Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Venenum    14/03/2012    9 recensioni
Il mondo di Hermione è miseramente crollato, sotto il peso di un'accusa troppo infamante per essere sopportata. Draco è al suo fianco, ma spesso l'amore - anche quando è folle e genuino e sincero - non basta. Eppure, lei ha ancora la forza di amare lui, se non se stessa, e lui amerà sempre lei, anche se ormai non è altro che lo spettro del sole.
Questa storia si è classificata seconda al "Ci sono notti che... non accadono mai" indetto da Andrea.S.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La dedica

di questa storia

Va a Genova.

E a te.

Grazie.

Il serpente che danza

 

Una sera fatta di rosa e mistico azzurro

ci scambieremo un unico lampo,

come un lungo singhiozzo carico d’addii;

un angelo più tardi schiuderà le porte

e verrà a rianimare, fedele e gioioso,

gli specchi offuscati e le fiamme morte.

La morte degli amanti

Charles Baudelaire

 

 

Le gocce di pioggia autunnale catturavano e riverberavano la luce del sole spendente, mentre le nubi venivano spazzate da un refolo incerto.

La gente, invece, si preparava a indossare delle maschere per proteggersi dalla stagione più dura e meno gentile dell’anno.

Gli ultimi bagliori del giorno sembravano infiniti oltre l’orizzonte, che si tingeva di un arancione vivido: sprazzi scarlatti come il sangue che si era versato quella notte.

Il giorno dopo era sorto un sole rosso.

Draco avrebbe voluto non provare la sensazione dell’abbandono, di un addio stretto tra le corde vocali, di un saluto volgare che non gli si addiceva. Avrebbe voluto dimenticare perfino perché era lì, a guardare un vuoto incolmabile, a lasciarsi baciare dalla solitudine e dai ricordi, dai momenti in cui l’aveva tenuta stretta tra le braccia per permetterle di cambiargli la pelle.

Gli mancava.

Aveva sul volto i segni del tempo, di quegli anni che aveva trascorso cercandola in ogni riflesso, in ogni fotografia, in ogni sogno. Gli sarebbe bastato persino un incubo: tutto pur di rivederla ancora, magari al suo fianco, a sfiorargli il viso, magari baciandolo e tenendosi stretta a lui.

Una lacrima gli bagnò le labbra, il sapore del sale sulla lingua e tra i denti.

Aveva gli occhi sempre annebbiati perché erano grigi.

Aveva gli occhi dei fantasmi.

Ecco perché Hermione gli diceva sempre che faticava a capirlo, perché lo specchio della sua anima era appannato. Non di lacrime ma di spettri.

Chissà cosa avrebbe pensato di lui se l’avesse visto al suo cospetto, nel luogo dove si era lasciata scivolare via, abbracciando la morte e negandosi un’altra primavera.

Draco si guardò le mani, giocando con un fiocco nero. L’ultimo regalo che Hermione gli aveva fatto prima della fine.

Lei sapeva che stava per andarsene.

Gli aveva dato il suo amore, confezionato in un pacchetto di morte. E lui era rimasto stupito di quel gesto, di quel ti amo, e quando era tornato a casa, senza di lei, si era chiesto se Hermione lo amasse sul serio o se fosse soltanto una promessa, un “forse un giorno lo farò davvero, ma non oggi; adesso te lo dico perché voglio farlo, perché voglio crederci”.

“Mi avresti amato anche con un’altra pelle, Hermione?”

Le risposte ad alcune domande erano così ovvie e crudeli che, a volte, anche il semplice risveglio mattutino sembrava una punizione; era meglio convivere con l’oscurità, anziché bagnarsi di luce e avere sempre la sensazione di essere ciechi.

In quel modo, almeno, Draco avrebbe potuto vivere in un mondo fatto di ombre.

Come Hermione, ch’era divenuta lo spettro del sole, mentre lui si era consumato la pelle a forza di cambiarla, come la luna che a ogni ciclo si scopriva per poi tornare a chiudersi di nuovo nel suo specchio rotto, fatto di spicchi e mezzi sorrisi.

Draco stava ascoltando la sua voce, che ormai cantava nel vento.

Gli stava narrando come era successo.

Perché gli occhi dei fantasmi non riescono a vedere.

Glielo diceva sempre.

 

***

 

Hermione non era più tornata.

Soffriva di visioni, cantava sempre le stesse filastrocche, ch’erano alcune inquietanti e altre bellissime: parecchie, presumibilmente, erano di origine Babbana. Aveva lo sguardo perso in un mondo tutto suo, che esisteva solo nella sua testa, composto di farfalle nere e colori sgargianti, ruscelli e torrenti d’acqua fresca; almeno, così lo aveva descritto lei, e a Draco era parso davvero un bel posto in cui rifugiarsi e fingere di vivere una vita astratta.

Hermione glielo aveva svelato durante le confessioni notturne, quando si stringevano sotto le coperte, mordendosi con dolcezza la pelle, per non dimenticare l’uno il sapore dell’altro; che poi fosse persino necessario tentare di ricordare o rievocare reminiscenze passate, era un’altra storia.

Spesso Draco l’aveva sentita dialogare con persone invisibili, che Hermione reputava sue amiche; ognuna aveva un nome buffo e diverso, e c’era persino chi aveva una storia triste alle spalle, che aveva inventato Hermione o, forse, che i libri le avevano suggerito, giacché ella passava tutti i pomeriggi a leggere e a intristirsi per racconti di altri tempi, dove l’amore moriva giovane.

Era accaduto, qualche volta, che Hermione abbracciasse i suoi amici immaginari: secondo Harry Potter significava che stava stringendo se stessa.

Draco aveva preferito pensare che Hermione stesse abbracciando la vita, che si stesse appigliando a qualcosa pur di non cadere nel limbo che l’aveva risucchiata tempo addietro, quando ancora esercitava la professione di Medimaga.

Per Hermione, aveva scoperto Draco più tardi, era sempre notte.

Draco? Mi porteresti nel bosco, stanotte? Vorrei vedere la costellazione del Serpente.”

“Non credo sia visibile. Ma potremmo provare.”

Le sue richieste erano strane, come se nascondesse qualcosa in quelle serate, quando lo obbligava a guardare le stelle e a perdersi in una marea lucente.

Accarezzò il volto di Hermione, sfiorandole la pelle con mani calde e nude. Era sempre stata calda. “Dovresti farti la coda, però,” le disse. “Hai i capelli troppo aggrovigliati.”

“Oh, per favore,” soffiò lei. “Ormai mi sono abituata. Amo tenere i capelli sciolti. Mi danno una sensazione di sicurezza.”

Quella che lui non era mai stato capace di donarle. Perché era troppo codardo e non aveva mai saputo proteggere qualcuno: né se stesso né i suoi genitori dall’Oscuro Signore.

Appoggiò la mano sulla sua e la strinse: una carezza lieve e delicata. Hermione sospirò.

“Sono piuttosto stanca.”

“Perché non ti riposi un po’?”

“Preferisco stare qui, sulla mia sdraio, a vedere l’aperta campagna. Si respira aria pulita. In casa impazzirei.”

Era stata una giornata buona, ma al tramonto, di solito, la situazione peggiorava. Hermione non aveva mostrato segni di follia in quelle ore, nonostante i discorsi senza senso. Quelli ormai erano una routine, a cui Draco avrebbe rinunciato volentieri.

 

 

Non si era reso conto di averla perduta davvero fino a quando non aveva aperto gli occhi, ritrovandosi davanti a una realtà ben diversa da quella che aveva sempre creduto normale: Hermione non stava bene.

Peggiorava gradualmente; a volte era presente, in altri momenti giocava con i fiori ormai morti, quelli che non erano sopravvissuti al passaggio dall’estate all’autunno.

Perché le era rimasto accanto?

Era difficile salutare – abbandonare – qualcuno che non poteva vivere senza di lui.

Non glielo avrebbe mai rivelato, ma Hermione, invero, necessitava di lui come la natura ha bisogno delle stagioni per rinnovarsi, per non restare in uno stato di perenne incertezza.

Aveva bisogno di lui per rinascere e fiorire.

“Ho voglia di una filastrocca. Mi passeresti il libro accanto al tè, per favore?”

“È tardi, ormai, ti rovini la vista così.”

La vide spostare la coperta dalle gambe e aggrapparsi allo spigolo del tavolino per non cedere alla debolezza. “Vieni qui, ti aiuto,” si offrì di darle un sostegno.

“No,” Hermione si stiracchiò, sgranchendosi le ossa. Era sempre indolenzita perché non poteva affaticarsi troppo, quindi doveva restare seduta per tanto, tanto tempo.

Il Medimago aveva detto a Draco che il cuore di Hermione era diventato vecchio. In un anno, Hermione aveva vissuto come se i giorni fossero lunghi quanto una vita terrena.

“Questa è una delle mie preferite.” Si lambì l’indice con la lingua, sfogliando le pagine del libro che teneva in mano. “Durante il triplo salto mortale la paura mi assale. Il silenzio è totale: chiudo gli occhi e non respiro. Ora il rumore è tornato, il pubblico è estasiato: l'artista è atterrato. Apro gli occhi e felice lo ammiro.”

Da un po’ di tempo, precisamente qualche mese, Hermione aveva smesso di imparare filastrocche, ma ogni tanto – a distanza di due o tre settimane – lo deliziava con qualcuna diversa. Draco aveva cominciato a capirne alcune; erano tutte Babbane, quindi ci aveva impiegato molto prima di memorizzarle e parafrasarle.

Alcune gli incutevano paura.

In quelle parole, forse, si celava il vero malessere di Hermione. Chissà cosa voleva dirgli, cosa voleva che lui cogliesse da quelle frasi.

Salto. Mortale. Paura. Rumore.

Suonavano tutte come una condanna a morte, una scelta già fatta; avevano il sapore dell’amaro mattino, quasi, piuttosto che quello della notte, perché non erano parole oscure, ma esplicite e con un significato preciso.

“Forse dovresti smetterla di leggere e imparare quelle filastrocche, Granger.”

“Io non leggo, io apprendo. Sono una divoratrice di parole. Mi piace il suono che echeggia nella mia mente quando ne trovo una nuova. È come scoprire nuove combinazioni, nuovi colori. La vita stessa è stata creata da esse. Che senso avrebbe vivere in un mondo muto? Il silenzio non è altro che il nostro dolore nel proferire parole che ci incantano o che fanno male.”

Hermione afferrò il vassoio che si trovava sul tavolo. C’era un piatto con i residui di un croissant: briciole e crema.

“Se vuoi te ne porto un’altra.”

“No, è meglio prepararci per la cena.”

Stava pensando. Draco se ne accorse dai lineamenti del suo viso, ch’erano divenuti d’un tratto scuri e rugosi, increspati dalle memorie perdute.

Draco… ti ricordi quei giorni?”

Perché era rimasto con lei?

Ah, sì.

Per quei giorni.

“Certo… e tu?”

“Io quasi non li ricordo più… ma nemmeno tu ricordi niente. Non fingere.”

Quando Hermione nominava il passato – l’innamoramento e poi la tragedia, come nelle più grandi opere teatraliDraco preferiva non assecondarla.

Lei a volte non ricordava, ma lui sì, ogni momento, ogni gesto, ogni parola.

Ogni momento intimo.

“Che ne pensi di andare a letto? Ti porterò da mangiare dopo… o potremmo cucinare insieme.”

La sola idea lo disgustava, ma per lei sarebbe stato disposto a fare ciò che non aveva mai creduto possibile, anche licenziare un Elfo Domestico, perché Hermione soffriva, giacché aveva sempre combattuto per la libertà e per i pari diritti di ogni essere capace di intendere e di volere.

“Voglio andare nel bosco. Prepareremo dei tramezzini e li mangeremo lì.”

“Dovresti riposarti, lo sai che poi il risveglio sarà brusco se ti ostini a sfiancarti con queste estenuanti camminate.”

“No,” decretò Hermione.

Era ostinata e orgogliosa anche da malata.

“Non voglio diventare una mummia, per l’amor del cielo.”

Draco sbuffò senza farsi sentire. Lei lo avrebbe rimproverato e poi non gli andava di litigare.

“Andiamo. Voglio percorrere il tragitto inverso. Mi piace andare a Sud. In qualche modo è come tornare a casa.”

 

***

 

Era arrivata la sera, dolce amica del criminale, a sostituire i fulgori del sole, che all’orizzonte ormai si intravedevano appena, tracce di fuoco che si dimenavano per poi spegnersi. Il suo arrivo era segnato dal silenzio, dai gemiti degli amanti che si consumavano in una danza d’amore e di sotterfugi.

Il manto scuro del cielo ricopriva le spalle dei due innamorati, che si stringevano, vicini, per proteggersi dalla foschia autunnale.

Lei lo aveva convinto ad andare lì, al dirupo: là, gli ululati del vento e dei lupi si stagliavano netti nel silenzio tetro. Era facile sentirsi all’Inferno, in quel luogo così simile al confine della Terra da ricordare il punto più vicino alla dimora del Demonio.

Lì, per la prima volta, Draco aveva detto a Hermione che era lo spettro del sole, perché anche in un posto simile, pieno di presagi maligni e di ombre blasfeme, era comunque capace di rifulgere di luce propria, con i suoi sorrisi e la sua allegria, la sua voglia di vivere che tanto a lui era cara.

Draco aveva imparato tanto da Hermione.

Stavano ancora camminando:  anzi, lui la stava sorreggendo, perché Hermione era un po’ stanca e affaticata. Non avrebbe dovuto intraprendere quel piccolo viaggio, ma era testarda e risoluta. Di solito era sempre ansiosa di rivedere ciò che l’aveva estasiata, e il dirupo le era sempre piaciuto particolarmente.

Alle loro spalle, gli animali del bosco si ristoravano accanto al laghetto; tutto era immerso nella quiete e i rumori della notte risuonavano come un lamento continuo di anime in pena in attesa di saziarsi con gli amori perduti e mai ritrovati, come quello di Draco e Hermione.

Draco, questa è la notte dei segreti,” gli disse, stringendogli il braccio.

Durante la notte, gli spettri si aggiravano per le vie oscure. Essi sembravano dei puntini che si trascinavano dietro peccati e dolci confidenze; vivevano nella tenebra, perché così avrebbero potuto mascherare meglio i singhiozzi e le facce scure e grigie.

Durante la notte, gli spettri entrano negli occhi di chi li rimpiange.

Di fronte a loro c’era il salto nel vuoto, dove Hermione avrebbe incontrato la morte quella notte stessa, non prima di aver abbracciato di nuovo la vita.

 

***

 

Il salto nel vuoto.

Giù per il dirupo, pareva che ci fosse il mare, tanto era profondo e scuro: le ombre sembravano i sorrisi – le onde – dell’oscurità.

Il salto nel vuoto.

Hermione si specchiava nell’abisso ed esso, a sua volta, si specchiava in lei.

Al tramonto, quando il cielo era mutato in fretta diventando blu, lei sapeva ancora sorridere e ridere. Adesso era ritornata a essere lo spettro del sole.

“Lo vedi quell’albero?”

Draco scosse la testa. “No. Mettiamoci comodi lì, vieni. Sediamoci su quei tronchi. Li indicò, prendendo Hermione per i fianchi e stringendola forte.

Lei era rigida.

“Voglio quel fiore.”

“Sono solo rami secchi, Granger. Non fiori. Rami secchi.”

“Io ci vedo il bello, nelle cose.”

“Lo so.”

Entrambi non si mossero, né smisero di farsi carezzare dalla leggera brezza che presto si sarebbe trasformata in burrasca.

“Non stare vicino al precipizio,” le consigliò, gemendo.

La verità era un’altra.

Era terrorizzato.

Draco andò accanto a lei, per guardare di nuovo l’infinito. Era scesa la nebbia, adesso, una foschia soffocante e fitta che offuscava i prati e i loro cuori.

“Pensi che io finirei all’Inferno, se dovessi morire?

Hermione digrignò i denti: tra le mani stringeva alcuni fiori morti. Poco dopo, caddero petali e corolle sull’erba. Hermione stava piangendo. Draco notò che alcune lacrime le avevano bagnato le labbra.

Un bacio al sapore di sole.

“L’Inferno esiste solo per chi ne ha paura,” disse Draco, infine, sfiorandole la bocca con la propria.

“Forse la morte si sconta vivendo,” ribatté Hermione, voltandosi e socchiudendo le palpebre: ancora una volta, aveva replicato con una citazione. Una citazione che non aveva senso in quel contesto; probabilmente dentro di sé, ella custodiva la ferma convinzione di avere una pena da scontare.

Draco aveva gli occhi lucidi e le sue iridi parevano cristalli di pioggia sciolti al sole, come più volte lei gli aveva detto che fossero, dopo una particolare emozione. Provò a sorridere, ma la sua fu più che altro una smorfia.

Hermione lo abbracciò, cingendogli la vita e appoggiando la testa sulle sue spalle, che sussultarono appena al tocco tenero con cui Hermione gli vezzeggiò la nuca.

Lui rimase lì, immobile e a disagio, mentre lei gli soffiava parole dolci all’orecchio. Tentò di sfiorarle la schiena, poi le afferrò la mano, conducendola verso il tronco e aiutandola a sedersi.

“Va bene così, Granger? Possiamo restare poco, però. A breve arriverà una tempesta.”

Hermione fece un cenno col capo, tossicchiando un po’. “Sai, mia nonna mi ha sempre messa in guardia dal sognare i serpenti, poiché sono esseri oscuri, legati all’Eden, e le storie che li vedono come protagonisti non hanno quasi mai un lieto fine; sono portatori di ostilità e menzogna. Insomma, i significati sono tutti diversi, sia positivi che negativi. Col tempo ho capito che i serpenti sono simbolo di rinascita, di erotismo, di fertilità. L’ho appreso leggendo alcuni libri, non solo la Bibbia, perché il Sacro Tomo li dipinge come tentatori e peccatori, i piccoli figli del Demonio in persona.”

Non si era mai abituato a lei, a quei discorsi privi di ogni logica.

“Mi vedi come un piccolo Demonio?”

Le sorrise.

“I miei sogni più belli hanno un serpente come protagonista. Qualcuno che è capace di cambiare pelle ogni anno, pur mantenendo lo stesso carattere.” Hermione lo guardò negli occhi. “Tu hai paura, Draco?”

“Dei serpenti? Sono uno di loro.”

 “No. Di mutare la pelle. Di accettare l’inaccettabile. Di amare me.”

Quante volte le aveva detto che, per lei, era un serpente cieco? Uno di quelli rari e quasi unici nel loro genere, che strisciano senza pietà, nascondendosi all’ombra, ferendosi alla sola vista della luce, perché non sono abituati a essere abbagliati?

Hermione si acquattò, alla ricerca di qualcosa. Stava esaminando l’erba, ridendo come una bambina, e il suo volto era disteso, come se avesse ritrovato la tranquillità. Era soltanto un altro di quei momenti che precedevano la follia.

“Che cosa stai cercando?”

“L’erba di Ofiuco, quella del serpente… l’erba che fa resuscitare i morti. Esiste, sai?”

“Te lo ha raccontato Lunatica Lovegood?”

“No. Un mio amico invisibile,” ironizzò Hermione. “L’ho letto in giro… deve essere vero. Tutte le leggende contengono molta magia e un pizzico di verità. È quello che fa sperare la gente.”

“Spiegami un po’ questa storia. Sono curioso.”

Hermione soffiò e ringhiò scherzosamente, come un gatto. “Vuoi conoscere questa teoria solo per smontarla.”

“Se non me la racconti, non lo saprai mai.”

Si sedette di nuovo sul tronco. “E va bene. Il serpente, nella costellazione, è tenuto tra le mani da Ofiuco, che si identifica nel guaritore Asclepio, figlio di Apollo. Diciamo che lui, Ofiuco, una volta uccise un serpente. Il serpente resuscitò grazie a un’erba molto particolare.”

“Per me è fantasiensa.”

“Fantascienza, Draco, fantascienza. Comunque, so molto altro sulle Costellazioni. Sono affascinanti.”

“Me ne vuoi parlare?”

“Allora, vediamo… Lo sai che l’Unukalhai è la stella più brillante della Costellazione del Serpente?”

“Questa roba non mi ha mai appassionato.”

“Adoro le stelle. Sono così lontane e vivono così a lungo che a volte esplodono solo per poter toccare ciò che hanno veduto per tanto tempo…”

“L’esplosione di una stella è pericolosa, Granger. Questo lo so.”

“L’esplosione di una stella è qualcosa di spettacolare. È il loro ultimo atto, magnifico e distruttivo.”

Salto. Mortale. Paura. Rumore.

Draco ansimò, di nuovo, trattenendo dentro l’angoscia, che frattanto gli stava rodendo lo stomaco. La lasciava parlare perché credeva che, in quel modo, lei avesse la possibilità di sfogarsi. Voleva essere partecipe di ciò che le passava per la mente, nonostante spesso e volentieri non capisse molto. Non era necessario. L’importante era stare lì.

“Dimmi qualcos’altro, Granger,” una supplica e una preghiera.

Baci al sapore di sole.

“Tu sei la testa, mentre io, invece, sono la coda di un Serpente. Insieme formiamo un cerchio perfetto: l’Uroborus.”

Qualcosa che non ha né inizio né fine.

Il cerchio perfetto.

“Perché tu sei la coda?”

In cauda venenum.

“Perché mi mordi sempre.”

Hermione aveva la pelle macchiata di rosso, come una fragola succosa, perché Draco si divertiva a succhiargliela, a lambirgliela.

“Nella coda c’è il veleno,” osservò Draco.

“È strano. Io non mi sento velenosa per niente.”

Lo era, un po’, ma lui non glielo avrebbe mai detto. Lo era in un modo che non avrebbe mai immaginato, perché gli aveva creato una dipendenza assoluta; lo teneva stretto a lei, lo teneva in vita.

Il loro rapporto non era un’ossessione, era la cura.

Qualcosa che Draco non avrebbe mai voluto provare né avere.

Per il sangue, prima di tutto, perché il sangue li aveva uniti e presto o tardi li avrebbe separati; per un’etichetta che era difficile da lavare via, ch’era la causa di tutte le discussioni e del principio stesso del loro amore; perché lei era pura, e lui aveva atteso da tutta una vita il frangente per sporcarla, solo per poi accorgersi in seguito che, se l’avesse fatto, si sarebbe macchiato di un peccato orribile.

“Sì. Forse un po’ lo sono,” disse Hermione, stendendosi sul letto d’erba.

Aveva i capelli impigliati ai rami secchi, ch’erano caduti dagli alberi in Ottobre avanzato; sicuramente avrebbe avuto delle difficoltà a districarseli, una volta tornata a casa. A lei non importava più niente, aveva compreso Draco: voleva vivere e vivere sempre, appieno.

Aveva iniziato a piacergli perché peccava di superbia senza rendersene davvero conto. Hermione era una di quelle persone che, a vederle, stavano sempre bene. Era dignitosa, coraggiosa e intelligente.

Certo, alcune sue peculiarità gli davano fastidio e lo rendevano scostante, ma era buona e pura, dannazione.

“Tu non sei fatto per stare da solo, ma nemmeno per stare con chiunque, Draco.”

Era una frase che gli ripeteva spesso.

Avrebbe voluto trattenerla ancora un po’ accanto a sé, tenerla tanto vicina da dimenticare che c’era un mondo intero fuori ad aspettarlo; tanto da trascurare le ore e persino i giorni, le stagioni: tutto sembrava perdere di senso, perché c’era qualcosa di più forte ad attenderlo.

Hermione.

Da un canto, tutto ciò lo rassicurava, ma poi tornava quella sensazione di ribrezzo che aveva sempre provato nei suoi confronti. Ecco: quelli erano i giorni peggiori.

Avrebbe voluto amarla in modo autentico, di un amore eterno e genuino e folle e sicuro, come il Sud, come la via per tornare a casa.

Purtroppo ogni tanto dimenticava che erano sempre agli opposti e che avevano combattuto per ideali differenti e che ogni macchia, ogni peccato non si lavava via facilmente né si scontava alla morte.

Anche i peccati si scontano vivendo.

Era più importante la vita della morte e Draco lo sapeva bene, perché aveva vissuto esperienze simili; il suo non era altro che un modo per difendersi dalle accuse. Si vergognava delle azioni passate, ma certe volte avrebbe voluto essere ancora un ragazzino e non avere altro che un gioco di potere, tra le mani e sulla strada.

Non era mai stato pronto per amare, né forse lo sarebbe mai stato, ma poco importava perché ormai era tardi e il destino già segnato.

 “La via prosegue senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti. Presto, la segua colui che parte! Cominci pure un nuovo viaggio, ma io che sono assonnato e stanco mi recherò all’osteria del villaggio e dormirò un sonno lungo e franco.”

Hermione riprese a cantare o a filastroccare, come diceva Draco.

“Vuoi tornare a casa?”

“Aspettami all’uscita del bosco. Voglio passare altri cinque minuti qui. Ti dispiace?”

“No, tranquilla. Non fare tardi, o ti verrò a cercare.”

“Solo cinque minuti. Concedimi del tempo per stare da sola. Sono al Sud,” e gli fece l’occhiolino.

Fidati, Draco.

Hermione era colei che portava il serpente, il fardello più grande dell’umanità: la pazzia, il peso degli errori. Tutto era veleno.

Dopo quella notte Draco non si sarebbe fidato più di nessuno, perché quell’unica volta gli sarebbe costata cara.

 

***

 

Quando Draco aveva scoperto di essersi innamorato di Hermione, aveva urlato per giorni interi, fino a esaurire il fiato. Lo aveva capito all’alba dei suoi quattordici anni; si era svegliato in una notte lugubre e senza stelle, per poi scoprire che ciò che aveva sempre temuto si era realizzato.

Cupi erano stati i suoi sogni prima di quel momento: visioni dove lei lo ascoltava, senza proferire parola, lasciandolo sfogare. Hermione sapeva sempre quale fosse la cosa giusta da fare; il gesto che gli altri avrebbero voluto ricevere, la parola che avrebbero voluto udire.

Draco non aveva mai aspirato alla perfezione, perché lui sapeva di essere perfetto: tutto gli era dovuto, era un Pureblood, d’altronde, un Malfoy, uno dei Mangiamorte più giovani della storia.

L’ultima volta che l’aveva vista, prima di voltarle le spalle per lasciarla andare, Hermione lo aveva salutato con un sorriso che Draco aveva scorto solo una volta, addosso alla persona che più aveva adorato: sua madre.

Adesso si pentiva di tutte le parole non dette, perché non aveva mai voluto confessargliele, nonostante ci fossero state le occasioni per rivelarle ciò che provava. Hermione era morta senza sapere che per lui era stata molto, molte cose, troppe emozioni.

Era stata come l’aria. Come l’aria tossica, quella che non uccide ma fortifica, che dà una ragione di vita a chi ormai non trova più nemmeno la strada per andare avanti.

Era stata come il sole. Come il sole d’autunno, quello che riscalda appena, che fa venir voglia di sorridere al mondo, perché come potrebbe mai esserci l’oscurità con un calore simile? Con una forza simile?

Draco Malfoy aveva freddo senza di lei, respirava di nuovo, ma non il profumo che avrebbe voluto sentire dentro di sé.

“Posso entrare?”

Avevano bussato alla porta del suo ufficio.

“Prego, Potter. Nessun preavviso.”

Draco si alzò per andare incontro al migliore amico di Hermione.

Odiava essere disturbato quando lavorava di notte.

Potter non gli era mai andato a genio, neanche dopo la morte di Hermione. Non riuscivano a capirsi, né a salutarsi con cordialità. Eppure, Draco aveva come l’impressione che li unisse un tacito accordo, una sorta di pace comune, in memoria della persona che entrambi avevano amato di un amore diverso.

Più volte, aveva detto a Hermione che il migliore amico è lo scheletro nell’armadio di ogni rapporto. Potter lo era davvero, uno scheletro: era deperito e slavato. Aveva perso molto peso.

“Perché zoppichi, Malfoy?”

Draco guardò il bastone che lo accompagnava da tempo. “Ho avuto un incidente dopo la morte di Hermione. Le dovevo ancora qualcosa.”

“Qualcosa?”

“Sì, Potter. Adesso dimmi il motivo per cui ti trovi qui, nella tana del serpente.”

“In realtà, sono venuto solo a portarti queste. Gli mostrò delle fotografie e un diario. “Appartenevano a Hermione. Vorrei tenerle io, perché sai benissimo che tu sei l’ultima persona a cui vorrei darle, ma… lei ha voluto così,” sottolineò quelle parole con disgusto, quasi fosse incredulo.

“Posale sulla scrivania.”

Harry aveva le occhiaie.

Evidentemente passava le notti in bianco, a rimpiangere di non averla aiutata, anche se tutti avevano fatto il possibile.

Hermione adesso è un angelo,” disse Harry, carezzando il dorso del diario. Non voleva separarsene. L’aveva letto.

La memoria dei morti, in un modo o nell’altro, veniva sempre profanata.

“No,” ribatté Draco. “Adesso è diventata lo spettro del sole.”

Hermione non avrebbe mai potuto perdonarselo, Malfoy. Era troppo per lei. Troppo per una che la gente aveva amato, acclamato.”

Un giorno si era svegliata e tutti si erano accorti che non era più la stessa. Come non lo era più stato lui dopo essersi accorto di amarla.

“All’odio e all’ignoranza, ha preferito la morte. Non c’è molto da aggiungere.”

“Ma lei…”

“Lei si è suicidata, Potter. Si è tolta la vita perché non le rimaneva più nulla, dato che le avevano tolto tutto, anche la dignità. Ha fatto una brutta morte perché ha sbagliato e quindi doveva pagare. Non hanno detto questo i giornali? Non lo hanno urlato nelle piazze e nelle strade, come se fossero portatori di verità?”

Stava urlando. Era rosso in viso, aveva il fiato corto e dentro di lui si sentiva vivo solo per soffrire e per combattere in memoria di Hermione.

“Avremmo dovuto fare molto di più.”

“Non c’è mai stata molta speranza per Hermione. Solo quella di uno sciocco.”

Silenzio.

Adesso erano entrambi a disagio, ognuno con il proprio peso da trascinare, con le proprie remore e i propri errori.

Non riuscivano a guardarsi in faccia senza aggredirsi a vicenda. Era soltanto un modo per sfogarsi e non era nemmeno quello giusto.

“Meglio che me ne vada.”

“Sì, faresti una cosa buona.”

“Buona fortuna, Malfoy. Sai…”

“Sì. Ciao, Potter.”

Harry se ne andò così come era venuto. Nel suo cuore, aveva pensato Draco, c’era la stessa rabbia repressa, lo stesso desiderio di rivederla, di salvarla.

Si odiavano, ma c’era un amore più grande a legarli. C’era Hermione, che non avrebbe mai potuto sopportare quell’astio, che aveva insegnato a entrambi il motivo per cui dopo la notte arriva sempre il giorno; c’era Hermione, nei loro occhi, anche se non potevano vederla davvero.

Draco ansimò.

Ultimamente aveva accusato un disturbo allo stomaco. Ulcera, avevano decretato i Medimagi. Doveva calmarsi, riposarsi, magari dimettersi.

Hermione gli aveva detto che non era fatto per stare da solo, ma nemmeno per stare con chiunque.

Gli bastava stare con se stesso; aveva così tante fotografie di Hermione che non avrebbe patito la solitudine.

Non era fatto per stare da solo ma nemmeno con chiunque.

Ecco perché il Sud era fondamentale.

A Hermione piaceva andare a Sud, perché era davvero casa sua, il Sud di Londra, il Sud dell’Australia, il Sud della Francia: i suoi genitori erano morti a Sud.

Hermione, quella notte, stava tornando a casa.

 

Draco, secondo te esiste l’erba di Ofiuco?”

“Sono solo delle leggende. Leggi troppo.”

“Io non leggo. Io apprendo. Comunque, è una bella storia… Immagina un uomo che dopo la morte della propria fidanzata parte e va a cercarla, ma non la trova. È Shakespeariano.”

“Non credo che tragedie e leggende vadano d’accordo. Forse determinati avvenimenti si possono evitare.”

“Forse. O forse no.”

“Quel che so è che i morti dovrebbero riposare in pace.”

 

Draco avrebbe dovuto capire le sue intenzioni dopo quel discorso.

Avrebbe potuto evitarlo.

 

***

 

La loro storia era iniziata al crepuscolo ed era finita ai primi baleni di luce dell’alba.

Avevano sempre vissuto di notte, anche quando Hermione stava bene; preferivano stare all’aria aperta quando c’era la luna, anziché il sole, a contare le stelle o a rievocare aneddoti piacevoli del passato.

A volte avevano fatto l’amore con l’odio ancora in gola, con la rabbia di chi non si era  rassegnato a un destino già deciso.

Lei era morta tanti anni addietro. A volte, Draco faceva finta di non ricordare, come se lei fosse ancora in vita e gli chiedesse gentilmente di raccontarle aneddoti su di loro, perché aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di rivivere.

Hermione si era suicidata perché non aveva retto il peso della donna che aveva ucciso, per sbaglio, in Sala Operatoria. Aveva fatto un salto nel vuoto, da quel dirupo, dove avevano trascorso momenti felici e tristi.

Tutti l’avevano calunniata; quella era un’operazione difficile. Hermione aveva fatto l’impossibile per salvare la vita alla ragazza che si era sottoposta all’intervento. Subito dopo averne dichiarato il decesso, Hermione era finita in prima pagina su tutti i giornali. Uno scandalo che non si sarebbe potuto evitare.

Hermione aveva voluto studiare medicina all'Università – un po’ in memoria dei suoi genitori, un po’ perché non voleva perdere il suo senso di appartenenza al Mondo Babbano – ma aveva conseguito anche il diploma di Medimaga. Era stata quella, alla fine, la professione che aveva scelto, perché, nonostante tutto, il Mondo Magico era quello che sentiva più suo. Aveva, però, pagato il prezzo delle sue origini e del suo volerle difendere. Le cure magiche, forse, non avrebbero salvato la sua paziente, ma nessuno avrebbe avuto da ridire.

Solo supposizioni. Ipotesi e congetture che avevano condotto alla follia Hermione.

Tarli.

Era impazzita a poco a poco, col tempo.

La mente è un filo di capello. Quando si spezza, non rimane più nulla; non si può riattaccare né riparare.

I medici non avevano potuto fare il Miracolo. Quello era il lavoro di Dio, e non è che lo facesse poi tanto bene.

Draco avrebbe voluto riportarla in vita, tramite l’erba di Ofiuco; era diventato pazzo anche lui, ma di una follia ben diversa da quella di Hermione. Così era partito alla ricerca dell’erba – o della felicità – e aveva avuto un brutto incidente. La sua gamba destra non era più tornata come prima.

Alla fine si era pentito di quel pensiero, della richiesta del suo cuore.

I morti dovevano riposare in pace.

Aveva dimenticato il sapore del sole.

Aveva creduto che quel ti amo” fosse una promessa. Non lo era. Era Hermione che gli stava dicendo addio. Era stato il suo gesto finale, l’ultima dimostrazione d’affetto. Come se avesse voluto lasciare un bel ricordo alla persone che più amava.

I gesti e le parole di Hermione erano sempre stati quelli giusti.

Ciò che lui voleva serbare, ciò che lui voleva udire.

Che era morta. Gli avevano detto che era morta… Che nell’alba l’avevano vista galleggiare. Come un cigno.

In realtà, Hermione aveva fatto un salto nel vuoto.

Quando ci ripensava – e non lo faceva spesso, perché iniziava a tremare e a sudare freddo – provava ancora rimorso e rancore, perché Hermione avrebbe dovuto morire in lui, non in un mare che non era mare, ma morte.

“Vorrei sapere a che cosa è servito, Hermione,” pronunciò quelle frasi con rabbia, alternando singhiozzi, parole e gemiti covati dentro, nello stomaco, “vivere, amare e soffrire.

Gli aveva insegnato a fare tutte queste cose nel modo giusto, ma lui non aveva fatto in tempo a mostrarle che era cambiato davvero. Hermione era morta troppo giovane.

La sua Hermione aveva avuto l’audacia di amare qualcuno di diverso dal proprio sangue; l’audacia di operare una persona in fin di vita tramite la Medicina Babbana; l’audacia di non abbandonare mai Potter nel momento del bisogno.

Nonostante le calunnie, la sua Hermione, quella che aveva conosciuto lui, al cielo e alla terra aveva mostrato il coraggio.

“Mi manchi. Mi mancherai… Hermione.”

La sua Hermione, quella che aveva conosciuto solo lui, adesso non c’era più, ma Draco ne serbava il ricordo con un riso amaro, come quello della luna.

“Non è da me parlare nel silenzio. Non è da me averti amato e continuato a farlo. So che non è stato nemmeno d’obbligo farlo; che cosa posso dire oggi al silenzio, Hermione, che cosa posso dire a me stesso? Che cosa si narrerà di noi due? Le domande sono troppe e le risposte sono irrazionali. Non mi aspetto che qualcuno capisca il perché di ciò che ho provato per te. Nemmeno io lo comprendo. Ma l’ho avvertito. Io con una Mudblood. Mio padre ha accettato tutto questo solo dopo la tua morte. Forse solo allora ha capito, dopo aver visto il mio dolore, che comunque ho tentato di nascondere a lungo, perché mi vergognavo. D’altronde, il dolore era lo stesso che aveva provato lui dopo la morte di mia madre; solo allora ha compreso che io avevo scelto e che, tutto sommato, gli stava bene così, perché nessuno me lo aveva imposto, come invece era accaduto a lui con mia madre. Credo che il dolore sia lo stesso per tutti, quando ci lascia la persona a cui abbiamo dato il nostro cuore.”

Hermione aveva il cuore di Draco.

 “Non sono venuto per dirti addio né mai lo farò.”

Era un saluto di troppo, una promessa mai proferita.

“Sono venuto a dirti che ti amo anch’io.”

Non avrebbe mai smesso.

Non avrebbe mai smesso di amare il sole.

 

E forse

la nostra benedizione più grande

 era di non aver mai saputo

quanto è breve il tempo.

Mucchio d’ossa

Stephen King

 

Note e Citazioni:

"Il serpente che danza" è il titolo di una poesia di Baudelaire. L’ho trovato molto consono sia per il richiamo alla Costellazione che per Draco.

“In cauda venenum.” È una locuzione latina che significa: il veleno [è] nella coda.

“La morte si sconta vivendo.” Giuseppe Ungaretti, Sono una creatura.

“Vorrei sapere a che cosa è servito, Hermione,” […] “vivere, amare e soffrire.” Francesco Guccini, Canzone per un’amica.

“Che era morta. Gli avevano detto che era morta… Che nell’alba l’avevano vista galleggiare. Come un cigno.” Isabella Santacroce, Lovers.

“Quello era il lavoro di Dio, e non è che lo facesse poi tanto bene.” Poison spring, Cutting Edge. (Per questa citazione ho il consenso esplicito dell’autrice)

“All’odio e all’ignoranza, ha preferito la morte” – “L’Inferno esiste solo per chi ne ha paura” – “Draco stava ascoltando la sua voce, che ormai cantava nel vento.” Fabrizio De André, Preghiera in Gennaio.

“Era arrivata la sera, dolce amica del criminale.” La sera come “dolce amica del criminale” è un concetto tratto da “Il crepuscolo della sera” di Charles Baudelaire.

“Durante il triplo salto mortale la paura mi assale. Il silenzio è totale: chiudo gli occhi e non respiro. Ora il rumore è tornato, il pubblico è estasiato: l'artista è atterrato. Apro gli occhi e felice lo ammiro.” Filastrocca di Francois David, A occhi chiusi.

“Mi piace andare a Sud. In qualche modo è come tornare a casa.” In realtà questa è inesatta. La frase originale è “Mi piace andare a Sud. In qualche modo è come andare in discesa,” ed è presa da “Il signore degli anelli – Le due torri” di J.R.R. Tolkien.

“Hermione si specchiava nell’abisso ed esso, a sua volta, si specchiava in lei.” Qui ho modificato una citazione di Nietzsche: “Se guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te.”

“La via prosegue senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte. Ora la Via è fuggita avanti. Presto, la segua colui che parte! Cominci pure un nuovo viaggio, ma io che sono assonnato e stanco mi recherò all’osteria del villaggio e dormirò un sonno lungo e franco.” J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli – Il ritorno del re.

I prompt che mi avevi assegnato ho preferito usarli come immagini evocative – Hermione guarda il salto nel vuoto credendo sia il mare, ma in realtà è soltanto un abisso – e come storielle da narrare, ovvero il mito di Ofiuco e del Serpente.

-          Per altre eventuali, mi trovate QUI, sulla mia pagina d’autrice su facebook.

 

Vorrei ringraziare la Giudicia di questa storia per la sua velocità e per aver stilato dei giudizi davvero belli e molto approfonditi. Sono molto felice di aver partecipato e di essermi classificata seconda! Non me lo aspettavo, è stata una sorpresa davvero gradita.

Vi incollo il mio giudizio!

 

Grammatica 9,9/10

-"Non è da me averti amato e continuato a farlo": meglio con un "aver continuato" o "continuare a farlo".

-"E forse

la nostra benedizione più grande

era di non aver mai saputo

quando è breve il tempo." penso ci sia una svista con "quando" al posto di "quanto".

Per il resto è impeccabile!

 

Originalità 9/10

 

La trama di per non è l'invenzione del secolo: Hermione a quanto sembra è malata, forse pazza, e Draco le sta accanto da vero innamorato qual è. Quando arriva il momento della morte, lui non è più lo stesso, com'è comprensibile che sia, e vive solo, ricordandola ogni giorno. Ho letto spesso racconti del genere. Non ho mai letto, però, una storia come la tua. La trovo avvincente e nuova, nonostante non ci sia nulla di estremamente innovativo. Il lettore si trova avvinghiato nelle spire del serpente, cercando di svelare il mistero che si infittisce. Il tuo prego è stato quello di non svelare tutto subito, ma di farlo a poco a poco, tanto che a metà lettura ancora non si riesce bene ad inquadrare il tutto. E' molto originale, a mio parere, anche il modo in cui hai usato tutte le citazioni, facendole recitare ad Hermione e quindi facendole risultare perfette e non uno stacco dalla continuazione della storia.

 

Stile 5/5

 

Qui non posso non assegnarti il pieno punteggio. Inizialmente mi sono trovata un po' spiazzata dalla ricercatezza del lessico che hai utilizzato. Poi però proseguendo con la lettura, mi sono trovata a mio agio con certi termini che subito sembravano un po' pomposi, ma che poi hanno preso la giusta piega e hanno amalgamato il tutto. Ti faccio i miei complimenti per la facilità e la scorrevolezza con cui hai parlato del presente, poi del passato, di nuovo del presente: i flashback sono stati inseriti davvero brillantemente nella storia. Anche qui, ripeto l'appunto sulle citazioni, che si inseriscono bene nel racconto e che sembrano pescate apposta per la One shot, ottimo lavoro di ricerca!

 

Gradimento personale 9/10

 

Non ho potuto assegnarti il pieno punteggio perchè, purtroppo, sono una vecchia fan delle Draco/Hermione ed avendone lette tantissime ho trovato la tua trama qualcosa di già visto. Tuttavia ho apprezzato moltissimo il modo in cui tu hai sviluppato la storia. I due protagonisti sono perfetti e assolutamente IC, ho trovato azzeccatissimo Draco e i suoi dubbi sul fatto di trovarsi ancora accanto ad una ragazza che un tempo amava ma che ora sta cambiando, sta morendo. La ama ancora, perchè le sta accanto? E' straziante e commovente in una maniera incredibile, non sono una dalla lacrima facile! Ti rinnovo i miei complimenti per questa one shot, che credo moltissime persone apprezzeranno!

 

Utilizzo della notte 5/5

 

Hai introdotto la notte gradualmente, dal tramonto alle stelle, e l'ho trovato assolutamente interessante. Dire che poi diventa il fulcro della storia è superfluo: Draco e Hermione che guardano le costellazioni, la luna, che escono la notte anziché il giorno, ma soprattutto Draco ricorderà per sempre QUELLA notte fatale per Hermione. Bel lavoro.

 

Punti bonus 2,5/3

 

Ti ho assegnato due punti pieni per il mito e per l'immagine: per quanto riguarda il primo non ho niente da dire, fantastico il modo in cui l'hai inserito, con un Draco disperato che parte per un viaggio alla ricerca di questa leggendaria erba; l'immagine del salto nel vuoto è presentata altrettanto bene, non ho ancora capito se si tratta davvero di un dirupo con un fiume che scorre sul fondo o se è soltanto un burrone, mistero! Per il prompt coda, invece, ho avuto qualche problema a capirlo: ho ritrovato ad un certo punto della storia questo paragona con Draco/testa ed Hermione/coda, ma apparte questo nel resto della storia non ho trovato riferimenti importanti, per questo ti ho dato solo mezzo punto.

 

 

Totale: 40,4/43

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Venenum