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Autore: Moira__03    26/06/2012    4 recensioni
«Credo dovremmo parlarne meglio con lui, tesoro. D’altronde ha soltanto sette anni!» continuò la donna, sin troppo pensierosa.
«Accidenti, Bulma. Se la caverà! La sua vita non può essere più facile di come lo è già» disse il sayan, indirizzando la sua mente a vecchi ricordi riguardanti la sua infanzia, pensando e agendo tramite essi. Suo figlio aveva già tutto che lo rendesse felice e senza problemi, e quella donna non poteva viziarlo di quella maniera.
«L’allenamento mentale e fisico, non farà altro che giovarlo» concluse saggiamente l’uomo.

In questa nuova fic vorrei provare a descrivere situazioni inappropriate e decisamente fuori luogo per i sayan. La trama principale, su cui mi sono cimentata è principalemente l'interazione dei sayan con i terrestri, e ho voluto affidare questo compito ai due piccoli Goten e Trunks, ma non manca la presenza della loro famiglia, specie quella di Bulma e Vegeta.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Goten, Trunks, Vegeta
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò con dolori ovunque, pulsanti e lancinanti ad ogni minimo movimento che osava fare.
Aveva sperato che la notte lo giovasse, ma a quanto pare la gravità delle ferite e delle probabili ossa lesionate iniziava a sentirle solo in quell’istante.
La notte era stata atroce, la peggiore che avesse mai passato nella sua breve vita.
Sentiva opprimente il male alle costole che non gli permettevano di respirare in maniera normale e sentiva tirare ogni muscolo del suo corpo accostandosi agli altri dolori che non riusciva ad identificare in un punto ben preciso.
Si mise in posizione seduta, muovendo il corpo come per cercare di scacciare quel male. O almeno per abituarsi ad esso.
Era forse quello il prezzo da pagare per allenarsi con suo padre?
Se ne fregava. Lui non doveva arrendersi proprio ora che Vegeta aveva deciso di fare sul serio. Non si sarebbe mai tirato indietro, arrecando una profonda delusione anche in suo padre.
Lui era il figlio del principe dei saiyan, se lo ripeteva sempre.
Avrebbe continuato a seguire quegli ardui e micidiali allenamenti anche a costo di perdere la vita.
Senza che nemmeno se ne fosse accorto, aveva accigliato lo sguardo, gli occhi curvati in un taglio sadico sin troppo conosciuto, e lo sguardo penetrante e serio.
Non poteva esserci male peggiore di un orgoglio che brucia dalla sconfitta. Solo il fatto che suo padre avesse acconsentito ad allenarlo, gli permetteva di restare lucido e di dimenticarsi di quelle pulsazioni dolorose e incessanti.
Con un colpo netto afferrò i lembi delle garze, con le quali la sera prima Bulma gli aveva accuratamente avvolto braccia, gambe e fronte, e li strappò, riducendoli a brandelli bianchi, chiazzati in parte dal suo sangue.
Nell’istante successivo sentì la porta aprirsi. Era sua madre.
«Cosa ci fai in piedi, Trunks?» parve più come un rimprovero.
«Non lo vedi? Mi preparo per andare a scuola» disse, mai stato così serio sino ad ora.
Era incazzato con se stesso, con la sua debolezza e con la parte terrestre che serpeggiava in lui servendosi delle sue vene.
«Non ci pensare proprio! Torna a letto. Non vedi come sei ridotto?» Bulma era diventata ormai isterica, pronunciando ogni parola con toni assurdamente squillanti.
Trunks si girò per guardarla in faccia e nello stesso istante Bulma portò il capo all’indietro, come per indietreggiare, sentendo un brivido non proprio sconosciuto.
Gli occhi di suo figlio sarebbero potuti essere la reincarnazione dell’inferno se solo non ci fosse quel tenue colore che allontanava di poco quel senso di sgomento e terrore che da anni aveva riscontrato nel padre di suo figlio.
«Io. Devo. Andare. A. Scuola» sentenziò fermo, continuando a squadrare sua madre.
Non poteva assolutamente permettersi di mancare a scuola. O meglio di restare a casa in stato di convalescenza sotto gli occhi del padre.
Non voleva dimostrarsi inadatto a quei tipi di allenamento, e il modo migliore per dimostrarlo in quel frangente era andare a quella dannata scuola.
«Amore è successo qualcosa? Perché sei così nervoso?» chiese Bulma, meno autoritaria perché probabilmente spaventata.
«No. Oggi a scuola è una giornata importante. Non posso perdermela» concluse prima di congedarsi e andare in bagno.
“Questa è opera di suo padre” pensò irata la donna.
Poi però le sfuggì un sorriso.
“Certo che Trunks somiglia giorno dopo giorno a Vegeta. Spero che non terrorizzi la gente con quello sguardo glaciale. Se non fosse per il colore dei suoi occhi, avrei potuto scambiarlo per suo padre” disse, con un pizzico di orgoglio.
“Spero solo che non si risvegli del tutto la sua metà da saiyan … ” sospirò.
 
 
«A dopo mamma» Trunks salutò, prima di scendere dalla macchina.
«Aspetta Trunks! Vedi che viene tuo padre a prenderti oggi, io non posso. Ho una riunione importante» annunciò Bulma.
«Non è necessario che venga. Torno a casa da solo» disse lui, conscio che il padre non avrebbe preso bene questa notizia. Lui sapeva badare a se stesso.
«Ricordati di quello che ti dissi Trunks. Ho già discusso ieri sera con tuo padre» disse ferma, dandogli un bacio sulla fronte per augurargli buona giornata.
«Come vuoi. Ma non c’era bisogno» ultimò, sorridendola forzatamente.
Sbatté lo sportello della macchina e questa poi sfrecciò, sparendo nell’orizzonte sotto gli occhi attenti di Trunks.
«Ciao Trunks!».
Una voce che il piccolo saiyan conosceva sin troppo bene – appartenente all’unico coetaneo con cui aveva a che fare – lo chiamò con foga, sentendo che si stava man mano avvicinando.
«Ciao Goten» si voltò sorridente.
L’altro divenne serio all’istante quando guardò l’amico in volto non appena si girò.
«Stai bene Trunks? Cosa ti è successo?» disse, senza rivelare molta preoccupazione.
Trunks all’inizio fu un po’ spaesato, ma ricordando poi il dolore che ora sentiva con molta meno evidenza, ricordò della sanguinosa lotta con il padre.
Dopotutto non si era ancora guardato perfettamente per constatare quanto gravi potessero apparire le ferite.
Si guardò distrattamente, celando quell’interesse che gli suscitò l’amico.
Per quel che vedeva aveva molteplici graffi sulle braccia, ormai chiuse dal sangue coagulato in croste più scure, oltre a qualche livido sparso qua e là.
Si toccò in volto, lì dove sentiva il dolore più forte.
Oltre agli svariati graffi che sentì ruvidi sotto le mani lisce, notò che aveva un labbro un po’ spaccato e una cicatrice vicino l’occhio destro. Poi probabilmente negli altri punti dolosi vi era qualche altro livido.
«Mi sono allenato con mio padre» sorrise orgoglioso «Da oggi in poi mi allenerò sempre con lui sai?».
«Wow ma è fantastico!» disse l’altro saiyan, senza pensare minimamente che sarebbe potuto essere un po’ azzardato.
«Io mi alleno solo con mamma. Gohan è molto occupato con la scuola» disse abbassando il capo, triste che lui non poteva seguire gli stessi allenamenti dell’amico «Continueremo a vederci, vero Trunks?» lo guardò speranzoso.
«Ma certo che sì! Così ti farò vedere come sono diventato forte» disse elettrizzato, suscitando la stessa reazione nell’amico.
«Evviva!» saltò.
Il suono della campanella richiamò la loro attenzione, così entrambi si voltarono per verificare che tutti entrassero, per poi prendere i rispettivi zaini e catapultarsi all’ingresso.
«Ci vediamo nell’intervallo Trunks!» salutò Goten, elargendo un ampio sorriso.
«Certo! A dopo!».
Trunks si avviò nella sua classe, riacquistando involontariamente quel solito cipiglio nervoso e quello sguardo perforante.
Fortunatamente la maestra ancora non c’era, così andò con calma a sedersi al suo posto.
Nonostante avesse appoggiato la testa sul banco, sentì distintamente gli occhi di tutti i suoi compagni su di sé, cominciando a divenire alquanto nervoso.
Prima di prender provvedimenti poco consoni e adatti alla situazione in cui era, percepì l’aura della maestra avvicinarsi, conscio che lei avrebbe attratto l’attenzione di tutti quanti su di sé.
Difatti dopo qualche secondo ella fece il suo ingresso all’interno della classe, con la solita aria apparentemente contenta e socievole.
«Buongiorno bambini» salutò cordialmente, guadagnandosi la loro attenzione, come previsto da Trunks.
«Buongiorno maestra» dissero in coro.
«Bene, preparatevi ragazzi perché oggi interroghiamo» disse senza lasciare un istante il suo sorriso, così da non indurre agitazione.
“Interrogazione?” pensò Trunks, sbirciando con indifferenza per sapere di cosa si trattasse.
«Vediamo … vorrei provare a sentire Trunks. Non ti metterò il voto tranquillo, vorrei solo che ti orientassi e capissi come vengono effettuate le verifiche» annunciò, invitandolo a raggiungerla.
Trunks alzò controvoglia la testa, continuando a guardare la donna dal sorrisetto facile che gli ripeteva di andare da lei.
“Ma cos’ha in mente questa qui?!” pensò mentre si alzava e si incamminava.
Poi tutto cambiò.
Un solo sguardo quella donna si era permessa di dedicargli - non avendolo notato all’entrata - ma che bastò a farle cambiare espressione in maniera radicale, come non era mai successo.
Trunks vi vide sgomento, preoccupazione, tristezza, tutti raccolti in un’unica espressione indecifrabile che mai aveva visto su quel volto sereno e gentile.
«Oh santo cielo Trunks! Ma che ti è successo figliolo? Sei caduto? Stai bene?» iniziarono raffiche di domande.
«Niente di tutto ciò» borbottò, evitando tutta quell’enfasi usata dalla maestra.
La donna gli si avvicinò quasi correndo, come per verificare l’autenticità delle ferite orride e fresche che vide sulle braccia e sul viso del bambino.
Gli afferrò un braccio con delicatezza e lo scrutò, accarezzandogli lievemente le ferite.
«Cos’è successo Trunks?» il tono dell’espressione cambiò.
Non sembrava più preoccupata. Sembrava piuttosto irata, sull’orlo della rabbia e dell’indignazione. La mente della donna saettò verso l’unico e plausibile movente di quella situazione.
La sua famiglia, o meglio, suo padre.
Ricordava perfettamente tutti i movimenti dell’uomo in questione quando lo scovò nel bel mezzo di una lite con sua moglie. Più che una lite, quella si avvicinava più ad una lotta violenta.
L’aveva scaraventata a terra e poi alzata dal collo, sputandole in faccia parole minacciose, acuite maggiormente dalla severità del suo sguardo penetrante.
Rabbrividì al solo pensiero di Trunks tra le mani di suo padre, mentre gli procurava tutte quelle ferite. Non ne era certa, ma non c’era nessun altra spiegazione.
Nessun incidente poteva esser così brutale da arrecare tutte quelle ferite.
«Devi andare in infermeria piccolo. Non puoi stare così» quasi ordinò, con voce tremante e squillante.
«Tsk! Non ci penso proprio. Ha già fatto tutto mia madre» annunciò.
Fu quell’indifferenza e quelle poche parole che le fecero comprendere tutto.
Il bambino aveva detto sua madre. Non i suoi genitori.
Era ovvio che il padre fosse rimasto indifferente di fronte a tutto ciò. E l’unico motivo era perché ne era il colpevole.
Aveva fatto bene a preoccuparsi di Trunks sin dall’inizio, e aveva fatto bene a dubitare della sua famiglia disastrata.
Trunks vide il volto della maestra assumere diverse espressione, fino a rendere i suoi lineamenti seri e imponenti.
«Bambini fate i bravi, esco un attimo qui fuori. Con Trunks» rivolse lo sguardo al bambino che teneva per mano, invitandolo ad uscire.
Non appena chiuse la porta della classe, ritornò a guardare il piccolo saiyan, cercando di mantenere un tono fermo ma che non lo destasse o preoccupasse.
«Trunks, se hai qualche problema, qualsiasi problema, ti prego di parlarmene. Qualcosa che non vorresti dire a nessuno per paura di essere giudicato, qualcosa che non puoi permetterti di dirti, sappi che non ne farò parola con nessuno, ma cercherò di aiutarti» dichiarò.
Trunks la guardò stranita, cercando di leggere in quelle parole, il significato nascosto e che smascherasse quel viso severo e autorevole.
Lui era un saiyan, un piccolo guerriero. Era normale che incidenti del genere accadessero.
Ma forse agli occhi degli umani, un bambino ferito e pieno di ematomi, non era un bello spettacolo.
Trunks era un bambino molto scaltro, voleva tutelare la sua famiglia cercando di mantenere il segreto sui saiyan e sul suo sangue metà alieno, ma non voleva destare dubbi a riguardo.
«Stavo giocando con un amico, vicino casa sua, tra le montagne. Mi sono sporto un po’ troppo e sono caduto. Niente di grave» disse con indifferenza teatrale.
La maestra lo guardò con un occhio sbieco, come volesse comprendere se quella fosse la verità o se il bambino stesse mentendo.
Di sicuro se lo stava facendo, era un buon attore.
Sembrava convincente, ma volle scavare più in fondo.
«Come ti viene in mente di andare a giocare tra le montagne Trunks? Non ti basta stare qui in città?»
Trunks la guardò inarcando le sopracciglia e diminuendo l’angolatura dei suoi occhi, divenuti tremendamente uguali a quelli di suo padre.
Era visibilmente nervoso, e voleva togliersi di torno quelle domande improprie a cui non poteva permettersi di rispondere, o perlomeno di sbagliare risposta.
«Vado a giocare sempre da Goten. E’ il mio migliore amico e lui abita sul monte Paoz» sbuffò.
Ora ciò che vide furono due occhi enormi, aperti al massimo, visibilmente sbalorditi.
«C-cosa? Go-Goten abita sui monti Paoz? Così lontano?» quasi urlò, avvicinandosi al viso del bambino.
«Si» rispose il saiyan, portando le braccia sui fianchi e rivolgendo lo sguardo altrove.
«E come fa a venire qui ogni mattina? E’ lontanissimo?»
«Hanno un mezzo molto veloce» ultimò lui, seccato.
«Ah … » si appoggiò al muro, la voce vibrante, calcolando velocemente quanto dovesse esser veloce quel mezzo per arrivare a scuola in un tempo accettabile.
Scrollò la testa, ricordando che il discorso doveva essere un altro, e invece stava prendendo pieghe inutili e superflue.
«D’accordo Trunks, voglio crederti. Ora non vorrei essere indiscreta con questa domanda, ma mi sento obbligata a fartela … » lo guardò, catturando il suo sguardo.
«E’ tutto a posto in famiglia?» disse cauta.
Il saiyan sussultò, conscio che il tarlo del dubbio si era già instaurato nella mente della terrestre.
«Perché mai dovrebbe andar male?»
«Hai dunque un buon rapporto con tua madre e … tuo padre?» continuò lei, ingoiando un grumo di saliva rumoroso dopo l’ultima parola.
«Sì. Non vedo cosa centri ora questo discorso. Le ho spiegato il motivo per cui mi sono fatto male, la mia famiglia non centra niente» disse, svelando lievemente la sua preoccupazione nei riguardi della tutela della famiglia. Non voleva assolutamente che uscisse fuori quel discorso, ma fu molto imprudente a dichiarare cose non espressamente dette dalla maestra.
E lei, che per parlargli si era lievemente chinata per guardarlo in volto, ora si alzò, conscia che era vicina alle risposte che cercava.
«Potresti cortesemente far venire a scuola i tuoi genitori? Tranquillo non ho nessuna notizia cattiva da dar loro, ma vorrei semplicemente conoscerli meglio» sorrise falsa.
«Mia madre verrà con grande piacere» quasi ghignò lui.
«E tuo padre?»
Ci fu un attimo di silenzio, spezzato solo dal battito del cuore incrementato della maestra quando Trunks gli rivolse il più minaccioso e spietato degli sguardi.
«Mio padre lavora. Lui non verrà. Ora la prego di smetterla con queste domande» continuava a fissarla, gli occhi ormai due buchi neri.
La donna sospirò, chiudendo lievemente gli occhi e portando le braccia sui fianchi, in segno di resa.
«D’accordo».
 
 
 
 
 
La giornata era stata alquanto faticosa, nonostante non avesse mosso un solo muscolo. Sentiva la pesantezza di quella situazione insolita per i terrestri, sopprimergli la testa come un macigno, come se qualcuno la stesse volutamente calpestandolo, costringendolo a mantenere la guancia sul banco a cui era rilassatamente appoggiato.
Aveva scavato nel profondo delle sue membra, quella maestra, penetrandogli l’interno del suo corpo direttamente dagli occhi, e man mano che scendeva alla ricerca di risposte, probabilmente aveva iniziato a sentire il retrogusto estraneo del suo sangue, un insolito sapore che l’avrebbe stordita sino a renderla irrazionale e farle credere che davvero quel bambino non era poi così tanto umano, non se riportasse tutte quelle ferite orride.
Non poteva essere normale, oppure era stato ben medicato.
Le preoccupazioni salivano e la maestra non riusciva a staccare gli occhi da Trunks nonostante questi non gli stesse rivolgendo nemmeno i più lontani pensieri, sommerso com’era nelle sue elucubrazioni, oltre che dai suoi capelli lilla che dolcemente sfioravano il banco.
Il macigno si disintegrò al suono della campanella e non gli diede nemmeno il tempo di dissolversi che già Trunks era arrivato a metà classe, pronto per tornare finalmente a casa.
Sentiva gli occhi curiosi di quella donna puntati su di lui mentre cercava di raggiungere l’uscita in maniera non esageratamente veloce, provando a mantenere ritmi nei limiti del terrestre.
Cercò di mimetizzarsi in mezzo a quella confusione, cercando di farla disorientare affinché lo perdesse di vista.
Ma dopotutto non era difficile riconoscerlo anche nella mischia, dati i suoi capelli insoliti.
Improvvisamente sussultò, destato da un particolare che aveva dimenticato e che sarebbe stato fatale per qualcuno se non avesse trovato una soluzione rapida.
Sentiva la misera aura della sua maestra avvicinarsi, quasi per seguirlo ansiosamente. Ma ciò che più gli premeva – specie per salvare vite innocenti - era che quell’aura smisuratamente grande non si avvicinasse più di tanto.
Con tutti quegli imprevisti e quelle domande indiscrete, aveva dimenticato che oggi all’uscita avrebbe trovato proprio il protagonista di quelle discussioni accese. E se non fosse riuscito a scappare senza né destare dubbi, né evitare di far riconoscere la sua parte aliena, quella donna impicciona avrebbe fatto una brutta fine, uccisa dallo stesso fuoco che aveva appiccato i suoi sospetti e le sue curiosità.
Sentì l’aura di suo padre ormai vicino e fermo fuori dalla scuola, troppo grande da fargli quasi pensare che fosse già accanto a lui.
Uscì con il collo già allungato per cercarlo, senza perdere tempo prezioso.
Guidato dall’istinto del suo sesto senso percettivo, saettò verso Vegeta, nella speranza che quell’incosciente della sua maestra non l’avesse seguito.
Come immaginava: gli occhi di tutti i presenti erano puntati sulla sagoma piccola ma troppo possente di suo padre.
Bulma gli aveva raccomandato di non venire in volo, ma, ovviamente, non le aveva dato ascolto.
“Non me ne frega di cosa pensano i terrestri”le aveva risposto.
“Vegeta non puoi far capire a tutti che sei un saiyan! Cosa penseranno? Vorrai forse scatenare il panico se mai sia dovessero ricordarsi che tu, tempo fa, avevi minacciato le loro vite annunciando che avresti fatto saltare in aria il pianeta?” aveva strillato lei, priva di lucidità e preoccupata della reputazione del figlio.
“Perché mai dovrei fingermi terrestre se non lo sono?”le si era avvicinato, senza permetterle di abbassare la vista“Io sono un saiyan, Bulma, è bene che tu non lo dimentichi. Mai. Non illuderti di cambiarmi o non illuderti che io possa fingere di essere un insulso umano solo per non scatenare i panico. Tu e la gente di questo pianeta dovreste ringraziarmi per essere ancora vivi. E ricorda che il terrore scorto negli occhi altrui, non è altro che la mia gloria; per cui, perché dovrei preoccuparmi di nascondere la mia identità?” curvò le labbra nel suo solito ghigno maligno, notando lo sconforto di lei.
“Non ho dimenticato chi sei Vegeta, anche perché se tu non fossi quello che sei, non ti amerei al punto da rovinarmi la vita”gli aveva sussurrato, approfittando del fatto che fossero soli in casa, in modo da poter acuire la dose di dolcezza delle sue parole“Puoi continuare a spargere sangue per tutte le galassie se vuoi, io non smetterò di amarti. Ma ti chiedo solo di non rovinare l’infanzia di tuo figlio” e se n’era andata, senza nemmeno dargli il tempo di controbattere. Ma sapeva che non l’avrebbe fatto.
La conclusione era stata quella di atterrare una dozzina di metri prima della scuola per non far sorgere dubbi, confermando a se stesso che l’aveva fatto solo perché non voleva più sentire lo starnazzo di quella donna.
Ma ovviamente, non era stato del tutto invisibile.
«Era ora che arrivassi Trunks. Già non ne potevo più di questi terrestri ammucchiati» proferì, a braccia conserte per non cedere alla voglia di mettere a tacere quelle bocche curiose, mentre guardava a destra e a sinistra.
«Dai papà presto andiamo» Trunks quasi non lo considerò, cercando di trascinarlo da un braccio ma senza irritarlo troppo. «Sarà meglio che non ci facciamo vedere che voliamo, andiamo a nasconderci da qualche parte prima di partire, altrimenti chi te la sente la mamma» continuò frettoloso, cercando di percepire se la maestra gli era alle calcagna.
Ignorando l’agitazione che aveva scorto nel figlio, Vegeta lo guardò con un occhio sinistro, comprendendo che c’era qualcosa che non andasse.
«Tsk! Me ne frego di questi terrestri» ringhiò, pronto a balzare in aria davanti a tutti, a dispetto della sua precedente premura nell’atterrare.
Ma come non si sarebbe mai aspettato, suo figlio l’aveva trattenuto a terra, utilizzando parte della sua piccola forza immensa, inavvertibile all’esterno.
«Come osi Trunks? Si può sapere che ti prende? Vedi se ti calmi se non vuoi che mi innervosisca, e sai bene che non ti conviene incorrere nella mia ira in un luogo così affollato» ribadì il saiyan, costruendo pezzo per pezzo la sua figura da sterminatore davanti al figlio, ogni minuto che passava della sua vita.
«Papà ti prego, non farti vedere» aveva quasi implorato Trunks.
Con un ringhio di disapprovazione, e aveva soppresso parte del suo istinto omicida, decise di assecondarlo, valutando che in fondo aveva ragione circa quanto era stato detto su sua madre.
Con un sospiro di sollievo, sentendo che l’aura di suo padre era diminuita in seguito alla sua decisione di non librarsi in aria, portò lo sguardo verso l’istituto, per vedere se in qualcuno era sorto qualche dubbio.
Ma l’unica cosa che vide fu la miscela di rabbia e indignazione, concreti e visibili nei lineamenti di quel viso che aveva assistito a tutta la scena. L’unico che Trunks aveva sperato che non li vedesse. Ma ciò che più preoccupò il saiyan non era la frustrazione e l’ira crescente nella donna: vi individuò qualcosa di molto più grande dello sdegno su quel volto niveo, tanto enorme da non riuscire a sopraffare la rabbia e non indurla ad intromettersi nella discussione; la stessa cosa che la stava tenendo pietrificata e congelata al pavimento, quasi tremante. La sua maestra era stata pervasa da un terrore immenso quando aveva avvistato la presenza di Vegeta, ma ancor di più vedendo i suoi comportamenti e la troppa vicinanza e arroganza nei confronti di suo figlio.
Ma forse era meglio così; agghiacciata com’era non avrebbe potuto muovere un solo passo nella loro direzione, salvando in questo modo la sua vita … e quella dei presenti.
 
 
 
 
 
Arrivò a casa esausto e spossato, come quando aveva appoggiato la testa sul banco, stanco di un’astratta fatica non compiuta.
Si gettò sul divano e ci ritornò anche dopo aver pranzato.
Quella giornata a scuola era stata la più infernale di tutte. Peggio di quando la maestra di matematica spiegava per ore, peggio delle pause passate nel giardino. Peggio del nugolo di bambini schiamazzanti riuniti davanti a scuola sia all’entrata che all’uscita.
Per la prima volta aveva sentito davvero il dovere di difendere la sua famiglia … sua madre.
Si era sentito responsabile di una colpa non propria, come volesse attribuirsi il male attuato da suo padre e il suo menefreghismo.
Aveva sentito una diversa adrenalina scorrergli nelle vene; non quella che si dilagava in lui quando combatteva. Aveva un’essenza strana, tendente più alla preoccupazione e per la prima volta aveva provato paura.
Nessun nemico sarebbe mai stato temibile, quanto una terrestre che cercava di smascherare verità paurose, mettendosi indirettamente contro l’unica persona in grado di far sparire per sempre la Via Lattea dall’universo. La sua maestra ostentava la voglia di rivalsa e la voglia di mettere le cose in chiaro. Ma davvero non sapeva quanto fosse rischioso solo azzardarsi a parlare con un uomo come Vegeta, un alieno, un saiyan … il principe dei saiyan.
Sapeva che un giorno o l’altro sarebbe successo, e ciò non faceva altro che spaventarlo.
Cosa ne sarebbe stato della famiglia Brief semmai suo padre avesse assassinato qualcuno anche sulla Terra?
Immerso nel suo continuo rimuginare, non si accorse di aver trascorso una buona mezz’oretta disteso sul divano, e non si accorse che suo padre si stava già dirigendo in giardino per i suoi assidui allenamenti.
Balzò in piedi dal divano, pronto a seguirlo. Si infilò le scarpe mentre suo padre aveva già aperto la porta pronto ad uscire, nonostante avesse capito che Trunks voleva andare con lui.
Ma non sentì suo padre varcare quell’uscio.
Alzò il capo e ciò che vide lo pietrificò, invaso da una sensazione molto peggiore di quella provata stamattina, molto più rovente e molto più dolorosa.
«S – salve signore, sua moglie è in casa per caso?»
La scintilla che sentì sfiorargli la miccia del cuore, prese improvvisamente fuoco, facendo scoppiare tutti i suoi organi interni, compresa la sua razionalità. Il sangue scaturito da quello scoppio sanguinoso si propagò in lui come una macchia d’olio nell’acqua, raggiungendo tempestivamente le sue guance e poi l’intero volto quando sentì la voce cristallina della sua maestra, tremante e a disagio, provenire proprio dalla soglia di casa sua, faccia a faccia con Vegeta.




 




Uuuh sono di nuovo in pauroso, tremendo, orribile ritardo X°D
Ma stavolta posso giustificarmi dicendo che sono nel bel mezzo degli esami XD :P
Il 29 finsicono e io non farò altro che dedicarmi alle mie storie :D e spero che questa notizia vi faccia piacere X°°°D
Comunque sia, fatti personali e pietose scuse a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi è venuto un po più lungo del solito, forse sarà l ispirazione che si è ammucchiata in questi giorni XD. Spero sia così *_* pronta a scrivere, scrivere e scrivere :D
Grazie a tutti coloro che mi seguono =) siete fantastici. Un bacione particolare a Proiezioni Ottiche che continua a sostenermi nella scrittura oltre che nella vita.
Grazie davvero! I vostri meravigliosi commenti non fanno altro che spingermi a continuare a scrivere ^^ alla prossima :D
   
 
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