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Autore: Karmilla    23/05/2012    12 recensioni
“Oh, Georgie! Scusami. Io non avevo capito. Mi sono lasciato prendere dal mio rancore e non ho mai pensato che potesse esserci un'altra spiegazione. Ma se le cose stanno così...allora...possiamo ricominciare?”
Georgie alzò lo sguardo e fissò quegli occhi azzurri dei quali era stata tanto innamorata, ma all'istante si sovrapposero ad essi due occhi blu scuri come l'oceano tanto amato dalla persona alla quale appartenevano, una persona che ormai faceva parte di ogni fibra di Georgie.
“No, Lowell. Io non tornerò più indietro. Io voglio andare avanti. Voglio tornare in Australia con Abel. E con Arthur, non appena guarirà.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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australia12

E' passato quasi un anno dall'ultimo aggiornamento e me ne scuso caldamente, ma a mia giustificazione vi posso dire che è stato un anno particolare che ha visto un tremendo calo di ispirazione e anche l'arrivo della mia seconda figlia, quindi le energie le ho investite in altro... 

Ecco a voi la conclusione di questa mia stora su Georgie, spero tanto che la apprezzerete e se vorrete lasciare un commento piccino piccino io ve ne sarò molto grata! Un  grazie a tutti quelli che l'hanno letta, commentata, messa tra le seguite e preferite. Spero di ritrovarvi presto, perché ho già in mente una nuova storia, un cross-over tra Georgie e Lady Oscar...follia pura da fanwriter!!! 

Un bacio dalla vostra Karmilla 





Come capitava ormai da alcuni giorni, Georgie sentiva provenire dal giardino il rumore del martello che batteva su assi di legno di varia fattura.

Non aveva bisogno di chiedersi cosa stesse accadendo perché conosceva la risposta da sola, pertanto prese in braccio il bambino ed uscì.

“Abel, cosa stai combinando ancora?”

Trattenne a stento una risata nel vedere l'ultima creazione di suo marito: una barchetta, con tanto di vela e remi, che poggiava su ruote.

“Come sarebbe a dire, Georgie? Sei stata tu a dirmi che avevo costruito un regalo che non era adatto ad Andrew!”

“Sì, è vero...ma spero che tu sia d'accordo con me nel dire che una casa sull'albero non è propriamente adatta ad un bambino di tre mesi!!!”

“Come sei difficile...non ti ricordi che ce l'avevamo anche noi?”

“Certo che mi ricordo, ma non eravamo così piccoli!”

Certe volte Georgie faceva fatica a credere all'ingenuità di Abel.

“E non ti è andato bene nemmeno il pony! Io vorrei che nostro figlio imparasse a cavalcare...”

“Va bene, lo vorrei anch'io, ma che dici se prima gli insegniamo a camminare?”

“Hai sempre ragione tu...almeno questa barchetta ti andrà bene, spero...”

“Abel...”, disse Georgie con lo stesso tono di voce che usava quando voleva comunicare con il loro bambino, “Andy non sta ancora seduto, è un po' prematuro, ma se magari lo porti con te possiamo provare...”. Georgie pensò che forse patteggiare con il marito era la strada migliore per non urtare nuovamente la sua suscettibilità.

Da un po' di tempo a quella parte, casa Buttman era sempre uno scontro su cosa si poteva o non si poteva fare per il piccolo Andrew. La lotta era iniziata già durante la gravidanza, quando Georgie aveva deciso che se il piccolo fosse stato un maschio, avrebbe portato avanti la tradizione di un nome che iniziasse con la “A”, mentre Abel avrebbe voluto tanto che il piccolo portasse il nome di suo padre.

“Georgie, da che mondo è mondo è il padre che decide il nome per il figlio maschio, quindi se il piccolo sarà un maschietto si chiamerà “Eric” e su questo non accetto discussioni!”

“Va bene, Abel, va bene...”

E infatti, pochi mesi dopo venne alla luce un bel maschietto di nome Andrew, che era la gioia di mamma e papà, oltre che un perfetto connubio tra le caratteristiche estetiche dei due: bello come Abel e con i suoi stessi capelli scuri, ma con i vivaci occhi verdi di Georgie.

Quel piccolo esserino aveva completamente trasformato Abel, lo aveva reso suo schiavo tanto che spesso Georgie si chiedeva se Andy fosse già più maturo del padre.

La realtà era che Abel era fuori di sé dalla gioia, si sentiva finalmente un uomo realizzato e felice e per questo non perdeva occasione per regalare al piccolo qualsiasi cosa gli passasse per la testa, anche a costo di sembrare ridicolo.

Georgie, dal canto suo, adorava prendere in giro Abel e lo faceva il più possibile principalmente per evitare di mettersi a piangere dalla commozione ogni qual volta lo vedeva armeggiare con travi, viti e martello per il loro piccolino. Era contenta di vedere Abel così sereno e felice, sentiva di non aver bisogno di niente altro al mondo che suo figlio e suo marito.

Spesso si sedevano fuori nel porticato insieme al loro bambino, dondolandolo nella culla che aveva già protetto i sonni dei tre Buttman e che Abel aveva trovato nel solaio, ristrutturandola completamente in previsione della nascita del suo primo figlio.

Rimanevano ore intere in silenzio a guardare il loro bambino, e un giorno Georgie si decise a chiedere ad Abel a che cosa stesse pensando.

“Nulla in particolare, mi chiedevo solo se fosse giusto essere così felici”

“Perché ti chiedi questo? Non ti sembra che abbiamo sofferto abbastanza?”, gli chiese Georgie, un po' perplessa.

“Vedi, Georgie, io ho desiderato questo da sempre, sono andato contro tutto e tutti, ho fatto del male alla mamma, ad Arthur e anche a te, per colpa di questo mio desiderio. Sono stato egoista per molto tempo, e adesso mi sembra impossibile che sia andato tutto a posto...”

Georgie lo guardava con lo stesso sguardo rapito ed innamorato di tanti anni prima.

“Non devi dire così, Abel. Io credo che non abbia più senso rivangare ciò che è successo tanti anni fa. Penso che le cose dovevano andare così, il nostro destino era quello...”

“Georgie, c'è un'altra cosa alla quale penso spesso, o meglio, mi chiedo spesso.”

Il tono serio con cui Abel aveva parlato allarmò Georgie.

“Dimmi, Abel. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, vero?”

“Ecco, vedi...spesso mi chiedo se tutto questo sia davvero giusto per te. Voglio dire...tu sei una contessa, se fossi rimasta a Londra avresti un tenore di vita completamente diverso e ora che abbiamo un figlio mi chiedo se sia stato giusto portarti via da lì. Georgie, dimmi la verità, sei davvero felice di vivere in una casa così modesta, di dover lavorare per vivere, di non avere i lussi e gli agi che potrebbe darti tuo padre?”

Georgie si alzò e si appoggiò ad uno dei pali che reggevano il porticato.

“Abel, non devi mai più pensare una cosa del genere. Io sono felice qui, non potrei essere più felice in nessuna parte del mondo. Ho te e il nostro bambino, e questo non solo mi basta, ma è molto di più di quanto ho mai sognato.

Abel, ricordi cosa mi dicesti nella serra di Lowell? Avevi ragione! Io, una ragazza che era abituata a correre a piedi nudi nei prati, non avrei mai potuto abituarmi alla vita di città. Io sono felice qui, la mia terra è l'Australia, e la mia vita siete voi due.”

Abel si alzò ed abbracciò forte sua moglie, felice di ciò che lei le aveva appena detto, ma consapevole del fatto che il rimorso di aver allontanato Georgie e suo padre non lo avrebbe mai lasciato.

“Georgie, non desideri rivedere tuo padre?”

“Certo che sì, ora più che mai. E vorrei rivedere anche Arthur, e Maria, e tutti gli amici che abbiamo lasciato a Londra....Chissà, magari un giorno, quando Andy sarà più grande, potremo fare un viaggio e andarli a trovare, no?”

“Certo, lo faremo. E mi piacerebbe portare anche lo Zio Kevin. Sta invecchiando e la fattoria è diventata un compito troppo gravoso per lui. Vorrei tanto aiutarlo di più, ma il cantiere navale mi occupa la maggior parte del tempo. Se solo Arthur fosse qui...”

Rimasero ancora un po' abbracciati a godersi lo splendido tramonto australiano, ma entrambi pensarono la stessa cosa: era giunto il momento di contattare Arthur.


Tre anni dopo...

“Georgie! Georgie dove sei? Muoviti, siamo in ritardo e la nave sta quasi per arrivare, rischiamo di non arrivare al porto in tempo!”

Abel era già seduto sul calesse, con Andrew seduto sulle sue gambe che cercava di togliergli le briglie di mano.

“Piccolo, sta' buono, altrimenti il cavallo si imbizzarrisce!”, Abel l'ammonì dolcemente

“Sìììì, colli colli cavallino, colli veoce veoce!”

“Georgie! Ti prego, o qui Andy fa scappare il cavallo!!!”

“Arrivo!!!” rispose Georgie tutta trafelata.

In un attimo eccola comparire sulla porta, tenendo il cappello in una mano e portando in braccio una bimba di poco più di un anno.

“Scusa, Abel, non riuscivo a trovare le scarpine di Sophie, questa monella le aveva nascoste!”

Disse Georgie salendo sul calesse, accanto a suo marito e al loro primogenito.

“Va bene, ma adesso andiamo, o davvero arriveremo dopo la nave!”

Non stavano più nella pelle.

Arthur, Maria ed il Conte Gerald stavano arrivando. Era stato Abel a scrivere al fratello, chiedendogli di tornare in Australia almeno un'ultima volta finché lo Zio Kevin era ancora in vita. Abel aveva raccontato con esattezza quale fossero sia le condizioni di salute del vecchio zio, che i problemi alla fattoria e sperava in cuor suo che il fratello avrebbe accettato di tornare, anche solo per un breve tempo, ma di sicuro non si aspettava la risposta che ricevette.

Arthur sarebbe tornato, sì, ma per restare. Anche lui sentiva la nostalgia di casa e così aveva proposto a Maria di trasferirsi, proposta che lei aveva accettato subito, stanca di essere ancora emarginata ed additata per la sola colpa di portare il cognome Dangering.

Quando i due ragazzi avevano raccontato il loro progetto al padre di Georgie, questi aveva chiesto di poter partire con loro, perché non avrebbe avuto senso restare a Londra mentre i suoi tre figli erano in Australia.

E così, appena terminati tutti i preparativi, il viaggio era cominciato: Arthur stava tornando.

Arthur e Maria avrebbero alloggiato nella fattoria dello Zio Kevin; la casa era stata modificata in modo da poter garantire a tutti i giusti spazi e la giusta libertà e lo Zio si era subito dimostrato entusiasta dell'idea, non vedeva l'ora di riabbracciare il suo adorato nipote.

Fritz, invece, sarebbe rimasto ospite per un breve tempo a casa della figlia, ma aveva già fatto sapere di essere in trattativa per l'acquisto di una casa in città e che si sarebbe trasferito non appena fosse stato tutto pronto.

E così questo giorno così tanto atteso da tutti loro era finalmente arrivato, a breve i tre fratello Buttman si sarebbero ritrovati, e questa volta per non separarsi più.

Georgie, se possibile, era anche più euforica di Abel, non vedeva l'ora di riabbracciare Maria, suo padre e il suo adorato Arthur.

Ma prima, aveva ancora una questione in sospeso da risolvere.

“Abel, per favore, prima di arrivare in città fermati al cimitero, voglio passare dalla mamma”, chiede ad Abel con un'espressione molto seria.

“Ma Georgie! Faremo tardi...” cercò di ribattere Abel prima di scorgere in sua moglie quello sguardo serio che lo fece desistere dall'andare oltre.

“E va bene...ma fai in fretta, però, d'accordo?”

“Certo!”, rispose Georgie con un gran sorriso.

Arrivati al cimitero, Georgie si diresse di corsa alla tomba della madre, lasciando Abel con i due bambini.

Raccolse un paio di rami di mimosa e poi si inginocchio vicino alla lapide, ripulendola dall'erba che era cresciuta intorno.

Dopo aver recitato una breve preghiera, decise di parlare con sincerità.

“Ciao, mamma. Sono Georgie. Non so se ti fa piacere che io continui a venire a trovarti, so che per te sono stata un peso e un problema, però vorrei che mi perdonassi. Io non avevo di certo intenzione di distruggere la tua famiglia...la mia famiglia....

Spero che tu, dal Paradiso, insieme a papà, ci stia guardando, soprattutto Abel. E' felice, è diventato un uomo meraviglioso, forte ed ostinato come te, ma estremamente dolce e generoso, come papà. La nostra vita è serena, allegra, gioiosa anche se dura...lavorare in due e contemporaneamente mandare avanti la casa e due bambini non è facile, ma ci sosteniamo a vicenda e ci aiutiamo moltissimo. Io spero che tu abbia visto tutto questo, e ti sia tranquillizzata. Sto facendo di tutto per rendere felice Abel, mamma, e non lo faccio per il rimorso che ho nei tuoi confronti, lo faccio perché lo amo, lo amo da impazzire e se dovessi mai vederlo infelice so che morirei. Non credevo che sarei mai stata così felice, e se solo avessi capito da subito che Abel era l'uomo giusto per me, chissà, magari non sarei scappata e le cose sarebbero andate in maniera diversa.

Ma ormai il passato è passato, non possiamo tornare indietro, vero?

Sai una cosa? Arthur sta arrivando! Sarà qui tra poche ore, insieme a sua moglie Maria e a mio padre, che vorrà sicuramente venire qui da voi a conoscervi e a ringraziarvi. Tra poco saremo di nuovo tutti insieme, finalmente.

Ho da chiederti un favore, mamma, devo dirti una cosa che Abel ancora non sa. Non temere, non gli sto nascondendo nulla, è solo che prima ho bisogno di dirlo a te...

Mamma, io vorrei il permesso di chiamare nostra figlia come te. Abel non lo sa ancora, ma sono incinta e so che sarà una bambina, lo sento.

Ti prego, mamma, dimmi di sì...”

Georgie rimase in silenzio in attesa di quelle parole che non avrebbe mai sentito, ma così come era successo ad Abel tanti anni prima, una leggera brezza agitò le fronde degli alberi e fece rotolare un rametto di mimosa direttamente sul grembo di Georgie che raccolse quel fiore delicato e, scoppiando in lacrime, ringraziò mamma Mary, dopodiché si alzò e corse felice da Abel.

“Eccomi, possiamo andare!”, disse ridendo e buttando le braccia al collo del suo adorato marito.

“Ehi, ferma un attimo, signorina. Cosa succede? Hai un sorriso radioso...devo pensare ad un incontro galante tra le lapidi?”, le chiede Abel, ridendo.

“Scemo....No, sono andata a chiedere alla mamma il permesso di chiamare nostra figlia con il suo nome”, disse Georgie pregustandosi già la sorpresa.

Abel guardò perplesso prima lei, poi la piccola Sophia che si era addormentata nel calesse, vicino ad Andy.

“Ma...Georgie...abbiamo sempre chiamato nostra figlia Sophia...perché vuoi cambiarle nome?”

Georgie scoppiò a ridere.

“Ma non lei! Quella che tra circa sette mesi arriverà!”

“Ah, ho capito...”, disse Abel, non realizzando però bene ciò che Georgie gli aveva appena detto.

Abel mise un piede sul predellino e poi si voltò sgranando gli occhi.

“Cosa...cosa hai detto? Una...bambina...Georgie...tu...”

Georgie rideva felice e in men che non si dica si senti stringere e sollevare in braccio da Abel, che rideva felice.

“Ma è meraviglioso, amore mio, un altro figlio! Non ci posso credere, è una notizia fantastica! Ma...come fai a sapere che sarà una bimba?”

Georgie si godeva le coccole e gli abbracci di Abel e, senza staccarsi da lui, disse che non lo sapeva con certezza ma che se lo sentiva, così come era successo per gli altri due bambini.

Si scambiarono un bacio e poi risalirono sul calesse alla volta del porto.

“Siamo arrivati appena in tempo, Georgie, ecco la nave!

Georgie, Abel e i due bambini si fecero largo tra la folla e arrivarono proprio nel momento in cui Arthur, Maria e Fritz stavano scendendo dal pontile.

Abel ed Arthur si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro, abbracciandosi e piangendo come due bambini, mentre Georgie e Maria li guardavano commosse.

Poi Georgie si girò verso suo padre, con le lacrime che le rigavano il viso, incapace di muovere anche un solo passo.

“Papà...”

Fritz aprì le braccia e solo a quel punto Georgie ci si tuffò dentro, continuando a chiamarlo e a riempirlo di baci.

“Papà, quanto sono felice che tu sia qui. Non sai quanto ho sentito la tua mancanza...”

“Anche io, bambina mia, anche io. Ti avevo appena ritrovata e l'idea di averti persa ancora una volta mi straziava. Solo il pensiero di sapere che qui con Abel sei felice mi ha consolato in tutti questi anni.”

“Sì, papà, sono molto felice e vedrai che lo sarai anche tu. L'Australia è un paese meraviglioso”, disse Georgie prendendo le mani del padre, mani che tremavano, e lei sapeva bene perché.

Fritz si voltò a guardare la nave, dalla quale scendevano persone allegre, sorridenti, felici di tornare in patria a riabbracciare i propri cari o felici perché cariche dei sogni tipici degli emigranti che sognano una nuova vita migliore di quella che hanno lasciato.

“Georgie, per me è così difficile...” disse stingendo la mano della figlia. “La prima volta che ho attraversato quella passerella, avevo catene ai polsi e alle caviglie...non so dirti neanche se fosse giorno o notte, perché non ho alzato lo sguardo da terra. Pensavo solo a te e a Sophia, ero certo che non vi avrei mai più riviste...”

Fritz tremava ancora, e alla vista degli occhi di suo padre inumiditi, Georgie si commosse.

“Papà, ora è tutto diverso...capisco che il dolore per quello che è successo te lo porterai nel cuore per sempre, ma riuscirai ad amare questo posto, vedrai. Ti insegnerò a vederlo con i miei occhi, e con quelli di Abel e vedrai che a poco a poco l'Australia non sarà più il luogo della tua prigionia, ma la tua nuova casa. Guarda, papà, guarda tu stesso, e cominciamo da subito.”, disse Georgie facendo voltare Fritz.

Non lontano da loro, Abel stava ridendo con Arthur, il quale aveva preso Andy sulle spalle, mentre Maria si stava facendo tirare il cappello da Sophia, che rideva felice tra le braccia della zia.

“Guarda, papà, è questa la tua famiglia adesso. Ci aspetta solo serenità, e nulla più!”

Fritz sorrise guardando quell'allegro quadretto famigliare e annuì. Era sicuro che, con Georgie al suo fianco, l'Australia avrebbe smesso di essere un incubo.

Arthur si voltò verso di lei e la guardò intensamente, mentre faceva scendere Andy dalle sue spalle. Non le disse nulla, ma si capirono con uno sguardo.

Georgie si mise a correre, spalancando le braccia.

“Arthur, fratellino mio!”

Arthur e Georgie si abbracciarono fortissimo e dopo pochissimo tempo anche Abel si unì a loro.

Sì, finalmente siamo tutti insieme. Dopo tanti anni, tante sofferenze, tante lacrime e dolore siamo qui, abbracciati, sotto il cielo caldo dell'Australia. Da oggi comincia una nuova vita. Noi tre, insieme.

Georgie non si era mai sentita più felice.










   
 
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