La dedica
di questa storia
Va a Genova.
E a te.
Grazie.
Il serpente che
danza
Una sera fatta di rosa e mistico azzurro
ci scambieremo un unico lampo,
come un lungo singhiozzo carico d’addii;
un angelo più tardi schiuderà le porte
e verrà a rianimare, fedele e gioioso,
gli specchi offuscati e le fiamme morte.
La morte degli amanti
Charles Baudelaire
Le
gocce di pioggia autunnale catturavano
e riverberavano la luce del sole spendente, mentre le nubi venivano spazzate da
un refolo incerto.
La
gente, invece, si preparava a indossare delle maschere per proteggersi dalla
stagione più dura e meno gentile dell’anno.
Gli
ultimi bagliori del giorno sembravano infiniti oltre l’orizzonte, che si
tingeva di un arancione vivido: sprazzi scarlatti come il sangue che si era
versato quella notte.
Il
giorno dopo era sorto un sole rosso.
Draco
avrebbe voluto non provare la sensazione dell’abbandono, di un addio stretto
tra le corde vocali, di un saluto volgare che non gli si addiceva. Avrebbe
voluto dimenticare perfino perché era
lì,
a guardare un vuoto incolmabile, a lasciarsi baciare dalla solitudine e dai
ricordi, dai momenti in cui
l’aveva tenuta stretta tra le braccia per permetterle di cambiargli la pelle.
Gli
mancava.
Aveva
sul volto i segni del tempo, di quegli anni che aveva trascorso cercandola in
ogni riflesso, in ogni fotografia, in ogni sogno. Gli sarebbe bastato persino
un incubo: tutto
pur di rivederla ancora, magari al suo fianco, a
sfiorargli il viso, magari baciandolo e tenendosi
stretta a lui.
Una
lacrima gli bagnò le labbra, il sapore del sale sulla lingua e tra i denti.
Aveva
gli occhi sempre annebbiati perché erano grigi.
Aveva
gli occhi dei fantasmi.
Ecco
perché Hermione gli diceva sempre che faticava a
capirlo, perché lo specchio della sua anima era appannato. Non di lacrime ma di
spettri.
Chissà
cosa avrebbe pensato di lui se l’avesse visto al suo cospetto, nel luogo dove
si era lasciata scivolare via, abbracciando la morte e negandosi un’altra
primavera.
Draco
si guardò le mani, giocando con un fiocco nero. L’ultimo regalo che Hermione gli aveva fatto prima della fine.
Lei
sapeva che stava per andarsene.
Gli
aveva dato il suo amore, confezionato in un pacchetto di morte. E lui era
rimasto stupito di quel gesto, di quel ti amo, e quando era tornato a casa,
senza di lei, si era chiesto se Hermione lo amasse
sul serio o se fosse soltanto una promessa, un “forse un giorno lo farò
davvero, ma non oggi; adesso te lo dico perché voglio farlo, perché voglio
crederci”.
“Mi
avresti amato anche con un’altra pelle, Hermione?”
Le
risposte ad alcune domande erano così ovvie e crudeli
che, a volte, anche il semplice risveglio mattutino sembrava una punizione; era meglio
convivere con l’oscurità, anziché bagnarsi di luce e avere sempre la sensazione
di essere ciechi.
In
quel modo, almeno, Draco avrebbe potuto vivere in un
mondo fatto di ombre.
Come
Hermione, ch’era divenuta lo spettro del sole, mentre
lui si era consumato la pelle a forza di cambiarla, come la luna che a ogni
ciclo si scopriva per poi tornare a chiudersi di nuovo nel suo specchio rotto,
fatto di spicchi e mezzi sorrisi.
Draco
stava ascoltando la sua voce, che ormai cantava nel vento.
Gli
stava narrando come era successo.
Perché
gli occhi dei fantasmi non riescono a vedere.
Glielo
diceva sempre.
***
Hermione non era più tornata.
Soffriva di visioni, cantava sempre le
stesse filastrocche, ch’erano alcune inquietanti e altre bellissime: parecchie,
presumibilmente, erano di origine Babbana. Aveva lo
sguardo perso in un mondo tutto suo, che esisteva solo nella sua testa,
composto di farfalle nere e colori sgargianti, ruscelli e torrenti d’acqua
fresca; almeno, così lo aveva descritto lei, e a Draco
era parso davvero un bel posto in cui rifugiarsi e fingere di vivere una vita
astratta.
Hermione glielo aveva svelato durante le confessioni notturne,
quando si stringevano sotto le coperte, mordendosi con dolcezza la pelle, per
non dimenticare l’uno il sapore dell’altro; che poi fosse persino necessario
tentare di ricordare o rievocare reminiscenze passate, era un’altra storia.
Spesso Draco
l’aveva sentita dialogare con persone invisibili, che Hermione
reputava sue amiche; ognuna aveva un nome buffo e diverso, e c’era persino chi
aveva una storia triste alle spalle, che aveva inventato Hermione o, forse, che i libri le avevano suggerito, giacché ella passava tutti i pomeriggi a leggere e
a intristirsi per racconti di altri tempi, dove l’amore moriva giovane.
Era accaduto, qualche volta, che Hermione abbracciasse i suoi amici immaginari: secondo
Harry Potter significava che stava stringendo se stessa.
Draco aveva preferito pensare che Hermione stesse abbracciando la vita, che si stesse
appigliando a qualcosa pur di non cadere nel limbo che l’aveva risucchiata
tempo addietro, quando ancora esercitava la professione di Medimaga.
Per Hermione,
aveva scoperto Draco più tardi, era sempre notte.
“Draco? Mi
porteresti nel bosco, stanotte? Vorrei vedere la costellazione del Serpente.”
“Non credo sia visibile. Ma potremmo
provare.”
Le sue richieste erano strane, come se
nascondesse qualcosa in quelle serate, quando lo obbligava a guardare le stelle
e a perdersi in una marea lucente.
Accarezzò il volto di Hermione, sfiorandole la pelle con mani calde e nude. Era
sempre stata calda. “Dovresti farti la coda, però,” le disse. “Hai i capelli
troppo aggrovigliati.”
“Oh, per favore,” soffiò lei. “Ormai mi sono abituata. Amo tenere i
capelli sciolti. Mi danno una sensazione di sicurezza.”
Quella
che lui non era mai stato capace di donarle. Perché era troppo codardo e non
aveva mai saputo proteggere qualcuno: né se stesso né i suoi genitori dall’Oscuro Signore.
Appoggiò la mano sulla sua e la strinse: una
carezza lieve e delicata. Hermione sospirò.
“Sono piuttosto stanca.”
“Perché non ti riposi un po’?”
“Preferisco stare qui, sulla mia
sdraio, a vedere l’aperta campagna. Si respira aria pulita. In casa
impazzirei.”
Era stata una giornata buona, ma al
tramonto, di solito, la situazione peggiorava. Hermione
non aveva mostrato segni di follia in quelle ore, nonostante i discorsi senza
senso. Quelli ormai erano una routine, a
cui Draco avrebbe rinunciato volentieri.
Non si era reso conto di averla
perduta davvero fino a quando non aveva aperto gli occhi, ritrovandosi davanti a una realtà ben diversa da
quella che aveva sempre creduto normale: Hermione non
stava bene.
Peggiorava gradualmente; a volte era
presente, in altri momenti giocava con i fiori ormai morti, quelli che non
erano sopravvissuti al passaggio dall’estate all’autunno.
Perché le era rimasto accanto?
Era difficile salutare – abbandonare – qualcuno che non poteva vivere senza di lui.
Non glielo avrebbe mai rivelato, ma Hermione, invero, necessitava di lui come la natura ha
bisogno delle stagioni per rinnovarsi, per non restare in uno stato di perenne
incertezza.
Aveva
bisogno di lui per rinascere e fiorire.
“Ho voglia di una filastrocca. Mi
passeresti il libro accanto al tè, per favore?”
“È tardi, ormai, ti rovini la vista
così.”
La vide spostare la coperta dalle
gambe e aggrapparsi allo spigolo del tavolino per non cedere alla debolezza.
“Vieni qui, ti aiuto,” si offrì di darle un sostegno.
“No,” Hermione
si stiracchiò, sgranchendosi le ossa. Era sempre indolenzita perché non poteva
affaticarsi troppo, quindi doveva restare seduta per tanto, tanto tempo.
Il
Medimago aveva detto a Draco
che il cuore di Hermione era diventato vecchio. In un
anno, Hermione aveva vissuto come se i giorni fossero
lunghi quanto una vita terrena.
“Questa è una delle mie preferite.” Si
lambì l’indice con la lingua, sfogliando le pagine del libro che teneva in
mano. “Durante il triplo salto mortale la paura mi
assale. Il silenzio è totale: chiudo gli occhi e non respiro. Ora il rumore è
tornato, il pubblico è estasiato: l'artista è atterrato. Apro gli occhi e
felice lo ammiro.”
Da un po’ di
tempo, precisamente qualche mese, Hermione aveva
smesso di imparare filastrocche,
ma ogni tanto
– a distanza di due o tre settimane –
lo deliziava con qualcuna diversa. Draco aveva cominciato a capirne alcune; erano tutte Babbane,
quindi ci aveva impiegato molto prima di memorizzarle e parafrasarle.
Alcune gli incutevano paura.
In quelle parole, forse, si celava il
vero malessere di Hermione. Chissà cosa voleva
dirgli, cosa voleva che lui cogliesse da quelle frasi.
Salto.
Mortale. Paura. Rumore.
Suonavano tutte come una condanna a
morte, una scelta già fatta; avevano il sapore dell’amaro mattino, quasi,
piuttosto che quello della notte, perché non erano parole oscure,
ma esplicite e con un significato
preciso.
“Forse dovresti smetterla di leggere e
imparare quelle filastrocche, Granger.”
“Io non leggo, io
apprendo. Sono una divoratrice di parole. Mi piace il suono che echeggia nella
mia mente quando ne trovo una nuova. È come scoprire nuove combinazioni, nuovi
colori. La vita stessa è stata creata da esse. Che senso avrebbe vivere in un
mondo muto? Il silenzio non è altro che il nostro dolore nel proferire parole
che ci incantano o che fanno male.”
Hermione afferrò il vassoio che si
trovava sul tavolo. C’era un piatto con i residui di un croissant: briciole e
crema.
“Se vuoi te ne porto un’altra.”
“No, è meglio prepararci per la cena.”
Stava pensando. Draco
se ne accorse dai lineamenti del suo viso, ch’erano
divenuti d’un
tratto scuri e rugosi, increspati dalle memorie perdute.
“Draco… ti
ricordi quei giorni?”
Perché
era rimasto con lei?
Ah, sì.
Per quei giorni.
“Certo… e tu?”
“Io quasi non li ricordo più… ma
nemmeno tu ricordi niente. Non fingere.”
Quando Hermione
nominava il passato – l’innamoramento e
poi la tragedia, come nelle più grandi opere
teatrali – Draco
preferiva non assecondarla.
Lei a volte non ricordava, ma lui sì,
ogni momento, ogni gesto, ogni parola.
Ogni momento intimo.
“Che ne pensi di andare a letto? Ti
porterò da mangiare dopo… o potremmo cucinare insieme.”
La sola idea lo disgustava, ma per lei
sarebbe stato disposto a fare ciò che non aveva mai creduto possibile, anche
licenziare un Elfo Domestico, perché
Hermione soffriva, giacché aveva sempre combattuto
per la libertà e per i pari diritti di ogni essere capace di intendere e di
volere.
“Voglio andare nel bosco. Prepareremo
dei tramezzini e li mangeremo lì.”
“Dovresti riposarti, lo sai che poi il
risveglio sarà brusco se ti ostini a sfiancarti con queste estenuanti
camminate.”
“No,” decretò Hermione.
Era ostinata e orgogliosa anche da
malata.
“Non voglio diventare una mummia, per
l’amor del cielo.”
Draco sbuffò senza farsi sentire. Lei lo avrebbe rimproverato e poi non gli andava di litigare.
“Andiamo. Voglio percorrere il
tragitto inverso. Mi piace andare a Sud. In qualche modo è come tornare a
casa.”
***
Era arrivata la sera, dolce amica del criminale, a sostituire i
fulgori del sole, che
all’orizzonte ormai si intravedevano appena,
tracce di fuoco che si dimenavano per poi spegnersi. Il suo arrivo era segnato
dal silenzio, dai gemiti degli amanti che si consumavano in una danza d’amore e
di sotterfugi.
Il manto scuro del cielo ricopriva le
spalle dei due innamorati, che si stringevano, vicini, per proteggersi dalla
foschia autunnale.
Lei lo aveva convinto ad andare lì, al
dirupo: là, gli ululati del vento e dei lupi si
stagliavano netti nel silenzio tetro. Era facile sentirsi all’Inferno, in quel
luogo così simile al confine della Terra da ricordare il punto più vicino alla
dimora del Demonio.
Lì, per la prima volta, Draco aveva detto a Hermione che
era lo spettro del sole, perché anche in un posto simile, pieno di presagi
maligni e di ombre blasfeme, era comunque capace di rifulgere di
luce propria, con i suoi sorrisi e la sua allegria, la sua voglia di vivere che
tanto a lui era cara.
Draco aveva imparato tanto da Hermione.
Stavano ancora camminando: anzi,
lui la stava sorreggendo, perché Hermione era un po’
stanca e affaticata. Non avrebbe dovuto intraprendere quel piccolo
viaggio, ma era testarda
e risoluta.
Di solito era
sempre ansiosa di rivedere ciò che l’aveva estasiata, e il dirupo le era sempre piaciuto
particolarmente.
Alle loro spalle, gli animali del bosco si ristoravano accanto al
laghetto; tutto era immerso nella quiete e i rumori della notte risuonavano
come un lamento continuo di anime in pena in attesa di saziarsi con gli amori
perduti e mai ritrovati,
come quello di Draco e Hermione.
“Draco,
questa è la notte dei segreti,” gli disse, stringendogli il braccio.
Durante la notte, gli spettri si aggiravano per le vie oscure. Essi
sembravano dei puntini che si
trascinavano dietro peccati e dolci confidenze; vivevano nella tenebra, perché così avrebbero potuto
mascherare meglio i singhiozzi e le facce scure e grigie.
Durante la notte, gli spettri entrano negli occhi di
chi li rimpiange.
Di fronte a loro c’era il salto nel
vuoto, dove Hermione avrebbe incontrato la morte
quella notte stessa, non prima di aver abbracciato di nuovo la vita.
***
Il salto nel vuoto.
Giù per il dirupo, pareva
che ci fosse il mare, tanto
era profondo e scuro:
le ombre sembravano i sorrisi – le onde – dell’oscurità.
Il salto nel vuoto.
Hermione si specchiava nell’abisso
ed esso, a sua volta, si specchiava in lei.
Al tramonto, quando il
cielo era mutato in fretta diventando blu, lei sapeva ancora sorridere e
ridere. Adesso era ritornata a essere lo spettro del sole.
“Lo vedi quell’albero?”
Draco scosse la testa. “No.
Mettiamoci comodi lì, vieni. Sediamoci su quei tronchi.” Li indicò, prendendo Hermione per i fianchi e stringendola forte.
Lei era rigida.
“Voglio quel fiore.”
“Sono solo rami secchi, Granger. Non fiori. Rami secchi.”
“Io ci vedo il bello, nelle cose.”
“Lo so.”
Entrambi non si mossero,
né smisero di farsi carezzare dalla leggera brezza che presto si sarebbe
trasformata in burrasca.
“Non stare vicino al
precipizio,” le consigliò, gemendo.
La verità era
un’altra.
Era terrorizzato.
Draco andò accanto a lei, per
guardare di nuovo l’infinito. Era scesa la nebbia, adesso, una foschia
soffocante e fitta che offuscava i prati e i loro cuori.
“Pensi che io finirei all’Inferno, se
dovessi morire?”
Hermione digrignò i
denti: tra le mani stringeva alcuni fiori morti.
Poco dopo, caddero petali e corolle
sull’erba. Hermione stava
piangendo. Draco notò
che alcune lacrime le avevano bagnato le labbra.
Un
bacio al sapore di sole.
“L’Inferno esiste solo per chi ne ha
paura,” disse Draco, infine, sfiorandole la bocca con
la propria.
“Forse la morte si sconta vivendo,”
ribatté Hermione, voltandosi e
socchiudendo le palpebre: ancora una volta, aveva replicato con una citazione.
Una citazione che non aveva senso in quel contesto; probabilmente dentro di sé,
ella custodiva la ferma convinzione di avere una pena da scontare.
Draco aveva gli occhi lucidi e le sue iridi parevano cristalli di
pioggia sciolti al sole, come più volte lei gli aveva detto che fossero, dopo
una particolare emozione.
Provò a
sorridere, ma la sua fu più che altro una smorfia.
Hermione lo abbracciò, cingendogli la vita e appoggiando la
testa sulle
sue spalle, che
sussultarono appena al tocco tenero con cui Hermione
gli vezzeggiò
la nuca.
Lui rimase lì, immobile e a disagio,
mentre lei gli soffiava parole dolci all’orecchio. Tentò di sfiorarle la
schiena, poi le afferrò la mano, conducendola verso il tronco e aiutandola a
sedersi.
“Va bene così, Granger?
Possiamo restare poco, però. A breve arriverà una tempesta.”
Hermione fece un cenno col capo, tossicchiando
un po’. “Sai, mia nonna mi ha sempre messa in guardia dal sognare i serpenti,
poiché sono esseri oscuri, legati all’Eden, e le storie che li vedono come
protagonisti non hanno quasi mai un lieto fine; sono portatori di ostilità e
menzogna. Insomma, i significati sono tutti diversi, sia positivi che negativi.
Col tempo ho capito che i serpenti sono simbolo di rinascita, di erotismo, di
fertilità. L’ho appreso leggendo alcuni libri, non solo la Bibbia, perché il
Sacro Tomo li dipinge come tentatori e peccatori, i piccoli figli del Demonio
in persona.”
Non si era
mai abituato a lei, a quei discorsi privi di ogni logica.
“Mi vedi come un piccolo Demonio?”
Le sorrise.
“I miei sogni più belli hanno un
serpente come protagonista. Qualcuno che è capace di cambiare pelle ogni anno,
pur mantenendo lo stesso carattere.” Hermione lo guardò negli occhi. “Tu hai paura, Draco?”
“Dei serpenti?
Sono uno di loro.”
“No.
Di mutare la pelle. Di accettare l’inaccettabile. Di amare me.”
Quante
volte le aveva detto che, per lei, era un serpente cieco? Uno di quelli rari e
quasi unici nel loro genere,
che strisciano senza pietà, nascondendosi all’ombra,
ferendosi alla sola vista della luce, perché non
sono
abituati a essere abbagliati?
Hermione si acquattò, alla ricerca di qualcosa. Stava
esaminando l’erba, ridendo come una bambina, e il suo volto era disteso, come se
avesse ritrovato la tranquillità. Era soltanto
un altro di quei momenti che precedevano la follia.
“Che cosa stai cercando?”
“L’erba di Ofiuco, quella del
serpente… l’erba che fa resuscitare i morti. Esiste, sai?”
“Te lo ha raccontato Lunatica Lovegood?”
“No. Un mio amico invisibile,”
ironizzò Hermione. “L’ho letto in giro… deve essere
vero. Tutte le leggende contengono molta magia e un pizzico di verità. È quello che
fa sperare la gente.”
“Spiegami un po’ questa storia. Sono
curioso.”
Hermione soffiò e ringhiò scherzosamente, come un gatto. “Vuoi conoscere questa teoria
solo per smontarla.”
“Se non me la racconti, non lo saprai
mai.”
Si sedette di nuovo sul tronco. “E va bene. Il serpente, nella
costellazione, è tenuto tra le mani da Ofiuco, che si identifica
nel guaritore Asclepio, figlio di Apollo. Diciamo che lui, Ofiuco,
una volta uccise un serpente. Il serpente resuscitò grazie a un’erba molto particolare.”
“Per me è fantasiensa.”
“Fantascienza, Draco,
fantascienza. Comunque, so molto altro sulle Costellazioni. Sono affascinanti.”
“Me ne vuoi parlare?”
“Allora, vediamo… Lo sai che l’Unukalhai è la stella più brillante della Costellazione del
Serpente?”
“Questa roba non mi ha mai
appassionato.”
“Adoro le stelle. Sono così lontane e
vivono così a lungo che a volte esplodono solo per poter toccare ciò che hanno
veduto per tanto tempo…”
“L’esplosione di una stella è
pericolosa, Granger. Questo lo so.”
“L’esplosione di una stella è qualcosa
di spettacolare. È il loro ultimo atto, magnifico e distruttivo.”
Salto.
Mortale. Paura. Rumore.
Draco ansimò, di nuovo, trattenendo dentro
l’angoscia, che frattanto gli stava rodendo lo
stomaco. La lasciava parlare perché credeva che, in quel modo, lei avesse la
possibilità di sfogarsi. Voleva essere partecipe di ciò che le passava per la
mente, nonostante spesso e volentieri non capisse molto. Non era necessario.
L’importante era stare lì.
“Dimmi qualcos’altro, Granger,” una supplica e una preghiera.
Baci
al sapore di sole.
“Tu sei la testa, mentre io, invece, sono
la coda di un Serpente. Insieme formiamo un cerchio perfetto: l’Uroborus.”
Qualcosa
che non ha né inizio né fine.
Il
cerchio perfetto.
“Perché tu sei la coda?”
In
cauda venenum.
“Perché mi mordi sempre.”
Hermione
aveva la pelle macchiata di rosso, come una fragola succosa, perché Draco si divertiva a succhiargliela, a lambirgliela.
“Nella coda c’è il veleno,” osservò Draco.
“È strano. Io non mi sento velenosa
per niente.”
Lo
era, un po’, ma lui non glielo avrebbe mai detto. Lo era
in un modo che non avrebbe mai immaginato, perché gli aveva creato una
dipendenza assoluta; lo teneva stretto a lei, lo teneva in vita.
Il loro rapporto non era
un’ossessione, era la cura.
Qualcosa che Draco
non avrebbe mai voluto provare né avere.
Per il sangue, prima di tutto, perché
il sangue li aveva uniti e presto o tardi li avrebbe separati; per un’etichetta
che era difficile da lavare via, ch’era la causa di tutte le discussioni e del
principio stesso del loro amore; perché lei era pura, e lui aveva atteso da
tutta una vita il frangente per sporcarla, solo per poi accorgersi in seguito
che, se l’avesse fatto, si sarebbe macchiato di un peccato orribile.
“Sì. Forse un po’ lo sono,” disse Hermione, stendendosi sul letto d’erba.
Aveva i capelli impigliati ai rami
secchi, ch’erano caduti dagli alberi in Ottobre avanzato; sicuramente avrebbe
avuto delle difficoltà a districarseli, una volta tornata a casa. A lei non
importava più niente, aveva compreso Draco: voleva
vivere e vivere sempre, appieno.
Aveva iniziato a
piacergli perché
peccava di superbia senza rendersene davvero conto. Hermione
era una di quelle persone che,
a vederle, stavano sempre bene. Era dignitosa,
coraggiosa e intelligente.
Certo, alcune sue peculiarità gli
davano fastidio e lo rendevano scostante, ma era buona e pura, dannazione.
“Tu non sei fatto per stare da solo,
ma nemmeno per stare con chiunque, Draco.”
Era una frase
che gli ripeteva spesso.
Avrebbe voluto trattenerla ancora un
po’ accanto a sé, tenerla tanto vicina da dimenticare che c’era un mondo intero
fuori ad aspettarlo; tanto da trascurare le ore e persino i giorni, le
stagioni: tutto sembrava perdere di senso, perché c’era qualcosa di più forte
ad attenderlo.
Hermione.
Da un canto, tutto ciò lo rassicurava,
ma poi tornava quella sensazione di ribrezzo che aveva sempre provato nei suoi
confronti. Ecco: quelli erano i giorni peggiori.
Avrebbe voluto amarla in modo
autentico, di un amore eterno e genuino e folle e sicuro, come il Sud, come la
via per tornare a casa.
Purtroppo ogni tanto dimenticava che
erano sempre agli opposti e che avevano combattuto per ideali differenti e che
ogni macchia, ogni peccato non si lavava via facilmente né si scontava alla
morte.
Anche
i peccati si scontano vivendo.
Era più importante la vita della morte
e Draco lo sapeva bene, perché aveva vissuto
esperienze simili; il suo non era altro che un modo per difendersi dalle
accuse. Si vergognava delle azioni passate, ma
certe volte avrebbe voluto essere ancora un ragazzino e non avere altro che un
gioco di potere, tra le mani e sulla strada.
Non era mai stato pronto per amare, né forse lo sarebbe mai stato, ma poco
importava perché ormai era tardi e il destino già segnato.
“La via prosegue senza fine, lungi dall’uscio
dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti. Presto, la segua colui che parte!
Cominci pure un nuovo viaggio, ma io che sono assonnato e stanco mi recherò
all’osteria del villaggio e dormirò un sonno lungo e franco.”
Hermione riprese a cantare o a filastroccare, come
diceva Draco.
“Vuoi tornare a casa?”
“Aspettami all’uscita del bosco. Voglio passare altri
cinque minuti qui. Ti dispiace?”
“No, tranquilla. Non fare tardi, o ti
verrò a cercare.”
“Solo cinque minuti. Concedimi del
tempo per stare da sola. Sono al Sud,” e gli fece l’occhiolino.
Fidati, Draco.
Hermione era colei che portava il serpente, il
fardello più grande dell’umanità: la pazzia, il peso degli errori. Tutto
era veleno.
Dopo quella notte Draco
non si sarebbe fidato più di nessuno, perché quell’unica volta gli sarebbe
costata cara.
***
Quando Draco
aveva scoperto di essersi innamorato di Hermione,
aveva urlato per giorni interi, fino a esaurire il fiato. Lo aveva capito
all’alba dei suoi quattordici anni; si era svegliato in una notte lugubre e senza stelle, per poi scoprire che ciò che aveva
sempre temuto si era realizzato.
Cupi erano stati i suoi sogni prima di
quel momento: visioni dove lei lo ascoltava, senza proferire parola,
lasciandolo sfogare. Hermione sapeva sempre quale
fosse la cosa giusta da fare; il gesto che gli altri avrebbero voluto ricevere,
la parola che avrebbero voluto udire.
Draco non aveva mai aspirato alla
perfezione, perché lui sapeva di essere perfetto: tutto gli era dovuto, era un Pureblood, d’altronde, un Malfoy,
uno dei Mangiamorte più giovani della storia.
L’ultima volta che l’aveva vista,
prima di voltarle le spalle per lasciarla andare, Hermione
lo aveva salutato con un sorriso che Draco aveva
scorto solo una volta,
addosso alla persona
che più aveva adorato: sua madre.
Adesso si pentiva di tutte le parole
non dette, perché non aveva mai voluto confessargliele, nonostante ci fossero
state le occasioni per rivelarle ciò che provava. Hermione
era morta senza sapere che per lui era stata molto, molte cose, troppe
emozioni.
Era stata come l’aria. Come l’aria
tossica, quella che non uccide ma fortifica, che dà una ragione di vita a chi
ormai non trova più nemmeno la strada per andare avanti.
Era stata come il sole. Come il sole
d’autunno, quello che riscalda appena, che fa venir voglia di sorridere al
mondo, perché come potrebbe mai esserci l’oscurità con un calore simile? Con
una forza simile?
Draco
Malfoy aveva freddo senza di lei, respirava di nuovo, ma non il profumo che avrebbe voluto
sentire dentro di sé.
“Posso entrare?”
Avevano bussato alla porta del suo
ufficio.
“Prego, Potter. Nessun preavviso.”
Draco si alzò per andare incontro al
migliore amico di
Hermione.
Odiava essere disturbato quando
lavorava di notte.
Potter non gli era mai andato a genio,
neanche dopo la morte di Hermione. Non riuscivano a
capirsi,
né a salutarsi
con cordialità. Eppure, Draco aveva come
l’impressione che li unisse un tacito accordo, una sorta di pace
comune, in memoria della persona che entrambi avevano amato di un amore
diverso.
Più volte, aveva detto a Hermione
che il migliore amico è lo scheletro nell’armadio di ogni rapporto. Potter lo
era davvero, uno scheletro: era deperito e slavato. Aveva perso molto peso.
“Perché zoppichi, Malfoy?”
Draco guardò il bastone che lo accompagnava
da tempo. “Ho avuto un incidente dopo la morte di Hermione.
Le dovevo ancora qualcosa.”
“Qualcosa?”
“Sì, Potter. Adesso dimmi il motivo per cui ti trovi
qui, nella tana del serpente.”
“In realtà, sono venuto solo a portarti queste.” Gli
mostrò
delle fotografie
e un diario. “Appartenevano a Hermione. Vorrei
tenerle io, perché sai benissimo che tu sei l’ultima persona a cui vorrei
darle, ma… lei ha voluto così,”
sottolineò quelle parole con disgusto, quasi fosse incredulo.
“Posale sulla scrivania.”
Harry aveva le
occhiaie.
Evidentemente passava le notti in
bianco, a rimpiangere di non averla aiutata, anche se tutti avevano fatto il
possibile.
“Hermione
adesso è un angelo,” disse Harry, carezzando il dorso del diario. Non voleva
separarsene. L’aveva letto.
La
memoria dei morti, in un modo o nell’altro, veniva sempre profanata.
“No,” ribatté Draco.
“Adesso è diventata lo spettro del sole.”
“Hermione non avrebbe mai potuto perdonarselo, Malfoy. Era troppo per lei. Troppo per una che la gente
aveva amato, acclamato.”
Un giorno si era svegliata e tutti si
erano accorti che non era più la stessa. Come non lo era più stato lui dopo
essersi accorto di amarla.
“All’odio e all’ignoranza, ha preferito la morte. Non c’è molto
da aggiungere.”
“Ma lei…”
“Lei si è suicidata, Potter. Si è
tolta la vita perché non le rimaneva più nulla, dato che le avevano tolto
tutto, anche la dignità. Ha fatto una brutta morte perché ha sbagliato e quindi
doveva pagare. Non hanno detto questo i giornali? Non lo hanno urlato nelle piazze
e nelle strade, come se fossero portatori di verità?”
Stava urlando. Era rosso in viso,
aveva il fiato corto e dentro di lui si sentiva vivo solo per
soffrire e per combattere in memoria di Hermione.
“Avremmo dovuto fare molto di più.”
“Non c’è mai stata molta speranza per Hermione. Solo quella di uno sciocco.”
Silenzio.
Adesso erano entrambi a disagio,
ognuno con il proprio peso da trascinare, con le proprie remore e i propri
errori.
Non riuscivano a guardarsi in faccia
senza aggredirsi a vicenda. Era soltanto un modo per sfogarsi e non era nemmeno quello giusto.
“Meglio che me ne vada.”
“Sì, faresti una cosa buona.”
“Buona fortuna, Malfoy.
Sai…”
“Sì. Ciao, Potter.”
Harry se ne andò così come era venuto.
Nel suo cuore, aveva pensato Draco, c’era la stessa
rabbia repressa,
lo stesso
desiderio di rivederla, di salvarla.
Si odiavano, ma c’era un amore più
grande a legarli. C’era Hermione, che non avrebbe mai
potuto sopportare quell’astio, che aveva insegnato a entrambi il motivo per cui
dopo la notte arriva sempre il giorno; c’era Hermione,
nei loro occhi, anche se non potevano vederla davvero.
Draco ansimò.
Ultimamente aveva accusato un disturbo allo stomaco. Ulcera,
avevano decretato i Medimagi. Doveva calmarsi, riposarsi, magari
dimettersi.
Hermione
gli aveva detto che non era fatto per stare da solo, ma nemmeno per stare con chiunque.
Gli bastava stare con se stesso; aveva
così tante fotografie di Hermione che non avrebbe patito
la solitudine.
Non
era fatto per stare da solo ma nemmeno con chiunque.
Ecco perché il Sud era fondamentale.
A Hermione
piaceva andare a Sud,
perché era
davvero casa sua, il Sud di Londra, il Sud dell’Australia, il Sud della
Francia: i suoi genitori erano morti a Sud.
Hermione, quella notte, stava tornando a casa.
“Draco, secondo te esiste l’erba di Ofiuco?”
“Sono
solo delle leggende. Leggi troppo.”
“Io
non leggo. Io apprendo. Comunque, è una bella storia… Immagina un uomo che dopo
la morte della propria fidanzata parte e va a cercarla, ma non la trova. È Shakespeariano.”
“Non
credo che tragedie e leggende vadano d’accordo. Forse determinati avvenimenti
si possono evitare.”
“Forse.
O forse no.”
“Quel
che so è che i morti dovrebbero riposare in pace.”
Draco avrebbe dovuto capire le sue
intenzioni dopo quel discorso.
Avrebbe
potuto evitarlo.
***
La
loro storia era iniziata al crepuscolo ed era finita ai primi baleni di luce
dell’alba.
Avevano
sempre vissuto di notte, anche quando Hermione stava
bene; preferivano stare all’aria aperta quando c’era la luna, anziché il sole,
a contare le stelle o a rievocare aneddoti piacevoli del passato.
A
volte avevano fatto l’amore con l’odio ancora in gola, con la rabbia di chi non
si era rassegnato a un destino già deciso.
Lei
era morta tanti anni addietro. A volte,
Draco faceva finta di non ricordare, come se lei
fosse ancora in vita e gli chiedesse gentilmente di raccontarle aneddoti su di
loro, perché aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di rivivere.
Hermione
si era suicidata perché non aveva retto il peso della donna che aveva ucciso,
per sbaglio, in Sala Operatoria. Aveva fatto un salto nel vuoto, da quel
dirupo, dove avevano trascorso momenti felici e tristi.
Tutti l’avevano
calunniata; quella era un’operazione difficile. Hermione
aveva fatto l’impossibile per salvare
la vita alla ragazza che si era sottoposta all’intervento. Subito
dopo averne dichiarato il decesso, Hermione era
finita in prima pagina su tutti i giornali. Uno scandalo che non si sarebbe
potuto evitare.
Hermione aveva voluto studiare medicina all'Università – un
po’ in memoria dei suoi genitori, un po’ perché non voleva perdere il suo senso
di appartenenza al Mondo Babbano – ma aveva
conseguito anche il diploma di Medimaga. Era stata
quella, alla fine, la professione che aveva scelto, perché, nonostante tutto,
il Mondo Magico era quello che sentiva più suo. Aveva, però, pagato il prezzo
delle sue origini e del suo volerle difendere. Le cure magiche, forse, non
avrebbero salvato la sua paziente, ma nessuno avrebbe avuto da ridire.
Solo supposizioni. Ipotesi e congetture che avevano
condotto alla follia Hermione.
Tarli.
Era
impazzita a poco a poco, col tempo.
La mente è un filo di capello. Quando si spezza, non rimane
più nulla; non si può
riattaccare né riparare.
I medici non avevano potuto
fare il Miracolo. Quello era il lavoro di Dio, e non è che lo facesse poi tanto
bene.
Draco
avrebbe voluto riportarla in vita,
tramite l’erba di Ofiuco;
era diventato pazzo anche lui, ma di una follia ben diversa da quella di Hermione. Così era partito alla ricerca dell’erba – o della
felicità – e aveva avuto un brutto incidente. La sua gamba destra non era più
tornata come prima.
Alla
fine si era pentito di quel pensiero, della richiesta del suo cuore.
I
morti dovevano riposare in pace.
Aveva
dimenticato il sapore del sole.
Aveva
creduto che quel ti “amo” fosse una promessa. Non lo era. Era Hermione che gli stava dicendo addio. Era stato il suo gesto
finale, l’ultima dimostrazione d’affetto. Come se avesse voluto lasciare un bel
ricordo alla persone che più amava.
I
gesti e le parole di Hermione erano sempre stati
quelli giusti.
Ciò
che lui voleva serbare, ciò che lui voleva udire.
Che
era morta. Gli avevano
detto che era morta… Che nell’alba l’avevano vista
galleggiare. Come un cigno.
In
realtà, Hermione aveva fatto un salto nel vuoto.
Quando
ci ripensava – e non lo faceva spesso, perché iniziava a tremare e a sudare
freddo – provava ancora rimorso e rancore, perché Hermione avrebbe dovuto morire
in lui, non in un mare che non era mare,
ma morte.
“Vorrei
sapere a che cosa è servito, Hermione,” pronunciò quelle frasi con rabbia, alternando
singhiozzi, parole e gemiti covati dentro, nello stomaco, “vivere, amare e soffrire.”
Gli aveva insegnato a fare
tutte queste cose nel modo giusto,
ma lui non aveva fatto in tempo a mostrarle che era cambiato davvero. Hermione era morta troppo giovane.
La sua Hermione aveva
avuto l’audacia di amare qualcuno di diverso dal proprio sangue; l’audacia di
operare una persona in fin di vita tramite la Medicina Babbana;
l’audacia di non abbandonare mai Potter nel momento del bisogno.
Nonostante le calunnie, la
sua Hermione, quella che aveva conosciuto lui, al
cielo e alla terra aveva mostrato il coraggio.
“Mi
manchi. Mi mancherai… Hermione.”
La
sua Hermione, quella che aveva conosciuto solo lui,
adesso non c’era più, ma Draco ne serbava il ricordo
con un riso amaro, come quello della luna.
“Non
è da me parlare nel silenzio. Non è da me averti amato e continuato a farlo. So
che non è stato nemmeno d’obbligo farlo; che cosa posso dire oggi al silenzio, Hermione, che cosa posso dire a me stesso? Che cosa si
narrerà di noi due? Le domande sono troppe e le risposte sono irrazionali. Non
mi aspetto che qualcuno capisca il perché di ciò che ho provato per te. Nemmeno
io lo comprendo. Ma l’ho avvertito. Io con una Mudblood.
Mio padre ha accettato tutto questo solo dopo la tua morte. Forse solo allora ha capito, dopo aver
visto il mio dolore, che comunque ho tentato di nascondere a lungo, perché mi
vergognavo. D’altronde,
il dolore era lo stesso che aveva provato lui dopo la morte di mia madre; solo
allora ha compreso che
io avevo scelto e che, tutto sommato, gli stava bene così, perché nessuno me lo
aveva imposto, come invece era accaduto a lui con mia madre. Credo che il
dolore sia lo stesso per tutti,
quando ci lascia la persona a cui abbiamo dato il nostro cuore.”
Hermione aveva il cuore di Draco.
“Non
sono venuto per dirti addio né mai lo farò.”
Era
un saluto di troppo, una promessa mai proferita.
“Sono
venuto a dirti che ti amo anch’io.”
Non
avrebbe mai smesso.
Non
avrebbe mai smesso di amare il sole.
E forse
la nostra benedizione più grande
era di non aver mai
saputo
quanto è breve il tempo.
Mucchio d’ossa
Stephen King
Note e Citazioni:
"Il serpente
che danza" è il titolo di una poesia di Baudelaire. L’ho trovato molto
consono sia per il richiamo alla Costellazione che per Draco.
“In cauda venenum.” È una locuzione latina che significa: il
veleno [è] nella coda.
“La morte si
sconta vivendo.” Giuseppe Ungaretti, Sono una creatura.
“Vorrei sapere a
che cosa è servito, Hermione,” […] “vivere, amare e
soffrire.” Francesco Guccini, Canzone per un’amica.
“Che era morta.
Gli avevano detto che era morta… Che nell’alba l’avevano vista galleggiare. Come
un cigno.” Isabella Santacroce, Lovers.
“Quello era il
lavoro di Dio, e non è che lo facesse poi tanto bene.” Poison
spring, Cutting Edge. (Per questa citazione ho il consenso esplicito
dell’autrice)
“All’odio e
all’ignoranza, ha preferito la morte” – “L’Inferno esiste solo per chi ne ha
paura” – “Draco stava ascoltando la sua voce, che
ormai cantava nel vento.” Fabrizio De André, Preghiera in Gennaio.
“Era arrivata la
sera, dolce amica del criminale.” La sera come “dolce amica del criminale” è un
concetto tratto da “Il crepuscolo della sera” di Charles Baudelaire.
“Durante il
triplo salto mortale la paura mi assale. Il silenzio è totale: chiudo gli occhi
e non respiro. Ora il rumore è tornato, il pubblico è estasiato: l'artista è
atterrato. Apro gli occhi e felice lo ammiro.” Filastrocca di Francois David, A occhi chiusi.
“Mi piace andare
a Sud. In qualche modo è come tornare a casa.” In realtà questa è inesatta. La
frase originale è “Mi piace andare a Sud. In qualche modo è come andare in
discesa,” ed è presa da “Il signore degli anelli – Le due torri” di J.R.R. Tolkien.
“Hermione si
specchiava nell’abisso ed esso, a sua volta, si specchiava in lei.” Qui ho
modificato una citazione di Nietzsche: “Se guardi a lungo in un abisso, anche
l’abisso vorrà guardare dentro di te.”
“La via prosegue
senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti.
Presto, la segua colui che parte! Cominci pure un nuovo viaggio, ma io che sono
assonnato e stanco mi recherò all’osteria del villaggio e dormirò un sonno
lungo e franco.” J.R.R. Tolkien, Il signore degli
anelli – Il ritorno del re.
I prompt che mi avevi assegnato ho preferito usarli come
immagini evocative – Hermione guarda il salto nel vuoto credendo sia il mare, ma in realtà è
soltanto un abisso – e come storielle da narrare, ovvero il mito di Ofiuco e del Serpente.
-
Per altre
eventuali, mi trovate QUI, sulla mia pagina d’autrice su facebook.
Vorrei ringraziare la Giudicia
di questa storia per la sua velocità e per aver stilato dei giudizi davvero
belli e molto approfonditi. Sono molto felice di aver partecipato e di essermi
classificata seconda! Non me lo aspettavo, è stata una sorpresa davvero
gradita.
Vi incollo il mio giudizio!
Grammatica
9,9/10
-"Non è da me averti amato e continuato a farlo": meglio con un
"aver continuato" o "continuare a farlo".
-"E forse
la nostra benedizione più grande
era di non aver mai saputo
quando è breve il tempo." penso ci sia
una svista con "quando" al posto di "quanto".
Per il resto è impeccabile!
Originalità
9/10
La trama di per sè
non è l'invenzione del secolo: Hermione a quanto
sembra è malata, forse pazza, e Draco le sta accanto
da vero innamorato qual è. Quando arriva il momento della morte, lui non è più
lo stesso, com'è comprensibile che sia, e vive solo, ricordandola ogni giorno.
Ho letto spesso racconti del genere. Non ho mai letto, però, una storia come la
tua. La trovo avvincente e nuova, nonostante non ci sia nulla di estremamente
innovativo. Il lettore si trova avvinghiato nelle spire del serpente, cercando
di svelare il mistero che si infittisce. Il tuo prego è stato quello di non
svelare tutto subito, ma di farlo a poco a poco, tanto che a metà lettura
ancora non si riesce bene ad inquadrare il tutto. E' molto originale, a mio
parere, anche il modo in cui hai usato tutte le citazioni, facendole recitare
ad Hermione e quindi facendole risultare perfette e
non uno stacco dalla continuazione della storia.
Stile
5/5
Qui non posso non assegnarti il pieno
punteggio. Inizialmente mi sono trovata un po' spiazzata dalla ricercatezza del
lessico che hai utilizzato. Poi però proseguendo con la lettura, mi sono
trovata a mio agio con certi termini che subito sembravano un po' pomposi, ma
che poi hanno preso la giusta piega e hanno amalgamato il tutto. Ti faccio i
miei complimenti per la facilità e la scorrevolezza con cui hai parlato del
presente, poi del passato, di nuovo del presente: i flashback sono stati
inseriti davvero brillantemente nella storia. Anche qui, ripeto l'appunto sulle
citazioni, che si inseriscono bene nel racconto e che sembrano pescate apposta
per la One shot, ottimo
lavoro di ricerca!
Gradimento
personale 9/10
Non ho potuto assegnarti il pieno punteggio perchè, purtroppo, sono una vecchia fan delle Draco/Hermione ed avendone lette
tantissime ho trovato la tua trama qualcosa di già visto. Tuttavia ho
apprezzato moltissimo il modo in cui tu hai sviluppato la storia. I due
protagonisti sono perfetti e assolutamente IC, ho trovato azzeccatissimo
Draco e i suoi dubbi sul fatto di trovarsi ancora
accanto ad una ragazza che un tempo amava ma che ora sta cambiando, sta
morendo. La ama ancora, perchè le sta accanto? E'
straziante e commovente in una maniera incredibile, non sono una dalla lacrima
facile! Ti rinnovo i miei complimenti per questa one shot, che credo moltissime persone apprezzeranno!
Utilizzo
della notte 5/5
Hai introdotto la notte gradualmente, dal
tramonto alle stelle, e l'ho trovato assolutamente interessante. Dire che poi
diventa il fulcro della storia è superfluo: Draco e Hermione che guardano le costellazioni, la luna, che escono
la notte anziché il giorno, ma soprattutto Draco
ricorderà per sempre QUELLA notte fatale per Hermione.
Bel lavoro.
Punti
bonus 2,5/3
Ti ho assegnato due punti pieni per il mito e
per l'immagine: per quanto riguarda il primo non ho niente da dire, fantastico
il modo in cui l'hai inserito, con un Draco disperato
che parte per un viaggio alla ricerca di questa leggendaria erba; l'immagine del
salto nel vuoto è presentata altrettanto bene, non ho ancora capito se si
tratta davvero di un dirupo con un fiume che scorre sul fondo o se è soltanto
un burrone, mistero! Per il prompt coda, invece, ho
avuto qualche problema a capirlo: ho ritrovato ad un certo punto della storia
questo paragona con Draco/testa ed Hermione/coda, ma apparte questo
nel resto della storia non ho trovato riferimenti importanti, per questo ti ho
dato solo mezzo punto.
Totale:
40,4/43