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Autore: Ilarya Kiki    16/03/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A new day

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Cherì non si era mai sentita così spaventata ed insieme emozionata in vita sua,
il cuore le palpitava a mille nel petto ed aveva paura che da dietro ogni angolo sbucasse un mostro o peggio, ma nel frattempo scariche di eccitazione le tenevano il volto bianco acceso di gioia e non riusciva in nessun modo a smettere di sorridere scoprendo i denti da una guancia all’altra.
Il sole era accecante, non lo ricordava così luminoso, tanto che quando camminavano all’aperto lei era in grado di vedere solo macchie variopinte, nere o bianche a seconda di quanto riusciva ad evitare di strizzare gli occhi, e sarebbe sicuramente finita sotto uno di quegli aggeggi puzzolenti con le ruote che Amy aveva chiamato “automobili” se Tarja non l’avesse condotta pazientemente entro i confini del marciapiede, tenendola stretta per mano.
La brezza d’autunno che le scompigliava i capelli era fresca e piacevole: trascinava foglie rosse, gialle e marroni tra le mura di cemento delle case popolari, e poi le spingeva sul marciapiede facendole danzare in mucchi fruscianti che era divertente far esplodere in una nuvola colorata con un calcio ben assestato, e in quel momento, se nei dintorni c’erano dei piccioni, allora anche loro spiccavano il volo tutti insieme ed era magnifico ascoltare il battito veloce delle loro ali e vedere tutti quei colori che s’innalzavano vitali nella luce.
Le sembrava di essere tornata bambina.
Tarja, poi, era bravissima a prendere a calci le foglie, ed era anche molto, molto bella, con i jeans che le aveva prestato Davey –infatti quelli di Amy erano troppo piccoli per due spilungone come loro due-: Cherì sentiva un forte calore sanguigno affluirle nelle guance quando la guardava: il tessuto blu metteva in risalto le sue curve morbide e sinuose, così diverse dagli spigoli che spuntavano ossuti dai suoi fianchi patiti, ma lei non la invidiava, anzi: con un corpo del genere si sarebbe sentita tremendamente a disagio per l’imbarazzo, e per di più avrebbe attirato su di sé pericolosi sguardi grondanti lussuria.

Erano uscite loro due, loro due insieme da sole, perché dovevano portare a termine un compito importantissimo: “fare la spesa”.
Amy aveva indicato loro la strada per il negozio, aveva messo nelle mani di Tarja una mazzetta di banconote verdi ed aveva enunciato una lista di cose da comprare, che però avevano scordato subito, prese com’erano dalla novità dell’occasione.
Una volta giunte al mercato, erano state confuse da una miriade di oggetti colorati tutti impilati uno accanto all’altro, e da persone di ogni genere che si aggiravano frettolose tra gli scaffali e poi si mettevano tutte in fila sgomitando, come formiche arrabbiate.
Loro due si erano fatte delle gran risate in quel posto così buffo, e poi, quando si erano stancate di prendere in giro gli avventori del negozio, avevano scelto tra quei mucchi di oggetti e strani cibi quelli che più catturavano la loro curiosità ed il loro gusto estetico, ed infine si erano avviate verso casa.

Con i sacchi di carta marrone pieni di delizie stretti in braccio, le due parlottavano ridendo di argomenti frivoli sulla via del ritorno, quando all’improvviso da un angolo più buio saltò fuori una ragazza con una divertente espressione corrucciata che sbarrò loro il passo, puntando una pistola in un punto indefinito tra lo stomaco di una e la testa dell’altra.
I suoi vestiti erano tutti stracciati, e le braccia erano ricoperte da complicati disegni colorati.
Tarja le sorrise, benevola.
“Ciao, possiamo aiutarti?”
“I soldi! Datemi tutti i soldi che avete o sparo!”
“Soldi?”
Tarja si accorse che Cherì era corsa a nascondersi dietro le sue spalle, probabilmente spaventata dall’irruenza della nuova venuta, o forse intimorita da quegli strani ghirigori sulle sue braccia, così inusuali, ma poco importava: Cherì non si era ancora abituata al mondo esterno e Tarja si rendeva perfettamente conto che doveva essere molto difficile per lei trovare il coraggio di avventurarsi per strada, e così la prese per mano, con dolcezza, per rassicurarla: insomma, sorellina, è solo una ragazza come me o te, cosa c’è da avere paura?
“Sì! Soldi, brutta deficiente!”
“Beh amica mia, temo di non averne. Li abbiamo appena usati per fare la spesa, mi dispiace davvero moltissimo. C’è qualcos’altro che io possa fare per te?”
“Mi prendi per il culo!?”
“Accidenti, come sei nervosa, devi avere avuto una pessima giornata. E sembri anche stanca. Senti, i soldi li ho finiti, ma se vuoi posso offrirti un po’ di questo budino che ha un profumo così buono…magari con la pancia piena ti sentirai meglio!”
Tarja estrasse dalla busta retta dalle braccia ancora un po’ tremanti di sua sorella una bottiglietta di plastica tutta colorata, che emanava il fantomatico profumo appetitoso, e la porse alla giovane ladra, la quale un po’ confusa tentennò con l’arma in mano, per poi afferrare ciò che le veniva porto con uno scatto felino.
Sbarrò i grandi occhi guardandone l’etichetta, e poi più furiosa di prima ripuntò l’arma contro la ragazza dai lunghi capelli rossi:
“Cos’è questo scherzo!? Questo è shampoo alla vaniglia!”
“Ah…perché, non si mangia?”
“Certo che no! Sei handicappata, forse?”
“Oh cavolo, mi dispiace…aveva un profumo così invitante…Devo rimediare assolutamente. Ho un’idea, ti piacerebbe venire a casa con noi? Sarai nostra ospite, tanto da mangiare ce n’è abbastanza per tutti!”
La ladruncola rimase per un secondo immobile, con i muscoli facciali bloccati in un’espressione perplessa, poi abbassò l’arma.
Tutte e tre ripresero il cammino, dirigendosi verso la casa di Amy.

Amy, irritata dalla sua ennesima visita, lanciò un piatto crepato contro l’uccellaccio dai tondi occhi gialli che si era appollaiato di nuovo sui rami dell’albero davanti alla sua finestra, e quello se ne volò via sbattendo le ali candide con uno stridio acuto.
“Ma no, dico, vicino” continuò la ragazza ritornando a volgersi verso Davey, piuttosto infervorata dopo il lancio, “che avresti fatto se quella matta di Madelin i tuoi libri se li comprava sul serio? Costeranno un occhio della testa.”
“Sciocchezze.” rispose Davey serafico, dopo aver assistito allo sfogo omicida della blu contro quel povero barbagianni fuori, tranquillamente seduto al tavolo in attesa del pranzo.
“Nessuno sano di mente comprerebbe la bibliografia di Hegel, e se io ce l’ho è perché mio zio che me l’ha regalata mi odia. Leggerla tutta indurrebbe al suicidio.”
“Ma quella sul serio ti sembrava sana di mente?”
“Ouh…”
Mentre Davey si perdeva nel vuoto inquietante della consapevolezza di aver rischiato di perdere uno dei tesori più preziosi che possedeva, la porticina del monolocale si spalancò ed entrarono gridando Tarja e Cherì con le borse degli acquisti, più…una completa sconosciuta.
Con una pistola nella tasca dei jeans.
Dunque, Amy aveva previsto che affidare l’incombenza della spesa alle due gemelle avrebbe potuto significare andare in contro a risvolti “interessanti”, ma questo, proprio…
“Eeemh…e tu saresti…?”
La nuova venuta, perfettamente a suo agio, entrò a grandi falcate nella stanza, spiccò un balzo e si sedette languidamente sul tavolo, seguita a ruota dalle sorelle che sembravano felicissime per la nuova amicizia che avevano stretto per strada.
“Si chiama Annette! Ha detto che è nata in Brasile!”
“Sì! È vero è vero!”
“E poi ha detto che è capace di mangiare tre hamburger in venti secondi senza vomitare!”
“Oooh…è vero! È vero!”
“E poi…e poi ha detto che si è fatta fare ben quindici tatuaggi, non è pazzesco?”
“Sì pazzesco!”
Gli occhi delle due luccicavano di ammirazione, e la diretta interessata sembrava accettare tutti quei complimenti con la naturalezza di chi sa che gli sono dovuti.
“Quando si mangia, tesoro? Le due ragazzine qua mi hanno promesso un pranzo.”
Aveva un tono di voce basso, sfacciato, accompagnato dal ruminare senza sosta delle mandibole impastate di chewing-gum: un’aureola di riccioli neri come il petrolio le circondava il volto ambrato e pienotto, adornato da strani occhi a mandorla blu dalle lunghe ciglia e da due labbra di rubino.
Inoltre le braccia, il ventre ed il seno prosperoso stretto in un’esuberante scollatura erano ricoperti da tatuaggi colorati di ogni genere e sorta.
“Oh, emh…ok…tanto oggi offre Davey!”
Senza aver dato segno di aver ascoltato, la mora si piegò sullo studente seduto sulla seggiola di fianco al lei, piantandogli il decolté in faccia.
“Ma che carino che sei Davey, dì un po’, tu ne hai tanti, di soldi…?”
Amy spinse giù dal tavolo quella stracciona con una certa irruenza annunciando di dover apparecchiare, e lanciando a Tarja un’occhiataccia furibonda.
Cherì era sparita da qualche parte con la sua Divina Commedia, e Davey fu strattonato da qualche mano che lo fece uscire dallo stato catatonico in cui lo avevano gettato le tette di Annette.

Il pranzo a base di lasagne confezionate provenienti dal frigo di Davey con vagabonda raccattata dalla strada fu l’ennesimo regalo che Tarja riservò per la monotona –ma Dio, tranquilla!- vita di Amy.

Erano calate le tenebre già da un po’, ed a giudicare dalla luce il vespro doveva essere passato già da un bel pezzo, calato oltre l’orizzonte aguzzo di tetti insieme al tramonto.
Annette se ne era finalmente andata dopo un pomeriggio di stressante ospitalità forzata, Davey era tornato a casa sua e tutti dormivano nei loro giacigli.
Accoccolata sul pavimento ai piedi del letto di Amy, raccolta in sé stessa e nascosta come un cucciolo nella sua tana, Sharon stringeva forte il grano del suo rosario d’avorio, cantilenando lievemente le strofe dell’Ave Maria tra le labbra.
La sua mente era frastornata, il suo cuore confuso, ma la sua anima, quella era piena di gioia, tanto piena che si sentiva come sul punto di scoppiare.
Dondolando dolcemente avanti ed indietro recitava la preghiera con profonda devozione, e sentiva la pace divina invaderla e darle ristoro come una rassicurante mano tiepida sui capelli, carezza che solo la Madonna o sua sorella erano mai state in grado di riservarle.
“Ehi, ciao.”
Era tanto concentrata nel suo mormorio, che non si era neanche accorta che la proprietaria del letto era scesa dal suddetto e si era accucciata accanto a lei.
Sharon avvampò in un secondo, e nascose tra le ginocchia il suo rosario.
“Oh, scusami, ti ho disturbato? Stavi pregando?”
“No…no non importa, Amy…”
Amy le faceva un po’ paura, non sapeva bene perché.
Forse era per quei capelli così ispidi e così blu, o forse per quella sferetta argentea che faceva capolino sotto il labbro carnoso e ben disegnato, o forse per la sua espressione, sempre così finta come una maschera di cartapesta tutta piena di crepe, fessure buie che facevano trasparire qualcosa che oltrepassava la tristezza, il volto terribile della noia di vivere.
“Ti manca la tua mamma?”

Amy non sapeva perché glielo aveva chiesto.
Era una domanda scema.

“Beh…sì, sento un po’ la sua mancanza, ma lei mi lasciava spesso da sola, e poi adesso ho Jaja…”
Cherì arrossendo volse per un attimo lo sguardo alla sua incredibile sorella, dormiente sul divano.
“Davvero Madelin ti lasciava da sola? Ma perché, visto che vivevate chiuse là dentro da sole…?”
“Perché dovevo concentrarmi nello studio.”
“Oh.”

Il silenzio imbarazzato che seguì, Amy lo sentì aspirarle le frasi fuori dalla gola come un aspirapolvere, con una fastidiosa sensazione di soffocamento, in modo da impedirle di trovare qualcosa di sensato da dire.
Ma perché era venuta a parlarle? Lo sapeva benissimo di terrorizzarla per qualche oscura ragione.
Perché non aveva accettato il suo ruolo di mostro spaventoso e non aveva risparmiato la sua vista a quel fragile e devoto esserino?

“Amy, tu in quale girone dell’Inferno andrai?”
Sharon lo aveva chiesto così, all’improvviso.
Per qualche oscura ragione, era convinta che anche Amy sarebbe andata all’Inferno, lo leggeva nei suoi occhi.
“Che? Beh, credo che finirò nel reparto “alcolizzati cronici”, o forse nella sezione “miscredenti eretici-che-sputano-sulle-scale-delle-chiese”…ma io punterei di più sulla prima!”
La faccia di Amy si era stiracchiata in malo modo in uno di quei suoi sorrisi un po’ forzati, e Sharon si sentì lusingata per la risposta.
Nessuno le aveva mai risposto, prima.
“Io…io so già in quale girone andrò.”
“Davvero, Cherì? Ma perché una tipa tutta riservata e carina come te dovrebbe andare all’inferno, scusa?”
Questa volta fu Sharon a stiracchiare la faccia, imbarazzata.
Nessuno era mai stata ad ascoltarla, prima, ma ora si rendeva conto che forse non si sentiva pronta a rivelare una cosa del genere.
Amy accettò il suo silenzio, e spostò lo sguardo al cielo stellato fuori dalla finestra, assorta.
Quello stupido barbagianni era tornato ad appollaiarsi sui rami del suo albero.
Sbuffò con quel suo fare da bambina, e Sharon sorrise.

“Senti, Amy, chi è quel ragazzo su quel ritratto che c’è appeso sopra il comodino?”
Sharon lo aveva notato quel pomeriggio, il ragazzo dai capelli color carota con quel sorriso così accalorato e sincero, stampato sotto la sottile pellicola della fotografia, appiccicato sopra il comò con una buona dose di scotch.
Alla domanda, Amy impietrì.
Stringendo le mani sulle ginocchia fino a far diventare bianche le nocche, si solidificò come una statua di marmo, con gli occhi sbarrati fissi al cielo, immobili, pietrificati.
Fu allora che Sharon capì che Amy non era destinata a finire all’Inferno,
lei ci viveva già dentro.

DRRRRRRIIIIIIIIIIIIIN!
“Maledizione! Chi diavolo suona il campanello a quest’ora?”
Riscuotendosi, Amy balzò in piedi sotto lo sguardo curioso e vagamente intimorito di Cherì, si gettò il giubbotto sulle spalle ed uscita di casa fece le scale di corsa.
Alla porta trovò un ragazzo molto avvenente, dai lunghi capelli biondi.
Quando parlò, Amy percepì un vago accento russo.
“Buonasera. Sono un amico di Tarja, sai se per caso è in casa?”
  
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