Please, take me out of here di My Pride (/viewuser.php?uid=39068)
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Please, take me out of here_5
In mia difesa, cosa
c’è da dire?
Tutti gli errori che
abbiamo fatto
devono essere
affrontati oggi.
Non è facile
ora sapere da dove iniziare mentre il mondo che amiamo si distrugge.
- In my defence, Queen -
05. EPILOGUE
› CENTRAL
CITY, 1919
AFTER THE
RAIN
«Il
resto credo che tu lo sappia», conclusi, sentendo
sempre più debole il
ticchettio delle gocce di pioggia contro la finestra, sopraffatto
da
quello dell’orologio a pendolo appeso sulla parete dietro di
noi, accanto ad
una delle librerie.
Edward appariva un po’ rigido,
lì seduto sul divano, ma fu con una certa compostezza che
tornò a fissarmi dritto negli occhi. «Dai racconti
del Tenente
Hawkeye ero preparato
ad una cosa simile, ma... sentirlo fa comunque un certo
effetto», ammise, e
dovetti fargliene atto. Se era scosso quasi quanto me che avevo
raccontato, lo
dava a vedere ben poco. Quel che era certo, era che non era un ragazzo
che
restava impassibile dinanzi a cose del genere, dato ciò che
aveva vissuto sin
da bambino. «Mi parlò dell’obiettivo che
ti
eri prefissato, delle tue intenzioni, persino del tuo voler mettere
fine a
tutte le guerre che logoravano e logorano tuttora Amestris»,
continuò, serrando
i pugni sulle cosce. «Mi ha persino posto il caso che, se il
potere tornasse in
mano al parlamento, le cose non sarebbero più come adesso e
l’istituzione degli
Alchimisti di Stato verrebbe abolita». Si interruppe per una
frazione di
secondo, come se stesse riprendendo fiato; quando
ricominciò, il suo tono
cambiò
e mi sembrò che fosse divenuto basso e sconnesso.
«Se dovesse succedere,
voi non verrete più considerati eroi di guerra, ma dei
comuni assassini di
massa».
Mi meravigliai che Riza
gli avesse detto quelle cose, ma tutto ciò che feci fu
semplicemente annuire. «Questo
lo so».
«E nonostante tu lo sappia...
vuoi
comunque cercare di diventare Comandante Supremo, conscio che
ciò sarebbe
come
suicidarsi? [1]»
mi domandò senza tanti giri di parole
o peli sulla lingua, e non
seppi cosa mi diede la forza di continuare ad osservare quei suoi occhi
dorati,
così infervorati che sembravano ardere come la prima volta
che ci incontrammo.
Potevo benissimo avvertire la
tensione che si era impossessata dei suoi arti, la rabbia che ribolliva
per la
consapevolezza che non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo; vedevo
l’agitazione che lo animava, e mi sembrava di poter
sentire il battito
furioso del suo cuore contro la sua gabbia toracica. Ma per quanti
sforzi facessi per cercare le
parole
adatte, in modo che potessi rassicurarlo, non riuscivo a trovarne
nemmeno una.
«La mia vita non vale
più di
quella delle persone che ho ingiustamente ucciso, Acciaio»,
dissi
infine con un
sospiro; gli sfiorai appena un braccio, sentendolo irrigidirsi prima di
allontanarsi.
«Ma non è neanche
giusto che tu
la sacrifichi in questo modo!» esclamò fuori di
sé, e dovetti sporgermi verso
di lui per poggiargli un dito sulle labbra, nel vano tentativo di
calmarlo ed evitare che le sue urla svegliassero qualche vicino. Me
lo allontanò di scatto, come se non volesse sentir
ragioni, e io sospirai.
«Morire nel tentativo
di rendere Amestris una Nazione pacifica non servirebbe ad espiare le
mie
colpe, questo lo so bene», rimbeccai, vedendo il suo petto
alzarsi ed
abbassarsi a ritmi irregolari, quasi stesse cercando di
tranquillizzarsi
senza successo. «Ma starmene con le mani in mano mentre
queste guerre
continuano, crogiolandomi nelle onorificenze che mi hanno conferito per
quello
che è stato solo un massacro, sarebbe anche peggio. Non
voglio mai più che ciò
che è successo ad Ishvar si ripeta. Mai
più», mi feci un po’
più
vicino a lui,
poggiandogli entrambe le mani sulle spalle prima di farle scivolare
lungo i
suoi
avambracci, fermandomi in prossimità dei polsi e carezzando
appena quello
d’acciaio. «Men che mai voglio che sia tu a
ritrovarti in una carneficina del
genere. Forse potrà sembrarti ingiusto, ma non posso
calpestare l’unico vero
ideale che è rimasto del Roy Mustang che ero stato prima di
quella guerra», ciò
detto, lo lasciai andare, non sentendo necessario aggiungere
qualcos’altro.
Avevo detto ciò che mi ero
sentito di dire, stava a lui, adesso, comportarsi da persona matura e
comprenderlo. Non agivo per un mio tornaconto personale e mai
l’avrei fatto,
e, pur sapendo a cosa andavo incontro, avrei continuato a camminare su
quella strada che io stesso mi ero scelto.
«Sei uno stupido»,
pigolò Acciaio a sguardo chino, come se in quel momento
trovasse molto
più
interessante il pavimento del salotto. «Uno stupido idealista
figlio di puttana»,
soggiunse con lo stesso tono basso ed incrinato, e capii che si
stava
agitando proprio dal modo in cui aveva cominciato a parlare.
«Vedi di
raggiungere il tuo obiettivo senza farti ammazzare e riporta il culo in
salvo, se
non vuoi che sia io a farti fuori».
Nonostante tutto, non potei
fare a meno di sorridere sincero. Anche se il
più delle volte i
suoi modi di fare erano
rozzi e
senza tatto, quello era il suo modo per
far capire quanto
in realtà ci tenesse a me e alla mia incolumità.
Bizzarro, forse, ma non
sarebbe stato Edward Elric, altrimenti. Mi avvicinai ancora un
po’ e gli passai un braccio intorno alle spalle con fare
rassicurante,
poggiandogli un lieve bacio sul capo. Quella era una delle poche -
anzi,
pochissime - cose che potevo permettermi senza che cominciasse a
strepitare, a
ben pensarci. «Farò del mio meglio
perché questo accada», risposi, e mai come
in quel momento le mie parole furono sincere e veritiere.
Edward alzò lo
sguardo per incrociare ancora una volta i miei occhi, ed ebbi appena il
tempo
di scorgere all’interno di quelle polle dorate lo scintillio
di qualcosa prima
che mi fissasse con rabbia, atta a mascherare la sua
preoccupazione. «Lo
spero per te», volle avere l’ultima parola,
concedendosi il lusso di
poggiare il capo contro la mia spalla. In altri momenti non
l’avrebbe mai
fatto, dunque la conversazione l’aveva scosso
particolarmente. Ma non gli
chiesi nulla né dissi niente, lasciando solo che il tempo
facesse il suo corso.
Quando sembrò un po’
più calmo e rassicurato, Acciaio si allontanò,
senza che io lo costringessi a
tornare al mio fianco. Ognuno dei due aveva i suoi spazi e sapevamo
quando
potevamo invaderli. E a me stava bene così.
Controllai distrattamente
l’ora, picchiettandomi le mani sulle cosce prima di alzarmi
in piedi e scoccare
una rapida occhiata al mio compagno. «Si è fatto
abbastanza tardi, ci conviene
andare a riposare».
Acciaio ricambiò il mio
sguardo e adocchiò a propria volta il quadrante
dell’orologio, tornando a guardare me.
«Se vogliamo
arrivare svegli a lavoro ci converrebbe, già»,
sembrò ironizzare,
alzandosi. Mi fece giusto segno di seguirlo con un breve
cenno del
capo, cominciando ad avviarsi da solo verso quella che era ormai
diventata la
nostra camera da letto.
Io mi intrattenni ancora un
po’
lì in salotto, ficcandomi le mani nelle tasche. Abbassai lo
sguardo sui tomi
che avevamo abbandonato sul divano prima che cominciassi quel mio
racconto,
traendo un lungo sospiro e scuotendo subito dopo il capo.
Forse
parlarne con lui era stato come togliersi un peso, ancora non riuscivo
a capire
con certezza come mi sentissi. Probabilmente, la verità era
che
dentro di me sentivo che quella guerra non era finita e mai lo sarebbe
stata.
Ma dovevo solo attendere, ogni singolo giorno,
l’approssimarsi di una nuova alba.
«Non importa quanto
in alto dovrò salire per proteggere le persone che amo.
Con queste mie stesse
mani, seppellendo il passato e tutti i suoi errori, proverò
a costruire il
futuro».
PLEASE, TAKE ME OUT OF HERE
FINE
_Note
conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
In
realtà
non avrei voluto postare questa storia qui su EFP, visto il mio
abbandono del fandom su questo sito. Sto difatti scrivendo per conto
mio, da un po' di tempo, ma questo è un discorso a parte. Ho
deciso di pubblicare soltanto perché ha
partecipato ad un contest, e devo dire che, sebbene non la consideri
uno dei miei lavori migliori, scriverla è stata davvero un
piacere. C'erano momenti in cui restavo incollata al Pc fin quando non
arrivavo ad un punto abbastanza significativo, ed è proprio
per
questo motivo che mi sento piuttosto attaccata a questa storia, quasi
quanto lo fui per la cara e vecchia Stand
by me.
Bando alle ciance e via con le precisazioni, adesso, visto che
è più che doveroso farle: questa storia
è stata
scritta per il contest indetto da Himechan84,
“Queen
Contest”,
e si è classificata, con
mio grandissimo stupore, Seconda
vincendo il Premio
Giuria. Non doveva nemmeno essere
così, lo ammetto
spudoratamente.
Al principio lo svolgimento che avrebbe dovuto seguire era ben altro,
ma non mi convinceva per niente e ogni volta che aprivo il file che
conteneva quell'orrore mi veniva voglia di cestinarlo. E'
così, dunque, che è nata la versione che avete
appena
finito di leggere. E, ad essere sincera, mi convince molto di
più della prima stesura.
Passiamo adesso a qualche spiegazione: il
titolo della storia trae origine da una doujinshi di
Ninekoks che adoro, il cui nome completo è “Hana
to Tekka”, ovvero “Fiori
e spari”. Ho scelto poi di stendere
la
storia in questo modo perché in un momento di follia, dovuto
forse al trenta
dicembre - momento in cui mi sono resa conto che la storia poteva dare
di più e
che sarebbe dunque stato meglio ripartire da zero - mi è
tornata in mente la
stesura di “Intervista con vampiro” di Anne Rice.
Ho dunque fatto in modo che
la storia venisse raccontata da Roy, senza che si trattasse di uno
svolgimento
sul momento ma più che altro di una specie di flashback.
La narrazione di Roy si
colloca durante il volume quindici, dove viene raccontato il massacro
di
Ishvar, per l'appunto, e nel capitolo quattro si
chiude poi, più o meno, con la
side story non
presente nel manga, “His battlefield continue”.
Come fosse iniziata la
relazione fra Edward e Roy non l'ho ritenuto importante ai fini della
storia
ma, in tal caso, potrebbe anche collocarsi in un momento indefinito tra
“One
day, who knows [For now, nothing else matters]” o
dopo “Strange
Love
Story [Il nostro inizio]” presente nella raccolta
“Heart
Burst
Into Fire”.
Non ho altro da dire, adesso, dato che credo d'aver detto tutto
ciò che era necessario. Grazie infinite ai commentatori, a
chiunque abbia letto o solo seguito,
e grazie ad Hime per aver indetto il contest. ♥
Qui di seguito il commento della giudice:
- Grammatica e
sintassi: 10/10
- Originalità: 9,5/10
- Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
- Stile: 10/10
- Gradimento personale: 5/5
- Utilizzo della citazione: 5/5
- Totale: 49,5/50
Punto primo: io odio il pc. Voglio dire, ti avevo
scritto una
recensione-valutazione-papiro, entusiasta, scritta a caldo subito dopo
aver letto sia la tua fic per il contest, sia Zankyou,
Kieru Made, per
capire di più sul massacro di Ishvar, la salvo tutta
soddisfatta, e quando oggi vado a riaprire il documento…
puff
scomparsa nel nulla. Cercherò
allora di
rimettere in fila le sensazioni che la tua splendida storia mi ha dato,
ma non sarà semplice. Innanzitutto è stato molto
toccante
leggere di un Roy così intimo, privato, nel suo rievocare
quella
che in realtà non è stata una guerra, ma un vero
e
proprio massacro civile, un racconto intenso, incalzante, anche se
fortunatamente la tensione a tratti viene smorzata da quel fagiolino
biondo (termine che ho letteralmente adorato, e a proposito, non so
perché ma le chiacchierate tra Roy e Ed hanno qualcosa di
così pacifico e rilassante che danno davvero un senso di
quiete
e tranquillità). Un racconto dalle tinte drammatiche, ben
documentato e ben scritto, straordinariamente universale purtroppo per
qualunque conflitto: hai descritto un Roy splendido, profondamente
tormentato dal dover eseguire gli ordini ad ogni costo, dal rimorso
dell’Alchimista di Fuoco di utilizzare il proprio potere per
uno
scopo nefando, e nonostante tutto la speranza e il conforto che Ed gli
da e che gli permettono, malgrado gli errori terribili del passato di
cui si è macchiato, di costruire il proprio futuro,
nonostante
la sua guerra personale, la guerra con il proprio animo con i propri
tormenti interiori e con le proprie angosce non si sia mai placata.
Inutile che ti dica quanto il tuo stile mi piace: in ogni cosa che
scrivi si sente la cura dei dettagli, dei particolari, e ogni
personaggio è vivo e reale. Sono contenta che in un certo
senso
questo contest ti abbia spronato a tornare a scrivere, credo che tu sia
una delle autrici più in gamba che abbia letto in Efp.
I miei complimenti cara!
SECONDA CLASSIFICATA CON PREMIO
GIURIA
[1]
Questa non
è esattamente una citazione tratta dal manga,
ma è il richiamo
ad un discorso avvenuto in esso tra Edward e Riza.
Più precisamente si tratta
del volume sedici, capitolo sessantadue: “Al di là
del sogno”.
Messaggio
No
Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
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