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Autore: sayuri_88    16/06/2012    7 recensioni
« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa.
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Eccomi con l'ultimo capitolo di questa storia, è stato duro da scrivere, non perchè mancassero le idee, ma perchè non volevo scrivere la parola fine a questa storia, mi ha dato tanto, voi mi avete dato tanto, e ogni volta che aprivo Word le parole mancavano sempre.
Grazie anche ai lettori silenziosi e tutti quelii che hanno messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite ma soprattutto a quelle che hanno speso due minuti del loro tempo a lasciarmi un commento. Grazie 1000!
Ora vi lascio al capitolo.

P.S: Avete partecipatò all'iniziativa di ieri? Purtroppo io no, l'ho scoperto solo quando era quasi mezzanotte, penso che sia stata una bellissima idea e nella pagina FB del sito ho letto di motli che grazie a ciò hanno scoperto nuove storie e nuovi autori. E' stata una bella idea e spero che tutti, me compresa, si imegneranno in futuro a lasciare qualche recensione in più, positiva/nevativa ma costruttiva che possa aiutare chi scrive a migliorare e cresce.


 

 





Alice
 
« Alice, lui è Aro ».
Bella mi presentò al proprietario della Volturi Record. Un uomo che poteva essere definito eccentrico, ma forse era in quello che stava il suo fascino e la sua simpatia.
« Piacere, Signor Volturi. Sono onorata della possibilità che mi sta dando » dissi veramente grata a quell’uomo che aveva permesso al mio sogno di continuare a vivere.
La proposta di Bella era arrivata inattesa ma questo non minò la mia felicità. Nonostante che alla C-Major le cose non erano andate come previsto il mio percorso non era ancora terminato.
“Si chiude una porta, si apre un portone” mi disse Isabella quando mi annunciò che la casa discografica non intendeva investire su di me.
« Chiamami Aro e non mi devi ringraziare sono già un tuo fan. La tua esibizione è stata magnifica e quando Bella mi ha chiesto un contratto per te, non ci ho pensato due volte. Mi spiace per Edward ma si è fatto scappare un vero talento » mi elogiò. Arrossì imbarazzata, non ero abituata a ricevere tutti quei complimenti.
I miei genitori non avevano fatto altro che demoralizzarmi e se non fosse stato per la mia sorellina Cloe, che si era sempre considerata la mia prima fan, avrei già chiuso nel cassetto, in fondo in fondo per non vederlo mai più, il mio sogno.
« Credimi lo so » intervenne comparendo al fianco della mia produttrice che con occhi scintillanti salutò il suo fidanzato.
« Ciao, ragazzaccio ».
« Ciao, sbadata ».
Si salutarono per poi scambiarsi qualche effusione da perfetta coppia innamorata.
« Oh… i due piccioncini » li schernì Aro bonario prima di tornare serio e ricordare alla sua dipendente che erano in mezzo all’ufficio. I due si staccarono, Bella imbarazzata mentre l’altro scoccò un’occhiata maliziosa al mio nuovo capo.
Li invidiavo a morte. Da quanto nona avevo un ragazzo? Troppo tempo.
Erano usciti allo scoperto solo dopo che Bella si fu trasferita alla nuova casa discografica e ne ero rimasta piacevolmente stupita quando lo venni a sapere. Le sue amiche già sapevano e il fatto che non me ne avesse parlato, inizialmente mi aveva lasciato con l’amaro in bocca ma non gliene facevo una colpa. La conoscevo da pochi mesi mentre quelle ragazze da anni, loro erano un gruppo in cui io mi ero intromessa solo di recente.
« Bene, sono felice, due mesi e già ho due promettenti stelle del firmamento musicale ».
« Chi è l’altro? » chiesi curiosa. Bella non mi aveva parlato di altri artisti.
« Anche lui è stato scoperto da Bella » continuò Aro guardando la ragazza con orgoglio.
« Oh si, sono certa che ti piacerà » intervenne l’interessata. « Arriverà dopodomani e vedrai avrete modo di fare conoscenza ».
 
Il giorno dopo Bella aveva deciso di iniziare a incidere qualche traccia e così passammo tutta la mattina e il pomeriggio dentro la sala registrazione, sessioni spezzate solamente da una breve pausa per il pranzo.
Concentrata com’ero sulla canzone, non mi accorsi che qualcuno aveva affiancato la mia produttrice al mixer e solo quando mi tolsi le cuffie e alzai lo sguardo oltre il vetro, mi scontrai con un paio di occhi azzurri come un cielo primaverile.
Sorrise, creando delle piccole fossette sulle guance e mi salutò con un gesto della mano. Ricambiai incerta e imbarazzata. L'attenzione del ragazzo venne catturata da Bella che si era alzata e gli stava parlando con entusiasmo. Dietro di loro Edward che, intercettato il mio sguardo, mi salutò. Isabella seguendo il suo sguardo smise di parlare con lo sconosciuto e a grandi gesti m’incitò a raggiungerli. Poggiai le cuffie sul leggio e li raggiunsi. A differenza della sala in cui ero, quella affollate da voci diverse tra loro che creavano una cacofonia disarmonica di toni.
« Alice, » mi chiamò  subito Isabella. « Ti presento Jasper. Doveva arrivare questa sera ma ha anticipato... fortuna che Edward fosse libero ».
Accennai un sorriso divertito. Edward anche se fosse stato bloccato in una riunione importante avrebbe mollato tutto per aiutarla.
« Ciao, piacere di conoscerti » la voce bassa e melodiosa del ragazzo catturò la mia attenzione come fa la luce con le falene. Senza l’ostacolo del vetro e con l’illuminazione potevo studiare meglio il suo viso. Dei folti capelli riccioluti biondo miele, che mi ricordavano una chioma di leone, incorniciavano un viso dai lineamenti decisi. Gli occhi erano di un castano nocciola, caldi ed espressivi. Era alto e magro ma dalla leggera maglietta che indossava guizzavano muscoli tonici e ben modellati. In una parola era assurdamente bello e chissà quante ragazze erano cadute ai suoi piedi sotto l’effetto del suo fascino. Io stavo già subendo i primi effetti perché il mio cuore perse un battito e la gola mi si seccò togliendomi la voce. Deglutì cercando di dare un po' si sollievo a quell’arsura e ripresi un minimo di contegno.
« Ciao, » soffiai stampandomi in faccia un sorriso, « io sono Alice. Il piacere è tutto mio » e gli strinsi la mano. La sua era grande tanto che la mia mano sembrava quella di una bambina e la sua presa forte e decisa aveva un non so che di rassicurante.
« Il piacere è tutto mio » disse « sei bravissima, davvero. Hai una voce da mozzare il fiato ».
E ancora il mio cuore prese a battere come un tamburo colpito da un batterista impazzito.
 
 
Bella
 
Erano passati due anni e mezzo da quando era iniziato tutto. Il rapporto con il mio ormai ex capo andava a gonfie vele, certo c’erano stati alti e bassi, spesso siamo arrivati vicinissimi al punto di rottura ma sempre abbiamo ritrovato la nostra strada e non abbiamo smesso di lottare per noi e per i nostri sogni.
Quella sera, nonostante la mia reticenza, Edward era deciso a uscire a cena. A ogni costo.
« Ed, no chissà quanto ti sarà costato... » dissi rimirandomi ancora nel grande specchio della camera del mio ragazzo. Stavo davvero bene, dovevo ammetterlo ma non potevo accettare un regalo così costoso e lui lo sapeva bene. Non per altro c'eravamo dati un tetto massimo di spesa. Quello lo superava do molto.
« Facciamo così, io lo tengo nell'armadio e quando lo vuoi lo vieni a prendere » propose.
Certo non sarebbe cambiato nulla, lui non lo avrebbe mai indossato ma quel compromesso mi faceva sentire meno in colpa.
« Beh... Così può andare » accettati con un sorriso. Edward soddisfatto fece scivolare il suo sguardo sul mio corpo e poi mi baciò incitandomi a finire che rischiavamo di arrivare in ritardo. Sarebbe stata anche una scena romantica se non fosse stato per la pacca sul mio fondoschiena prima di scendere.
 
Aveva prenotato al Brighort. Dopo il giorno in cui avevo conosciuto Aro, c'eravamo tornati poche volte.
Il cameriere ci guidò lungo la sala principale fino a una più piccola rispetto a quella centrale dove stavano solo altre tre coppie.
Edward appariva agitato e qualche volta si distraeva dalla nostra conversazione per rifugiarsi in un mondo tutto suo.
«Tutto bene? » gli chiesi quando tornò al tavolo dopo essere sparito in bagno per dieci minuti buoni.
« Benissimo » rispose allentandosi la cravatta e cercando di abbagliarmi con uno dei suoi sorrisi sghembi ma gli riuscì male. « Che ne dici se facciamo portare il dolce? »
Mi scurì in viso, mi stava davvero preoccupando e gli sarebbe convenuto sputare il rospo, il prima possibile.
« Edward, che sta succedendo? »
Edward prese un profondo respiro e lasciato sul tavolo il tovagliolo che si stava sistemando sulle ginocchia si alzò per mettersi al mio fianco. Mi porse la mano, era fredda e sudaticcia, e mi fece alzare.
Si chinò a baciarmi le labbra e si inginocchiò davanti a me estraendo dalla tasca dei pantaloni una scatolina in velluto. Portai le mani alla bocca aperta in una grande "O" di stupore.
« Sai meglio di me che in certe cose sono un disastro quindi vado subito al punto. Isabella Swan, mi faresti l'onore di diventare mia moglie? »
Attorno a noi sentivo il borbottio degli altri clienti, le loro risate ma arrivavano ovattate come se Edward ed io fossimo chiusi dentro una bolla. Alternavo lo sguardo tra Edward e l'anello mentre sentivo il mio cuore battere sempre più forte e il respiro si faceva irregolare mentre cercavo di trattenere le lacrime di gioia.
Vedevo il suo nervosismo, l'ansia che prendeva possesso del suo volto ma nonostante potessi porre fine ai suoi timori dicendo le paroline che aspettava e che cercavano di uscire dalla mia bocca come una valanga rimasi in silenzio. Volevo godermi il momento, imprimermi nella memoria tutti i particolari.
« Bella, so che ami tenermi sulle spine » disse liberando una leggera risata che non nascondeva una nota isterica. « Ma sono già abbastanza nervoso... ».
Ridacchiai e non fidandomi della mia voce annuì con vigore.
« È un sì? »
Annuì ancora e soffiai un sì tanto flebile che feci fatica pure io a sentire e tremante per l'emozione gli porsi la mano, chiaro invito a infilarmi l'anello.
Attorno a noi la gente iniziò ad applaudire e a congratularsi ma io fissavo la mano di Edward che faceva scivolare l'anello sul mio dito.
Quando ebbe fatto, alzai la mano all'altezza del viso e ne ammirai la fattura. Era semplice con un piccolo rubino al posto del diamante. " È rosso, come l'amore, la passione,... È il simbolo perfetto per il matrimonio " gli dissi un giorno davanti alla vetrina della gioielleria più famosa di Chicago dopo aver ascoltato due amici che discutevano su quale fosse l'anello adatto.
« Te ne sei ricordato » mormorai abbassando la mano per guardarlo. Era raggiante e per poco non mi misi a piangere per l'ondata di emozioni che mi stava travolgendo. Portai le mani al suo collo e lo baciai. Fu un bacio bagnato dalle mie lacrime di gioia.
« Ti amo tanto » soffiai senza smettere di dargli veloci baci a stampo. Sorrise e dopo un ultimo bacio più profondo si allontanò per chiamare un cameriere per il dolce e lo champagne.
Felice mi guardati attorno e la signora di mezza età che occupava il tavolo più vicino al nostro si sporse verso di me e disse:
« Signorina lei è davvero fortunata, le auguro tanti anni felici come quelli che abbiamo passato io e il mio Jeffrey » e nel dirlo guardò con amore l'uomo seduto di fronte a lei. « I cinquanta anni più belli della mia vita » commentò l'uomo ricambiando lo sguardo.
Annuì e dentro di me sperai anch’io di arrivare alla loro età ancora innamorati come il primo giorno.
Uno scoppio alle mie spalle mi fece sobbalzare. Edward era tornato e al suo fianco un cameriere stava versando lo champagne in due flute.
« Bella, non ti siedi? » mi chiese il mio futuro marito. Edward si era già seduto, la sedia era ancora leggermente lontana dal tavolo, quello che bastava per fare quello che avevo in mente. Gli sorridi birichina e presi posto sulle sue gambe facendogli nascere un sorriso divertito.
« Sono troppo felice e non ho intenzione di staccarmi da te per il resto della serata » mi giustificai.
« Beh... Io non mi lamento » disse sogghignando. Lo baciai per l'ennesima volta, ebbra di felicità.
« Emh… il piatto della signorina dove lo metto? » ci chiese il cameriere che ci aveva portato il dolce.
« Li metta entrambi qui. Grazie » gli rispose Edward sistemandomi meglio sulle sue gambe.
Finimmo di cenare così, con noi che ci imboccavamo a vicenda tra baci e risate. Per certo posso dire che fu una delle serate più belle della mia vita. A pensarci bene le più belle le ho vissute con Edward.
Chi l’avrebbe detto che avrei avuto tutto quello che cercavo dalla vita? Dopo tutte le cadute, i bocconi amari finalmente mi potevo godere la mia felicità.
Il lavoro dei miei sogni? Lo avevo. La casa dei miei sogni? L’avevo - o meglio era di Edward ma quelli erano dettagli. L’uomo dei miei sogni? Ecco… Edward non era proprio l’uomo che immaginavo al mio fianco quando fantasticavo sul matrimonio. Lui era molto meglio.
 
Quando arrivammo davanti alla porta del suo appartamento, mi disse di aspettare. La mia mente romantica aveva già collegato la cosa a una qualche sorpresa ma quando aprì la porta non vidi un corridoio di candele accese che portava al caminetto  dove scoppiettava un bel fuocherello. Rimasi un po’ delusa ma durò poco perché mi prese in braccio.
« Benvenuta a casa, futura Signora Masen » dissi sorridente. Mi aggrappai al suo collo e ridacchiai.
« Non ti sembra di anticipare un po' troppo le cose? Dopo che saremo sposati dovresti portarmi in braccio… »
« Sì ma non guasta fare un po' di pratica » si giustificò facendo un passo dentro la casa. Chiuse la porta con il sedere e senza farmi scendere poggiò le chiavi della macchina sul tavolino all’ingresso e salì le scale per raggiungere la camera da letto.
« Aspetta » lo bloccai quando mise piede sul primo scalino. Mi guardò aggrottando le sopracciglia.
« Ti sei dimenticato di suonare ».
Suonava sempre qualcosa prima di andare a dormire ed io adoravo guardarlo mentre concentrato pigiava con maestria i tasti bianchi e neri. Aveva un non so che di eccitante.
« Giusto » concordò e tornò sui suoi passi.
« Mi faresti ascoltare la nuova composizione? » gli chiesi eccitata all’idea di scoprire cosa avesse scritto di nuovo. Ci lavorava da mesi: “Fino a che non sarà terminata, non la ascolterai” ma speravo che, con quello che era successo un’ora prima, si fosse abbastanza ammorbidito da dirmi di sì questa volta. A Edward s’illuminarono gli occhi di gioia, sembrava un ragazzino.
« Sei fortunata che l’abbia finita proprio ieri ».
Mi depositò sullo sgabello del piano e si sistemò al mio fianco. Alzò il coperchio, tolse la tela e dopo un bacio a fior di labbra iniziò a suonare.
Una musica dolce, lenta si diffuse nell’aria. Ogni nota trasudava di magia e amore, la musica accelerò in un crescendo di emozioni tanto travolgenti che mancò poco che mi mettessi a piangere.
« Ti piace? » per la prima volta in quattro anni in cui mi sottoponeva tutte le sue nuove creazioni, vidi l’esitazione e il timore oscurare il verde dei suoi occhi.
« È semplicemente stupenda » mormorai subito convinta.
« Davvero? » i timori si erano dissipati e al loro posto c’era una gioia innocente a illuminargli il volto. Annuì con vigore e mi strinsi al suo braccio, poggiando la fronte sulla sua spalla.
Una sua mano corse ai miei capelli accarezzandoli mentre l’altra mi circondava la vita e il suo alito mi solleticava la pelle dell’orecchio.
« È la nostra storia fino ad oggi e la speranza per un futuro che ci vede ancora insieme fino alla fine ».
« Quando ti ho conosciuto non avrei mai pensato che avessi questo lato così romantico » gli dissi senza trattenere una leggera risata. Lui m’imitò e sciogliendo l’abbraccio si alzò, invitandomi a fare lo stesso.
« È tutta colpa tua. Sei tu l’unica colpevole » ma non c’era nessuna nota di accusa nella sua voce, era felice e anche riconoscente. Spesso mi aveva detto che con me si sentiva rinato, ma lo diceva dopo aver fatto l’amore e avevo sempre pensato che lo dicesse trasportato dalle sensazioni appena provate ma guardarlo lì, in quel momento non potevo che credergli ed essere orgogliosa per quello che avevo fatto.
Ridacchiai e obbediente lo seguì fino alle scale. Spense la luce e salì i gradini illuminati da piccole lucette al neon.
« Beh… sono pronta a scontare la mia pena » dissi imprimendo una nota maliziosa nella voce. Edward si girò schioccandomi uno sguardo acceso di desiderio.
« La prendo in parola Signorina Swan » mi rispose poco prima di entrare in camera. Mi guidò sul letto e mi fece sedere.
« Sembra un sogno sai? » gli dissi una volta che mi adagiò sopra le lenzuola. Edward mi lanciò uno sguardo incuriosito mentre faceva scendere lentamente la zip del mio vestito.
« Che intendi? »
« Due anni fa non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto. Avere il lavoro dei miei sogni, essermi ritagliata il mio angolino nel mondo della musica e avere te » gli spiegai mentre anch’io mi davo da fare nel liberare i bottoni della sua camicia dalle loro asole.
Sorrise e mi baciò mentre faceva scendere l’abito ammassandolo attorno ai miei fianchi, alzai il sedere per permettergli di togliermelo e poi lo fece scivolare a terra, seguito presto dei sui vestiti.
« Se è un sogno allora ucciderò chiunque ci svegli » disse prima di coprire le mie labbra con le sue. Presto la camera si riempì di sospiri, gemiti, frasi sconnesse e lenzuola che frusciavano via. Sembrava quasi una melodia.
« Anche questa è musica » disse sulla mia spalla poco prima di uscire da me. Non sopportavo di sentirlo lontano anche se di pochi centimetri e così lo abbracciai, « ma è uno spartito che suonerai solo per me e con me » terminò cercando di nasconde la sua gelosia e la camera si riempì delle mie risate.
« Sei l’unico musicista che voglio, credo di averlo dimostrato » lo rassicurai con un bacio e alzando la mano su cui faceva bella mostra di se l’anello di fidanzamento, per poi guardarlo fintamente minacciosa. « Nemmeno tu però devi suonare altri strumenti ».
Sogghignò e con un gesto fluido tornò sopra di me. Mi baciò sulla bocca per poi scendere sul collo, sul mio sterno e sulla pancia, provocandomi mille brividi di piacere.
« Non c’è problema, sei l’unica che voglio » disse prima di continuare la sua discesa e riportandomi sulle vette più alte del piacere.
 
« È un po' grande ma va bene »disse la me vestita in bianco e riprodotta nello schermo mentre osservava la fede al dito. L’Edward di fronte a lei, perfetto nel suo abito da cerimonia, la guardò preoccupato. Si era voluto occupare lui delle fedi, a me era stato proibito vederle o anche solo accennarle nei nostri discorsi. Quel giorno le vidi per la prima volta.
Mentre osservavo i noi del video continuare la cerimonia iniziai a giocherellare con la fede. Mi lasciai sfuggire un risolino al ricordo di quello che era successo. Edward alle mie spalle mi strinse più a se e mi baciò l'orecchio senza staccare gli occhi dal video. Anche lui sorrise divertito.
« Oh mi sa che sono sbagliati… è piccolo per te » disse la me del video mentre osservava l'altro tentare di infilarsi l'anello dopo i miei numerosi tentativi falliti.
« Non entra… »borbottò l'Edward del televisore.
« Mi sa che sono scambiati »disse Aro, il testimone di Edward. In quel momento, ricordai divertita, ero indecisa se urlare contro la sbadataggine del marito e del suo testimone o ridere, unendomi alla risata generale degli ospiti.
Alla fine ci scambiammo le fedi e il resto della cerimonia si svolse come da programma e il giorno dopo partimmo per la luna di miele. Due settimane in Australia da cui eravamo tornati qualche giorno prima, felici, rilassati e abbronzati.
Al nostro ritorno avevamo trovato il video della cerimonia e così avevo inviato tutti a cena per vederlo assieme.
« Bel lavoro, Emmet » mi congratulai con il ragazzo della mia amica. Il ragazzo strizzò l'occhio e portò un braccio attorno alle spalle di Rose stringendola al suo petto.« Grazie Bella ma non posso prendermi tutto il merito, anche Rose ha fatto qualcosina » disse ricevendo in risposta uno sguardo indispettito dalla ragazza.
« Direi che ho fatto più di un qualcosina. Chi ha scelto la musica, le foto, i pezzi di filmato… ».
« Okay, tesoro, siamo a pari merito. Tu sei la mente ed io il braccio » e la zittì con un bacio e dalla reazione della mia amica dedussi che era ben accetto.
« Grazie a entrambi, è stupendo » disse Edward. Gli lasciai un fugace bacio sul mento e mi alzai dal divano per raccogliere le tazzine di caffè sparse sul tavolino e la ciotola di gelato di Coca-Cola.
« Non dovete ringraziare ma se proprio ci tieni non rifiuterei un bell’aumento » disse scatenando grasse risate. Ridendo raggiunsi la cucina e inizia a lavare quel disastro che era diventato la mia cucina.
« Ci hai provato ma accontentati dei ringraziamenti » sentì rispondere da mio marito. Marito… era così bello pensarlo, dirlo.
Recuperai un paio di guanti gialli e gommosi e armata di spugna iniziai a strofinare e sciacquare.
« Ehi, Signora Masen » la voce soffice e calda di mio marito, l’ho già detto che amavo ripeterlo?, mi arrivò bassa e roca all’orecchio. Le sue braccia mi cinsero la vita stringendomi al suo corpo. Sorrisi di riflesso e poggia la testa sulla sua spalla. Tutta la stanchezza del giorno venne fuori, liberata da un lungo sospiro.
« Stanca? » mi chiese lasciandomi un bacio tra i capelli.
« Tanto, ma mi sono divertita molto ».
Sentì il rumore di una pila di piatti che venivano poggiati sul tavolo e quando mi girai trovai faccia a faccia con Rose.
« Noi andiamo Bella. Grazie della bella serata ».
« Oh, andate di già… » dissi triste. Ero stanca e volevo solo andare a letto e addormentarmi tra le braccia di mio marito ma mi dispiaceva vederli andare via. Era da due settimane che non le vedevo.
« Sì, è tardissimo e siamo tutti stanchi, soprattutto tu ».
Mi liberai dei guanti e della presa di mio marito e andai ad abbracciare la bionda.
« Notte Rose e grazie di tutto » la salutai baciandole la guancia. Rosalie sorrise e, dopo aver salutato anche Edward, richiamò il suo ragazzo.
« Forza scimmione è ora di andare a nanna ».
« Notte, Bella. Capo, ci vediamo domani mattina » ci salutò Emmet, gioviale come sempre.
« Ciao, Emmet ».
« Ciao a domani ».
« Finalmente soli » soffiò quando chiuse la porta alle sue spalle. Gli occhi erano rossi e i capelli erano un ammasso informe tante erano le volte che li aveva scompigliati. Gli andai incontro e lo abbracciai, strofinando il viso sul suo petto. Subito le sue braccia corsero a stringere i miei fianchi.
« È stata una bella serata » disse e io annuì, « ma sono felice che se ne sono andati » mormorò scostando i capelli lasciando il mio collo in bella vista e iniziò a lasciarvi piccoli e languidi baci. Sogghignai e mi lasciai andare alle sue attenzioni. Anch’io iniziavo a essere molto felice che se ne fossero andati.
« Allora, Signora Masen che programmi ha per il resto della serata? »
« Non saprei. Qualche idea Signor Masen? »
Mi girai e gli cinsi i fianchi riservandogli uno sguardo languido.
« Beh... » e fece finta di pensarci mentre con una mano birichina liberò uno a uno i bottoni della mia camicetta. « Io qualcuna ne l'avrei... »
E dovetti ammettere, dopo la sua lunga ed esaustiva spiegazione pratica, che erano davvero delle idee molto ma molto interessanti tanto che gli chiesi di rispiegarmele dall'inizio.
« Bella » mormorò. Il suo respiro caldo sui miei capelli.
« Mmm... » mugugnai ancora immersa nelle magnifiche sensazione che io e mio marito avevamo appena condiviso.
« Dici che è troppo presto per pensare a un bambino? »
Ecco quella era la domanda che non mi sarei mai aspettata.
Come se fossi appena stata colpita da una secchiata di acqua ghiacciata mi alzai di scatto sconvolta. Non ne avevamo mai discusso, nemmeno lo avevamo accennato.
« Da dove ti è salata fuori questa idea? »
Edward pareva imbarazzato nell'intraprendere quel discorso ma deciso. « É da un po’ che ci penso. Ti ricordi quella famiglia che abbiamo conosciuto il terzo giorno della nostra luna di miele? »
« Certo » erano una giovane coppia con un piccolo di un anno. Era così dolce e per un secondo mi ero immaginata al posto di Olly con il mio bambino e il fatto che ci aveva pensato anche lui mi fece nascere un piccolo sorriso.
« Ecco da quella sera non riesco a togliermi dalla mente l'immagine di te con il pancione, poi con il nostro piccolo tra le braccia, vederlo fare versetti strani, compiere i suoi primi passi, dire le sue prime parole,... » cullata dalle sue parole immaginavo quello che lui mi descriveva e mi piaceva quello che vedevo. Diventare madre, un piccolo tutto mio. Mio e di Edward.
« Allora? Non sei obbligata, la mia è solo un’idea e abbiamo tutto il tempo per goderci la vita da novelli sposi e poi pensare a un marmocchio per casa » disse ma nei suoi occhi traspariva tutto l'opposto. Lui voleva quel piccolo e dopo tutto quello che mi aveva detto il desiderio di maternità era sbocciato come un fiore in primavera.
Senza rispondergli mi alzai e sotto il suo sguardo curioso recuperai una scatolina bianca. Gli occhi di Edward si spalancarono. Era la scatola delle pillole anticoncezionali.
Sorridendo mi avvicinai al cestino e le lasciai cadere.
 
 
Alice
 
« Una canzone assieme? »
Erano passati più di due anni e se mi si passa l’espressione, sia io che Jasper avevamo fatto il botto. Entrambi avevamo ricevuto dischi di platino, oro e più o meno tutti i premi possibili. Ero così soddisfatta della mia vita, della mia carriera. Quello che mi mancava era un uomo con cui condividere la mia gioia.
Le cose con Jasper non erano partite come avevo sperato all’inizio. Entrambi all’inizio delle nostre carriere e con l’obiettivo di realizzare il nostro sogno non avevamo dato spazio ad altro. Poi erano iniziate le piccole storielle con il batterista o l’attore conosciuto durante un programma, in compenso si era creata una buona amicizia.
« Sì, siete entrambi molto famosi e sarebbe una bella mossa pubblicitaria ». eravamo ospiti a casa di del Signor Masen, per una cena di lavoro ma più informale di una in un ristorante chic. Ovviamente aveva cucinato Bella. Avevo sempre stimato Edward ma avevo il sospetto che la cucina non fosse il suo ambiente naturale.
« Edward, non è solo una mossa pubblicitaria » lo interruppe Bella poggiando il bicchiere sul tavolo e facendo dondolare il liquidi rosso e corposo all’interno. « Il terremoto è una cosa seria. Questa canzone serve per raccogliere fondi. Andrà tutto in beneficenza ».
« Certo » concordò « ma dovete tener conto anche dell’aspetto economico… » insistette.
« Ragazzi, entrambi avete ragione » si frappose, come un arbitro che metteva fine a un incontro di box, Aro. Io e Jasper eravamo rimasti spettatori passivi.
« Allora, tu che ne pensi? » mi chiese lui mentre lanciava uno sguardo divertito al battibecco degli altri tre commensali. « Ci stai? »
« Perché no? È per una buona causa » dissi girandomi verso di lui.
« Sì è vero. Sarà bello lavorare assieme ».
« Lo credo anche io ».
Il progetto prevedeva la creazione di un intero album con canzoni scritte da cantanti americani e raccoglieva ogni tipo di musica, Pop, County, Dance, Rock, insomma, tutto. Ci sarebbe poi stato un concerto a New York, dove si sarebbero raccolti altri fondi, voleva dire un mese intero di lavoro serrato ma quando salì, accompagnata da Jasper sul palco che dava su Central Park tutte le notti in bianco, i ritmi serrati per arrivare a quella sera pronti vennero cancellate come il gesso sulla lavagna dopo essere stata pulita alla fine delle lezioni.
« Bravissimi » trillò Bella quando tornammo dietro le quinte. Un nuovo gruppo era salito al nostro posto e il presentatore li stava intervistando.
« Grazie, Isabella » la ringraziò, Jasper.
« Quante volte te lo devo dire di chiamarmi Bella » sbuffò lei. Jazz alzò le spalle e sorrise sbarazzino.
« Lo so, ma mi piace di più Isabella » spiegò e io ridacchiai. Lo faceva solo perché sapeva che a Bella il suo nome completo non andava molto a genio, una sua cugina italiana si chiamava come lei e a detta della mia amica era così odiosa che aveva voluto eliminare ogni associazione possibile con la con sanguigna. A partire dal nome.
« Lasciamo perdere, ci sono quelli di MTV che vi vogliono intervistare. Forza andate! » ci liquidò con un gesto rapido della mano.
 
« O mamma, sono così stanca » mormorai poggiando  gomiti sulla balaustra che  circondava la piscina del Club in cui si stava svolgendo la cena per la chiusura del concerto. Il tutto era finito a mezzanotte ed io avevo avuto il tempo di cambiarmi nel mio camerino per poi essere sballottata in una macchina, con vetri oscurati, e portata al ristorante. Ammetto che ne ero stata felice, a pranzo avevo mangiato solo un panino e la sera non ci vedevo più dalla fame *.
Mi liberai delle scarpe con il tacco che dopo tutte quelle ora stavano uccidendo i miei piedi e alzai la testa verso il cielo, chiudendo gli occhi per godere della brezza fresca della sera.
« Alice? » sentì qualcuno chiamarmi ma non aprì gli occhi e non risposi sperando che l’intruso se ne andasse ma non ebbi quella fortuna.
« Alice, stai bene? » li spalancai sorpresa quando riconobbi la voce di Jasper. Voltai il capo e lui era in piedi pochi metri da me. Sorrisi per tranquillizzarlo.
« Tutto bene, solo un po' di stanchezza ».
Sorrise e si passò una mano sul viso, anche lui era stanco e come me probabilmente non vedeva l’ora di coricarsi nel proprio letto e dormire un giorno intero.
« Stando a quello che ha detto Aro. Tra le vendite del CD e del concerto hanno raccolto molti soldi da spedire alle zone terremotate » disse fermando al mio fianco e imitando la mia postura.
« Già, sono felice di essere stata in qualche modo utile. Hanno perso tutto… non so come avrei reagito se fosse capitato a me » dissi tornando a guardare il cielo nero su cui sembravano riflettersi le luci dei mille e più grattacieli alti come la torre di Babele.
« Nemmeno io, hanno mostrato così tanta forza e voglia di ricominciare che sono davvero ammirevoli ».
Dopo quel piccolo scambio di battute rimanemmo in silenzio fino a che non iniziò a fare freddo, Jasper si accorse del mio disagio e sotto il mio sguardo curioso si tolse la giacca e mi coprì. Il cappotto era così grande che mi arrivava alle ginocchia.
« Grazie » dissi riconoscente e subito dopo mi ritrovai a ridacchiare al pensiero che quell’indumento fosse come un prode cavaliere che mi difendeva dal freddo che come un drago attentava alla mia vita.
« Fa ridere anche me » disse Jasper con un sorriso.
« Oh, nulla… sciocchezze » liquidai la cosa facendo prendere al suo viso una sfumatura imbronciata.
« Vuoi sentire qualche mia sciocchezza? » mi chiese con ritrovato sorriso. Ridacchiai e poggiando la testa sul palmo della mano destra gli prestai tutta la mia attenzione.
« Spara ».
« Bene, allora quando… » e iniziò a narrarmi una serie di episodi della sua infanzia, della scuola e via dicendo che lo aveva visto cacciarsi nei guai più disparati. Io non potevo che ridere dall’inizio alla fine tanto che la pancia mi doleva e le guance mi urlavano pietà.
« Che ne dici di rientrare si sta facendo freddo e gli altri si chiederanno dove siamo finiti »
« Si è meglio, tu poi sei solo in camicia » dissi sentendomi un po' in colpa, stava prendendo freddo per colpa mia.
« Non preoccuparti, la mia infanzia l’ho passata in Alaska. Questa arietta non è nulla » commentò con una scollata di spalle.
Il salone era ormai semi vuoto, erano rimasti solo quelli che avevano una camera nel Club. Con lo sguardo cercai Bella ma né lei né il suo fidanzato erano presenti segno che erano già saliti alla loro camera. La notizia del loro fidanzamento mi aveva riempito di gioia, sentimento che non aveva fatto che crescere quando la futura sposa mi aveva chiesto di essere una delle sue damigelle.
« Alice, Jasper dove eravate finiti? » Aro avanzò verso di noi. Nonostante l’ora tarda aveva un aspetto magnifico come se si fosse appena svegliato.
« Eravamo fuori a prendere un po' d’aria » spiegai mentre restituivo la giacca a Jasper. Qualche fotografo girava ancora per la stanza e mi ritrovai a pensare se qualcuno avesse fatto qualche foto a me e al biondo mentre ridevamo e scherzavamo.
« Bene, beh è ora che mi ritiri anche io. Buona notte ragazzi, domani mattina si partirà alle dieci ricordatelo » e si congedò.
« Un ultimo drink? » gli domandai speranzosa. La stanchezza sembrava essere volata e anche Jasper sembrava essersi risvegliato così accettò e ci dirigemmo al bar.
Passare il tempo in sua compagnia era stato bello. Durante la produzione della canzone e del concerto eravamo stati assieme quasi ventiquattro ore al giorno e quello ci aveva avvicinato ancora di più facendoci diventare molto intimi. Più di una volta c’eravamo trovati a superare il limite dell’amicizia ma una volta io, una volta lui c’eravamo tirati indietro ma quella sera, dopo l’ennesimo drink, e piccoli sfioramenti di mano, braccio, che tanto innocenti non erano, la mia mente era così annebbiata da perdere ogni inibizione o freno. Sarebbe stata una cosa di una notte? Sarebbe iniziata una relazione duratura? Rischiavamo di rovinare la nostra amicizia? Avremmo rovinato tutto? Avevo trovato una sola risposta a tutte quelle domande: chi se ne frega. Volevo cogliere l’attimo al resto ci avrei pensato il giorno dopo.
Quelli erano i miei pensieri mentre l’ascensore saliva lentamente al quarto piano dove stava la mia camera, lui era al quinto. Eravamo appoggiati alla parete di fronte alle porte, uno a fianco all’altro nonostante l’ascensore fosse molto grande.
Al quarto piano ascensore si bloccò facendomi sobbalzare e le porte scorrevoli si aprirono e quello era il momento della nostra separazione o dell’attuazione del mio piano. Anche quella sera avevo ricevuto segnali contrastanti da parte di Jasper, forse anche lui si era fatto le mie stesse domande e timori. Era una situazione di stallo così appena uscì dall’ascensore mi girai e presi l’iniziativa.
« Jasper, ti va di farmi compagnia questa notte? »
spalancò gli occhi stupito ma poi sorrise
« Sì » accettò e bloccò con un gesto rapido le porte che si stavano chiudendo e uscì dall’ascensore.
 
Bella
 
Già tre anni erano passati da quando avevamo deciso di avere un bambino. Tre anni di tentativi, di maratone di sesso, per non perdere nemmeno un’occasione, e terapie mediche o “spirituali”, come le definiva Edward, non avevano portato a nulla se non tanto sconforto per entrambi. Le visite mediche cui c’eravamo sottoposi dicevano che non avevamo nulla, e i dottori sostenevano che era solo questione di tempo e che quando meno ce lo saremmo aspettato quel bambino sarebbe arrivato. Noi potevamo solo sperare.
 
Eravamo agli inizi di febbraio e da qualche settimana che la mattina, e spesso anche durante il giorno, mi ritrovavo china sul water di casa o dell’ufficio a rimettere quello che avevo mangiato, le nausee sembravano essere diventate le mie migliori amiche ed ero soggetta a repentini cambi di umore e voglie assurde.
Subito la speranza si era accesa dentro di me ma non mi ero lasciata sopraffare dalla gioia temendo che, come del resto le altre volte, fosse un falso allarme. Mi fiondai in farmacia e scioccai la commessa quando alla cassa mi presentai con otto test di gravidanza. Volevo essere sicura del risultato.
Dieci minuti dopo ero seduta sul water con i test uno in fila all’altro, sul bordo del lavandino, in attesa del risultato. In quel momento mi ritrovai a pregare tutti gli dei possibili e immaginabili implorandoli di far uscire un esito positivo. Avevo impostato il cronometro del cellulare e fissavo lo schermo, convinta che così i minuti sarebbero scorsi più velocemente ma invece sembravano rallentare facendosi beffe di me e della mia sete di conoscenza. Dopo quelle che mi sembrarono ore il timer si illuminò e iniziò a vibrare, segno tangibile che il tempo era scaduto.
Con mani tremanti li feci passare uno a uno.
« Grazie, grazie, grazie,… » urlai saltando sul posto. L’urlo disumano aveva richiamato Carmen, quando ero entrata di corsa, come un tornado nell’ufficio non le avevo lasciato il tempo di dire o fare nulla, ero direttamente andata in bagno chiudendo a chiave la porta e impedendo a chiunque di entrare.
« Bella, ora apri questa porta mi sto davvero preoccupando » disse bussando con decisione. « Bella! » mi richiamò ancora.
Raccolsi tutti i test e li infilai in borsa alla rinfusa e spalancai la porta spaventando la mia amica.
« Bella, mi vuoi dire che succede? » mi chiese tra lo scioccato e il preoccupato. Sentivo un fiume di lacrime scendere lungo le mie guance ma un sorriso estatico mi piegava le labbra. Forse, anzi certamente, le sarò sembrata una pazza ma ero così felice che piangevo di gioia.
Dovevo andare da mio marito, subito.
« Ti spiego dopo. Prima devo andare da Edward » e come una furia mi fiondai nell’ascensore poco prima che le porte si chiudessero. Lungo tutto il tragitto non riuscivo a smettere di sorridere e piangere mentre mi accarezzavo la pancia fantasticando sul nostro futuro da quel momento in avanti. I più mi guardavano storto, come se fossi una pazza, ma come facevano a non capire quello che mi era successo? Mi sembrava di avere un grande cartello, con una gigantesca freccia luminosa che puntava verso di me, che diceva: aspetto un bambino.  
 
Arrivai davanti alla C-Major dopo aver incitato il guidatore del bus ad accelerare o se non poteva, almeno a saltare tutte le fermate che mancavano alla mia e feci di corsa gli scalini perché non avevo tempo per aspettare l’ascensore. Pessima scelta se si teneva conto che non praticavo alcun tipo di sport e così a metà della secondo rampa iniziai ad arrancare ma finalmente arrivai al piano che mi interessava. A grandi falcate e con il cuore in gola, per lo sforzo e per la gioia, percorsi il corridoio dove i miei vecchi colleghi mi salutarono e tentarono di fermarmi per quattro chiacchiera ma riuscì a districarmi e a arrivare davanti alla porta dove facevano bella mostra di se il nome di mio marito in lettere maiuscole nere.
« Bella! Che ci fai qui? » mi chiese sorpreso per poi guardarmi allarmato. « Che succede? Perché piangi? » mi assalì con un fiume di domande appena mi vide.
Senza rispondergli mi avvicinai alla scrivania dove era seduto. Si alzò e girò attorno alla scrivania e si fermò al mio fianco.
« Amore, mi sto davvero preoccupando » era comprensibile visto lo stato in cui mi ero presentata e il fatto che non volessi dargli spiegazioni. Come tutti quelli che ho incontrato sulla strada probabilmente credeva che io fossi impazzita.
Alla rinfusa, feci cadere i test sulla scrivania e gliene mostrai due, uno in ogni mano.
« Guarda! » trillai finalmente. A primo acchito Edward non capì, poi, quando realizzò quello che avevo in mano, li conosceva bene visto le volte che li avevamo usati, spalancò gli occhi per lo stupore. Nei suoi occhi passarono una infinità di emozioni: speranza, gioia, incredulità, amore. Quegli occhi verdi che tanto amavo erano una cacofonia di emozioni che, mano a mano che gli facevo vedere gli altri test, prendeva il soppravvento su di lui e presto ci ritrovammo stretti un abbraccio.
« Sei incinta, incinta! Saremo genitori! » singhiozzò senza vergognarsi di farsi vedere a piangere. M’issò e mi fece girare. Lacrime e risate si mischiarono ai nostri baci e alle nostre frasi sconnesse che cercavano di trasmettere tutta la gioia che provavamo all’altro.
Il nostro bambino era arrivato, finalmente.
 
« Jess che stai facendo? » chiese gioviale la mia me di quattro anni prima dallo schermo.
« È per i vostri figli, così potrete rivedere il giorno del vostro matrimonio tutti assieme e ti renderai conto della cavolata che hai fatto nello sposarti con chiappe d'oro... Sarai ingrassata di dieci chili e avrai i capelli  unti e stopposi e delle unghie orribili ... »rispose Jess, bellissima nel suo abito color avorio. Jessica era per il single a vita, solo storie brevi e poco significative ma sembrava che recentemente qualcuno gli aveva fatto venire qualche dubbio.
« Bella, perché piangi? »
Recuperai un altro fazzoletto dalla scatola e con disappunto constatati che quello era l'ultimo. In due ore avevo consumato cento fazzoletti.
« Bella... » mi richiamò Edward, questa volta preoccupato.
« Eravamo bellissimi quel giorno » mugugnai tra i singhiozzi « Ero così felice » e mi girai a guardarlo. Mio marito intanto era arrivato al divano e si era seduto al mio fianco stringendomi nel suo caldo abbraccio.
« Perché piangi allora? »
« Sono gli ormoni » borbottai e sentì il suo petto scosso dagli spasmi di una grassa risata.
« Ehi, non si ride di una donna incinta » ringhiai. Ecco un altro cambio di umore provocato dagli ormoni. Edward smise subito di ridere e mi abbagliò con un sorriso malizioso.
« Non riderei mai della madre di mio figlio ».
« Figlia, te l'ho detto sarà una bambina » sentenziai alzandomi dal divano per buttare la scatola di Kleenex e raggiunsi la cucina. Avevamo deciso di aspettare, volevamo che il sesso del bambino fosse una sorpresa e ognuno si era fatto un proprio film mentale. La maggioranza era dalla parte del padre della mia piccola, “si vede dalla forma della pancia” dicevano, ma io ero fortemente convinta che fosse una bambina.
Una mamma certe cose le sente…
Buttai la scatola e una voglia matta di biscotti mi assalì e non volevo certo che mia figlia nascesse con una voglia a forma di biscotto con le gocce di cioccolato e M&M così aprì l’armadietto dove aveva messo la scatola dei biscotti ma questa è vuota. Iniziavo a preoccuparmi perché la gravidanza sembrava avermi portato via la memoria. Era mai capitato che una donna in attesa perdesse la memoria a breve termine?
Continuai a cercare ma sembravano essersi volatilizzati.
« Dove sono finiti i biscotti? » gracchiai quando, dopo cinque minuti buoni di ricerca non li trovai. Era impossibile che fossero spariti, li avevo cucinati la sera prima. Poi un lampo di genio illuminò la mia mente.
« Quali biscotti? » mi chiese con fare disinteressato quella fogna del mio compagno. Fermo davanti all’isola mi guardava con l’espressione più innocente di tutte. Che grande attore.
« Non fare il finto tonto » ringhiai. Ero una donna incinta di sei mesi in piena crisi perché non riusciva a soddisfare la sua voglia di biscotti.
« Okay, avevo fame, stiamo per avere un bambino devo mangiare di più » si giustificò sapendo di essere alle strette.
« Guarda che sono io quella che ha tuo figlio nella pancia! Io sono giustificata a mangiare tanto, tu no, guarda che pancetta ti sta venendo » dissi indicando con un cipiglio di disappunto il lieve strato di grasso che la maglietta evidenziava. La adoravo ma certe volte rimpiangevo la bella tartaruga che aveva un tempo.
« È colpa tua che cucini dei manicaretti da leccarsi i baffi » rispose infastidito dal mio appunto. Da quando mi ero trasferita a casa di Edward, dopo il matrimonio, non facevo altro che cucinare, cucinare e cucinare.
« Prima la nostra ginnastica mi teneva in allenamento ma adesso che mi dai buca la maggior parte delle volte questo è il risultato » e mi pizzicò un fianco facendomi sussultare. Ridacchiai e iniziai a giocherellare con la sua pancetta.
« A me piace, è soffice e coccolosa » dissi. Subito mi bloccò ed io scoppiai a ridere a crepapelle. Edward in certe cose era peggio di una donna. Bloccò la mia ilarità con un bacio mozzafiato.
 
Da quando ero rimasta incinta, non lo avevamo fatto spesso e solo nei primi mesi, poi la pancia era comparsa e con lei tutti i fastidi. Non ci riuscivo, non so perché ma ogni volta che lui provava a fare qualcosa, lo bloccavo perché onestamente alla fine della giornata mi trovavo senza forze, stanca, con i piedi che dolevano, il mal di schiena e l'unico desiderio che avevo era quello di dormire pregando che la piccola non si mettesse a scalciare come un cavallo imbizzarrito.
Poi anche lui aveva smesso di provarci e se ero io ad accennare un certo tipo di approccio mi stroncava sul nascere e mi ritrovavo a bocca asciutta, ciò aveva fatto nascere in me quell’insana idea di non essere desiderabile. Era falso, insomma, Edward non mi aveva mai dato nessun segnale in quella direzione, semmai tutto il contrario. Avevo perso il conto di tutte le volte che mi aveva detto che ero ancora più bella per la gravidanza. Ogni volta che mi guardava, leggevo solo amore e felicità, quindi non si era andato a cercare qualche amante che potesse soddisfarlo e che, soprattutto, non aveva perso interesse per me.
Tutte le mie amiche mi avevano detto che era normale per una donna incinta ma dicevano che non dovevo preoccuparmi perché mio marito mi amava.
C’è da dire che, come me, anche lui era stanco, per tutte le volte che lo avevo svegliato nel mezzo della notte, per andare a comprare una pizza, un hamburger o un gelato, le mie scenate imprevedibili e senza senso per cose futili, le liti con il padre che si erano intensificate e poi il lavoro, lo sottoponevano a uno stress continuo.
« Non vedo l’ora che il piccolo nasca per tornare a praticarla. Ho molto da recuperare ».
« Possiamo recuperare ora, non dobbiamo aspettare ».
« Bella per me non è un problema aspettare » disse carezzandomi una guancia. Gli rivolsi uno sguardo interrogativo. Perché dovrebbe aspettare? Ero lì che volevo farlo…
« Edward, se non vuoi farlo devi solo dirlo… » spalancò gli occhi come se avessi detto un’eresia.
« Scherzi? Questi tre mesi sono stati un inferno, dovevo fare forza su me stesso per tenere le mani a posto ».
« Perché mi respingevi, allora? » gli chiesi con una punta infastidita nella voce.
« Credevo lo facessi pensando che ne avessi bisogno io e non perché lo volessi tu… » si giustificò. Alzai un sopracciglio davanti alla sua logica contorta e senza fargli male gli diedi una sberla sul braccio.
« Volevo davvero farlo » ribattei indispettita dal fatto di aver perso fantastiche serate per le sue paranoie. « Più di una volta ho creduto che mi rifiutassi per via della pancia, delle mille e più smagliature,… ».
« Ma che dici? Sei più bella che mai così, se fosse stato per me, saremmo stati a letto per tutto il tempo ». Quella rivelazione mi aveva fatto ritrovare il sorriso e allacciando le braccia attorno al suo collo iniziai a solleticare al pelle del viso con la punta del naso alternato al tocco della mia bocca. Mio marito, dal canto suo, si godeva le mie attenzioni che stavano avendo l’effetto desiderato. Potevo sentire il suo desiderio di me premere contro il mio ventre e la mia mente stava già viaggiando verso la camera da letto immaginando quello che avremmo fatto. “Piccola di mamma chiudi gli occhietti e non sbirciare” dissi rivolta alla bambina, prima di porre fine al mio gioco e baciare mio marito cercando di trasmettere tutta la voglia che avevo di lui.
« Quindi non ti devo fermare? » mormorò roco staccandosi appena ma non aspettò una mia risposta perché tornò a vezzeggiarmi. Tenni gli occhi socchiusi per godermi ogni parte del suo viso.
« No, questa volta no » soffiai sulla sua bocca e non passò molta prima di vedere i suo occhi accendersi di malizia. Sorrise e non ci pensò due volte a prendermi in braccio ma fece solo qualche passo prima di fermarsi.
« Oddio, tesoro, asp… aspetta » disse facendomi scendere. Si stiracchiò la schiena e si massaggiò nella zona dell’osso sacro.
« Che succede? » gli chiesi con tono preoccupato e accompagnando con una mano i suoi gesti.
« Nulla, ma non sono più tanto giovane » borbottò con un sorriso di scuse.
« Stai dicendo che sono diventata pesante? » e gli riservai un’occhiataccia, era incredibile come, in un nanosecondo, fossi passata dal desiderare di fare l’amore con il mio compagno per tutta la notte al volergli tirare una padellata in testa.
Edward spalancò gli occhi spaurito e si affrettò a calmarmi.
« Certo che no. Sono io che ho perso il mio smalto » ma i miei ormoni erano già entrati in azione e mi stavano travolgendo con un’ondata di amarezza e commiserazione.
« Sì, sono grassa » mugugnai per poi liberare un lungo e acuto singhiozzo che preannunciava un pianto che poteva concorrere con la stagione delle piogge in un paese tropicale.
 « No, no, no, no,… » cercò di calmarmi, « porti il nostro bambino dentro di te. Non sei grassa ».
Purtroppo quella sera non concludemmo nulla, mio marito era troppo preso a calmare la mia ennesima crisi ormonale ma dalla sera dopo ci impegnammo a mantenere la promessa di recuperare tutto il tempo perso.
 
Jane Elisabeth Masen nacque il ventinove settembre con una settimana di ritardo rispetto alla scadenza, pesava tre chili e mezzo ed era in piena salute. Edward non era rimasto male per le sue aspettative infrante, “ tanto il prossimo sarà un maschietto ” aveva detto quando, una volta rimasti soli nella camera dell’ospedale gli avevo chiesto se gli dispiacesse non aver avuto il suo primo componente della squadra di basket.
Si era innamorato subito ed era stato difficile per l’infermiera recuperarla dalle sue mani per pulirla. Da quel momento in poi, mio marito divenne super geloso della sua principessina e quando di notte inizia a piangere era lui che insisteva per andare ed io li guardavo, poggiata allo stipite della porta della sua cameretta nella nuova casa, ammaliata ed era sempre con un po’ di nostalgia che ripensavo a quei momenti.
 
Eravamo nel giardino sul retro dell'asilo Mille fiori. I piccoli della classe " margherita " erano seduti in cerchio e noi genitori eravamo dietro ai nostri rispettivi pargoli. Jason, tra le mie braccia si agitava felice. Con i suoi capelli biondi e occhi castani mi guardava amorevole. Quante volte avevo desiderato che il tempo si fermasse e lui rimanesse il piccolo esserino che avevo tra le braccia, non volevo che crescesse come sua sorella e si allontanasse da me, com’era giusto che fosse.
« Bene, bambini ora uno alla volta vi alzate e leggete quello che avete scritto sull'amore » la Signorina Morrison richiamò l'attenzione dei bambini, furono pochi quelli che fecero come gli fu detto, gli altri continuarono a urlare e parlare e giocare tra loro.
Amavo mia figlia ma stare tutto il giorno circondata da bambini dai tre anni ai sei, era improponibile. Sarei impazzita e le maestre dell'asilo avevano tutto il mio rispetto e la mia stima per riuscire ad arrivare a fine giornata con la salute mentale intatta.
« Jane, ascolta la maestra. Siediti » la richiamò Edward. Nostra figlia stava parlando animatamente con la sua amichetta del cuore Maria ma appena sentì la voce del padre, come richiamata dal pifferaio magico, si sedette a gambe incrociate e lo sguardo verso la maestra. I riflessi ramati dei suoi capelli rispendevano sotto la luce del primo pomeriggio e i suoi occhi verdi, come quelli del padre erano grandi e rispecchiavano la gioia di essere lì con i suoi amici. Le gote ancora rosse per le corse e le risate.
Quando finalmente calò il silenzio, la maestra riprese la parola.
« Bene. Benji, inizia tu ».
« L’amore è quando mamma dà a papà il pezzo più buono del pollo» tutti i genitori scoppiarono a ridere e applaudirono mentre quelli di Benji si scambiavano un bacio a fior di labbra.
« Bravissimo. Janette tocca a te » continuò la signorina. Una bambina di colore con i capelli raccolti in tante treccine si alzò e un po' imbarazzata lesse il suo foglietto.
« L’amore è quando la ragazza si mette il profumo, il ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per annusarsi » disse scatenando con la sua innocenza un’altra risata da parte nostra.
È così bello il mondo visto con gli occhi di un bambino. Nessun inganno, bugia o cattiveria. Noi viviamo di abitudini, ci facciamo guidare dalle convenzioni e ci perdiamo il bello della vita, le sue meraviglie. I bambini no, sanno andare oltre i muri che noi adulti ci costruiamo, loro ti regalano affetto senza chiedere nulla in cambio, noi invece non facciamo nulla se non abbiamo un tornaconto, siamo sempre in attesa e non siamo capaci di vivere il presente.
 
Presero la parola altri due bambini e poi fu il turno di mia figlia. Jane, si alzò sistemandosi il vestitino e recuperato il foglietto dalla tasca, lo aprì e lesse con la sua voce allegra e squillante di una bambina di quattro anni che lasciava una tazza di latte e un piatto di biscotti la vigilia di Natale per Babbo Natale e che metteva il dentino sotto il cuscino per la Fata dei Denti. « L’amore è quando papà fa il caffè per mamma e lo assaggia prima per assicurarsi che sia buono».
Io e mio marito non riuscimmo a trattenere un tenero sorriso.
Edward posò la mano sul mio ginocchio e lo strinse. Lo guardai di riflesso, sorrideva orgoglioso della sua principessa.
Jane si girò sorridente e piena di aspettative.
« Bravissima, Tesoro » dissi baciandole la fronte e anche Jason mostrò il suo apprezzamento agitando le manine in alto ed emettendo versetti gioiosi. Edward dopo di me le schiacciò il nasino tra il pollice e l'indice scatenando la risata di nostra figlia.
Portai la mano alla bocca e cercai di non piangere. Stava crescendo così in fretta, sembrava l'altro ieri che avevo passato dodici ore in travaglio perché voleva farsi attendere e sembrava solo ieri che aveva fatto il primo passo e detto la prima parola.
« Ehi, ragazzina, non piangere » sussurrò mio marito al mio orecchio prima di lasciarvi un bacio.
Scossi la testa e sorrisi poggiando il capo sulla spalla di Edward che con un braccio destro mi avvolse le spalle, con la mano sinistra invece iniziò a giocare con nostro figlio.
Dieci minuti dopo, finita la canzone dell'estate, il cerchio si era sciolto e iniziarono i saluti di rito per le vacanze estive.
Parlammo con diversi genitori che nel corso dell’anno avevamo conosciuto alle riunioni e alle feste e con cui si avevamo instaurato una bella amicizia. Alla fine, riuscimmo ad arrivare anche alla Signorina Morrison, che era letteralmente asserragliata dai bambini.
« Jane, buone vacanze » salutò mia figlia appena fu il nostro turno. « Mi mancherai sai ».
Come risposta Jane abbracciò le gambe della signorina e si lasciò sfuggire una lacrimuccia. Erano lontani i tempi in cui si aggrappava alla mia gonna per non andare all'asilo.
« Signora Masen, congratulazioni per il nuovo arrivato. È un vero amore » mormorò accarezzando con delicatezza la guancia paffuta del mio piccolo. Aveva solo tre mesi ed era così piccino che assomigliava a una bambola. Jason gorgogliò, segno che apprezzava quelle inattese ma gradite attenzioni. « Sono così belli quando hanno questa età ».
La signorina, allora, si rivolse a mia figlia che nel frattempo era riuscita a convincere il padre a farla stare sulle sue spalle.
« Jane, sei contenta dell’arrivo del fratellino? » le chiese la maestra. A Jane s’illuminarono gli occhi, come sempre quando si parlava del nuovo membro della famiglia.
« Siiiiii » trillò la piccola saltellando sulle spalle del padre che inutilmente le diceva di calmarsi. « Lo abbiamo fatto proprio bello, vero? »
« Tutto merito di mamma e papà » disse Edward facendole fare sul saltino. Jane rise accasciandosi maggiormente sulla testa del padre.
« Un po' anche mio che sono stata nel mio lettino » disse lasciando di stucco, me, suo padre e la maestra.
« Chi te lo ha detto? » dire che Edward fosse più sorpreso o divertito dalla sua risposta non lo saprei dire.
« Zio Emmet, ha detto che se volevo che arrivasse il fratellino dovevo stare buona, buona nel lettino ».
« Farò quattro chiacchiere con Emmet, domani » commentò burbero Edward. Ridacchiai e feci scivolare il braccio attorno alla sua vita e la strinsi attirando la sua attenzione.
« Suvvia non ha detto nulla di male e alla fine è vero » intervenni difendendo il marito della mia amica.
« Non può trattare di certe cose con la mia principessina » obbiettò serio sospirai rassegnata e scambia una occhiata complice con la maestra. In fondo un padre è sempre geloso della sua bambina.
 
Dondolando sulla poltrona girevole guardavo il paesaggio dalla finestra. Lo studio era in mezzo alla città e il lago era solo una strisciolina in lontananza spezzata dal susseguirsi dei grattacieli ma era bello lo stesso lo spettacolo che mi si presentava davanti.
C’ero riuscita, stavamo andando avanti, a piccoli passi c’eravamo fatti un nome e ogni giorno era una nuova soddisfazione per me e gli altri.
A trentasette anni potevo dire di essere una donna pienamente soddisfatta della sua vita familiare, sentimentale e lavorativa:
Edward era un compagno di vita fantastico, certo non erano tutti i gironi rose e fiori ma come si dice “l’amore non è bello se non è litigarello”. Jane e Jason crescevano perfettamente in salute, viziati come non mai dai nonni e li amavo ogni giorno di più, così come crescevano le mie preoccupazioni tipiche di una mamma chioccia che vorrebbe proteggere i suoi pulcini da tutto e da tutti. Mi ero scoperta essere una vera e propria mamma italiana.
Infine, l'avventura con Aro si era conclusa due anni dopo la nascita di Jane, quando avevo trovato un locale adatto e avevo ricevuto i finanziamenti necessari dalla banca che mi avevano permesso di aprire una casa discografica tutta mia. Mia, solo mia, ero il capo di me stessa. Alice mi aveva seguito una volta che avevo preso la mia decisione e che il contratto con la Volturi Record si era concluso.
Ero così fiera dei traguardi che avevo raggiunto.
 
« Bella, John è tornato e Molly è pronta con le bozze del video di Alice » la voce di Edward arrivò forte e chiara alle mie spalle. Non aveva bussato, come al solito, ma non era necessario. Solo gli altri dovevano bussare, giusto per precauzione mia e di Edward per quelle volte che ci lasciavamo un po’ troppo andare.
Era il bello di lavorare assieme.
Dopo la nascita di Jason, quasi tre mesi fa, aveva mollato il padre e la C-Major e mi era stato di grande aiuto. Edward Senior Masen non si era mai più fatto sentire ne vedere ma onestamente non ne sentivamo la mancanza, semmai tutto il contrario. Edward era più sereno e felice, alla sera non tornava a casa con lo sguardo duro e stanco ma una parte di me sperava che suo padre si ravvedesse e cercasse di riavvicinare il figlio ma, fino a quel momento, non era successo nulla e Jason non aveva mai conosciuto il nonno paterno di persona, solo Jane aveva avuto l’onore di vederlo  un paio di volte.
Ci pensavano quelli materni a riempire quel vuoto che dal giorno del matrimonio venivano spesso a trovarmi, e le visite si intensificarono con la nascita dei bambini, quella di Jason determinò il definitivo trasloco dei miei. I bambini li adoravano, non sarebbe potuto essere il contrario visto che li viziavano come non mai. Tutto quello che proibivano a me, lo concedevano a loro senza remore.
« Okay, chiama gli altri tra cinque minuti iniziamo la riunione » dissi.
« Certo, capo » rispose con tono da militare.
« Questa cosa mi piace » esclamai girando la poltrona verso il mio interlocutore e sogghignai incrociando le mani sotto al mento.
« Cosa? » mi chiese curioso.
« Il fatto che sia io a dare gli ordini, sono il Boss ora » e spingendo indentro la poltrona mi alzai per raggiungerlo.
« Già, i ruoli si sono invertiti e a proposito, anch’io avrei un gruppo da proporre ».
« Mmm… beh slacciati un bottone… » gli proposi con fare civettuolo.
« Come? » mi chiese stranito.
« Un bottone, una canzone e forse ti farò partecipare alla riunione » mormorai suadente giocando prima con il primo e poi con il secondo bottone della sua camicia. Lo sguardo spaesato fu sostituito da uno pieno di desiderio e passione. Mi circondò la vita con un braccio e mi fece scontrare con il suo petto. La pancetta coccolosa era sparita per la sua gioia.
Il bello del nostro rapporto? Tutti i giorni erano come il primo.
 


* Pubblicità della fiesta^^
Le frasi lette dai piccoli e quella di Jane alla fine sono prese da una pagina Fb dove mamme o altri parenti caricano le perle di saggezza dei loro figli o nipoti,...
 

°            FINE              °

 



Fine, questo è proprio l'ultimo capitolo, spero di aver soddisfatto le vostre aspettative. non è molto scoppiettante ma sono sotto esami e l'umore è quello che è, per citare un'altra autrice che a sua volta ha citato Charlie Brown " anche le mie ansie hanno delle ansie" e di cui vi suggerisco la storia che sto seguendo: Miracles Theatre fateci un salto è davvero divertente.

In questo extra ho inserito il punto di vista di Alice, spero vi sia piaciuto, è grazie a lei se i due si sono avvicinati quindi mi sembrava doveroso darle voce^^ Nel suo spazio ho accennato alla situazione dei terremotati e spero che nessuno prenda male la decisione di inserire nel capitolo questa situazione, ho voluto solo mettere per iscritto i miei pensieri. Queste persone hanno perso molto ma continuano a dimostrare una forza d'animo davvero ammirevole.

Bella e Edward dopo anni di tentativi quando meno se lo aspettavano hanno avuto il loro bambino e poi un altro e ora possono dire di essere uan famiglia felice e unita. La rottura di Edward con il padre credo fosse inevitabile, avevano due punti di vista così diversi che non potevano coesistere, la questione però rimane aperta, si riavvicineranno? lascio a voi immaginare come andrà.

Ringrazio ancora tutti per avermi seguito in questa avventura e se non vi siete ancora stancati di me fate un salto nella altre mie storie. I nuovi lettori sono sempre accetti : )

Vi ricordo la mia pagina facebook per avvisi, anticipazioni o se volte chiedermi qualcosa,...


 

   
 
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