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Autore: chi_lamed    23/03/2012    2 recensioni
Dopo aver ucciso Albus Silente, Severus Piton cerca nella solitudine la risposta ad una domanda che lo angoscia. La soluzione gli giungerà in una maniera del tutto inaspettata. Scritta per la sfida ff. n 4 “Il padre di Severus: Tobias o Silente?” del Magie Sinister Forum.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Nota1: scritta per la sfida ff. n 4 “Il padre di Severus: Tobias o Silente?” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/?t=6749231).

Nota2: il titolo e l’impostazione stilistica della storia si richiamano all’Antico Testamento. Il primo è esplicitamente riferito alla Genesi, al passo in cui Dio, dopo l’uccisione di Abele, chiede a Caino dove sia suo fratello. Il quesito non va inteso in senso fisico, bensì spirituale: l’uomo fin dal principio è chiamato ad essere custode del proprio simile. Questa domanda ricorrerà in maniera angosciosa più volte nei pensieri di Severus, addolorato fino all’inverosimile per l’atto compiuto. Ma tale interrogativo nello scritto ebraico ricorre più volte anche posto dallo stesso uomo nei confronti di Dio, quando tutto sembra andare nel peggiore dei modi: dove sei, Signore? E la risposta che la creatura riceverà sarà sempre la medesima: Io Sono qui. Severus in questa storia cerca un responso che possa placare il proprio tormento per continuare nell’ardua lotta che lo attende.
L’impostazione stilistica si richiama ai Salmi e agli Scritti Sapienziali: la loro metrica non consiste tanto in rime o numero di sillabe, quanto piuttosto in divisione in distici (che a loro volta possono suddividersi in due, tre o anche quattro parti dette stichi), in parallelismi sinonimici, in dualismi antitetici ed in veloci sequenze composte da domanda-risposta.
Il medesimo discorso vale per la costruzione di alcuni periodi, la cui sintassi è una trasposizione italiana della lingua semitica.

 

Dov’è Albus?

  
Il vento leggero scuote le fronde dei salici che ondeggiano pigre
e produce un fruscio quasi sinistro, il suo sussurro maligno bisbiglia il mio nome.

Dapprima indistinta, poi via via più marcata,
un’eco lontana si spande nell’aria
e lancia dovunque il suo atto d’accusa.

Dov’è Albus?

Brancolo, inciampo e cado tra l’erba, la rugiada notturna mi bagna le vesti,
vorrei non sentire ma invano, la voce del mondo è la mia, miei sono lo strazio ed il tormento.
Sollevo gli occhi, la vista appannata di lacrime.
Le stelle che palpitano, nel buio cielo senza luna, all’unisono piangono la mia triste condanna:
io stesso mi accuso e non mi difendo.

Dov’è Albus?

Provo a rialzarmi, guardatemi! Barcollo come un povero e disgraziato ubriaco.
Ubriaco lo sono davvero, di dolore: esso mi annebbia la mente e mi rende folle d’angoscia.
Che cosa hai fatto? Ho ucciso Albus.
E poi? Ho portato Draco al sicuro.
Al sicuro, davvero? No! Che Merlino l’aiuti!
Nemmeno per questo m’è concesso di provare sollievo,
l’ho lasciato in un luogo freddo di morte,
nella tana di quell’orrida serpe che ha fatto il nido in cuori di belve,
prima ancora d’esser marchio che strazia le carni.
Proprio nulla ho salvato? La sua giovane anima, almeno per ora;
sì, nessun assurdo delitto l’ha mutilata.
Il solo assassino dovevo essere io.
Ho tenuto fede ad un folle Voto Infrangibile,
pronunciato nel precario equilibrio del mio ruolo di spia.
Ho ucciso per puro dovere un uomo già condannato a morire,
consumato da subdolo sortilegio e da veleno letale.
Ma che importa? Alla fine son’io che gli ho tolto la vita.

Arresto la corsa, spossato e spaesato,
mi manca il respiro, il cuore martella senza sosta nelle tempie e nel petto.
Tum tum tum. E’ un tamburo il cui ritmo mi condanna alla vita.
Il cielo ad Oriente si tinge di chiaro,
gli astri pian piano si spengono all’apparire del pianeta Lucifero.
Procedo più adagio per l’aspro sentiero mentre il mondo lentamente riacquista colore.
Ecco, una piccola grotta! M’invita ad entrare: è il rifugio perfetto per un vile omicida.
Ma non voglio, no, mi rifiuto!
L’accesso è come lugubre bocca spalancata su un regno infernale,
mi raccapriccia e disgusta.
Via! Distolgo lo sguardo, nauseato e stremato.
Non esiste dunque riparo?
Laggiù, sulla riva di un piccolo fiume che mormora lieve, però qualcosa attira il mio andare,
come calamita potente che irresistibile attrae.
S’erge maestoso, solido e forte; di chissà quante stagioni avrà visto la sorte.
Tronco nodoso, radici sporgenti ed una folta chioma imponente:
quieto e possente, sostiene, rassicura e protegge.

E’ come te, Albus.

No, no, no! Albus dov’è?
Annaspo, singhiozzo, mi accascio;
mi rannicchio tra le grosse radici appoggiandomi al solido legno.
Cerco rifugio, mi faccio bambino,
mentre l’arbusto paziente mi accoglie, le lunghe fronde mi cullano,
nel silenzio porge l’orecchio al mio pianto.

E ritorno a quel tempo lontano, al tuo abbraccio paterno,
al sapore di sale di innumerevoli lacrime, alla tua voce benigna.
Il grande e invincibile mago chino sul giovane Mangiamorte pentito.
Ti ho consegnato il mio doloroso rimorso: mi hai accettato con incondizionata fiducia.
Ti ho portato devozione sincera: mi hai donato l’affetto di un padre.
Ti ho stimato, ascoltato, obbedito, amato come un figlio.
Mi hai chiesto di ucciderti.
Non ho più voce, né forze, non più volontà.
La voce l’ho persa, sono bastate due sole fatali parole a cancellare ogni altro suono.
Le forze, m’hanno lasciato anche loro, sono volate con te dalla torre.
La volontà? Mia non è più: sopravvive solo la tua,
ma pesa come un macigno ed ha il sapore amaro del fiele.

L’aurora leggiadra si fa messaggera di luce,
il sottile pigolio dei primi a esser desti saluta il giorno che nasce.
Il cielo è limpido e terso, tutt’intorno è pace e riposo;
l’allodola gorgheggia e intona il suo primo buongiorno.
Perché quest’armoniosa natura?
A che serve il canto d’uccelli, il primo tepore, il sole che sorge?
Il mio dolore è come cascata impetuosa, si riversa,
schiaccia e frantuma ogni altra emozione.

Tutto è a rovescio, che ironia della sorte!
Per la morte di chi mi diede la vita non versai neppure una lacrima,
mentre il cielo d’inverno solcato da lampi annunciava tempesta.
Provava ribrezzo per me, per suo figlio, accusandomi d’essere strano:
la magia gli incuteva terrore, ogni suo atto violento era dettato da incomprensione profonda.
L’uomo a cui portai il mio tormento mi trattò come un padre, sorridendomi con tenero affetto:
non ebbe sdegno del mio pentimento accorato, non respinse il mio ricambiato affetto.
Per la sua fine io piango straziato,
mentre l’universo procede tranquillo.

Il cielo che ad est si fa azzurro ha il colore dei tuoi occhi, Albus.
Il sole che già spunta accecante m’abbraccia di raggi e m’inonda di luce. Come facevi tu.
Il giorno che inizia si fa latore di una nuova speranza, come quella in cui fermamente credevi.
E la grande quercia, che con riserbo mi ha accolto, sembra annuire sorniona.

Ho finalmente compreso.

Albus, sei qui.

Mi rialzo, rassetto le vesti ed il nero mantello.
Mi ricompongo: sono ancora pronto alla lotta.
M’incammino a testa alta verso quello che chiamo Signore, a cui mai sarò sottomesso.
Percorro nuovamente lo stretto sentiero, con la colpa pur sempre ancorata al mio animo;
pesa ugualmente ma non mi trascina: la tua presenza m’è forza sufficiente a cui aggrapparmi.

Ti porto con me, Albus. Padre, fratello, amico. 




FINE



Se siete riusciti ad arrivare fino in fondo senza annoiarvi, mi lascereste una piccola recensione? Sono gradite soprattutto le critiche costruttive su questioni stilistiche e di trama.
 
  
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