Anane passò il secondo periodo a sorvolare i quartieri degli allievi, incapace di rimanere chiusa in una stanza a studiare. Si lasciava bagnare dalla luce senza provenienza del Paradiso, ridendo, planando sui tetti bianchi e piatti, salutando i compagni che scorgeva a terra.
Amitiel voleva parlare, aveva detto che non l’avrebbe tradita, e le aveva anche sorriso, prima di andarsene. Andava tutto bene, ogni cosa sarebbe tornata alla normalità. Niente più imbarazzo o incertezza o silenzi. Tutto meravigliosamente bene.
Percepì il Richiamo segnalare l’inizio del terzo periodo e si lasciò cadere verso i dormitori, euforica, arrivando a sfiorare un tetto con le dita. Solo allora distese le ali e con un rapido battito tornò verso l’alto, trascinata dal vento. Ripeté il gioco più volte, incurante dei compagni che da terra le facevano ansiosi cenni di smettere, ridendo delle loro grida spaventate. Non temeva di ferirsi: aveva avuto secoli per provare e riprovare, fino a conoscere ogni corrente d’aria, e altri secoli ancora per sfidarsi con Amitiel.
Ricordò con un sorriso malinconico quel cherubino dalle ali ancora così rosse, la sua insistenza per provare quel gioco pericoloso, il proprio esasperato consenso. Quando, la prima volta, l’aveva vista battere le ali troppo tardi e spezzarsi un polso contro il terreno, aveva creduto che Amitiel non avrebbe più osato riprovare; invece lei l’aveva stupita, ripresentandosi poco tempo dopo con le ossa risanate e ancor più determinazione. Il vento aveva cullato la loro amicizia nascente, germogliata tra cielo e terra con la velocità di una caduta libera.
Smise di lasciarsi precipitare e, in un malinconico moto di affetto, accarezzò con lo sguardo i vasti quartieri degli allievi – lo Specchio, come venivano chiamati, anche se in realtà la loro struttura non era del tutto simmetrica. Era pronta a giurare di conoscerne ogni angolo, e di non aver mai amato così profondamente un altro luogo: poteva non condividere le sue idee, poteva disprezzare i suoi insegnamenti, poteva detestare molti dei suoi abitanti, ma non poteva non considerarlo casa.


D’altronde, lo Specchio era stato studiato affinché i Cherubini lo amassero.
Era sito su un immenso altopiano sempre accarezzato da correnti d’aria, che sostenevano i più immaturi nei loro primi voli con estrema dolcezza, ma che potevano rivelarsi altrettanto violente: nelle giornate più ventose nessuno delle classi inferiori osava volare, il cielo diveniva un confuso turbinio di fogli strappati dalle mani, le allieve nemmeno tentavano di avere dei capelli ordinati, le ampie finestre degli edifici tremavano per le folate.
Un fiume bianco scorreva intorno allo Specchio, facendolo sembrare un’isola – il Confine, che durante il rito dello Sviluppo si tingeva di rosso, per sancire la maturità di un allievo.
Nella pianura sottostante, piuttosto discosta dal monte, si estendeva la Città degli adulti: i palazzi delle Autorità e dei Censori, i templi, le palestre... una marea di edifici candidi sempre in fermento, poiché solo ai giovani era necessario il riposo. Luoghi affascinanti e solenni, in confronto allo Specchio – luoghi che loro potevano solo guardare da lontano o visitare con gli insegnanti, sognando l’indipendenza di cui erano simbolo e promessa. Così era in ogni zona del Paradiso, non solo in quella Circoscrizione: i Cherubini amavano la propria casa, ma agognavano la maturità, il giorno in cui sarebbero discesi tra gli adulti come loro pari.
Anane era una di quelle rare eccezioni che, avendo passato interminabili secoli nello Specchio, vi si erano affezionate tanto da guardare al distacco con malinconia, piuttosto che con impazienza. C’era anche chi, come Cassiel, attendeva quel momento con brama più irrequieta del normale, sentendo di non appartenere davvero alla marea di Cherubini immaturi: erano adolescenti dal corpo acerbo, ma dalle capacità di un adulto, e – secondo alcuni – dall’eccessiva arroganza.
E poi c’era chi, procedendo nella maturazione, percepiva sempre di più come quei quartieri fossero frutto di un’analisi attenta e meditata: giovani che rimanevano meravigliati da come fosse tutto efficiente e funzionale, o da come fosse studiato per rispondere sempre alle necessità dell’instabile essenza dei Cherubini. Futuri membri del Genio i primi, Custodi quasi assicurati i secondi. Sempre che non comprendessero troppo a fondo il funzionamento di tutto, perché quello sarebbe stato un problema; e che non si chiedessero perché, pur non essendo simmetrico, quel luogo venisse nominato Specchio – bisognava saper stare al proprio posto, senza spingersi oltre il punto richiesto, e senza porsi domande inutili.
Era una delle prime lezioni di cui s’impregnava la mente dei Cherubini, e non a caso le restrizioni sui luoghi vietati erano molto rigide, per i più giovani; diminuivano con la crescita, dimostrando come gli adulti fossero liberi e indipendenti, per spingere a maturare in fretta. Arrivati al ciclo superiore, ad un soffio dallo Sviluppo, era ormai permesso aggirarsi ovunque, tranne i dormitori del sesso opposto; ma questo divieto era spesso ignorato, perché gli allievi erano ormai abbastanza accorti da non farsi scoprire – nel ciclo inferiore, d’altronde, le punizioni per chi non vi riusciva erano sempre un ottimo incentivo ad impararlo in fretta.
E se un cherubino sa celarsi ad un Custode, sarà in grado da adulto di farlo contro i nemici.
Tutto perfettamente calcolato.


Anane, scuotendo il capo a queste riflessioni, atterrò sul tetto della biblioteca degli insegnanti e ridacchiò. Amitiel aveva avuto davvero un’idea grandiosa: quello era il centro esatto dei quartieri degli allievi, un punto da cui si poteva scorgere ogni edificio, spiare dalle enormi finestre, vedere le pendici verdi del monte e la candida Città distesa ai suoi piedi. Osservare tutto da quell’altezza – cinque piani, contro gli abituali due – la faceva sentire assurdamente potente. Ma forse era solo la felicità elettrizzata di tornare a parlare con l’amica, dopo più di quattro cicli di silenzio e occhiate sfuggenti.
Si appollaiò sul bordo del tetto, tentando di scorgere la classe di Amitiel, nell’edificio accanto. Le aule che davano su quel lato dovevano essere del sesto e del settimo gruppo, non dell’ottavo, ma aveva bisogno di occuparsi di qualcosa, o sarebbe presto scoppiata per l’impazienza.
«Mi annoio.» si lamentò con un immaginario interlocutore, allungando a dismisura le vocali.
«Potresti studiare, allora.» fu l’inattesa risposta.

* * *

«Sono solo un Custode, e per di più un semplice angelo. Non credo di riuscire ad affiancare i Guardiani ai confini, rischio di essere solo d’intralcio.»
«Discutere è inutile, ragazzo. Ti parla un Esecutore Materiale che in teoria insegna alla quarta classe.»
«Un arcangelo alla quarta classe? Non lo sapevo.»
«E chi ha parlato di un arcangelo, ragazzo? Hanno smesso di badare a certi dettagli.»


Aveva ancora in mente la voce derisoria di quell’uomo: i commenti di un’ironia quasi intollerabile, le risate beffarde, lo sprezzo malcelato. Ma era riuscito ad ignorarlo, senza lasciarsi scalfire dal suo sarcasmo, rendendo onore al proprio nome – Ridwan, come l’arcangelo della pace interiore – e alla propria pazienza; l’uomo gli era addirittura risultato quasi sopportabile, quando si era lasciato sfuggire di essere preoccupato per gli allievi più giovani.
Saputo il nome della sua allieva, però, aveva iniziato a fare insinuazioni che gliel’avevano reso decisamente insostenibile. Era innegabile che Anane avesse una maturazione molto lenta, ma questo era imputabile solo ad uno scarso talento e ad un ancor più scarso amore per lo studio; di certo non era un legame con gli Sconsacrati, o una corruzione interiore, ad ancorare la sua essenza allo stadio di cherubino. E uno sconosciuto, che nemmeno le aveva mai parlato, non poteva osare certe insinuazioni infondate – insinuazioni che, per giunta, avrebbero anche potuto causarle dei guai.
Aveva tirato un sospiro di sollievo, quando aveva visto le fasce blu degli Esecutori allontanarsi, tuttavia la sua inusuale irritazione non si era placata. Gli avambracci, sostenuti dalla rabbia, avevano retto gli assalti dei compagni senza mai cedere: anche se sarebbe rimasto dolorante per diverso tempo, era riuscito a dimostrarsi quasi al pari degli Arcangeli – perché un Custode era sì qualcuno incapace di spiccare, ma anche qualcuno in grado di adattarsi ad ogni ruolo.
Non esiste la mediocrità, semplicemente alcune doti sono più difficili da notare e da apprezzare. Quella ragazzina senza apparente valore era la sua sfida: l’avrebbe guidata verso la sua strada, trovando il suo talento. Serviva solo del tempo, e nessuno poteva osare certe insinuazioni su di lei.
Sbuffò, turbato da quei pensieri, e sfilò i pantaloni e la maglia ormai a brandelli per sciacquarsi dal sangue e indossare abiti tradizionali. Per gli allenamenti, molti – lui compreso – utilizzavano quelli di foggia umana: infastidivano un po’ le ali, che dovevano aprirsi un varco nel tessuto, ma erano più comodi e resistenti, avvolgendo interamente il busto e le gambe. Qualità apprezzata soprattutto dalle donne, che non gradivano affatto quando il chitone tradizionale risaliva verso i fianchi, o quando il drappeggio lungo una spalla si scioglieva e scopriva il seno.
Rivestendosi sfiorò per errore un gomito, particolarmente malridotto, e sibilò di dolore. Un Custode a fare il Guardiano tra gli Arcangeli; senza l’inusuale rabbia che l’aveva sorretto per quell’allenamento, avrebbe dovuto impegnarsi davvero molto, se non voleva morire prematuramente – e no, non voleva, o almeno non prima di aver trionfato nella propria sfida personale e aver visto Anane svilupparsi. Dopo le insinuazioni di quell’uomo, poi, era diventata una questione di principio.
Stretta ai fianchi la fascia azzurra dei Custodi, salutò con un cenno i compagni e uscì a grandi passi dalla palestra, senza recarsi dai Guaritori per quel gomito, che sarebbe guarito autonomamente in qualche tempo. Sorvolò in fretta la Città, diretto verso l’alto piano, ad ali distese – le sue semplici ali da semplice angelo e altrettanto semplice Custode, che però aveva saputo tener testa agli Arcangeli, e forse peccava di superbia, ma un po’ di orgoglio non glielo poteva negare nessuno.
In pochi istanti risalì le pendici boscose del monte, trovandosi sospeso sugli immensi quartieri degli allievi – una vastità che non era un inutile sfoggio, ma semplice efficienza. Un suo vecchio compagno, entrato nel Genio, gli aveva spiegato come quella struttura fosse meditata fin nei dettagli: un riflesso imperfetto, la cui simmetria era studiatamente sfregiata. Da quando aveva ascoltato la sua descrizione, si fermava spesso a contemplare lo Specchio, ammirando la cura con cui era stato ideato e riprodotto, identico, in ogni Circoscrizione del Paradiso.


I quartieri degli allievi erano un quadrato enorme e quasi perfetto. Otto larghi viali lastricati di bianco lo dividevano in nove colonne, incrociate perpendicolarmente da altri quattro viali, che le tagliavano in cinque sezioni ciascuna – zone rettangolari di uguali dimensioni.
Le colonne – tranne la nona – ospitavano i dormitori maschili nella prima sezione, quelli femminili sul lato opposto, nella quinta; questi erano disposti secondo la progressione delle classi, ma il ciclo superiore faceva eccezione, trovandosi esattamente al centro, tra la quarta e la quinta. Le candide costruzioni erano su due piani, ciascuno con quattro camerate – una per lato – orientate verso il grande cortile interno. Solo gli allievi del ciclo superiore avevano una stanza per sé, ma dall’esterno la struttura appariva uguale alle altre, essendo le finestre rivolte verso il cortile.
Se la prima e la quinta sezione erano identiche, la seconda e la quarta erano radicalmente diverse. Adiacenti ai dormitori maschili si trovavano le zone aperte, ampie aree erbose dedicate alle lezioni pratiche; a quelli femminili, invece, gli edifici a due piani delle biblioteche. Questo perché gli allievi, più robusti, fossero spinti all’esercizio fisico, mentre le loro compagne allo studio teorico.
La terza sezione, quella centrale, era dedicata alle aule; ma non nella zona del ciclo superiore, poiché gli allievi erano affidati singolarmente ad un maestro. Lì, al centro esatto dello specchio, sorgeva la biblioteca degli insegnanti, più alta e imponente di qualsiasi altro edificio.
La nona colonna, da cui si poteva osservare l’intera Città, rovinava radicalmente la simmetria dello Specchio. Accoglieva nella sezione dei dormitori maschili i magazzini, mentre nella zona femminile l'edificio dei Guaritori. Questo perché, essendo l’essenza delle donne più fragile e più spesso orientata verso la guarigione, le allieve fossero facilitate nel farvi visita e incoraggiate ad apprendere quell’arte; gli allievi, invece, avrebbero imparato a non ricorrere troppo di frequente alle cure, poiché era permesso recarsi nell’ala del sesso opposto solo in rare occasioni.
Seconda, terza e quarta sezione non erano divise tra loro dai viali, ma riunite in un unico, vastissimo lastricato bianco: la Piazza, in cui si raccoglievano tutti gli allievi in occasioni particolari. Le gradinate volgevano le spalle allo Specchio, guardando verso la Città; l’oratore era così investito di tutta la grandezza del bramato mondo degli adulti, non solo del proprio prestigio.
Non era un caso che il ciclo superiore fosse spostato nella colonna centrale, lontano dalla Piazza, né una semplice questione di spazio per la biblioteca degli insegnanti. Gli allievi più maturi, ormai vicini allo Sviluppo, potevano cadere in superbia o indolenza; trasferirli più indietro, strappando loro la visione della Città, ricordava loro che dovevano ancora impegnarsi, che ancora appartenevano ai Cherubini.
Tale era la cura con cui il Paradiso aveva concepito lo Specchio, rifugio dei propri figli ancora rossi.


Ridwan si riscosse all’improvviso da quella contemplazione, percependo un’essenza volteggiare sopra di sé. Gli occorse meno di un istante per riconoscere Anane e, con un sorriso, lasciò che si divertisse senza farsi notare: non poteva impedirsi un moto d’affetto per quell’allegria tanto genuina, anche se erano proprio comportamenti simili – troppo esuberanti, quasi anormali – a dar luogo alle maldicenze.
Chiuse gli occhi, per udire meglio la risata cristallina dell’allieva, che eliminava in lui ogni traccia d’irritazione. Quando li riaprì, la vide appollaiata sul tetto della biblioteca degli insegnanti; se sussultò, però, non fu perché era pericolosamente vicina al bordo, ma per l’uomo appena atterrato dietro di lei.
E Ridwan, che rendeva onore al suo nome, che non abbandonava mai la calma, che non si lasciava sfuggire neppure un’esclamazione, imprecò tra i denti e si gettò verso la sua allieva appena in tempo.

* * *

«Michael.»
«Eisheth.»
L’aria densa e bituminosa del Vestibolo sembrava risucchiare le loro voci, distorcendole in un’eco grottesca: le risate divenivano latrati, i sussurri urla laceranti. Era un luogo immateriale, eppure nero e soffocante; e immateriali erano anche i suoi visitatori, essenze e anime i cui corpi scomparivano nel nulla, in attesa di poterle ospitare nuovamente. Tutto era astratto, eppure visibile.
La presenza del demone era un’enorme nube di un rosso violento, sanguigno; quella dell’arcangelo caduto, uno sbuffo di fumo grigiastro che quasi scompariva al suo confronto.
«Oh, Michael.» sospirò la donna «Chiamami madre, almeno in privato... o almeno nel mio dominio, dove ti è utile. Non è la prima volta che te lo chiedo.»
«Non siamo negli Inferi, Eisheth. Non vedo perché dovrei palesare il nostro legame.»
«Non siamo nemmeno nella dimensione umana. Non vedo perché dovresti rinnegarlo.»
«Se volevi sentirti chiamare madre, avresti dovuto convocarmi negli Inferi, non nel Vestibolo. E ora sbrigati, Eisheth, ho altro da fare che ascoltare le tue chiacchiere.»
«Mi ripaghi così, Michael, quando io ti ho usato una gentilezza?» mormorò, ma sembrò un urlo rabbioso, da bestia ferita «Possiamo spostarci, se sei così ansioso di non potermi parlare da pari, di aggrapparti alla mia tunica come un cherubino. Vuoi vedere i Demoni inchinarsi al mio cospetto? Vuoi sentire la loro brama di attaccarti, frenata solo dal legame che ci unisce? Vieni, dunque!»
La nube rossa si infittì ad ogni parola, sin quasi a sembrare solida e fremente, perdendo tutta l’evanescenza che caratterizzava l’essenza dei serafini; era uno spettacolo magnifico e minaccioso, un’ombra concreta che pulsava e vorticava come impazzita, rabbiosa. In un istante circondò il fumo grigio, che scomparve poco a poco senza riuscire a liberarsi, come trasportato in un altro luogo.
«...no.» fu costretto a mormorare il caduto, prima di venire condotto negli Inferi.
«Perdonami, Michael?» chiese, con una risata soddisfatta a malapena trattenuta.
«No, madre
L’essenza del demone si ritirò all’improvviso, tornando ad essere una nebbia sottile.
«Era così difficile dirlo?»
«Perché mi hai convocato?» la ignorò «Dovrei essere a combattere, in questo momento, e a vigilare sul patto affinché venga rispettato.»
«Dubito che potresti fare molto, figlio mio» rise «nel caso in cui Belial ordinasse ai suoi Demoni di ritirarsi. O di attaccarvi.»
«Samyaza me lo ha ordinato e ho intenzione di farlo, madre
«È da tempo che non lo incontro, ora che ci penso. Deve aver perso il suo tanto celebrato intelletto, se ha messo te a vigilare sul patto, sì?»
«Evidentemente ha fiducia nelle mie capacità.»
«Evidentemente ha voglia di ridere un po’.» lo corresse «O è davvero impazzito.»
«Smetti di deridermi.» ringhiò «Sono giovane, ma ho più potere di altri che sono nati molto prima di me. Significherà pur qualcosa.»
«Sì, che il mio nome ha influenza anche sulle gerarchie dei Caduti.»
«Non-»
«Michael, so che hai talento e potere: una madre non ignora mai i successi dei propri figli. E, per la tua giovane età, questo talento e questo potere sono quasi sorprendenti, anche escludendo l’influenza che il mio nome ha sicuramente avuto nel farti ottenere l’autorità di cui godi.» lo stava deridendo, con quel discorso così formale «Ma abbandona per un istante la superbia e guardati intorno: ci sono decine, centinaia di persone più potenti di te. In confronto agli Antichi, figlio mio» espanse la propria essenza in modo quieto, non minaccioso, ma quella del caduto sembrò ugualmente minuscola «non sei niente. Solo il patetico riflesso di un decimo della loro – della nostra – grandezza.»
«Mi hai convocato nel Vestibolo per dirmi questo?» chiese, spazientito e a disagio.
«Sta’ attento, Michael, perché potresti scoprire nel peggiore dei modi quanto tu sia debole.» lo ammonì «Puoi manovrare come burattini dei cherubini inesperti, ma non inganni me. Spera che io non decida di averne avuto abbastanza dei tuoi giochetti.»
«Non credo che ti riguardi. Non ti ho mai coinvolta, né ho intenzione di farlo in futuro, se è questo che ti preoccupa.»
«Hai coinvolto mia figlia, tua sorella, nel modo più subdolo e crudele.» ringhiò, e l’aria densa del Vestibolo trasformò la sua voce in un ruggito agghiacciante «I Demoni peccano di egoismo, ma non di indifferenza. Spera, prega di non ferirla troppo, perché scateneresti la mia ira.»
Il caduto rise, tentando di mascherare il suo disagio, e disse seccamente: «Se sei così ansiosa per la sua sorte, madre, perché sei tu la prima a non svelarle nulla?»
«Perché non ho solo una figlia, ma anche un figlio. Non mi piacerebbe vederti di nuovo in quelle condizioni.» la sua essenza sfiorò il fumo grigio, come in una carezza «Ma non spingerti troppo oltre, Michael, per riavere quella femmina. Rischi di perdere tua sorella e tua madre.»
«Non vedo come potresti impedirmi di... spingermi troppo oltre, come dici tu.» commentò, gelido «Se anche tentassi di escludere Anane da questa storia, lei stessa sarebbe la prima a protestare. E il tuo potere, per quanto grande, non potrà mai influenzare questioni private come questa: riguarda me, che per tua sfortuna sono adulto, e solo marginalmente Anane. Non hai modo di intrometterti.»
«Non ho modo?» rise «Oh, Michael, sei davvero ingenuo.»
Lui non comprese cosa il demone avesse in mente, e la sua essenza grigia si arricciò su sé stessa, esprimendo involontariamente la propria confusione.
«Spingerti troppo oltre ferirebbe tua sorella e te» lo avvisò Eisheth «e non ho intenzione di vedervi entrambi distrutti dalla tua ingordigia. Piuttosto, figlio mio, preferisco che sia tu l’unico a venire colpito dai tuoi errori.»
«Cos’hai intenzione di fare?» ringhiò con ansia malcelata, espandendo la propria essenza – sempre ridicola, di fronte alla grandezza del demone.
«Quello che avrei già dovuto fare: proteggervi. Non ti permetterò di ripetere i tuoi errori ancora una volta, Michael. Non obbligarmi a farlo.» sospirò «Non ho mai amato gli specchi, Michael, lo sai.»
Era una frase incomprensibile ad un ascoltatore esterno; per loro, invece, era spaventosamente chiara.
Prima che l’altro potesse risponderle, Eisheth lo sfiorò con una carezza leggera, quasi addolorata, e in un istante scomparve, inghiottita dagli Inferi.
Michael rimase ancora a lungo a vagare nell’aria bituminosa del Vestibolo, tremando di rabbia e di allarme per l’ultima frase.
Non ho mai amato gli specchi.
E, come sottinteso che potevano cogliere solo loro due: non dovresti nemmeno tu.




***
Angolo autrice:
Con un po' di fatica, sono riuscita ad aggiornare oggi. Se trovate errori, segnalatemeli pure, non ho avuto tempo di rileggere un'ultima volta dopo la correzione.
Capitolo di un paio di pagine più lungo del solito, per compensare le lunghe spiegazioni sullo Specchio. Risulteranno quasi sicuramente pesanti, ma dovevo inserirle, prima o poi, e non avevo modo di spezzarle senza perdere in chiarezza. Spero che risultino comprensibili.
Che altro dire? Non so voi, ma io adoro Ridwan xD Può sembrare inutile la parte su di lui, o inserita solo per descrivere lo Specchio, ma ha il suo perché. Ridwan è un personaggio limpido, "pulito", che ha una visione del Paradiso molto positiva. Servirà a mostrare le cose da un altro punto di vista.
Spero che l'ultima parte vi sia piaciuta... io mi sono divertita moltissimo a distruggere così Michael xD

Grazie per aver letto, per i preferiti e le seguite, e come sempre un enorme ringraziamento a chi recensisce!
A domenica prossima (:
   
 
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