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Autore: My Pride    20/03/2012    3 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_9 ATTO IX: ST. GEORGE’S, LOCANDA › MAR DEI CARAIBI, 1768
NO PREY, NO PAY
[1]

    Quando riaprii gli occhi mi resi conto che il grigiore che stavo osservando altro non era che il soffitto sopra di me.
    Mi sentivo la testa pesante e il mio intero corpo doleva da impazzire, come se fossi appena finito sotto gli zoccoli di un cavallo; un brusio sconnesso sembrava inoltre risuonarmi nelle orecchie come una bassa nenia, e mi ci volle un po’ per riuscire a capire di cosa si trattasse. Volsi la testa verso la direzione da cui provenivano quelle voci, vedendo due sagome sfocate in piedi vicino a quella che aveva tutta l’aria di essere una porta. Faticavo a capire che cosa stessero dicendo, e altrettanto difficile era cercare di ricordare che cosa fosse successo con esattezza. Tutto ciò che ricordavo era l’immagine del Commodoro dinanzi a me e la sua lama che mi trafiggeva le carni, poi soltanto un freddo intenso, quasi mi fossi ritrovato d’un tratto nel gelido abbraccio del mare.
    Assottigliai le palpebre per mettere a fuoco le due figure, riconoscendo ben presto l’alta sagoma vestita di rosso che altri non poteva essere che Gale; al suo fianco c’era un uomo anziano e grassoccio che non conoscevo, ma dal tono animato con cui stavano discutendo sembravano piuttosto in confidenza. Quanto tempo ero rimasto svenuto su quel dannato letto?
    Provai a drizzarmi a sedere, ma ci rinunciai ben presto quando avvertii una fitta al petto. La ferita a quanto sembrava non era ancora guarita, dunque non dovevano essere passati più di tre o quattro giorni da quando ero stato portato lì. Con una colorita imprecazione a mezza voce mi portai una mano all’altezza del cuore, sfiorando la fasciatura con due dita; riuscivo a sentire il calore della mia pelle attraverso di essa, e la cosa mi stupì. Ero stato più che certo che sarei morto, lasciando in sospeso il mio incarico.
    «Oh, ti sei svegliato?» domandò una voce tonante, e sussultai appena prima di gettare un’occhiata nella direzione da cui proveniva. Gale e quell’uomo mi stavano osservando con assoluta attenzione, quasi fossi stato una qualche creatura mitologica. E, beh, non erano poi così lontani dalla verità, quei due.
    Socchiusi gli occhi, come se la cosa potesse aiutarmi a pensare. «Dove sono?» sussurrai in tono rauco e aspro, tossendo per schiarirmi almeno in parte la voce.
    «Le domande a dopo, idiota. Ora torna a sdraiarti», sbottò Gale, e le sue parole sembrarono rimbombarmi nel cervello con la stessa violenza di grosse catene di ferro che venivano trascinate sul ponte di una nave.
    L’uomo grassoccio ridacchiò, avvicinandosi al letto per farmi adagiare lui stesso sul materasso, giacché non davo segno di volermi muovere da solo. «Fa’ come dice il tuo amico, pirata», diede man forte, e data la vicinanza potei sentire il forte odore di tabacco che lo avvolgeva come una nuvola di profumo. «Noi abbiamo parecchie cosa da discutere al piano di sotto».
    Gli scoccai un’occhiataccia ma non gli diedi peso, tenendo ancora la mano poggiata al petto. «Che cosa significa, Gale?» gli domandai, accorgendomi solo in quell’istante che mancava qualcuno all’appello, in quella stanza. «E dov’è Patrick?»
    «Il ragazzo sta alla grande, pensa a te stesso», tagliò corto, aprendo la porta senza tanti preamboli per incamminarsi per primo. L’uomo lì a fianco mi diede una leggera pacca sulla schiena e si diresse a sua volta verso l’uscita, raccomandandomi ancora di riposare prima di oltrepassare la soglia e richiudersi la porta alle spalle.
    Rimasto finalmente solo affondai la testa sul cuscino, traendo un lungo sospiro prima di cominciare ad osservare distrattamente il soffitto sopra di me. In quella stanza non c’era granché che richiamasse la mia attenzione, a parte una grande finestra dalle pesanti tende grigiastre che affacciava sulle mura dell’edificio a fianco. A parte quella e il letto sui cui mi trovavo non c’era altra mobilia.
    Socchiusi gli occhi, portandomi una mano alla fronte. Che fine aveva fatto il Commodoro, se io mi trovavo in quella squallida camera? Non lo sapevo, ma ciò di cui ero certo era che quell’idiota di Gale c’entrava sicuramente qualcosa con quella situazione. Nonostante le mie raccomandazioni era tornato indietro per aiutarmi, ma anziché rendermi felice quella cosa mi mandava letteralmente in bestia. Aveva una missione da portare a termine prima della fine e quel bastardo perdeva il suo tempo a starmi dietro. Sbuffai. Non sarebbe dovuto venire da me, ciò era indiscutibile, e gliene avrei dette quattro non appena fossi riuscito ad uscire da quel maledetto letto e a raggiungerlo di sotto.
    Volsi lo sguardo in direzione della porta, dietro la quale si udivano i rumori che provenivano dal piano di sotto. Il vociferare allegro e chiassoso della clientela aveva cominciato a martellarmi insistentemente nelle orecchie, facendomi dolere la testa; ad esso si era anche aggiunto il suono vivace di un piano e le parole di una canzone che non comprendevo, ma il ritmo mi riportava alla mente il periodo in cui avevo vissuto a San Salvador. Eh, erano passati solo sei anni dal giorno in cui me n’ero andato, eppure a me sembravano un’eternità.
    Imprecando a denti stretti poggiai una mano sul materasso e tentai di issarmi a sedere, sibilando quando una fitta di dolore mi sconquassò, lasciandomi paonazzo e senza fiato. Che umiliazione. Ridotto in quello stato pietoso da uno stupido ufficiale della marina. Mi passai una mano fra i corti capelli sudati, e ci volle tutta la mia forza di volontà per riuscire a gettare i piedi oltre il bordo del letto e alzarmi, riuscendoci per chissà quale miracolo.
    Rantolai e deglutii, umettandomi le labbra secche. La distanza che mi separava dalla porta non era molta, dunque avrei anche potuto farcela senza intoppi. Strascicando i piedi barcollai faticosamente in quella direzione, rischiando più volte di perdere l’equilibrio; dovetti abbassare e rialzare le palpebre in ben diverse occasioni a causa della vista ormai sfocata, ma una volta raggiunta la porta mi aggrappai alla maniglia come se essa rappresentasse la mia ancora di salvezza. Essere arrivati fin lì era un bel traguardo, però non ero del tutto sicuro del fatto che sarei riuscito a scendere anche nella locanda, dalla quale le voci si erano fatte più alte e divertite.
    Sbattei il pugno dell’altra mano contro il muro e aprii la porta senza tanti preamboli, restando accecato dalla forte luce delle lampade ad olio appese ai muri. Mi ci volle un po’ per abituarmi, e quasi feci per incamminarmi quando i miei occhi intercettarono una figura raggomitolata contro la parete, le cui palpebre abbassate tremolavano lievemente. Mi accigliai non appena mi resi conto che si trattava di Patrick. Che diavolo ci faceva lì?
    In quel mentre si lasciò sfuggire un lamento e, con lentezza, aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per abituarli alla luce. E forse fu proprio nel vedere la mia ombra stagliarsi sul pavimento che alzò lo sguardo, aprendo la bocca per la sorpresa. «Cid!» esclamò con una contentezza che rasentava l’impossibile, scattando in piedi come un grillo per abbracciarmi stretto. A quel fare mi lasciai sfuggire un lamento sommesso e lui, rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, allentò immediatamente la presa, allontanandosi da me. «Mi spiace!» farfugliò, guardandomi con tanto d’occhi. «Sei... sei ferito, non dovevo!»
    Non c’erano dubbi, era sicuramente imparentato con Gale. La stupidità era di famiglia. Nonostante il dolore provai ad abbozzare un sorriso, dandogli una pacca su una spalla. «Tranquillo, ragazzo», bofonchiai, umettandomi le labbra subito dopo. «Portami da quell’idiota del nostro Capitano, piuttosto».
    Per tutta risposta, lui scosse il capo. «Gale ha detto che devi riposare», replicò in tono autoritario, quasi volesse farsi valere. E nemmeno feci caso al fatto che avesse chiamato quell’idiota di un Capitano per nome, in quel mentre. Ero troppo impegnato ad imprecare contro tutti e tutto.
    Aggrottai la fronte e, sbuffando, decisi di incamminarmi da solo; Patrick mi afferrò subito per un braccio, approfittando della terribile debolezza che scorreva nel mio corpo come veleno. Soffocai una colorita imprecazione, costatando che, aye, in fondo quel moccioso ne aveva di forza. «Smettila di comportarti come un idiota, Cid», replicò, e in quel momento quasi mi parve che fosse stato Gale a parlare. «Sei stato gravemente ferito, è già un miracolo che tu ti regga in piedi».
    Gli scoccai un’occhiataccia, strattonando il braccio. E me ne pentii amaramente quando mi investì un’altra fitta di dolore. Fui costretto a socchiudere gli occhi e ad appoggiarmi al muro con una mano sulla ferita, stringendo i denti. «Tu non hai la benché minima idea di cosa significhi essere ferito gravemente, ragazzo», rimbeccai in un soffio. «Questi sono dannatissimi colpi di striscio, e il nostro stupido Capitano lo sa bene».
    Ciò detto gli diedi nuovamente le spalle e mi allontanai il più velocemente possibile da lui, almeno per quanto le mie gambe e le mie condizioni me lo permettessero. Non prestai neanche ascolto ai suoi richiami, né tanto meno al fatto che mi stesse seguendo passo dopo passo nel tentativo di farmi desistere dal mio intento. In quello era in tutto e per tutto identico a Gale: un completo idiota.
    «Cid», mi chiamò ancora una volta con un lamento, accostandosi a me senza però trattenermi come aveva tentato di fare fino a quel momento. Camminando contro il muro mi muovevo sfruttando la forza dell’unico braccio ancora sano, e fu con una certa diffidenza che lanciai una rapida occhiata a Patrick, pur non aprendo minimamente bocca. Già mi innervosiva il semplice fatto di farmi vedere ridotto in quel modo... il suo insistente seguirmi era la goccia che faceva traboccare il vaso.
    Socchiusi gli occhi e tornai a guardare dritto dinanzi a me, trascinandomi contro la parete. «Se non intendi portarmi da Gale, ragazzo, smettila di seguirmi», abbaiai. «Non abbiamo tempo da perdere in questa topaia».
    «Ma Gale ha detto...» riprovò, ma lo interruppi con un brusco gesto della mano.
    «Non mi interessa che cosa ha detto, Patrick», sbottai, sorpassando la porta di una camera dalla quale provenivano bassi sussurri. «Dobbiamo andarcene da qui alla svelta, sono stato chiaro?»
    Con la coda dell’occhio lo vidi annuire di controvoglia, atteggiando il viso ad un’espressione alquanto contrariata prima di superarmi e piazzarsi davanti a me, quasi volesse bloccarmi il passaggio. Aveva persino allargato le braccia, fissandomi agguerrito. «Capisco la tua fretta, Cid, ma come credi di poter governare una nave se sei ridotto in quelle condizioni?» replicò in tono aspro, quasi adulto, e stonava non poco con la figura mingherlina che mostrava. «Perché diavolo non puoi attendere qualche giorno?»
    Chiusi una mano a pugno e la abbandonai lungo un fianco, poggiandomi con la schiena al muro. Trassi persino un lungo respiro, quasi volessi calmarmi, picchiando lievemente il capo contro la parete. «Se te lo dicessi non capiresti, ragazzo», soffiai in risposta. «E’ per questo che devi portarmi immediatamente da Gale. Non abbiamo un minuto da perdere. Per noi ogni istante è prezioso». Mi ravvivai i capelli all’indietro, sentendoli umidi sotto le dita. «E il fatto che la marina ci dia la caccia c’entra ben poco».
    «Tu e Gale non mi dite mai niente, siete sempre così misteriosi», rimbrottò, accostandosi a me prima di cingermi i fianchi e afferrare al tempo stesso un mio braccio per passarselo dietro alle spalle. A quel fare mi ritrovai a dilatare gli occhi, incredulo a dir poco. Che cosa diavolo aveva in mente, quel moccioso? Si vedeva lontano un miglio che faticava a sorreggere il mio peso, e anche quando mosse qualche passo malfermo confermò la mia costatazione. «Non ho idea del perché voi due idioti teniate tutto per voi, ma mentre ti portavamo qui mio fratello ha accennato ad una cosa importante che dovete fare».
    Feci per aprire bocca e rispondergli per le rime quando mi resi realmente conto di ciò che aveva appena detto, sgranando gli occhi. «Tuo fratello?» ripetei stralunato. «Gale ti ha... ti ha raccontato tutto?» Non lo credevo possibile, giacché quello stupido Capitano mi aveva espressamente pregato di tenere la bocca chiusa riguardo quella situazione. Venire dunque a conoscenza del fatto che fosse stato proprio lui a cantare mi sembrava più che bizzarro.
    Patrick, o forse avrei fatto meglio a dire Jim, si limitò semplicemente ad annuire, continuando a guardare dritto dinanzi a sé mentre faceva leva con le ginocchia, così da poter sorreggere almeno in parte il mio peso senza problemi. Giacché non aveva avuto la benché minima intenzione di aprire bocca e di aggiungere qualcosa, lasciai semplicemente cadere lì il discorso e mi limitai a fissare a mia volta il corridoio parzialmente illuminato, sforzandomi di camminare anche senza il suo aiuto. Stavo cominciando ad odiare ogni secondo di più quella stramaledetta situazione, ma se volevo rispettare la mia tabella di marcia dovevo ingoiare il rospo e farmi dare una mano da quel moccioso.
    Il percorso che ci separò dalla rampa di scale che portava di sotto parve protrarsi all’infinito. A causa delle mie condizioni procedemmo a passi lenti e moderati, e potei trarre un lungo sospiro di sollievo solo quando Patrick, attraversando un piccolo disimpegno dalle pareti di legno, svoltò a destra fino a portarmi dinanzi ad una porta borchiata, picchiettando due volte le nocche contro di essa. Aprendosi rivelò la figura dell’uomo di mezza età che avevo visto in compagnia di Gale, e adocchiandomi si accigliò, quasi si stesse domandando il perché della mia presenza. «Cosa diavolo ci fa qui?» chiese a Patrick, additandomi come se io non fossi presente.
    In quel mentre fece capolino anche la testa di Gale, che sgranò gli occhi non appena mi vide. Si alzò in un lampo dalla sedia su cui era accomodato, raggiungendoci a grandi falcate prima di fermarsi a pochi passi da noi, infuriato a dir poco. «Tu, maledetto idiota, tornatene di sopra e vedi di restarci», sibilò inviperito, scoccando un’occhiataccia a Patrick. «Perché credi che ti abbia lasciato lì fuori a fare la guardia, Jim?» sbottò, ricevendo una pacca su una spalla dall’uomo al suo fianco.
    «Te l’avevo detto che il ragazzo non sarebbe riuscito a tenerlo fermo, pirata», rimbeccò in tono vagamente ilare. «Il tuo amico è proprio una testa calda, e vi converrebbe filarvela finché siete in tempo».
    «Finalmente qualcuno che dice qualcosa di sensato», sbottai, rimediandoci ben due occhiatacce. Però non vi diedi peso, sforzandomi di restare in piedi sulle mie sole gambe, scansandomi con ben poco garbo da Patrick. «Il vecchio ha ragione, Gale, lo sai bene anche tu», soggiunsi, guardando con attenzione il mio Capitano. Aveva assunto un’espressione tutt’altro che accondiscendente, ma si vedeva benissimo che, volente o nolente, conveniva anche lui su quanto era stato appena detto.
    Fu dunque con un lungo sospiro che si voltò verso l’uomo, accennando un saluto con il capo. «Ti ringrazio per l’aiuto, Josh», sembrò quasi bofonchiare, lungi dal voler intraprendere il viaggio con me in quelle condizioni. «Mi porto via questo mentecatto una volta per tutte, tanto sarebbe inutile tentare di convincerlo».
    «Diamoci una mossa, piuttosto», mi intromisi, cominciando ad incamminarmi da solo senza darmi pena di aspettarli. Dietro di me sentii giusto gli ultimi convenevoli e saluti veloci prima che quei due mi raggiungessero; sebbene avessi già percorso un buon tratto di strada con le mie sole forze, Patrick mi passò nuovamente un braccio intorno ai fianchi, e probabilmente fu solo per sfinimento che lo lasciai fare, non avendo la forza di combattere né con lui né tanto meno con Gale. Mi bastava difatti la sua espressione poco convinta per capire che non era per niente contento della decisione che avevo preso. Ma, al diavolo! Volevo andarmene da lì e riprendere il mare il più in fretta possibile.
    Mi lasciai sfuggire un’imprecazione soffocata quando persi parzialmente l’equilibrio, e fui costretto a piegarmi a mezzo busto, mantenendomi in piedi solo grazie al pronto intervento di Patrick, che mi sorresse immediatamente nonostante avesse rischiato di cadere a sua volta. «E’ tutto okay, Cid?» mi domandò, però mi limitai a rispondere soltanto con un basso grugnito d’assenso.
    Superare il mare di gente che affollava la locanda ed uscire fuori nella fresca brezza serale fu un vero e proprio toccasana, per me. Dopo aver respirato quell’olezzo pestilenziale di whisky scadente e sudore fino a quel momento, inspirare aria salmastra e umida sembrò far scoppiare di gioia i miei polmoni, che riempii avidamente come se avessi appena imparato a respirare. Non mi pesò neanche il dover attraversare le stradine affollate e festose, dove gente indaffarata scalpicciava e gridava allegramente, ebbri di vino e di felicità.
    Fu possibile avere un po’ di silenzio solo quando giungemmo nei pressi del porto, e una volta saliti a bordo mi affrettai di dare ordine a Patrick di occuparsi delle vele, vedendolo atteggiare il viso ad un’espressione contrariata prima di ubbidire senza proferir parola, bofonchiando però qualcosa a mezza voce riguardo alla mia salute. Ah, dannato ragazzino impiccione. La mia salute stava alla grande, erano loro che non volevano capirlo.
    Mi diressi sottocoperta per capire da solo in che condizioni ero, ignorando prontamente l’occhiata che mi lanciò Gale. Non volevo affrontare nessun discorso con lui, o almeno non in quel momento. Così, per quanto concessomi, mi affrettai a raggiungere la cabina e ad entrarci dentro, liberandomi della parte superiore dei miei vestiti con una piccola smorfia sofferente. Braccia e torace erano nascoste da una grossa fasciatura sporca di rosso in più punti, e fu dunque con uno sbuffo che cominciai a disfarla pian piano, in modo tale da poterla cambiare e vedere al tempo stesso com’ero ridotto. Fui alquanto sorpreso nel costatare che era meno peggio di quel che mi aspettassi, forse perché la ferita aveva già cominciato a rimarginarsi. Beh, tanto meglio così. Non avevo bisogno di perdere tempo con idiozie del genere.
    «Cid». Impegnato com’ero nell’occuparmi delle mie ferite, ci misi un po’ a rendermi conto che Gale mi aveva chiamato, e fu solo quando riuscii ad afferrare un lembo di garza con i denti che gli scoccai appena un’occhiata.
    «Cosa c’è?» domandai, sebbene in cuor mio conoscessi già la risposta.
    «Ho un ultimo favore da chiederti», rispose difatti, traendo un lungo sospiro. «Prima della fine... facciamo rotta verso San Andres, te ne prego».
    Sollevai un sopracciglio, non prima di aver stretto il nodo al braccio. Gale che si abbassava a pregarmi? Doveva essere per un motivo veramente serio se si spingeva a tanto, non c’era altra spiegazione. Non alzai dunque lo sguardo verso di lui, forse per timore di vedere l’ansia distruggere i lineamenti del suo viso, limitandomi ad osservare la fasciatura già intrisa di sangue. «È per il ragazzo, giusto?» rimbeccai senza mezzi termini, sentendo rumoreggiare dentro di me un qualcosa di paragonabile solo alla gelosia. In tutti quegli anni non avevo mai provato niente di simile per un essere vivente, donna, uomo, vecchio o bambino che fosse; avevo sempre svolto il mio incarico con rapidità e scioltezza, senza intrattenere nessun tipo di rapporto con nessuno di loro. Con Gale, invece, era stato diverso, e a volte me ne rammaricavo terribilmente.
    «Ti chiedo solo questo, Cid», insistette con voce tremante, e fu quello il motivo per cui alzai finalmente gli occhi per osservarlo. Aveva chiuso le mani a pugno e rilasciato le braccia lungo i fianchi, con in viso un’espressione rammaricata e addolorata. «Voglio che Jim sia al sicuro».
    Imprecai a denti stretti, maledicendomi; avrei dovuto mettere la parola fine quando ne avevo avuto l’occasione invece di attendere tutto quel tempo. Adesso mi ero affezionato troppo a quell’idiota di un Capitano, e non sapevo se la cosa mi snervasse o no. «Sappi che non lo faccio per il ragazzo, ma per te», ci tenni a precisare infine, alzandomi in piedi per fronteggiarlo. «San Andres sarà la nostra prossima meta».
    Gale sorrise tristemente, abbracciandomi per darmi due pacche sulla schiena. «E poi dritti verso il fondo dell’oceano, come da accordo»
.
 

 

[1] Una legge pirata molto comune.
Il senso sarà intuibile durante la lettura del capitolo, o almeno questa è l’intenzione.


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