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Autore: CowgirlSara    26/03/2012    6 recensioni
Ognuno ha i suoi piccoli sporchi segreti. Anche le persone più insospettabili. Un omicidio, un prezioso violino. Una vecchia amica di John. E Sherlock a sciogliere i nodi.
Genere: Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sherlock DLS - 1
Ritorno su questo fandom con la mia prima long fic. La storia è in corso di lavorazione, cosa che potrebbe un po’ allungare i tempi, ma state sicuri che arriverà tutto!
Questa ff è frutto del mio amore per i racconti gialli e per la serie della BBC, che – confesso – mi ha fatto rivalutare Sherlock Holmes ^_^
Non aspettatevi una trama di chissà quale livello, il giallo sarà forse anche un tantino banale, ma quello che m’interessava era soprattutto scrivere delle interazioni tra Sherlock e John, perché li adoro sconfinatamente!
Beh, adesso basta chiacchere, vi lascio alla lettura. Aspetto i vostri commenti e spero che questo mio tentativo vi piacerà!

Enjoy!
Sara

Capitolo 1

Il dottor Watson riuscì a guadagnare la via di casa solo dopo le sei del pomeriggio. Era stata un’estenuante giornata di visite: vecchiette con l’artrosi, bambini intasati di moccio, obesi cardiopatici che non ne volevano sapere di smetterla con le schifezze fornite da ogni tipo di take away rintracciabile sul suolo londinese. Ma rientrare a casa non significava automaticamente trovare la pace ed il riposo.
L’uomo, come varcò la porta del 221B di Baker Street, si ricordò che si prospettava un week end di quasi digiuno, visto che, ad andar bene, il frigo conteneva solo provette, parti di cadavere e qualche pezzo di formaggio ammuffito. Si rassegnò ad uscire di nuovo, ma prima sarebbe stato meglio interpellare il proprio coinquilino.
Il soggiorno e la cucina erano immersi nel loro solito caos, ma privi di presenza umana. Stava per mandare un messaggio all’altro occupante dell’appartamento, quando sentì un rumore attutito nella stanza accanto.
“Sherlock?” Chiamò, aggrottando la fronte, mentre si girava in quella direzione.
“Sì.” Rispose semplicemente la voce del consulente investigativo.
Watson si diresse verso la porta socchiusa alla sua destra e si sporse dentro la stanza. Lo spettacolo era apocalittico.
Beh, ogni superficie piana, incluso il letto, erano occupati da fogli, libri, oggetti, ma non c’era niente di diverso dal solito modo in cui viveva Sherlock. I suoi vestiti, però, erano sparsi a raggiera nella stanza, come soffiati fuori dal guardaroba a muro, le cui ante erano divelte e ciondolavano contro la parete.
John spalancò gli occhi, entrando completamente nella stanza. Sherlock era con la testa ficcata nell’armadio, in mezzo a camicie che ciondolavano su stampelle rotte e calzini adagiati in cima ad un cassetto scardinato.
“Ma qui dentro è esploso qualcosa?” Domandò ironico John.
“Hn, sì.” Rispose tranquillo Sherlock, passando dall’armadio al cassettone senza guardare l’altro. Il dottore strabuzzò gli occhi.
“Davvero?” Esclamò incredulo.
Sherlock si voltò verso di lui, lo studiò serio per qualche secondo, stringendo gli occhi e alzando il mento.
“Era una battuta?” Chiese infine.
“Sì!” Fece John allargando le braccia. “È veramente scoppiato qualcosa?!”
“Sì.” Annuì l’investigatore. “Un esperimento…”
“Oh, Santo Cielo…” Commentò il medico, poi annusò l’aria. “C’è puzza di bruciato…”
“Oh, sì! Sono i miei capelli.” Dichiarò il coinquilino. “Devo farmi una doccia…” Aggiunse, prima di passargli accanto con aria assorta e scomparire verso il bagno.
John, confuso, diede ancora un’occhiata allarmata alla stanza devastata, poi scosse la testa e tornò in soggiorno. Si sentiva chiaramente lo scroscio dell’acqua in bagno.
“Sherlock, io vado a fare la spesa, hai bisogno di qualcosa?” Domandò infine, accostandosi alla porta chiusa.
“No.” Rispose l’altro. “Ma se dovesse venirmi in mente, ti mando un messaggio.” Aggiunse.
“Va bene, ma fallo prima che io sia alla cassa…”
Vivere in quella casa era una scommessa. Non sapevi mai se avresti mangiato, bevuto, dormito con regolarità, se qualcuno ti avrebbe sparato addosso, oppure rapito e imbottito di esplosivo, o se saresti riuscito ad avere un appuntamento con una persona in pace.
Proprio quando credeva di aver visto tutto, Sherlock superava di un altro poco il confine dell’incredibile. Ma dopo teste mozzate in frigo, colonie di muffe, bande di trafficanti di armi ceceni, donne che sono uomini che fingono di essere donne, ormai cosa mancava? Un gatto elettrificato e un coniglio nel forno? Anche se, quest’ultimo, con patate e rosmarino, magari non era male…
“Ricordami di non prendere mai un animale domestico.” Affermò John, parlando più a se stesso che a Sherlock dietro la porta.
“Eh?” Fece l’altro, chiaramente immerso sotto il getto.
“Niente, niente… Vado, ci vediamo tra un po’.” E, detto questo, discese le scale ed uscì in strada.

Il bislacco sms di Sherlock lo raggiunse appena uscito dal supermercato, ovviamente.

«Ho bisogno di un flacone di acqua distillata, un tubo di gomma diametro 1 cm e un piccione. SH»

Un piccione?!

Altro messaggio.

«Il piccione non è necessario che sia vivo, basta che abbia le piume. SH»

Oh, Sant’Oddio…

«Dove te lo trovo un piccione con le piume? JW»

«Leicester Square?SH»

Ma… Col cacchio che ora s’imbarcava sulla Bakerloo per prendergli un piccione! Che poi, era lecito appropriarsi di un piccione di Leicester Square per farci esperimenti di discutibile natura? Rischiava l’arresto?
Stava per rispondere al messaggio, quando le sue priorità cambiarono all’improvviso.
“John?” Lo chiamò una gentile voce femminile.
Se l’avesse chiamato un uomo non si sarebbe nemmeno voltato, ma quella voce gli ricordava qualcosa… Si girò piano.
Lei era una donna minuta, col viso ovale e due splendidi occhi blu, i capelli biondi acconciati in onde delicate, la pelle bianca, abiti eleganti ma sobri. La riconobbe subito.
“Angela… Angela Blythe!” Esclamò sorpreso.
“John Watson, quanto tempo.”

Poco dopo erano seduti su una panchina; il piccolo giardino allietato dal primo tiepido sole primaverile. I piccioni svolazzavano placidi, ignorando la minaccia di Holmes.
“Dio, sembra passata un’eternità, dai tempi della Barts.” Affermò Angela, posandosi le mani in grembo. John la guardava, era sempre bella come allora.
“Già.” Commentò placido.
“Tu che cosa fai adesso?” Gli domandò interessata la donna.
“Lavoro in un piccolo ambulatorio.” Rispose semplicemente lui. “Tu, sempre nel reparto pediatrico?”
“Assolutamente.” Annuì Angela. “Non c’è niente di più bello che aiutare i bambini.” Aggiunse, ed il suo sguardo si fece dolce, appena malinconico.
Il cellulare di John emise un suono, impedendogli di continuare a godersi il bel profilo della donna. Il dottore roteò gli occhi esasperato, poi lo trasse dalla tasca e guardò il messaggio.
 
«Dove sei? Ho fame! SH»

Sbuffò e rimise l’apparecchio in tasca. Angela lo fissava incuriosita.
“Qualcosa di importante?” Gli chiese garbata.
“Hn, no.” Fece lui vago. “Solo il mio coinquilino bizzarro.” La donna, sorpresa, sorrise appena e alzò le sopracciglia.
“Sembra strano: tu con un coinquilino bizzarro.” Commentò poi. “Sei sempre stato così…”
“Ordinario?” Intervenne lui.
“Oh, no!” Esclamò Angela, posando una mano sul suo braccio. “Solo molto ordinato, preciso, serio.” Spiegò quindi. John abbassò il capo. “Non ti ho mai ringraziato per l’aiuto che mi hai dato tante volte, se non ci fossi stato tu molti esami non li avrei passati.”
“Non sminuirti, sei sempre stata brillante.” Affermò lui, con un sorriso tranquillo.
“Non farlo tu, eri il migliore della classe!” Ribatté lei con un grande sorriso, prendendogli d’impeto le mani. John guardò le sue mani ruvide in mezzo alle sue, piccole e bianche.
“Come vanno le cose con James?” Le domandò improvviso.
Angela sussultò, lasciò la presa e si ricompose sulla panchina, guardando oltre la cancellata verde del giardinetto.
“Purtroppo, siamo un po’ in crisi…” Mormorò quindi, tormentandosi le mani. “Da qualche tempo, lui vive in un piccolo appartamento nella City.”
“Oh, mi spiace…” Soffiò sincero lui.
“No, non farlo, gli ho chiesto io di andare.” Lo interruppe la donna. “Non potevamo stare male in due.” Aggiunse, prima di tornare a guardare John sorridendo. “Abiti qui vicino?” S’informò, accennando alle buste della spesa.
Il dottore la fissò per un attimo, perplesso per il repentino cambio di argomento. “Sì, in Baker Street.” Le disse infine. “Tu cosa fai da queste parti?”
“Oh, niente di che, una visita medica.” Rispose vaga Angela.
“Spero niente di grave…”
“No, tutto a posto.” Sorrise lei, poi gli prese di nuovo le mani. “Dobbiamo cenare insieme, al più presto! Dammi il tuo numero, così ti chiamo.”
La sorpresa per quella inaspettata richiesta, rischiò di far sussultare John, ma dopo un comprensivo attimo per riprendersi, fu felice di acconsentire allo scambio dei numeri.
Non si era mai dimenticato di Angela, anzi, lei era uno dei migliori ricordi dei tempi della scuola di medicina, nonostante non avesse mai ricambiato il suo trasporto. Forse perché non lo aveva mai saputo. Ma ora era felice di poter riallacciare i rapporti.
Si salutarono pochi minuti dopo e la donna lo stupì di nuovo, baciandolo sulle guance.

Quando arrivò in cima alle scale dell’appartamento, Sherlock era fermò in mezzo al salotto. Si voltò di scatto, sentendo i suoi passi sul pianerottolo.
“Finalmente!” Esclamò il detective. “Il mio piccione?”
John alzò gli occhi al cielo e si diresse in cucina senza rispondergli; posò le buste su una sedia, visto che tavolo e pensili erano ingombri dei soliti alambicchi di Sherlock.
“Allora?” Fece l’altro seguendolo.
“Non ti ho preso nessun piccione.” Rispose John, mentre riponeva la spesa nei vari mobiletti.
“Perché?” L’interrogò autoritario Sherlock, mani ai fianchi.
“Perché non vai sul tetto e te ne prendi uno da solo?” Replicò il dottore, agitando un barattolo di pelati.
“Sei acido, John.” Commentò l’investigatore.
“Avrò Saturno contro.” Sbottò l’altro, passandogli accanto.
“Tu non credi all’oroscopo.”
“Magari oggi sì.”
“Non si crede in qualcosa a giorni alterni.” Ribatté scettico Sherlock. “E, comunque, tralasciando il piccione – che non mi hai portato – io avrei fame.”
John tornò verso la cucina, entrò, frugò in uno dei sacchetti, tornò dall’amico e gli posò una vaschetta in mano.
“Lasagne. Due minuti nel microonde. Deliziose.” Dichiarò asciutto.
Sherlock guardò perplesso la vaschetta, poi alzò gli occhi e seguì i movimenti di John nella stanza. Gli era successo qualcosa e lui, sapeva cosa.
“Hai incontrato qualcuno, fuori?” Chiese al proprio coinquilino.
John si fermò col braccio a mezz’aria, mentre metteva a posto la scatola del caffè. Merda. Pregò Dio che Sherlock non stesse per fare quello che stava per fare. Oggi non era in grado di sopportare la sua supponenza. Continuò a mettere roba nello scaffale a sempre maggiore velocità, cercando di ignorare il sorriso perfido che percepiva sulle labbra di Holmes.
“Vediamo…” Continuò il detective, avvicinandosi. Lo annusò e John strinse i denti. “È una donna, ma non è Sarah, il profumo non è il suo.” Il dottore si girò verso di lui, gli occhi bassi e un’espressione arresa. “Sarah non è una donna di classe e questo è un profumo costoso… Una vecchia fidanzata.” Ipotizzò quindi, ma John deviò gli occhi. “Oh, no, non lo è… Una vecchia amica, oppure… una compagna di studi.” John masticò a vuoto. “Sì, una vecchia compagna della Barts, la tua espressione me lo conferma, e non la vedevi da molto tempo, perché ti ha baciato… sulle guance.” Detto questo, gli passò un dito su una guancia e glielo mostrò. “Rossetto.”
John masticò, deglutì e fece una smorfia ironicamente amara, prima d’incrociare le braccia.
“Bene, hai dimostrato ancora una volta di essere il genio della deduzione.” Sherlock gongolò appena. “E allora?” Lo smontò immediatamente l’altro.
Sherlock spalancò gli occhi e lo fissò con incredulità. Cos’era questa arroganza? Dov’era la smisurata ammirazione con cui, di solito, John ascoltava le sue deduzioni?
“Hai fame? Mangia.” Concluse il dottore, indicando la vaschetta che l’altro aveva ancora in mano, poi girò i tacchi e salì nella propria camera.
L’investigatore rimase in piedi in mezzo alla cucina, con le lasagne surgelate che gli stavano pian piano incollando le dita. Poi si riscosse e lanciò il cibo sul tavolo. Doveva sapere tutto di questa donna! Santo cielo, faceva a John un effetto ben peggiore di Sarah, c’era di che allarmarsi!

John ridiscese al piano inferiore dopo pochi minuti. Aveva fame, inutile negarlo, ma non avrebbe dato soddisfazione a Sherlock. Il suo coinquilino, per fortuna, era alla scrivania con la testa infilata nel portatile.
Il dottore andò in cucina a farsi un panino, visto che ora c’erano gli ingredienti. Finito di preparare il sandwich, lo mise in un piatto, fermamente convinto di consumarlo seduto in poltrona. Arrivato in salotto, però, fu incuriosito dalle attività del detective. Forse lavorava ad un nuovo caso.
Lo raggiunse alla scrivania tra le due finestre e, da sopra la sua spalla, sbirciò lo schermo del computer, mentre masticava il primo morso del panino. Quando realizzò cosa stava studiando Sherlock con tanta attenzione, però spalancò gli occhi incredulo.
“Quella è la foto della mia classe alla Barts!” Esclamò a bocca piena.
“Hmhm.” Annuì pensoso Sherlock. “Eri carino… Un po’ un pulcino spettinato, ma carino.”
“Grazie…” Soffiò sarcastico John.
“Lei qual è?” Gli chiese allora l’investigatore.
“Dimmelo tu.” Lo sfidò il dottore; Sherlock gli lanciò un’occhiata ironicamente retorica.
“Mhhh…” Rimuginò, osservando ancora la foto. “Questa no, troppo brutta. Questa non è abbastanza raffinata. Questa… lesbica.” John lo guardò con rimprovero, ma lui non se ne accorse. “Questa è grassa e questa aveva una relazione con l’insegnante…”
“Davvero?” Intervenne sorpreso John.
“È ovvio, John.” Replicò annoiato Sherlock, poi indicò un punto in basso nell’immagine che stavano guardando. “È lei.” Decretò quindi. “Vediamo la didascalia…”
“Angela Blythe.” Lo interruppe il medico. “È lei, sì.”
“Hm, però.” Commentò Sherlock, osservando ancora la foto.
“Che vuol dire?” L’interrogò John, la fronte aggrottata, dopo essersi seduto sul bordo della scrivania. L’amico si adagiò contro lo schienale della sedia e incrociò le mani sul ventre.
“Anche se non sono interessato alla merce, non significa che non riconosca una bella donna.” Spiegò poi, con tono retorico, come spiegasse ad un bimbo che non esiste Babbo Natale.
John sospirò e scosse il capo. Lo scarso tatto di Sherlock sarebbe certamente passato alla storia.   
“Non mi stupisco che ti abbia respinto.” Affermò infatti, confermando i pensieri del dottore.
“Non mi ha respinto.” Reagì debolmente John.
“Certo.” Annuì il detective. “Perché tu non ti sei mai proposto.”
Watson alzò gli occhi al cielo. Già, doveva saperlo che l’avrebbe capito. Gli dispiacque di essere così banale ai suoi occhi.
“Lei era interessata altrove…” Mormorò abbassando il capo.
“Capisco.” Annuì Holmes. “Credo che avrebbe scelto più un tipo come… questo.” E indicò un ragazzo nella foto. John guardò di striscio e tornò ad abbassare il viso.
“James Kubler.” Decretò. “Brillante laureando, figlio di un baronetto della medicina, presidente del comitato studentesco.” E marito di Angela, ma questo lo tenne per se.
“John, non rammaricarti, non è colpa tua.” Intervenne arido Sherlock. Lui lo guardò con espressione interrogativa. “Si tratta solo di evoluzione della specie e conservazione della stessa.” Continuò l’investigatore, rendendo l’altro sempre più perplesso. “Una donna come Angela è portata a scegliere un maschio come questo James per affidargli il proprio corredo genetico, in modo che i propri figli abbiano migliori possibilità di trovare posto nella società.”
“Ah, sì?” Fece John.
“Beh, naturalmente!” Dichiarò Sherlock, allargando le mani. “Lui era più prestante ed attraente di te, a livello fisico, occupava una posizione sociale migliore e prometteva un ottimo futuro.” Aggiunse. “Ed è un maschio Alfa, cosa che tu non sei.”
“Sarà per questo che ho deciso di fare lo zerbino a te.” Sentenziò John, prima di alzarsi e tornare al piano di sopra accompagnato dal panino.
Sherlock lo seguì con lo sguardo, meravigliato per quella reazione. Oggi John era particolarmente suscettibile! E dire che, se anche fosse stato uno zerbino, sarebbe stato comunque il suo preferito, quello con scritto «Benvenuto a casa»…
“Bah!” Commentò basito, prima di tornare alle proprie indagini.

Un’ora dopo, John si era assopito sul letto, ma un inconfondibile bussare violento alla porta lo svegliò di soprassalto. Si alzò lentamente ed andò ad aprire.
“Se sei venuto a chiedermi scusa…” Esordì il dottore, senza alzare gli occhi su Sherlock.
“Scusa? Per che cosa?” Replicò quello stupito, poi alzò il cellulare mostrandogli il display illuminato. “Abbiamo un caso, sbrigati.” Gli annunciò quindi, prima di inforcare di nuovo le scale in discesa.
John sbuffò arreso. Quell’uomo era assolutamente incompatibile con la convivenza civile e Watson si disse che doveva avere qualche tara genetica per aver scelto deliberatamente di dividere una casa con lui. Si strusciò il viso e scese le scale.

Il luogo dell’omicidio era un lindo condominio in un quartiere ancora abbastanza cittadino da non essere degradato. Mattoni scuri e infissi bianchi, simile a centinaia d’altri alla periferia di Londra.
Il dottor Watson si sporse dalla balaustra in metallo scuro. Sotto: macchine della polizia, il furgone della Morgue e le familiari strisce bianche e blu della scena del crimine.
“È qui.” Gli annunciò la voce di Sherlock; lui alzò gli occhi e lo vide infilarsi dentro una delle porte bianche, poco più avanti lungo il pianerottolo.
Era un appartamento ordinato e luminoso, con mobili chiari; appena si entrava, sulla destra, c’era un piccolo cucinino pulito e sistemato. Davanti a lui, invece, un divano bianco e un cadavere sul tappeto. John sospirò, la morte violenta continuava a turbarlo.
La vittima era una ragazza esile, con lunghi capelli castano chiaro; indossava una vestaglia blu scuro e giaceva riversa scompostamente a terra con la tempia coperta di sangue, così come il tappeto inzuppato. Schizzi di sangue imbrattavano il bordo e la seduta del divano, coprivano la superficie di un tavolino di cristallo. Colpo alla testa con oggetto contundente, concluse il medico.
“Un paio di guanti?” Chiedeva nel frattempo Sherlock, allungando la sua mano elegante verso Anderson della scientifica, ma senza guardarlo.
“Mi hai scambiato per il maggiordomo?” Replicò quello piccato.
Holmes gli rivolse una lunga occhiata supponente. “Ti manca il tight.” Affermò infine, poi si avvicinò al tavolo e prese da solo un paio di guanti.
John  lo imitò, prima di salutare Lestrade con un cenno, poi guardò Sherlock, che lo invitò ad esaminare il cadavere. L’investigatore, invece, cominciò a girovagare per la stanza, aprendo sportelli, sbirciando nel frigo e nel lavabo.
“Qualche dettaglio?” Invitò quindi, gesticolando verso l’ispettore.
“La vittima si chiamava Holly Barnes, era una musicista della London Simphony Orchestra.” Esordì il poliziotto, leggendo dalla cartella che aveva in mano. “Ci hanno riferito che nella prossima esibizione avrebbe dovuto fare un assolo, quindi le era stato affidato un prezioso violino, un… Guarnieri del Gesù, che non è stato reperito nell’appartamento…”
“Cosa?!” Esclamò Sherlock, bloccandosi in mezzo al cucinino con gli occhi spalancati.
“Non abbiamo trovato il violino in casa…” Ripeté Lestrade perplesso.
“No!” Esclamò impaziente l’altro. “Hai parlato di un Guarnieri del Gesù!” Il poliziotto annuì. “Hai idea di quanto valga, un violino del genere?”
“Così tanto?” Intervenne Watson.
“Io direi, come minimo, tra il quarto e mezzo milione di sterline.” Affermò il detective. John spalancò la bocca incredulo.
“In questo caso, se il valore dello strumento fosse accertato, potrebbe essere il movente dell’omicidio.” Commentò Lestrade.
“Non credo.” Si limitò a sentenziare Sherlock, prima di sparire in camera da letto.
“Non vorrai dargli retta?!” S’informò Anderson, rivolto all’ispettore. “Se il violino vale così tanto, è ovvio che l’hanno uccisa per quello!”
“Niente è mai ovvio.” Affermò pacato Watson.
“Stia attento, dottore.” Fece allora l’investigatore scientifico, inguainato nella sua tuta blu usa e getta. “Ad andare con lo zoppo…”
John fissò per un attimo l’uomo. Aveva sempre pensato che portasse un parrucchino. Se così non era, la sua terrificante pettinatura era certamente l’opera di un parrucchiere sadico. La risposta da dargli gli venne spontanea.
“A volte si lascia il bastone.” Dichiarò, prima di seguire Sherlock nell’altra stanza.

Entrato nella camera da letto, John si trovò davanti Sherlock che lo fissava impassibile. Il dottore assunse un’espressione interrogativa.
“Potrei amarti, John.” Dichiarò solenne Holmes. Watson spalancò gli occhi incredulo.
“Co… come?” Biascicò quindi.
“Corpo e anima.” Fece Sherlock annuendo, sempre serio.
“P… p… perché?” Balbettò John, completamente confuso. L’investigatore, palesemente spazientito, alzò gli occhi al cielo e allargò le mani.
“Per quello che hai detto ad Anderson!” Sbottò infine, prima di dargli le spalle. “E riprenditi, era una battuta!” Aggiunse, tornando vicino al letto.
John sospirò. Non si sarebbe mai abituato alle uscite di Sherlock. Era impossibile capire se fosse serio oppure no. E lo coglieva sempre di sorpresa!
“Che cosa mi dici di questa donna?” Come ora…
“Quale donna?” Ribatté, infatti, il dottore disorientato.
“Santo cielo, il mio fascino ti ha veramente devastato!” Commentò l’altro senza ironia, mentre scrutava gli oggetti sulla cassettiera. “La vittima, John! La morta, il cadavere…”
“Ho capito, ho capito!” Lo interruppe lui, prima che arrivassero la salma e il feretro. Watson si guardò intorno. “Era un tipo molto ordinato, non amava i colori forti…”
“E della sua vita sessuale?” Intervenne Sherlock, sempre dandogli le spalle.
“La sua… che cosa?!” Replicò John.
“Ti prego, cerca di essere meno inglese, per un attimo.” Lo supplicò secco il detective, voltandosi. “Cosa pensi della vita sessuale di Miss Barnes?”
“E che cosa posso saperne io!” Esclamò il dottore, cercando di nascondere l’imbarazzo. “Magari ha un vibratore nel primo cassetto del comodino!”
In tutta risposta, Sherlock si avvicinò al mobile ed aprì proprio quel cassetto, sotto lo sguardo allibito del collaboratore, poi fece un’espressione compiaciuta.
“Niente vibratori.” Affermò quindi. “Solo preservativi e…” Sollevò la mano in cui teneva un tubetto azzurro e ammiccò a Watson. “…lubrificante.”
John sospirò e scrollò il capo. “Ok, aveva una vita sessuale più fantasiosa del suo arredamento.”
“Sì, decisamente attiva.” Concordò Sherlock. “Ci sono tracce di fluidi corporei sul copriletto…”
Lestrade entrò nella stanza, proprio mentre lui faceva quell’affermazione indicando la coperta.
“Allora, concluso qualcosa?” Domandò l’ispettore.
“Concluso no, dedotto sì.” Rispose Holmes, mentre prendeva in mano una cornice. Era una foto della vittima insieme ad un uomo più anziano in una posa molto amichevole. “Devo parlare con quest’uomo.” Aggiunse, indicando la fotografia.
“Dammi il tempo di scoprire chi è…” Fece Lestrade.
“Si chiama Wolfgang Stoltz, è tedesco e dirige l’orchestra in cui suonava la Barnes.” Affermò Sherlock; gli altri due lo fissavano ad occhi spalancati. “Che c’è? Mi piace la musica classica.”
“Senti.” Esalò Lestrade, dopo alcuni istanti di attonito silenzio. “Non abbiamo molto tempo, tra poco arriva il coroner per portarla via e…”
“Quindi, veniamo alle cose serie.” Lo interruppe Sherlock, prima di battere e strusciarsi le mani, poi iniziò a camminare nella stanza. “Come concordavamo poco fa io e il dottor Watson, Miss Barnes era una donna molto ordinata, precisa, meticolosa.” Gli altri due annuirono in religioso silenzio. “Lo posiamo dedurre dalla sua casa, dalla simmetria nella disposizione dei soprammobili, dalla precisione con cui riportava i propri impegni sull’agenda – posata sul banco della cucina, come avrete certamente notato…” John e Lestrade si scambiarono un’occhiata imbarazzata. “Era così meticolosa da riportare sempre anche il giorno in cui arrivava il ciclo mestruale…”
“Scusa, e questo da cosa lo avresti capito?” Intervenne Watson curioso.
“Semplice.” Fece Sherlock allargando le mani. “Ogni suo impegno era segnato nell’agenda immancabilmente da una penna a sfera nera, ma, periodicamente, con una cadenza di circa ventotto giorni uno dall’altro, il numero indicante la data è stato cerchiato da un pennarello rosso a punta larga. E l’unico motivo per cui una donna fa questo…”
“Ok, ho capito.” Annuì John. “Continua.” Lui non si fece pregare.
“Entrando in questa stanza, mi sono immediatamente accorto della foto di Stoltz. L’uomo abbraccia con fare fin troppo confidenziale la Barnes e lei teneva quella fotografia in un posto di una certa importanza: vicino alla specchiera e, perfino, davanti a quella della propria famiglia.” Fece notare l’investigatore, indicando agli altri posizione e rilevanza della foto. “Ora, siamo sicuri che non ci siano rapporti di parentela tra i due, ma certamente c’è una relazione abbastanza importante, visto il tipo di foto, dove è messa ed il fatto che alla vittima fosse stato affidato un assolo nella prossima esibizione e la custodia di un prezioso strumento musicale.” Continuò Sherlock, mentre si muoveva ancora nella stanza, certo della completa attenzione del proprio esiguo pubblico. “Visto quello che abbiamo scoperto e, cioè, che Holly aveva una vita sessuale piuttosto attiva, possiamo supporre che Stoltz sia, o sia stato, uno dei suoi amanti. E qui torniamo all’agenda.”
“Come: all’agenda?” Domandò confuso l’ispettore.
Sherlock roteò gli occhi e poi rivolse un’occhiata compassionevole al poliziotto. “Come ho detto prima, la vittima segnava in modo regolare il proprio ciclo mestruale, ma questo non avveniva più da circa tre mesi.” Spiegò quindi. “Controllando il suo frigorifero l’ho trovato pieno di frutta e verdura fresca e questo ci dice più del fatto che era una giovane donna preoccupata della propria salute e forma fisica, anche perché…” John era pronto alla rivelazione finale. “…in uno degli armadietti ho trovato un flacone contenente un insieme vitaminico arricchito di acido folico.”
“Tu pensi che fosse incinta?” Gli chiese stupito John.
“No, io non lo penso.” Rispose Sherlock. “Io ne sono certo.”
“Questo è impossibile dirlo, prima dell’autopsia.” Affermò Lestrade.
“Oh, no, ti sbagli.” Lo corresse immediatamente Holmes. “Sul mobiletto accanto al televisore c’è un referto della clinica Brown & Ross – a due passi da Baker Street tra l’altro -  che non è soltanto specializzata in problemi della fertilità, ma offre anche servizi alle donne in gravidanza e da questo capisco che, non solo era incinta, ma voleva tenere il bambino.” Concluse quindi.
“E tutto ciò, cosa ci dice dell’assassino?” S’informò il poliziotto.
“È stato un delitto d’impeto.” Affermò Sherlock, cercando conferma nell’espressione di John, che annuì. “Sicuramente avvenuto durante una discussione. E una discussione può essere stata provocata soltanto dalla gravidanza.”
“E il violino?” L’interrogò Lestrade.
“Il violino non c’entra niente.” Si limitò a decretare Holmes, stringendosi nelle spalle. “Ma se la questione ti preoccupa tanto, vedrò di occuparmene.”
“Sì, preferirei.” Precisò l’ispettore annuendo.
“Come vuoi.” Fece Holmes stringendosi nelle spalle. “Tu fammi sapere dove trovare Stoltz.”
“Vedrò di prenderti un appuntamento.” Gli disse il poliziotto.
“Non c’è bisogno dell’appuntamento, voglio coglierlo di sorpresa.” Soggiunse immediato il detective, con uno sguardo tagliente.
“Non se ne parla!” Sbottò Lestrade. “Quello è tedesco, non vorrai far scoppiare un incidente diplomatico?” Aggiunse preoccupato.
“Come se fosse la prima volta.” Ribatté incurante Sherlock, facendo un gesto vago con la mano mentre si allontanava. John e Lestrade si guardarono e non c’era bisogno delle parole per esprimere i loro allarmati interrogativi.  
Dopo pochi altri particolari – come la testimonianza di una vicina sui rumori di una discussione proveniente dall’appartamento della vittima – Sherlock e John se ne andarono. Holmes aveva anche scattato alcune foto col cellulare, preso copia di alcuni file di Lestrade e raccomandato di fargli avere il referto dell’autopsia.

Era ormai sera quando uscirono dall’appartamento del delitto ed il telefono di Watson squillò proprio mentre scendevano in strada.
“Pronto?” Rispose il medico.
“Ciao, John.” Salutò una voce femminile.
“Angela!” Esclamò lui, piacevolmente sorpreso. “Che piacere sentirti.”
“Ti chiamavo… per quella cena…” Fece lei, un po’ esitante. John si stupì che la donna lo avesse cercato così presto, dopo il loro incontro della mattina.
“Sei ancora dell’idea di perdere una serata a parlare dei vecchi tempi?” Le chiese però, con tono scherzoso.
“Niente potrebbe farmi più piacere!” Ribatté allegra Angela. “Ti andrebbe domani sera?” Aggiunse dolcemente.
“È perfetto.” Acconsentì veloce John.
“Non vedo l’ora.” Replicò lei. “Ti aspetto alle otto.”
Quando John, con un sorriso contento, rialzò il capo dopo aver chiuso la chiamata, trovò Sherlock a fissarlo. Era appoggiato ad un lampione, con le braccia incrociate e lo trapassava con quei suoi occhi glaciali e vivissimi. Watson scosse piano il capo e lo raggiunse, mentre l’altro si voltava e fermava un taxi.  

CONTINUA

Ah, con l'occasione ringrazio coloro che hanno letto la mia one shot "The Distance" (scusatemi non riesco a mettere il link -_-), anche quelli che non hanno lasciato commenti. Grazie a tutti! A presto!
   
 
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