Apparenze

di Dian87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il bando ***
Capitolo 2: *** 2. Di amici vicini e lontani ***
Capitolo 3: *** 3. Ricordi di un amico ***
Capitolo 4: *** 4. La partenza ***
Capitolo 5: *** 5. Tarocchi ***
Capitolo 6: *** 6. La danza delle fate ***
Capitolo 7: *** 7. Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** 8. La tomba ***
Capitolo 9: *** 9. La Terra dei Felici ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***
Capitolo 11: *** Note ***



Capitolo 1
*** 1. Il bando ***


Copertina di

 1. Il bando

«Per regio decreto si informa la popolazione che è stata bandita la caccia alla strega degli Acquitrini Neri. Chiunque porterà a compimento la missione e rimuoverà il pericolo sarà insignito del titolo di cavaliere e gli sarà donata una tenuta ad Alto Passo.»

Sollevò gli occhi dalla strada, con il paniere in braccio ed un lieve sorriso in volto.

«Non vi è limite di tempo, ma il nostro amato sovrano gradirebbe molto che il problema venisse risolto entro il ciclo di due lune nuove a partire dalla festa del raccolto.» terminò il banditore.

Scosse piano la testa e continuò il proprio cammino, spostando una ciocca di capelli rossi dagli occhi. Lo sguardo verde si spostò tra le case di pietra e legno fino ad individuare l'insegna legnosa che rappresentava un'incudine.

Il ritmico martellare iniziò a farsi sentire sommesso, sostituito di tanto in tanto da uno sfrigolio, e aumentava di volume man mano i suoi passi la portavano verso la fucina del paese. Osservò la casa dal primo piano di pietra, affiancata da un'altra costruzione più bassa da cui si sollevava un comignolo con un serpente bianco che si snodava in cielo.

Si avvicinò alla porta e bussò, prima di aprirla con la mano libera.

«Sta' lì, Amelia.» le intimò una voce maschile.

La giovane si fermò, osservando tranquilla l'interno. Il fuoco divampava nella fornace dall'altro lato della struttura e un uomo nerboruto si trovava in un triangolo formato da fornace, incudine e barile.

Si soffermò con lo sguardo sull'uomo, i cui capelli mori erano incollati al cranio dal sudore, nonostante indossasse solo una corta tunica di lino sormontata da un pesante grembiule di cuoio. Rimase ad osservare il martello che si sollevava e calava poi verso il pezzo di metallo, appiattendolo, ma dalla sua posizione non riusciva a definire cosa fosse. L'uomo osservò serio il suo lavoro e quindi lo infilò nel barile, da cui si levò una piccola nube bianca accompagnata da uno sfrigolio. Si assicurò che le pinze fossero in una buona posizione prima di portare lo sguardo sulla donna.

«Cosa ti serviva?» indagò, senza nemmeno spostare lo sguardo su di lei.

Amelia prese il paniere con entrambe le mani, appoggiandosi con la spalla alla porta.

«È arrivato un banditore...» iniziò la giovane.

«E allora?» l'interruppe bruscamente.

«Il re ha dichiarato guerra alla strega degli Acquitrini Neri.» riprese, appoggiando la testa alla porta. «Offre una tenuta ed il cavalierato a chi risolverà il problema.»

L'uomo inarcò un sopracciglio.

«E tu che vorresti fare?» sottolineò il pronome, con il sarcasmo che si spandeva nell'aria. «Cucinarle dolcetti finché non se ne va?»

Le labbra di Amelia divennero sottili e lo sguardo si fece più gelido.

«Sei un deficiente.» la collera pervase il tono della donna, che si voltò e iniziò ad allontanarsi a piè sospinto. «Saresti dovuto restare indietro tu, non Cosimo.» sibilò Amelia, ormai lontana dalle orecchie del fabbro.

L'uomo la osservò con un sospiro e quindi scosse la testa, tornando al suo lavoro.


 

***


 

Amelia non controllava i propri passi nel suo allontanamento dalla casa del fabbro e quando decise di guardarsi nuovamente attorno si trovò davanti un tronco rugoso i cui rami si chinavano a nascondere chiunque cercasse un po' di riservatezza.

Spostò i capelli dietro alla schiena e si andò a sedere tra le radici del salice, appoggiando il paniere dinnanzi a sé, lo sguardo mesto che aveva sostituito da poco quello irato.

«Sei un idiota...» sussurrò la giovane, portando la mano sul viso. «Perché sei voluto restare indietro? Perché non sei venuto con tutti noi?»

Si passò la mano sul viso e sospirò, scuotendo piano la testa.

«Può essere l'occasione di vendicarti...» le labbra appena si schiusero in quell'ultimo sussurro.

«Vendicare... chi?»

La voce maschile la colse di sorpresa e la donna saltò in piedi, rovesciando il paniere e disperdendo i pani sull'erba. Lo sguardo corse a destra e a manca, non riuscendo a vedere colui cui apparteneva quella voce che aveva di già conosciuto. Delle mani calarono sui suoi occhi e la tirarono all'indietro, facendola battere con la schiena contro un petto mentre la testa veniva appoggiata ad una spalla.

«Come mai con la testa tra le nuvole?» chiese ancora la voce, quasi in un sussurro al suo orecchio. «Hai l'ispirazione per una nuova canzone?»

Amelia si concesse un lieve sorriso ed un sospiro di sollievo, rilassandosi appena.

«Ora puoi lasciarmi andare, Ferdinando... quante volte mi avresti già ucciso?» ridacchiò la ragazza, voltandosi verso l'uomo e appoggiando le mani sul suo petto.

L'uomo la lasciò voltare e Amelia sollevò lo sguardo su di lui, posando la mano sul suo petto.

«Hai sentito il banditore?» gli chiese.

«Non ho potuto farne a meno.» rispose lui, circondandole le spalle con le sue braccia, ma lo sguardo si oscurò ed il tono divenne più grave. «Non dirmi che hai intenzione di rispondere...»

Un semplice cenno col capo confermò il timore di lui, che sospirò.

«Come hai intenzione di cavartela contro La Strega?» indagò, serio e fissando lo sguardo scuro negli occhi di lei. «Amelia, stiamo parlando di una strega! Come puoi sperare di sconfiggerla?»

Lei fece un tenue sorriso, portando l'altra mano ad accarezzargli la guancia barbuta a stento coperta dai capelli mori che gli cadevano ai lati coperti dalla cuffia.

«Ho i miei mezzi...»

Ferdinando la fissò, l'espressione che sembrava così serena, come se stesse soltanto per fare un viaggio di piacere e non... trattenne un timore nel pensare cosa le sarebbe potuto accadere.

«Ho qualche speranza di dissuaderti?» le chiese soltanto.

Amelia scosse il capo. La mano di lui andò ad accarezzarle il capo infuocato

«Spero che la tua vendetta ne valga la pena, ma sappi che non ti lascerò sola.» terminò.

«Grazie...» sussurrò Amelia, appoggiandosi a lui.

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Capitolo 2
*** 2. Di amici vicini e lontani ***


2. Di amici vicini e lontani

Amelia sollevò il coperchio della cassapanca, silenziosa. La fiamma danzava sulla candela appoggiata al tavolo, illuminando il contenuto avvolto da una stoffa rossastra. Le dita della donna scivolarono nostalgiche sulla fodera rossa, prima di stringere un manico.

Si rialzò con l'oggetto in mano e richiuse la cassapanca, sedendosi sopra. Con delicatezza rimosse dalla fodera un liuto e se lo sistemò in grembo, accarezzando con lo sguardo le linee morbide. Un lieve sorriso tirato si fece largo sul suo volto mentre iniziava a pizzicare le corde e ad accordarlo e soltanto quando fu certa di averlo sistemato si decise ad intonare alcune note.

«Cos'è successo, tu lo sai?
Dove sei finito?
cosa fai? Tu lo sai?» iniziò a cantare.
«Chi può dire quanto
ci manchi sai? Tu lo sai? Cosa fai?
Fuggimmo assieme,
ma tu indietro...» 1

Un colpo sordo la fece sobbalzare, bloccando le corde con l'intero palmo, e spostò lo sguardo verso la finestra. L'imposta di legno stava cigolando come se l'intera casa sospirasse e Amelia si alzò, tenendo il liuto per il manico. Si avvicinò alla finestra a passi lenti, posando con cautela i piedi, ma lo sguardo corse nello stralcio di panorama notturno che riusciva a vedere.

Gli alberi coprivano buona parte del cielo e qualche stella sembrava esser caduta in terra, ma la giovane sapeva che erano solo le candele che filtravano dalle imposte delle altre case.

Un'ombra veloce sgusciò sotto il suo sguardo e la giovane perse la cautela, fiondandosi alla finestra e spalancando la finestra. L'ombra scivolò silenziosa per le ampie vie e Amelia scavalcò il davanzale, prendendo a rincorrerla.

«Dal gelo dell'inverno, lo senti come chiama?» canticchiò un motivetto che ricordava qualche aria dei canti montani, correndo e tendendo il palmo aperto verso l'ombra. «È il ghiaccio che si forma. Dal gelo dei monti, lo sai cosa c'è? Si forma sotto di te.»

Una scarica d'energia la pervase, concentrandosi sulla sua mano e da lì una piccola palla candida si formò, scattando poi un po' avanti dell'ombra. Nonostante la calda notte estiva, la luce della luna venne riflessa da un piccolo disco di ghiaccio, che ben presto si allargò silenziosamente fino a formare una lastra di due metri di diametro.

Amelia vide l'ombra scivolare ed incespicare, allargando le braccia e sbilanciandosi avanti ed indietro alla ricerca di un punto ruvido sul quale riprendersi e la giovane aggirò il disco mentre questi finiva al suolo. Lei puntò lo sguardo ed un dito contro la figura, ma sentiva rimbombare il cuore nelle orecchie e un brivido freddo le percorse la schiena.

«Alzate le mani e non azzardatevi a far nessun'altra mossa.» sibilò la giovane, con lo sguardo di ghiaccio mentre l'aria fresca le accarezzava le gambe coperte dai pantaloni con un ampio spacco.

La figura sollevò appena il capo, facendo scivolare appena il cappuccio all'indietro. La luce della luna accarezzò i lineamenti lisci e puliti di un naso che sormontava una bocca stretta in una smorfia e circondata da un corto pizzetto che seguiva la linea dura della mascella fino alle basette, lo sguardo di Amelia tentennò prima di sollevarsi ad incrociare gli occhi dell'uomo.

«Cosimo?» la parola le si strozzò in gola ed indietreggiò di un passo.

Lo sguardo fermo dell'uomo scrutò il suo viso, quindi si rialzò e, calcatosi nuovamente il cappuccio in viso, prese a correre verso la propria sinistra. Amelia non riuscì a muovere un muscolo, osservando l'uomo ammantato correre via nella notte e confondersi tra le tenebre. Un gufo fece echeggiare il suo verso nel silenzio della notte, rompendo quello strano silenzio che si era formato.

Un brivido fece destare Amelia dal torpore nel quale era precipitata e si strinse le braccia tra le mani, abbracciando il liuto.

«Cos'è successo?» mormorò, facendo muovere i suoi passi verso una casa.

La mente era in subbuglio... come poteva essere Cosimo? Come poteva averlo riconosciuto se l'ultima volta che l'aveva visto era poco più di un bambino? Dov'era stato tutto quel tempo? Che la Strega l'avesse soggiogato? Per fare cosa?

Non stava facendo caso a dove stava andando e solo quando i suoi occhi incontrarono il legno di una porta si decise a fare attenzione a dove fosse finita. Strinse appena le labbra e si decise a bussare non troppo forte.

«Chi è?» domandò una voce dal piano superiore, mentre una finestra si socchiudeva.

«Ferdinando, sono io...» rispose Amelia, sollevando lo sguardo e stringendosi ancora il braccio destro con l'altra mano. «posso entrare?»

Non ottenne altra risposta che il chiudersi della finestra ed il soffocato rumore di passi. Spostò lo sguardo a destra e a manca, guardando senza particolare interesse le case che erano dormienti e qualcuna delle luci che aveva visto in precedenza si era spenta.

Non riusciva a capacitarsi di quanto aveva visto e ben ricordava gli eventi di quel giorno.

La porta si aprì dolcemente e la calda ma tenue luce di una candela l'investì. Sollevò lo sguardo verso l'uomo, notando che indossava una pesante vestaglia ed il suo sguardo era preoccupato, ma l'unica cosa che fece fu abbracciarlo, nascondendo il viso contro la sua spalla.

«Am... cosa?» commentò, sorpreso e allontanando da lei la candela in modo che i capelli dello stesso colore della fiamma non venissero bruciati.

Ferdinando sentì le spalle della ragazza sussultare e posò un bacio sulla sua testa.

«Vieni, sembra che tua abbia visto un fantasma...» continuò, cingendole il braccio con le spalle e trascinandola all'interno mentre con un colpo ben assestato del tallone chiudeva la porta.

Amelia si fece guidare all'interno e non si oppose quando l'uomo la fece accomodare su una panca, avendo l'unica accortezza di spostarsi un cuscino. Ferdinando andò al camino e utilizzò la candela per accendevi il fuoco, poi Amelia lo guardò versare l'acqua in un pentolino che poi appese ad un gancio sopra le fiamme, in modo che potesse scaldarsi. Lui mise in infusione una manciata di erbe e quindi tornò a sedersi accanto a lei.

«Spiegami cos'è successo...» il tono era invitante, con un lieve sorriso in volto, ma una lunga ruga solcava la sua fronte.

«Cosimo...» tentennò Amelia.

Ferdinando attese un attimo affinché lei potesse continuare, ma nessuna parola seguì quel nome.

«Ti ho già detto che avresti avuto il mio aiuto.» la rassicurò. «Non ho intenzione di venir meno alla parola data, non c'è bisogno di reagire così...» un lieve sorriso si fece maggiormente strada sul suo volto. «ormai mi conosci.»

Amelia scosse piano la testa e mosse la mano verso quella di lui, stringendogliela delicatamente.

«L'ho visto... era qui...» rivelò, con un tono assolutamente piatto.

Ferdinando fece un sospiro. «Raccontami tutto dall'inizio e non tralasciare nulla...»

«Tutto avvenne nove anni fa...»





Nota dell'Autrice:
E qui iniziano le note... cosa che nella versione per il contest "Portali" ho messo alla fine per fluidità di narrazione.
Nel corso dei capitoli metterò giusto le note dedicate alle musiche, che non saranno poche rispetto alla lunghezza, ma altre che scoprirete più avanti saranno raccolte in un capitolo dal nome molto originale... "Note"... che concluderà il cammino assieme ^_^
Intanto la nota numero 1 è dedicata alla canzone. Si tratta di "Only Time" di Enya che potete trovare a questo link
Sperando che il capitolo via abbia incuriosito... alla prossima

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Capitolo 3
*** 3. Ricordi di un amico ***


3. Ricordi di un amico

Eravamo un gruppo di cinque amici, allora: io, Cosimo, Ferruccio, Alboino e Cangrande.

Spesso e volentieri ci sfidavamo in prove di coraggio o di abilità ma non c'era mai un solo vincitore. Un giorno Cosimo se ne uscì con una prova che nessuno aveva mai preso in considerazione.

«Andiamo a bussare alla strega.» esordì. «L'ultimo che scappa è il più coraggioso.»

Lo guardammo tutti perplessi e, in un certo senso, intimoriti: finora non ci eravamo mai allontanati più di tanto dal villaggio e raggiungere gli Acquitrini Neri significava camminare per tre giorni in mezzo al bosco.

 

«E i vostri genitori non avrebbero obiettato?» chiese Ferdinando.

«Non particolarmente, ma non erano le cinghiate ciò che temevamo di più.»

 

«E come ci arriviamo prima che cali la notte?» chiese Alboino, nel suo sguardo potevo già vedere la paura.

«Non oggi, dai... dobbiamo prepararci.» ci trascinò Cosimo. «Amelia prenderà qualche focaccia, Ferruccio dei coltelli e voi le cose per dormire fuori.»

I suoi occhi scuri sprizzavano gioia e felicità mentre tentava di comandarci a bacchetta.

Spostai lo sguardo sui fratelli Alboino e Cangrande, vedendo senza problemi gli occhi azzurri e sbarrati del primo, mentre quelli del medesimo colore del fratello minore erano puntati a terra.

«Cosimo, tu che farai?» gli chiesi. «Sai che se Ferruccio fa quello che gli chiedi non avrà solo qualche cinghiata di punizione, vero?»

Lui si mise a ridere e scosse la testa.

«Sei spaventata come tutte le ragazzine.» mi accusò.

«Ho solo buon senso...» fu la mia risposta tra i denti.

«Va bene, va bene... niente coltelli... sei contenta?» stabilì, condiscendente.

Ne parlammo ancora per qualche giorno, ma alla fin fine ci convincemmo tutti e cominciammo ad essere eccitati all'idea della spedizione.

Finalmente arrivò il giorno della partenza, tre giorni prima del solstizio d'estate.

 

«È importante il giorno?» chiese Ferdinando, alzandosi per controllare la tisana e ne versò un po' in una tazza che passò ad Amelia. «Attenta, è bollente.»

«È la chiave di tutto...» rispose lei , iniziando a scaldarsi le mani.

 

Alla partenza non mancava nessuno, ognuno aveva uno zaino con le cose che gli servivano e io avevo avvisato i miei genitori che sarei andata con gli amici un po' di tempo per non farli preoccupare.

Cosimo apriva sempre la strada e dopo due giorni di cammino e bivacco finalmente giungemmo al limitare del bosco.

Ricordo chiaramente lo spettacolo quando raggiungemmo l'ultimo albero, dinnanzi a noi si stendeva quella che sembrava una radura con numerosi laghetti. Mi attardai ad osservare i ciuffi d'erba che emergevano dalle zolle che sembravano navigare sull'acqua e qualche brandello asciutto in mezzo al nulla.

«Ora che si fa?» chiese Ferruccio.

«Andiamo a cercare la Strega.» rispose Cosimo con decisione.

«Cosimo, tra un po' sarà buio...» il tentennare di Alboino ci fece spostare lo sguardo verso il sole che stava tramontando. «E questa è la notte del solstizio, andiamoci domani.»

Ma Cosimo non volle attendere: lui conosceva la strada, lui sapeva tutto, persino dove si trovava la casa. Ne parlò così tanto e con tale sicurezza che ci facemmo coraggio e lo seguimmo attraverso l'acquitrino. I nostri passi iniziarono a sprofondare quasi subito e delle lucciole vennero a farci compagnia.

«Che viglessi stvani.» commentò Cangrande.

 

«Viflessi stvani?» chiese, perplesso, Ferdinando.

«Aveva la erre moscia, non sono mai riuscita a replicare la parlata.» rispose lei, sorseggiando in seguito la tisana.

Il calore la rinfrancò un po' e l'aiutò a continuare il racconto.

 

Anch'io guardai nell'acqua e quello che vidi non furono solo le lucciole, ma luci che che potremmo associare ai fuochi fatui.

«Non guardateli.» ammonii gli altri. «Dicono che i fuochi fatui catturino le anime degli sventurati che li ammirano e li facciano affogare.»

Che fosse la realtà o le storie dei nostri genitori per tenerci a casa la sera, non volevamo sicuramente saperlo. Cangrande si tirò subito indietro e continuammo ad avanzare mentre l'acqua arrivava fino alle caviglie. Sollevare la gamba, portarla avanti, trovare un altro punto... tutto ciò rendeva lento e faticoso il nostro cammino.

«Ecco la casa.» disse Cosimo.

Tutti alzammo gli occhi: in mezzo alla nebbia che si stava levando nel buio della sera si intravedevano le finestre illuminate di una casa. Ciò ci rinfrancò lo spirito e la fatica ci lasciò, sostituita dall'entusiasmo. Alboino diede di gomito a Ferruccio, che stava sorridendo e finalmente riuscimmo a rimettere i piedi sul terreno solido.

 

Amelia prese un altro sorso della tisana e Ferdinando le coprì la mano con la sua, in attesa di sapere.

 

Ci acquattammo, strisciando nel terreno fangoso, ma una volta lì non sentimmo alcun rumore. Cosimo si affacciò e poi si chinò di nuovo, scuotendo il capo.

«Non è in casa.» sussurrò, spostando lo sguardo nell'acquitrino avvolto nella notte.

«Quindi possiamo tornare indietro?» chiese Alboino, stringendo con un braccio le spalle del fratello seduto.

Un lieve mormorio iniziò a pervadere l'aria e ci tendemmo per provare a spiare il retro. Cosimo fu il primo ad affacciarsi, ma lo seguii un attimo dopo. Una lieve collina ci impediva di vedere direttamente oltre, per questo fui la prima a strisciare lungo il rialzo.

Sollevai un po' la testa e vidi non una, ma tre vecchie addobbate di stracci in cerchio, in mezzo vi era un braciere e stavano tenendo le braccia sollevate, salmodiando in una lingua sconosciuta. Una luce si sollevò dal braciere e saltò tra di loro, girando attorno ciascuno.

Una delle tre gettò qualcosa sul braciere e si levò una fiammata seguita da una densa nube arancione.

«Tulevat meidän välillämme, Athelwulf, sielunne ovat vanginneet keijuja ja kehon piilee ajaton valtakunnassa pitkä palata.» recitarono le streghe. «Sillä tyttö, kypsä ja vanha, voi mennä keskuudessamme ennen vuoden ja yhden päivän pitäisi päättyy.»

La luce iniziò ad allungarsi, diventando simile ad un bastone che roteava attorno a loro in giri sempre più ampi. Ad un certo punto sbucò dalla nostra parte del rialzo e mi sfiorò.

 

«Non credo potrò mai dimenticare quel momento, sai?» le mani di Amelia stavano tremando e Ferdinando la strinse più forte a sé. «Come se un fulmine ti colpisse più volte... credo che questo possa essere un paragone adatto.»

«Non pensarci, cos'avvenne dopo?» la spronò lui.

 

Il bagliore tornò al centro del cerchio.

«Bydd fy alltudiaeth yn para llai na blwyddyn a diwrnod?» una voce sembrò giungere dal bagliore che stava assumendo forma umana. «Boed i'r duwiau yn llesiannol gyda chi!»

In quel momento sentii un grido strozzato e vidi Cangrande con la bocca spalancata che osservava le tre megere. Queste sollevarono lo sguardo verso di lui, mentre la luce svaniva lentamente.

«Mennä, poika, ei ole turvallista sinulle.» strillò una di loro verso Cangrande.

Tremai, il tono era davvero arrabbiato e quella mano secca che puntò contro il ragazzino non presagiva nulla di buono. Scivolai giù dalla collinetta mentre Alboino trascinava via il fratello, poi tutti cominciammo a correre verso il luogo da cui eravamo arrivati. Mi voltai e vidi che Cosimo si era fermato ad aiutare Ferruccio a rialzarsi e ripartire.

«Cosimo, muoviti!» gli gridai dietro, prima di voltarmi a correre via.

Nella fuga raramente mi voltai a guardare indietro. Cangrande prese un'altra strada e mi sembrò riuscire a fuggire anche se poco dopo affondò nell'acquitrino e in un attimo sparì dalla nostra vista. Cosimo rimase indietro un attimo dopo, svanendo nella notte.

In tre raggiungemmo la foresta, accasciandoci tra gli alberi, ma non era ancora finita.

 

«Cos'altro doveva capitare?» la voce di Ferdinando era un sussurro.

«Un aiuto insperato...»

 

Troppo stanchi per proseguire, come detto, crollammo senza nemmeno preparare un campo. Eravamo certi che a Cosimo sarebbero successe cose terribili, mentre nessuno era in dubbio sul fato di Cangrande. Alboino era distrutto e piangeva senza ritegno, ma era l'unico che non era troppo infangato.

Una lieve musica, delicata come una ninna nanna, si fece strada nel bosco e tutti alzammo lo sguardo: un alone luminoso si stava muovendo tra gli alberi.

La luce si faceva sempre più vicina e potemmo capire di cosa si trattasse solo quando fu vicina. Dodici figure alte due palmi e dotate di ali come quelle delle libellule si stavano avvicinando cantando assieme, di queste una si fece avanti, osservando Alboino.

«Cosa ci fai qui, giovin fanciullo?» gli chiese, delicata.

«Mio... mio fratello...» singhiozzò.

«Povera creatura, vieni con noi, ti aiuteremo a trovarlo.» disse la figura.

«Vengo anch'io.» propose Ferruccio.

La creatura parve non sentirlo e potei osservarla al massimo del suo splendore: i lunghi capelli biondi che scendevano lungo la schiena, gli occhi ferini color del ghiaccio ed il corpo sinuoso ed aggraziato era coperto da un vestito diafano pieno di decori dorati.

Una vocina dentro di me, però, mi gridava di fare attenzione.

Alboino tese la mano alla creatura.

«Andiamo a cercare tuo fratello.» concluse la creatura, mentre le altre li circondavano e si allontanarono tutti assieme.

Quella fu l'ultima volta che vedemmo Alboino.

 

La tisana era fredda nelle mani di Amelia e Ferdinando non riusciva a trovare nulla da dire. La abbracciò, stringendole la testa sulla spalla.

«Credi che l'abbiano aiutato?» chiese Ferdinando.

«Non è questo il compito delle fate?» rispose Amelia, cercando di fare un lieve sorriso. «Non li vedemmo più, ma credo che siano andati a vivere da un'altra parte, la loro famiglia era molto difficile.»

Ferdinando annuì.

«Quando vuoi partire?» le chiese.

«La festa del raccolto sarà tra due settimane.» rispose Amelia. «Non possiamo partire al più tardi di tre giorni da oggi.» fece un sospiro, sollevando lo sguardo verso di lui. «Sei sempre certo di volermi accompagnare?»

Ferdinando annuì, con un lieve sorriso in volto e portando la mano ad accarezzarle i capelli.

«Non potrei mai farti affrontare un pericolo del genere da sola.» le confermò per l'ennesima volta. «Dimmi ora cosa dobbiamo fare.»




 

 

 

Nota dell'Autrice:

vi ringrazio per non esservi bloccati alle prime parole in varie lingue straniere. Vi prometto che come ultimo capitolo troverete tutte le traduzioni divise per capitolo ^_^

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Capitolo 4
*** 4. La partenza ***


4. La partenza


Il giorno della partenza trovò Amelia in fermento fin dalle prime luci dell'alba. La giovane aveva preparato uno zaino che ora riposava accanto alla porta, ben chiuso ed avvolto in una tela cerata, al fianco di questa si trovava anche la fodera che conteneva il liuto.

«Se dovete fare nuovo pane, assicuratevi che il forno sia ben caldo.» stava istruendo la voce sicura di Amelia. «Non aggiungete cose strane, deve restare il più semplice possibile.»

«Tornerete?» chiese una voce più roca.

Amelia fece un sospiro, appoggiandosi con il fianco al tavolaccio imbiancato dalla farina.

«Lo spero, donna Giovanna.» rispose lei, osservando la tarchiata vecchietta i cui capelli bianchi erano nascosti sotto un velo.

«Ma cosa vi è saltato in mente, figliola?» indagò. «Avete una buona attività e un buon partito, senza contare quelli che avete rifiutato, per cosa volete rischiare?»

«È un vecchio conto in sospeso...» rispose, evasiva. «Abbiate cura di tutto fino al mio ritorno.»

«Non capirò mai voi giovani...» bofonchiò la vecchia, scuotendo il capo.

Amelia accennò ad un sorriso, staccandosi dal tavolo per raggiungere l'ingresso. Iniziò a caricarsi lo zaino in spalla sotto allo sguardo serio della donna che scuoteva di tanto in tanto il capo. La vecchia iniziò a frugarsi nel grembiule.
«Portate almeno questo con voi.» la invitò, estraendo da una delle numerose tasche un ferro di cavallo. «L'ho fatto benedire al tempio di Calidona.»

La giovane prese il talismano con un sospiro e lo infilò in una tasca laterale, dopo si controllò per essere sicura di essere in ordine: i pantaloni con gli ampi spacchi non erano sporchi, come invece il fianco del gilet di pelle che lasciava intravedere una camicia bianca di lino. Si diede qualche pacca sul fianco prima di fare un sorriso a donna Giovanna e aprire la porta.

«Perché non chiedete dei cavalli?» le chiese l'anziana, accompagnandola all'esterno.

«Di certo potete permetterveli.»

«Non è un terreno adatto a loro.» spiegò con calma, mentre il sole le baciava i capelli, facendo brillare il loro rosso. «Quanti si saranno incamminati senza saperne nulla?»

«A sufficienza perché non dobbiate andarci anche voi.» mugugnò la donna, scuotendo il capo.

Amelia si guardò attorno e gli occhi individuarono Ferdinando che si stava avvicinando. L'uomo indossava un corpetto di cuoio spesso e al fianco aveva una spada che colpiva ritmicamente i cosciali di pelle conciata.

«Se tra due mesi non sarò di ritorno, considerate vostro il forno per sempre.» prese congedo Amelia, dirigendosi verso l'uomo.

«Dovete essere impazziti...» borbottò donna Giovanna. «vedete di farla tornare intera.» intimò al giovane, puntando contro di lui un dito rachitico. «O gli dei vi puniranno.»

Ferdinando annuì gravemente alle parole della vecchia e, mentre questa si allontanava bofonchiando qualcosa contro i giovani, portò lo sguardo su Amelia, osservando il suo equipaggiamento.

«Non hai un'arma?» le chiese, sorpreso.

«No, m'intralciano soltanto.» fu la sua risposta dopo aver scosso lievemente il capo.

«Ho altri mezzi per combattere.»

Amelia lanciò un'occhiata alla fucina dormiente nella prima mattinata e un angolo della bocca si piegò in una smorfia di delusione, poi tornò ad osservare Ferdinando il cui zaino faceva capolino da dietro le spalle.

«Siamo sicuri di avere tutto?» le chiese.

«Sì, è meglio se ci mettiamo subito in marcia.» iniziò ad incamminarsi verso i cancelli del paese, affiancata dall'uomo.

«Perché dobbiamo andare a piedi? Faremmo prima a cavallo!»

Amelia sospirò. «Non è un posto per cavalli... come pensi passerebbero tra la boscaglia? E una volta all'acquitrino?» sbuffò. «Sfrutteremo le carovane in viaggio per essere al sicuro.»

Ferdinando osservò le prime persone che si stavano dirigendo ai loro abituali banchi nel mercato, mentre il macellaio apriva le imposte della sua bottega, mostrando diversi tagli di carne appesi ai ganci. Spostò quindi lo sguardo in avanti ai cancelli formati da vecchi tronchi inchiodati l'uno all'altro e sostenuti da due torrette di guardia lignee.

Una guardia era appoggiata pigramente al tronco che faceva da balaustra, il cui elmo che ricordava un cappello a tesa larga era inclinato in avanti, quella dell'altra torretta, invece, si stava fregando le mani e non appena udì dei passi in avvicinamento si voltò a guardare di sotto.

«Ehi, voi, mattinieri!» esclamò la guardia, in tono allegro.

L'altra guardia sobbalzò, mentre l'elmo scivolava a coprirgli il naso e, alla cieca, impugnò l'arco ed una freccia al contrario.

«Eh? Cavalieri?» esclamò questi.

«Dormi pure, Goffredo: sono solo Amelia e Ferdinando.» rispose la prima che aveva parlato, rivolgendosi poi ai due viandanti. «Qual buon vento vi porta?»

«Rispondiamo al bando.» rispose Ferdinando, anticipando Amelia e facendole un cenno con la mano per dirle di calmarsi. «Ma dubito faremo molta strada.»

La guardia sogghignò. «Buona uscita... ieri mi è sembrato di intravedere qualche carro a nord, se vi sbrigate forse riuscirete a farvi raggiungere ed avere un passaggio.»

«Grazie.» rispose soltanto Ferdinando, con un lieve sorriso in volto.

L'uomo spinse il cancello non bloccato dall'asse e fece passare Amelia prima d'infilarsi lui stesso e richiudere il portone. Fecero un cenno di saluto alle sentinelle, prima d'incamminarsi.

«Perché non mi hai lasciato rispondere?» si lamentò Amelia, prendendo il sentiero che portava alla grande strada sterrata che collegava i paesi meridionali e settentrionali.

«Conosco Jacopino,» rispose lui, «avrebbe voluto unirsi e sarebbe stato lento e senza equipaggiamento.» scrollò lievemente le spalle. «Così quando capirà che non abbiamo intenzione di tornare presto non ci potrà raggiungere.» guardò Amelia da sopra la spalla. «Non era questo che volevi? Andare da sola?»

«Non mi sembra di star parlando col vento...» ribatté lei, piccata.

La strada proseguì in silenzio per molto tempo. I due non si attardavano ad osservare il bosco né il loro passe cedeva, ma ognuno era preso dai propri pensieri.

Il sole raggiunse il suo culmine ed i giovani si fermarono al lato della strada. Amelia iniziò a liberare un piccolo spiazzo mentre Ferdinando andava a cercare della legna, ma ben presto il suo lavoro fu interrotto da uno scalpiccio. La giovane alzò lo sguardo vedendo un carro coperto trainato da una copia di poderosi cavalli bai, guardò verso la cassetta e vide un basso ometto con vestiti multicolori.

«Buon giorno, giovinetta.» salutò con abbastanza sputi che scappavano dalla bocca marcia. «Possiamo sfruttare il vostro campo?»

Amelia rimase senza parole, presa di sprovvista da quelle pesanti sopracciglia che oscuravano gli occhi.

«Gelsomino, non avrai intimorito quella giovane fanciulla?» lo rimproverò una voce squillante dall'interno.

«Non è Gelsomino, è Crisantemo!» abbaiò il nano. «Forse riesci a leggerle la mente, zingara...»

Amelia spostò lo sguardo verso il retro del carro: da qui saltò un'aggraziata giovane dalla pelle bruna, i cui capelli neri cadevano in morbidi ricci sulle sue spalle. Indossava una veste a righe verdi e rosse con un ampio scollo interrotto solo dalle numerose collane.

«Perdonate Crisantemo, giovane amica,» le disse in tono affabile. «è tutta la mattina che siamo in viaggio e siamo troppo stanchi per allestire un campo.»

Lo sguardo della ragazza corse dalla zingara al nano, quindi tornò indietro.

«Siete i benvenuti.» invitò, affrettandosi a mostrare un sorriso. «Il mio compagno di viaggio sarà qui a breve.»

Il nano si voltò lievemente verso l'interno. «Avete sentito, marmaglia? Scendere!»

Amelia vide scendere dal carro un omone corpulento, un esile individuo coperto da una maschera di cui metà era sorridente e metà piangente, ma l'ultima creatura era la più sconcertante: su due gambe si reggevano due busti, ognuno con un paio di braccia ed una testa dai lunghi capelli biondo cenere.

La bocca di Amelia si socchiuse per lo sconcerto, ma la zingara posò la mano sulla sua spalla. Gli occhi della donna si sbarrarono un istante, ma poi le fece un cenno col capo.

«Questi sono Ulfus il gigante, Amris il mimo e le sorelle Alina e Rosina.» presentò la zingara con un sorriso alle gemelle congiunte che arrossivano imbarazzate.

«Lieta... di conoscervi...» rispose lei con un cenno del capo.

Un rametto spezzato attirò la loro attenzione e Amelia allargò il sorriso vedendo Ferdinando che si stava avvicinando con le braccia colme di legna. «Abbiamo ospiti?» chiese.

«Giusto per il pranzo.» rispose Amelia, facendo un cenno d'assenso, poi si voltò verso il resto dei presenti. «Questi è Ferdinando, mentre il mio nome è Amelia.»

«Su, su, lazzaroni!» berciò Crisantemo, saltando giù dalla cassetta. «È ora di muoversi se vogliamo arrivare a Vetorco prima della festa.»

I tre che erano scesi per ultimi tornarono verso il carro e tutti iniziarono a lavorare alacremente per allestire un piccolo pasto che venne consumato in silenzio.

«Dove siete diretti?» chiese la zingara.

«Ad Acquemallio.» rispose Amelia, mentre Ferdinando stava finendo il panino con una fetta di carne e qualche foglia d'insalata.

La zingara si fece pensierosa per un po' e quindi accennò ad un sorriso.

«Per ringraziarvi possiamo offrirvi un passaggio.» propose la donna. «Se non sbaglio vi è un bivio all'inizio degli Acquitrini Neri e ci potremo separare lì.»

Amelia lanciò uno sguardo d'intesa a Ferdinando, poi lo spostò nuovamente sulla zingara.

«Saremo lieti di accompagnarvi.» rispose la donna, con un lieve sorriso.

 

 

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Capitolo 5
*** 5. Tarocchi ***


5. Tarocchi

Tre giorni passarono comodi e tranquilli nel carro degli artisti di strada, come solevano chiamarsi i cinque, ma non vi furono molte parole né da una parte né dall'altra.

«Ancora due giorni, se continuiamo di questo passo.» mormorò Amelia, dopo aver preparato il campo.

«Sei pronta?» il tono di Ferdinando era dubbioso. «Possiamo tornare indietro, se vuoi.»

Lei scosse la testa.

«Amelia, posso scambiare due parole con voi?» la zingara si stava avvicinando con un piccolo cofanetto in mano.

«A dopo.» sussurrò a Ferdinando, spostando l'attenzione alla donna di cui non aveva ancora saputo il nome. «Certamente.»

Lasciò Ferdinando alla tenda e raggiunse la zingara presso il fuoco dell'accampamento, ma qui le fece cenno di sedersi.

«Non abbiamo parlato molto e me ne dispiace.» iniziò la zingara. «I miei compagni non sono abituati ad avere gente “normale” con sé durante il viaggio.» aprì il cofanetto, rivelando un mazzo di tarocchi che iniziò a mescolare.

«Non preoccupatevi, il sentimento è stato reciproco ed il silenzio non mi è dispiaciuto.» la rassicurò con un lieve sorriso in volto.

«Quando vi abbiamo incontrato, ho avuto una strana sensazione.» riprese la zingara. «Se non vi dispiace vorrei leggervi i tarocchi.»

«Vi ringrazio, ma non ci credo molto.» rispose Amelia, sollevano una mano per rifiutare l'offerta.

«Fatemi fare un tentativo.» le chiese, allargando il mazzo a ventaglio. «Prendete sette carte.»

Amelia sospirò e fece quanto le era stato detto. La zingara posò ogni carta dinnanzi a sé, quattro tracciavano una linea verso l'alto e tre tornavano verso il basso. La zingara prese un respiro profondo e voltò la prima carta.

«Siete stata una persona piena d'intraprendenza, come mai avete voluto lasciare la vostra posizione?»

Amelia stava per rispondere, ma la zingara la bloccò con una mano alzata, girando la seconda carta.

«Non potevate più continuare con questa vita, vi siete trovata davanti ad una scelta che vi avrebbe bloccato se non aveste fatto quella giusta.» continuò.

Amelia annuì sovrappensiero e attese di vedere la carta successiva. Come la zingara voltò la carta del diavolo rovesciato, il viso della donna bruna impallidì.

«Non ditemi che state seguendo il bando...» le parole le morirono in gola. «Santi dei, fate attenzione perché nulla è mai quello che appare.»

La zingara sentì l'urgenza di voltare la carta in cima alla punta.

«Ed è ovvio che sappiate di andare incontro al pericolo... ma la vostra è una certezza più solida di tutti quelli che stanno rispondendo alla chiamata.» stava tremando visibilmente e la mano andò subito alla quinta carta, ma rimase un po' ad osservarla.

«Sì, ho incontrato la Strega quand'ero ragazzina.» Amelia riempì il silenzio che si stava creando. «Ha preso uno dei miei amici.»

La zingara riprese fiato. «Dunque ecco il significato di questa carta...» mormorò tra sé e sé. «Quello che è successo accadrà di nuovo, ritroverete quel che avete perso, ma non come pensate.»

Girò la penultima carta e fece un sospiro di sollievo.

«Solitamente questa carta annuncia fallimenti e perdite.» puntò il dito affusolato sulla carte della torre diritta. «Quando avrete terminato il vostro compito fate attenzione e non parlatene fino a quando non sarete giunti al castello: se uno solo di voi si vanterà del successo sarete entrambi morti.»

Amelia osservò l'ultima carta coperta rimasta.

«Questa cosa indica?» le chiese accennando a questa col mento.

«Quello che dovrete sfruttare per far realizzare il disegno maggiore.» voltò la carta. «Il matto in posizione diritta significa che dovete abbandonare ogni vostro preconcetto. Se non lo farete, se non vi fiderete del vostro istinto, la vostra stessa esistenza su questo piano cesserà.»

Amelia osservò le carte: l'asso di bastoni diritto; l'otto di bastoni, il diavolo ed un'altra carta di bastoni, il sei, rovesciata; il tre di bastoni, la torre e il matto, invece, erano diritte.

«Vi ringrazio per avermi dato quest'ulteriore punto di vista.» rispose gentilmente Amelia. «Credo sia il caso che ci mediti sopra.»

La zingara raccolse in un unico gesto le carte e assentì alle parole della temporanea compagna di viaggio. Due giorni dopo le loro strade si sarebbero divise e avrebbe dovuto attendere le notizie dei bardi per sapere se quella determinata rossa dall'energia particolare ed il suo inesperto compagno di viaggio ce l'avessero fatta.

«Sorte, è tutto nelle tue mani...» sussurrò, vedendo Amelia mettersi a chiacchierare con Ferdinando.




N.d.A.:
Ormai vi starete abituando a queste note... questa è solo per segnalare che i tarocchi non sono stati scelti per il loro significato ma li ho fatti davvero alla protagonista ^_^

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Capitolo 6
*** 6. La danza delle fate ***


6. La danza delle fate

Se i primi tre giorni di viaggio erano stati silenziosi, negli ultimi due una cappa era calata su di loro. Amelia e la zingara sedevano ai lati opposti e Ferdinando teneva le mani dell'amica.
«Oooh!» Crisantemo tirò le redini. «Siamo al bivio.»
Ferdinando e Amelia si alzarono, scendendo dal carro.
«Vi ringraziamo dell'aiuto, ci avremmo messo molto più tempo senza di voi.» salutò Ferdinando.
Il nano si strinse nelle spalle e colpì con le redini i cavalli. Il carro si allontanò al trotto, ma prima che sparisse in mezzo agli alberi la zingara si affacciò.
«Attenti alle apparenze.» fu l'ultima cosa che le sentirono gridare.
Ferdinando spostò lo sguardo su Amelia, la quale sospirò. La donna portò gli occhi sugli alberi a sud e prese la mano di Ferdinando.
«Ultima possibilità di tornare a casa...» tentò di dissuaderla.
«Devo arrivare in fondo... torna a casa se vuoi, trovati una brava donna e dimenticami...» nemmeno guardava Ferdinando mentre esprimeva quelle parole.
«Mai senza di te.» la rassicurò, rassegnato e stringendole la mano. «Da che parte si va?»
Amelia indicò con il mento gli alberi nella direzione del sole del mezzogiorno.
«Sei cresciuta qui vicino?» le chiese, iniziando ad incamminarsi.
«Sì, Acquemallio è laggiù,» indicò con la mano libera l'est, anche se poi tornò a concentrarsi sul sottobosco che viveva in ogni tonalità del verde. «ma nessuno ci darà ospitalità.»
«Perché?» lasciò la mano di Amelia per scostarle un ramo.
Si chinò per sfruttare il passaggio e poi gli diede il cambio.
«Dopo esser tornati avvennero eventi strani: delle cose prendevano fuoco, altre gelavano e così via,» rispose Amelia. «Capitava sempre quand'ero spaventata o arrabbiata.»
«È stata quella luce uscita dal cerchio delle streghe?» si ricordava del racconto della settimana prima.
Annuì alla domanda. «Quando mi ha toccato deve avermi fatto qualcosa... ma prima che potessi capire cosa i miei genitori mi fecero scappare. L'alternativa era il rogo.»
Continuarono in silenzio per molto tempo ed il sole dal suo apice iniziò a calare verso occidente. Le ombre si allungarono e quando il cielo si tinse di rosso si fermarono per piazzare il campo. Tesero le corde tra gli alberi vicini e su ogni corda appoggiarono un pesante telo che fissarono con dei pioli al suolo.
Amelia e Ferdinando si allontanarono per recuperare la legna, dividendosi. L'uomo risalì una collina con la fascina che si stava man mano formando. Dalla cima di questa riusciva a sovrastare parte degli alberi ed intravide in lontananza lo scintillio degli ultimi raggi sull'acqua.
«È laggiù...» mormorò, chinandosi a raccogliere sovrappensiero un pezzo di legno.
Lo sguardo gli cadde su un fungo accanto al ramo: il cappello era marrone screziato di bianco ed il bordo irregolare. Accanto a questo ve n'era un altro, spostando lo sguardo molti altri ancora... fece un giro su se stesso osservando il cerchio che formavano attorno a lui.
«Una danza delle fate...» mormorò. «Amelia deve saperlo, ci aiuteranno.»
Scattò verso l'esterno del cerchio, ma poté fare solo pochi passi: l'uomo si schiantò su una parete invisibile, perdendo la presa sulla fascina.
«Fatemi uscire!» iniziò a gridare, battendo i pugni sulla barriera. «Devo dirlo ad Amelia!»
Un movimento rapido al limite del suo campo visivo gli fece girare lo sguardo, ma quando lo riportò dinnanzi era comparso un individuo con il viso nascosto da un cappuccio che scendeva fino al naso.
«Ti prego, aiutami... ti darò tutto quello che vuoi...» implorò Ferdinando. «Soldi, favori, tutto quello che vuoi... ma fammi uscire...»
«Perché vuoi uscire?» la voce dell'individuo era calma e profonda.
«Amelia deve farsi aiutare dalle fate.» rispose, disperato. «Non può uccidere la Strega da sola!»
Le labbra dell'uomo si strinsero a fessura a sentire quel nome, ma scosse la testa.
«Le fiabe cui hai sempre creduto sono sbagliate e ne pagherai le conseguenze.» rispose l'individuo. «Quanto tieni ad Amelia?»
«La amo.» il tono di Ferdinando tremolò.
«Sei destinato a vivere una lunga vita nella Terra dei Felici.» il tono dell'uomo era tagliente. «Sei disposto a scambiare la tua vita con la sua?»
Ferdinando ci pensò un attimo, ma poi gridò la sua risposta. «Sì!»
L'uomo chinò il capo e si voltò, allontanandosi.
«Che fai?!» esclamò Ferdinando. «Fammi uscire!»
L'uomo si fermò, voltando appena il capo.
«Tu non ascolti e non sai cosa significa sacrificarsi... possano le fate non essere troppo crudeli nei tuoi confronti.»
Nonostante il buio che aveva preso piede all'esterno, una luce comparve all'interno del cerchio. Ferdinando si voltò, schiacciandosi con le spalle contro la parete. La luce si fece più intensa e vide l'ombra di una mano puntare verso di lui, mentre una melodia iniziava a diffondersi nell'aria.
«Come little children,
I'll take thee away...»
La mano si fece più vicina, aprendosi, e lui vide le dita scheletriche, tenute assieme soltanto dai tendini. La mano lo sfiorò mentre la luce lo avvolgeva e lo afferrò per la casacca, tirandolo a sé.
Quando la luce svanì non vi era più traccia dell'uomo, ma solo della fascina che aveva raccolto...
 

N.d.A.:
ecco il nuovo capitolo un po' in ritardo... causa una gita a Malta con la famiglia.
A voi anche i soliti credits per la piccola citazione:
La canzone cantata è “Come little children”, cover di Kate Covington del 2013 di “Garden of Magic” dal film Hocus Pocus. Testo basato sul poema “Come Little Children” di Edgar Allan Poe.

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Capitolo 7
*** 7. Rivelazioni ***


7. Rivelazioni

Amelia aveva acceso il fuoco e si era seduta con le braccia che circondavano le gambe.
Era da quando si erano divisi per raccogliere la legna che non vedeva Ferdinando e stava iniziando a preoccuparsi. Un ciocco scoppiettò, levando una nuvola di scintille. Si concentrò su queste, silenziosa, e poi appoggiò la fronte sulle ginocchia.
«Essere abbattuta non ti si addice...» commentò una voce profonda.
Amelia sollevò la testa di scatto, puntando il dito contro la figura che era comparsa al di là del focolare. Il mantello l'avvolgeva completamente, mentre il cappuccio gli oscurava il viso fino al naso. Le fiamme illuminavano il mento dotato di barba, rivelando dei lineamenti già intravisti.
«Sei realmente chi penso tu sia o una creatura che ne ha assunto le sembianze?» sibilò, alzandosi piano in piedi e coprendosi il fianco per proteggersi. «Che ne hai fatto del mio compagno?»
La fessura della bocca si aprì in un lieve sorriso.
«È curioso che tu mi chieda di lui, dato che ti avrebbe sacrificato senza pensiero.» rispose, beffardo. «Io non ho fatto nulla, si è infilato da solo in una danza delle fate e non è riuscito ad uscirne.»
L'individuo scrollò le spalle e portò la mano a calarsi il cappuccio.
«Già lo sapevi chi ero, ma ora sono io a chiederti cosa ci fai qui.» l'uomo era mortalmente serio. «Avevi una bella vita lontano da qui, gusti per i fidanzati a parte.»
«Tu cosa ne puoi sapere?» rispose Amelia, inacidita. «Sono venuta a vendicarti e ho risposto al bando del re. Perché non sei morto? Cosa ti ha fatto?»
Cosimo si sedette a gambe incrociate, sistemando al suo fianco una spada ed una balestra, mentre il mantello si allargava rivelando due bandoliere incrociate pieno di sottili pugnali.
«Te lo spiegherò con calma... potrei avere un po' di tisana? Se non sbaglio ne offrivi di ottima al tuo forno...»
Amelia lo guardò seria, ma non si mosse a servire l'autoinvitato ospite, tuttavia si mise seduta. Cosimo si allungò per versarsi in un pentolino un po' dell'acqua che stava bollendo e una manciata di erbe da un sacchetto vicino al fuoco.
«Non penso che crederai subito a quello che ti racconterò,» iniziò. «ma dovrai fidarti sulla parola. Tutto iniziò quando venimmo a fare lo scherzo alla Strega e venimmo scoperti...»
 
 
Ferruccio era caduto e lo stavo aiutando a rialzarsi mentre le tre streghe ci gridavano contro. C'era qualcosa nel loro tono che mi indusse a fermarmi e a voltarmi verso di loro.
La luce di forma umana si era fermata e aveva portato la mano verso di me.
«Stopio, bachgen, gallwch arbed llawer ohonom.» mi disse la luce. «O, sanctaidd henoed, rhoi'r gorau i: efe yn wahanol.»
Non capivo le sue parole e, voltandomi, vidi che eravate già spariti. Volevo piangere dalla paura e le gambe mi tremavano.
«Oletko varma, rakas vieras?» gracchiò una delle vecchie, puntando lo sguardo su di me.
«Oes, ni fydd heddiw, ond yfory yn ein hiachawdwriaeth.» anche se non capivo nulla, il suo tono di disperata speranza era chiaro. «Bydd rhaid i chi hyfforddi ef a'r ferch, ond Aquae Malleus ni eu cadw'n hir.»
Un'altra delle vecchie mi si avvicinò e mi prese per il braccio. Nonostante la paura ero sorpreso del suo tocco gentile e mi fece avvicinare. La seguii come un burattino e mi mise al centro del loro cerchio.
Si misero a cantare con voce stridula e dinnanzi a me si formò una luce arancione che ben presto divenne grande ed ovale. Non appena questa divenne più alta di me, venni spinto dalle spalle e vi caddi dentro.
Un solo passo mi servì in realtà per arrivare dall'altra parte e non avevo parole per quello che stavo vedendo.
La  terra era una distesa screpolata su cui la polvere rossa formava giganteschi vortici in lontananza. Sentii una presenza al mio fianco e mi voltai appena: un uomo alto il doppio di me, con lunghi capelli biondi intrecciati e un'armatura come non ne avevo mai viste stava osservando l'orizzonte.
«Sai cosa ci fai qui?» mi chiese.
Ero troppo sbalordito del suo aspetto per rendermi subito conto che potevo capirlo.
«Questa è la Terra dei Felici, l'inganno degli inganni.» continuò l'uomo, portando la mano al fianco dove riposava un'ascia. «Le fate hanno fatto un buon lavoro...»
«Che dite? Le fate sono buone!» ribattei con veemenza.
Una risata divertita si fece largo dalla sua gola e lui scosse piano la testa.
«Una volta tutto questo era coperto di verde e gli alberi ospitavano ogni sorta di creatura.» il suo tono era nostalgico. «Seguimi.»
Non potei fare a meno di obbedirgli e si girò verso destra. Camminammo a lungo e vidi delle sagome nere immobili, solo quando fummo più vicini capii cosa fossero e mi paralizzai dall'orrore.
«Ecco cosa fanno le fate...» mi spiegò, ma s'interruppe accigliando lo sguardo. «Antiche sagge, portatelo via da qui.»
Spostai lo sguardo verso il suo punto d'interesse e vidi delle creature grosse come delle persone avvicinarsi: la prima cosa che notai furono le ali, nere come quelle dei pipistrelli, poi le braccia grige terminanti con artigli che tenevano un bambino.
«Alb...»
Una mano rosea e delicata mi si posò sulla bocca, impedendomi di terminare il nome. Mentre la luce arancione mi avvolgeva vidi l'uomo alzare le mani verso il cielo, i suoi piedi erano diventati neri ed il colore si stava diffondendo verso la testa. La mano mi tirò indietro e non vidi altro che quella luce.
Ci volle un po' prima che recuperassi la vista. Ero all'interno della casa della strega e accanto a me c'era una bambina con un cespuglio di capelli castani scuri. Mi ricordo che aveva anche gli occhi giganteschi completamente neri, ma la pelle era quasi bianca, come la neve.
«Le vecchie sagge desiderano che ti riposi» mi disse. «e che tu custodisca nel tuo cuore sia il tuo passato sia ciò che hai visto. Il tuo addestramento inizierà domani.»
 

 
Amelia sollevò lo sguardo dal fuoco.
«E tu pretendi che io mi beva tutto questo?» chiese, sarcastica.
Cosimo scosse il capo.
«Lascio a te la scelta.» le rispose dopo un attimo, sorridendo ed alzandosi. «Se deciderai di attaccare le anziane sagge non avrò remore ad attaccarti, ma se altrimenti vuoi risolvere il problema e proteggere i bambini che verranno, ti aspetterò domani al limitare dell'acquitrino.»
Cosimo si voltò, iniziando ad allontanarsi con passo tranquillo.
Amelia scattò in piedi.
«Aspetta!» esclamò, con lo sguardo serio. «Cosa ci facevi fuori dal mio forno?»
«C'era una fata in avanscoperta.» si fermò, voltandosi appena. «Dossacles sarebbe stato la loro prossima meta, inoltre...» il tono divenne più tentennante. «Athelwulf aveva detto di essere incappato in una ragazza alla sua prima evocazione, volevo assicurarmi che tu stessi bene.»
«Un po' tardi dopo nove anni d'inferno...» la donna sbottò in una risata. «cacciata di casa, ospitata da una sconosciuta che mi ha insegnato come imbrigliare i poteri e poi di nuovo allontanata...»
«Chi pensi fosse quella donna?» un lieve sorriso si affacciò sul viso di Cosimo, che riprese ad allontanarsi.

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Capitolo 8
*** 8. La tomba ***


8. La tomba

Era da molti anni che Amelia non vedeva l'acquitrino, ma quando lo raggiunse ebbe una stretta al cuore e strinse le labbra.
L'erba si confondeva con l'acqua e la maggior parte del terreno era sommerso, impedendo di capire quale percorso fosse sicuro.
«Sapevo che saresti venuta.» la voce di Cosimo le fece fare un sobbalzo. «Ho una cosa da farti vedere.»
Amelia si guardò attorno senza vederlo, l'uomo fischiò e fu solo allora che lei sollevò lo sguardo, vedendolo appollaiato su un albero. Cosimo saltò dal suo posatoio e atterrò in ginocchio.
«C'è un'ultima cosa che devo mostrarti,» l'anticipò, rialzandosi e iniziando ad avviarsi. «nel caso t u avessi ancora dubbi.»
Amelia lo seguì, osservando silenziosamente il bosco. Gli alberi sembravano più vecchi rispetto a quelli che aveva attraversato da ragazzina ed il sottobosco era molto fitto. Le felci erano molto alte, ben più di lei, e vi erano piante ad ogni altezza, ma nonostante questo la sua guida non sembrava aver smarrito il senso dell'orientamento.
Cosimo si fermò improvvisamente e sentì un colpo sulla sua schiena.
«Non siamo mai riusciti a recuperare il suo corpo,» si fece da parte, mostrando ad Amelia una lapide. «le ninfe non lasciano mai tracce.»
Amelia avanzò di qualche passo, osservando la pietra. Indubbiamente era vecchia, vi erano ampi cerchi di licheni i cui colori variavano dal verde al giallo e qualcuno di questi si era infiltrato nelle scritte incise.
«Cangrande.» lesse Amelia, con un filo di voce. «Eravamo sicuri che le fate li avessero portati in un posto migliore.» spostò lo sguardo su Cosimo. «C'è una cosa che non mi hai detto ieri sera: cosa fanno le fate della gente che rapiscono?»
Cosimo spostò lo sguardo verso la lapide.
«Usano la loro energia vitale per aumentare i loro poteri e la loro vita.» spiegò Cosimo. «È la versione breve.»
«E come dovremmo risolvere il problema?» Amelia spostò lo sguardo su di lui.
«Le anziane sagge ci porteranno nelle Terre dei Felici.» rispose, osservandola negli occhi. «Ti ricordi la canzone che ti ha insegnato quella donna?» la vide annuire in risposta. «Non ha effetto qui, ma lì risveglierà le persone.»
«E poi?»
«Li sterminiamo.» il tono era noncurante.
Gli occhi di Amelia si spalancarono e la mascella crollò.
«Cosa? Dovremmo sterminare tutte le fate da soli? E come diamine dovremmo fare? Quanti sono?» le domande facevano fatica ad uscire tutte assieme mentre le mani gesticolavano nervosamente.
Cosimo alzò una mano e sorrise.
«Non saremo soli, le anziane sagge ci forniranno tutto l'aiuto possibile, ma portare in salvo le persone sarà compito nostro.» le spiegò. «Ora andiamo.»
Amelia si lasciò guidare verso l'acquitrino e lì si fermarono.
«Vedet väistyä ja tehdä meistä saavuttaa tavoite.» recitò Cosimo.
Le acque si ritirarono, rivelando un sentiero di pietre che correva diritto verso una piccola costruzione nel mezzo dell'acquitrino vicino ad una collinetta. Iniziarono ad avanzare mentre i ricordi si facevano più vivi e Amelia si fermò, guardandosi indietro. Rimase sorpresa nel vedere che la strada era stata ricoperta dall'acqua.
«Amelia, non fermarti.» la rimproverò Cosimo. «Se resti lì verrai inghiottita.»
Lei spostò lo sguardo nuovamente in avanti e vide che la strada tra di loro era stata riassorbita. Fece un respiro profondo e saltò, atterrando quasi su di lui che fu costretto ad abbracciarla e a spingersi in avanti per non cadere. Amelia sollevò lo sguardo verso Cosimo, arrossendo lievemente, ma lui sembrava essere paralizzato. Si separarono e continuarono il loro cammino.
Non ci volle molto prima che raggiungessero la costruzione e Cosimo andò a bussare alla porta. Amelia si avvicinò cauta, ma le sue già poche parole svanirono del tutto quando uscì una vecchia dai capelli canuti, con profonde rughe che le solcavano il viso e la mano nodosa stringeva un liscio bastone. Amelia si soffermò sul vestito candido su cui erano ricamati dei fiori azzurri.
«Ben arrivata, bambina mia.» il tono era amabile anche se lievemente gracchiante. «Sono felice di vedere che Cosimo ti ha convinta il tanto per farti venire.»
«Ardemia?» fu l'unica cosa che riuscì a mormorare.
«Cosimo, ragazzo mio, falla accomodare.» portò lo sguardo sull'uomo, che semplicemente annuì. «Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare e partirete stasera.»

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Capitolo 9
*** 9. La Terra dei Felici ***


9. La Terra dei Felici

«Sei pronta?»
La voce di Cosimo fece sobbalzare Amelia, che stava in piedi davanti al limite della terra asciutta con lo sguardo perso nel nulla, e lei spostò gli occhi verso di lui.
«Sono troppe cose.» scostò lo sguardo, stringendosi il braccio destro.
«Posso capire, ma ora dobbiamo andare.» la osservò attentamente, portando una mano a scostarle i capelli rossi dalla cinghia del liuto.
«Ripetimi quanti sono...» lo pregò.
«Dodici ed una regina.»
«E se li uccidiamo tutti avremo liberato il loro mondo.»
Cosimo scosse il capo. «No, ma ne avremo liberato una zona.»
«Non ce la posso fare... non ce la farò.» le lacrime si affollarono negli occhi della ragazza. «Dovevo solo convincere una strega a non farsi più sentire, non mettermi in una guerra tra fatati.»
Portò le mani al viso, singhiozzando. Lo sguardo di Cosimo si addolcì e le prese le mani tra le sue.
«Dire di non farcela è il primo passo per fallire.» la rimproverò, dolcemente e prendendole le mani. «Tu pensa solo a cantare, al resto ci pensiamo noi.»
Amelia annuì, Cosimo le lasciò una mano e, con ancora ben stretta l'altra, l'accompagnò fino al cerchio rituale. Qui tre vecchie  avevano tracciato nel fango cerchi concentrici di rune attorno ad un braciere ed era stata attrezzata un'area con coperte e cuscini. Amelia per la prima volta riuscì a studiarle tutte e tre assieme, ma ebbe la sensazione di vedere soltanto il riflesso di Ardemia: gli stessi capelli argentati, le stesse rughe, gli stessi occhi grigi pieni d'energia.
«Siete pronti?» chiese Ardemia che indossava un lungo vestito bianco come le altre.
«Sì.» si decise Amelia, stringendo sia la mano che la cinghia del liuto.
«Allora faresti bene a prendere in mano il tuo strumento, bambina mia.» le consigliò.
Non appena la giovane ebbe imbracciato il liuto, le tre si misero attorno al cerchio e sollevarono le braccia, intonando un lungo “awen” a tre altezze diverse. Quella alla destra di Ardemia iniziò a battere ritmicamente le mani, mentre l'altra, terminato il fiato, prese una mandibola e la percorse più volte con un bastone avanti e indietro lungo i denti. Ardemia iniziò una nuova nota ed entrambe le contribuitici aumentarono la velocità dei suoni, ma quando la prima batté le mani tutte e tre fecero un giro su sé stesse in  maniera sorprendentemente veloce, chinandosi poi avanti con tutto il busto e sollevandosi lentamente, facendo alzare anche le braccia e lo strumento.
«Aika kuluu ja vielä ei ole aika vihollisia saada ravintoa.» le parole di Ardemia sembravano uno scioglilingua per Amelia. «Siksi kehotan teitä, luontokappaleet onnellinen, että ne olet on ajettu ulos. Avaat oven, taivas on auki, kukaan enemmän piina apurahan.»
Quella che batteva le mani lanciò un sacchetto sul braciere e una fiammata si levò verso il cielo, lasciando lo spazio poi ad una densa nube arancione. Le tre presero a danzare con movimenti sinuosi da serpente, come se quello stesso pomeriggio non fossero state prese di mira dai reumatismi, e la nube iniziò a brillare.
«Ovet auki sanansaattajia, vähennä voimaa ja elämän paha ja mahdollistavat siepattujen palata.»
La nube si stirò, si allargò, fino ad assumere le dimensioni di un imponente portale, soffice come una nuvola ma brillante.
«È il momento.» le sussurrò Cosimo, ma prima che Amelia potesse rispondere la trascinò nel portale.
Quando fu dall'altra parte, un passo dopo, vide che l'ambiente era radicalmente diverso: l'acqua e l'erba avevano lasciato lo spazio ad una desolata distesa di terra arida da cui si sollevavano numerose nubi di polvere rossa, il sole sembrava più pallido ed il cielo era livido.
Cosimo non le permise di soffermarsi ancora sull'ambiente, trascinandola su una larga roccia presso degli alberi neri, i cui rami spogli puntavano al cielo.
«Inizia a cantare.» le ordinò, quando fu certo che Amelia fosse in cima.
Lei si soffermò sull'albero più vicino, su un nodo aguzzo che non sembrava però una spina con due affossamenti sopra ed una ruga orizzontale sotto.
«È una persona!» Amelia indietreggiò di qualche passo.
«Sì, lo è.» tagliò corto Cosimo, controllando i dintorni. «Te l'avevo detto... ora canta così li liberiamo.»
Le dita di Amelia incespicarono sulle corde, miracolosamente senza romperle, ma poi chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo.
«Da occidente a settentrione,
da oriente ed il sud,
giunse ognuno di voi allora
dalla propria casa...»[i] iniziò con un tono incerto, acquisendo maggiore sicurezza man mano che le parole scorrevano.
Cosimo vide i rami dei primi alberi iniziare a ritirarsi in rosee dita, ma continuò anche a scrutare il cielo.
«Continua così.» la spronò, andando in una posizione più elevata.
«Verde terra e dolci laghi,
creature vi furono amiche
ogni cibo era per voi
e foste ospiti graditi.» il tono si fece più convinto.
Le dita si ritrassero fino alle mani e poi le braccia tornarono ad essere di carne. Cosimo vide dei punti all'orizzonte e sollevò un braccio.
Un tuono esplose nel suo fragore quando un gruppo di centauri attraversò il portale, schierandosi ai lati della conca degli alberi. In mano avevano un arco con una freccia già incoccata e una faretra alla cintura.
«Venite, o fanciulli,
riprendete le vostre vite
c'è un mondo che vi aspetta
attende che lo esploriate
e gli amati abbracciate.»
Le teste tornarono a contenere un cervello invece di linfa e la conversione continuò fino al tronco. Come una sola voce le strilla di terrore riempirono l'aria, ma Amelia fu rinfrancata da quei suoni.
«Puntare.» ordinò Cosimo. «Non scoccate finché non siete sicuri.»
«Le fate vi rapirono
gli inviti... dolci bugie
l'aiuto che volevate
fu il loro pugnale
vi prendono la vita e ve la riconcedo.
Tornate a casa
dalle vostre famiglie
lasciate alle spalle questi eventi
e felici finalmente vivete.» ormai era trascinata dalla melodia e le corde vibravano da sole, ma ancora non apriva gli occhi.
Le creature volanti si fecero più vicine, con le loro ali membranose che le sostenevano in aria. La gente cercava di liberarsi le gambe che erano tornate di muscoli, ma alcuni notarono anche i centauri che puntavano al cielo e seguirono la traiettoria delle frecce con lo sguardo.
«Mostri!» gridò un uomo, scatenando un'altra ondata di panico.
«Attendete...» temporeggiò Cosimo.
Le prime fate dalle lunghe braccia grige allungarono gli arti e si sollevarono più in alto.
«Venite, o fanciulli,
riprendete le vostre vite
c'è un mondo che vi aspetta
attende che lo esploriate
e gli amati abbracciate.»
Le ultime parole di Amelia liberarono anche i piedi delle persone.
«Da questa parte! Entrate nel portale!» gridò Cosimo, cercando d'indirizzare le prime persone.
Come un gregge, le persone di ogni foggia d'abito si fosse mai vista nel regno di Noereo e nel suo passato corsero verso il portale di luce arancione, svanendo velocemente. Cosimo si attardò a guardarli, ma poi tornò con lo sguardo sulle creature che avevano iniziato una picchiata.
«Sono dodici...» mormorò. «Scoccate!» gridò un istante dopo ai centauri.
Dieci frecce si levarono la cielo, costringendo le creature ad interrompere la picchiata per schivarle con diverse acrobazie aeree. Nonostante le manovre, due furono più lente e le frecce colpirono le loro ali, forandole e costringendole ad un atterraggio d'emergenza.
Tre di quelle ancora in volo iniziarono a salmodiare, creando una luce verde tra le loro mani che si muovevano lungo una sfera, mentre i centauri riprendevano in mano le frecce.
Amelia aprì gli occhi, indietreggiando al vedere le creature alate raggiungerli. Vide Cosimo prendere i pugnali e scagliarli verso il cuore di loro, ma solo uno si conficcò e la creatura precipitò in uno stridio, restando immobile al suolo.
«Uno, due, tre...» iniziò a contare Amelia. «Dov'è il tredicesimo?»
Sondò il cielo con lo sguardo mentre gli altri combattevano, cercando di abbatterne il più possibile prima che arrivassero in corpo a corpo.
«Wulver.» sentì chiamare Cosimo e vide dal portale riversarsi un branco di quelli che le sembravano uomini pelosi con la testa da lupo, affiancando al contrario le persone in fuga.
Non poté concentrarsi molto perché il suo orecchio riuscì a captare un fruscio che la fece voltare e si tuffò dall'altro lato del sasso per schivare gli artigli della tredicesima creatura. Se le altre erano grosse quanto una persona, questa il doppio di loro e con corna ritorte sulla sua fronte. Disinteressandosi dello scontro e dei wulver che entravano in mischia con le fate precipitate, Amelia focalizzò il suo sguardo su quella che doveva essere la regina.
«L'aria si faccia di maci...» non riuscì a terminare la formula che dovette schivare rotolando un'altra artigliata, lasciando dietro di sé il liuto, riuscendo poi a rialzarsi subito in piedi.
La regina tentò di appollaiarsi con le gambe che assomigliavano ad artigli di rapace sullo strumento, frantumandolo, e artigliò Amelia, aprendole tre squarci sulla veste e nella carne.
«Cosimo!» gridò Amelia, cadendo indietro.
La regina avanzò verso di lei, con gli occhi rossi iniettati di sangue e le zanne visibili dalle labbra socchiuse. Amelia indietreggiò, si trascinò nel tentativo di mettere più spazio possibile fra di loro, ma ad un certo punto la mano incontrò solo l'aria. Spostò lo sguardo, vedendo che il masso era finito, ma la regina emise uno strillo acuto, e si voltò per guardare alle proprie spalle. Fu con quel movimento che Amelia vide un pugnale conficcato tra le sue spalle.
La regina tornò a voltarsi verso di lei, avanzando di qualche passo e calpestandole la gamba. Schegge di dolore le risalirono lungo i nervi e un grido di dolore le si levò dalla bocca mentre cadeva indietro. Quel movimento le fece sentire qualcosa di duro sotto la schiena ed estrasse dalla tasca il ferro di cavallo che le aveva regalato donna Giovanna. Rivide in quell'oggetto la vecchina che l'aveva accolta al suo arrivo a Dossacles, che l'aveva aiutata ad avere il suo forno, e strinse le labbra.
«Calidona, aiutami.» pregò, portando il ferro alla fronte sotto lo sguardo beffardo della regina, e lo lanciò verso la testa avversaria.
Non era un gran tiro, il ferro ondeggiò nell'aria pronto a cadere, ma quando la giovane fu certa che sarebbe stato inutile e la regina mosse gli artigli per trafiggerla, avvenne ciò che Amelia non si sarebbe mai aspettata: un'aura rossa avvolse il ferro e lo fece passare dietro alla creatura e si sollevò aumentando di velocità. L'aura si allargò, formando una lama che decapitò la regina.
L'ultima cosa che Amelia vide fu il corpo della regina crollarle addosso.
 
[i]     È una cover scritta dalla sottoscritta di “The Stolen Child”, poesia di Yeats musicata da Loreena McKennitt nel 1985

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


EPILOGO

Amelia riaprì gli occhi e le sembrò di non averlo fatto tant'era buio.
«Ben svegliata, bambina mia...» gracchiò una voce gentile.
«Ardemia? Sono morta?» mormorò guardandosi attorno.
In quel momento la pezza le scivolò fino all'orecchio, permettendole di vedere una parete di legno su cui era addossata una credenza che faceva da sfondo alla vecchia.
«Il tuo cuore batte troppo forte per essere morto.» le rispose con un dolce sorriso.
«Abbiamo vinto? Gli altri?» spostò lo sguardo nella stanza vuota a parte la già vista credenza, un tavolo e una finestra che puntava su un bel cielo azzurro.
«Lo vedrai, prova ad alzarti e attenta alla gamba.»
Amelia scostò la coperta, vedendo una steccatura che le avvolgeva l'arto, e con cautela si mise in piedi. Le schegge di dolore impazzirono, facendo piegare, e dovette aggrapparsi al letto per non finire prona.
«Usa questo e non metterci troppo peso.»
Ardemia le proposte un bastone e Amelia vi si appoggiò, iniziando a zoppicare, ma solo mentre la vecchia l'accompagnava all'esterno si rese conto che era alta poco più della metà di lei a causa anche della schiena curvata. Raggiunsero la porta e attese che Ardemia l'aprisse per poter vedere l'esterno: gruppi di persone erano accampate nel più profondo silenzio portarono lo sguardo su di loro.
Una di queste si mosse avanti di un passo, iniziando ad applaudire battendo le mani sulle cosce, seguito da un'altra che batteva insieme le mani. Qualcuno iniziò a battere un'arma su uno scudo e ben presto il fragore riempì l'aria.
Amelia arrossì, abbassando lo sguardo imbarazzata.
«Amelia!»
Lei sollevò lo sguardo, vedendo Ferdinando correrle incontro e stringerla a sé, ma si ritrovò a scostare lo sguardo e allontanarsi da lui.
«Stai bene? Ho avuto paura di non vederti mai più.» le disse, disorientato.
«Lo so.» spostò lo sguardo su Ardemia. «Che ne sarà di loro?»
Il fragore si calmò a quella domanda e tutti si fecero attenti.
«Quelli che sono stati rapiti da poco torneranno a casa, per gli altri troveremo un luogo dove potranno passare gli anni che le fate hanno loro lasciato.»
«Avete recuperato la testa della regina?» il tono di Amelia era serio.
Ardemia annuì. «Cosimo ti attende già dall'altra parte.»
Ferdinando prese le mani di Amelia con forza con una mano, mentre l'altra andava a sollevarle il mento, obbligandola a sostenere il suo sguardo.
«Cos'è successo?» le chiese, angosciato. «Possiamo andarci assieme, ti fidi di me, no?»
«Non lo so.» fu la sua risposta prima di liberarsi nuovamente, quindi riportò lo sguardo su Ardemia. «Posso partire subito.»
Ardemia annuì, sollevando una mano: senza il bisogno di formule o rituali, una luce verde comparve poco distante da loro. La vecchia annuì alla giovane, che avanzò verso il portale.
«Amelia, ti prego... ti amo, lo sai! Non so cosa ti hanno detto, ma ti amo.»
Amelia si fermò, spostando lo sguardo su di lui.
«È strano... perché mi hanno detto che mi avresti lasciato appassire in quella terra al posto tuo.» rispose, portando lo sguardo deluso ed il silenzio che ne seguì fu la conferma di cui aveva bisogno. «Trovati un'altra donna, Ferdinando, e non fare con lei lo stesso errore.»
Amelia attraversò il portale e dall'altra parte la prima cosa che vide fu il sedere di un asino.
«Che...?» si chiese, mentre la perplessità prendeva subito il posto della delusione.
«Spostati, Coccio.» ordinò Cosimo, facendo spostare l'animale e portando lo sguardo su Amelia. «Come stai?»
Il portale si chiuse alle sue spalle senza far passare altre persone.
«Confusa, delusa. Cos'è successo dopo che la regina mi è crollata addosso?»
Cosimo le sorrise leggermente. «Hanno perso la coordinazione ed è stato facile finirli... ci vorrà molto, però, prima che quella zona torni all'antico splendore.» spostò lo sguardo sull'asino. «Ora devi andare: a castello sanno che arriverà qualcuno che ha risolto il problema.»
Amelia abbassò lo sguardo.
«Tu non vieni?» azzardò, mordendosi la guancia.
«No, il mio posto è nell'ombra,» posò la mano sulla sua guancia. «ma verrò a trovarti anche senza dover dare la caccia alle fate.»
Amelia l'abbracciò, sentendo ricambiata quella stretta anche se poco dopo i due si separarono. Cosimo la mise all'amazzone sull'asino, dandole poi le redini, e si assicurò che la sacca con la testa fosse ben agganciata.
«A presto.» lo salutò Amelia.
«Buone cose...» Cosimo diede una pacca sul posteriore dell'asino.
L'animale prese ad allontanarsi verso il sentiero e la donna si voltò un'ultima volta per salutare con lo sguardo Cosimo, poi lo spostò verso il castello. La pietra si sollevava in un mastio centrale circondato da un muro molto alto con merli su cui erano addobbate lunghe tele rosse, ma innanzi al castello si trovavano numerose tende e tavolate.
Coprì lo spazio che la separava dalle persone vestite dei più fini abiti di seta e fresco di lana agghindate con corone di grano in testa. Amelia mantenne lo sguardo alto anche se sapeva di star sfigurando con i suoi semplici abiti di cuoio e lino rattoppati. Le persone si assieparono lungo due linee di guardie armate di picca che le lasciavano lo spazio per avanzare e alla fine di questo corridoio, protetto da un'altra linea di picche, vi era un uomo robusto, dai corti capelli neri ed una cicatrice che gli attraversava il volto dalla tempia destra alla mandibola sinistra, vestito di una tunica rossa sormontata da un leggero mantello porpora.
Amelia fermò l'asino e scivolò a terra, poi fece il giro e sciolse la sacca al suolo.
«Vostra Altezza, ho eliminato la strega degli Acquitrini Neri che tanto vi angustiava.»
Voci di sorpresa si levarono dalla folla ed il re fece un gesto con la mano. Una guardia si avvicinò alla sacca e vi sbirciò all'interno, sbiancando ma annuendo.
«Quel è il vostro nome?» chiese il sovrano, serio.
«Amelia da Dossacles, sire.»
«Siete la benvenuta alla nostra tavola, dama Amelia, lì potrete raccontarci la vostra avventura.»
Amelia sorrise, tentando un inchino con la gamba bloccata.
«Ai vostri ordini, Vostra Altezza.»
Il re si voltò, iniziando ad incamminarsi, ma Amelia si voltò verso il bosco un'ultima volta: non riuscì a vedere se Cosimo fosse stato ancora lì.
Sospirò e si voltò, incamminandosi verso quel nuovo mondo.



N.d.A.: ebbene sì, siamo giunti alla fine. Spero di non avervi annoiati ed ammorbati con questa storia.
Prima di chiudere il tutto, però, vi avviso: vi sarà ancora un capitolo in cui vi saranno le note. Potrete trovare lì le traduzioni delle frasi in lingue "strane" che avete trovato finora e qualche piccola nota topografica.

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Capitolo 11
*** Note ***


Note

I luoghi

Acquemallio

Questo paesino sorge ad occidente degli Acquitrini Neri. La primcinpale coltivazione è quella del grano nei terreni bonificati, ma non mancano gli alberi da frutto. Il suo nome deriva dall'antico Aquae Mallius, a sua volta da Malleus Aquae.

Vetorco

Un ridente paesino ad oriente degli Acquitrini Neri. Sono ben noti i suoi artigiani, specialmente i sarti, ed è possibile notare le loro creazioni a presso le più nobili famiglie. Punto focale del paesino è un'antica quercia che gli dà il nome, anticamente Vetus Quercus

Alto Passo

Sito nei monti della Neve Perenne, questo paese fortificato unisce la parte meridionale e quella settentrionale del regno. È l'unico modo per poter attraversare in modo sicuro la catena montuose nel tratto di due mesi di cammino ed è noto che il pedaggio può essere fornito in ogni maniera tranne quella carnale.

Dossacles

Cresciuto attorno ad un salice, è un sereno paesino di collina dotato di un mulino, un forno e qualche attività. Detta casa del salice (domus sacles), ospita un tempio dedicato a Calidona, patrona del fuoco.

Castrum Truetinum

Pur essendo la corte mobile, Castrum Truetinum è stata eletta a capitale all'incoronazione di Gerlindo I Noereo. Qui si tengono le sontuose feste in onore agli dei e alle stagioni e l'incoronazione dei nuovi sovrani.

Traduzioni

Capitolo 3: Ricordi di un amico
«Vieni tra noi, Aethelwulf, la tua anima è stata catturata dalle fate e il corpo si trova nel regno del lungo ritorno.» recitarono le streghe. «Per la ragazza, la matura e la vecchia, non passerà un anno e un giorno prima che tu torni di nuovo tra di noi.» [finlandese]

«Il mio esilio durerà meno di un anno e un giorno?» Una voce sembrò giungere still bagliore che stava assumendo forma umana. «Possano gli dei benevoli essere con voi!» [gallese]
Piccola nota: nei vari miti irlandesi la durata di un anno e un giorno significava “per sempre”

«Vai, fanciullo, non è sicuro per te.» strillò una di loro verso Cangrande. [finlandese]

La canzone cantata è “Come little children”, cover di Kate Covington del 2013 di “Garden of Magic” dal film Hocus Pocus. Testo basato sul poema “Come Little Children” di Edgar Allan Poe.

Capitolo 7: Rivelazioni
«Fermati, ragazzino, tu puoi salvare molti di noi.» disse la luce. « Oh, sacre anziane, fermatelo: lui è diverso.» [gallese]

«Ne siete sicuro, caro ospite?» gracchiò una delle vecchie, puntando lo sguardo su di me. [finlandese]

«Sì, non oggi ma domani sarà la nostra salvezza.» anche se non capivo nulla, il suo tono di disperata speranza era chiaro. «Dovrete addestrare lui e la ragazza, ma Aquae Malleus non li terrà a lungo.» [gallese]

Capitolo 8: La tomba
«Le acque si ritirino e ci facciano giungere alla meta.» recitò Cosimo. [finlandese]

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