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Autore: Ireth_Mezzelfa    22/07/2012    3 recensioni
"Alla fine ho mollato tutto; tutto il resto intendo: ho mollato la scuola, ho mollato la casa, gli amici e il mio paese. Ho seguito lui e per forza di cose, quando ho scelto lui, ho scelto anche la band." Anche quando sei alla deriva, sballottato dalle tue stesse scelte, anche in quel momento, puoi aprire gli occhi e scegliere di decidere ancora tu. Una storia di musica e di domande, una ragazza che si trova immersa fino al collo in una vita che non le appartiene, tra strumenti musicali, notte folli e un amore confuso. Ma in fondo non era tutto ciò che aveva sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XII

"Hey, you've got to hide your love away."

“Ho fame.”
“Taci.”
“Ma ho fame.”
“Tornatene a casa allora, parassita.”
“No. Però ho fame.”
Mi voltai rotolando sul tappeto verso Viola, che era accoccolata sul divano e nel frattempo pungolava con un piede Carlotta che dormiva pacificamente stravaccata a fianco a lei.
Eravamo tutte e tre a casa mia, guardando l’ennesimo film della serata e completamente sfinite dalle poche ore di sonno del giorno prima.
Stavamo lì a ciondolare senza far nulla ma, né io avevo voglia di scacciarle, né loro avevano la forza di alzare le chiappe per tornare a casa.

“Non possiamo avere qualcosa da mangiare?” Insistette Viola osservando distrattamente Carlotta che mugolava qualcosa nel sonno.
Sbuffai alzandomi da terra e mi stiracchiai un po’, in effetti non sarebbe dispiaciuto nemmeno a me qualcosa da mettere sotto i denti.
“Mmm e va bene, esco a prendere qualcosa. Cosa volete?” Chiesi alzandomi e dirigendomi verso il tavolo per prendere la borsa.
“Io ho voglia di cinese. Sì sì, passa da Chin!” Rispose Viola annuendo tutta soddisfatta e tornando a tormentare la poveraccia che dormiva ignara del piede che la stava lentamente spingendo giù dal divano.
“Ma Carlotta? …Beh, cinese pure per lei e si accontenta. Sempre che ritorni tra noi.” Osservai io alzando le sopracciglia dubbiosa.
Viola mi guardò con aria malvagia.
“Posso buttarla giù dal divano?”
Alzai le spalle risoluta.
“Fai come ti pare.”
Spinsi la maniglia urlando: “Torno tra mezzora!” e mentre la porta si chiudeva dietro di me feci in tempo a sentire un tonfo e la voce di Carlotta esibirsi in insulti di vario genere.
Sghignazzai tra me e me e sorrisi nell’aria tiepida della sera incamminandomi verso i canali principali per poter prendere un battello e arrivare dal nostro ristorante cinese di fiducia a pochi minuti da lì.

Mentre aspettavo l’arrivo di un vaporetto ancora assonnata, in compagnia di un anziana signora con una borsa della spesa, il suono di una risata scrosciante pazzescamente vicina mi fece sobbalzare: era incredibilmente familiare…e proveniva dalla mia borsa!
Frugai alla ricerca del cellulare mentre la risata di Christos, che avevo dimenticato di aver impostato come suoneria per le sue chiamate, continuava ad alzarsi di volume attirando su di me lo sguardo sconvolto di disapprovazione della vecchietta lì di fianco.
Finalmente riuscii a recuperarlo e per poco non me lo feci sfuggire dalle mani mentre premevo il tasto verde e borbottavo uno “Scusi!” imbarazzato in direzione della tizia shockata.
-Big C., spera per te che questa chiamata sia importante.- pensai, venendo smentita non appena appoggiai l’orecchio al telefono: un insieme di urla, risate, musica e versi senza senso mi colpì dritta nel mio povero timpano.
“Pronto?” Urlai, tentando di sovrastare il caos totale che proveniva direttamente da Londra, ma non ottenni altro che altre grida di una stanza piena di persone ubriache.
Un classico, i ragazzi erano nel bel mezzo di una delle loro sbronze in allegria e chiamavano a caso.
“Pronto?” Ripetei esasperata, ma anche un tantino divertita.
“Ceci! Hahaha…”
La voce altissima di Christos si interruppe subito, sostituita da quella di Dionisis, urlante anch’egli.
“Piccola bella!” Strepitò il bassista con un improbabile accento italiano. “We miss you*!”
Sorrisi, mentre strani rumori soffocati suggerivano un altro passaggio di mano del telefono di Big C.
“Ceci!”
Il mio sorriso si allargò nuovamente, immaginando la faccia tutta rossa, tipica di Jacob quando beveva un drink più del solito.
“Jacob, ciao!”
“Ceci, Ceci, qua siamo tutti…Hahaha, ti vogliamo bene, baby!”
“Passami il telefono, malaka  *  !”
Una nuova interferenza coprì la voce di Lefteris e la chiamata si interruppe bruscamente, riportando il silenzio alla fermata del vaporetto di Venezia.
Riattaccai anch’io scuotendo la testa ridendo tra me e me: i ragazzi mi mancavano ed era bello sapere che la mia pazza famiglia allargata si stava divertendo, era viva e mi pensava in qualche modo, nel suo delirio.
Dopo qualche minuto il vaporetto arrivò e non potei fare a meno di notare che l’anziano signore andò a posizionarsi dalla parte opposta rispetto a me, osservandomi con aria guardinga.
Sollevai le spalle soffocando un’altra risata e mi sedetti.

Nel tragitto, un’altra telefonata dei Jump in! rallegrò il mio breve viaggetto con frasi sconclusionate, in greco mescolato a qualche linguaggio sconosciuto da parte di un Christos completamente perso nell’alcool.
Giunta a destinazione fui costretta a riattaccare per prendere le ordinazioni da Chin, il mio cameriere fidato, che mi offrì il solito sconto e mi fece uscire dal ristorante di buon umore e con un’odore appiccicaticcio di cibo cinese attaccato ai capelli.
Cominciava ad essere buio e mi affrettai a prendere un vaporetto su cui riuscii a salire al volo, per miracolo.
Viola mi avrebbe ucciso se le avessi portato il cibo raffreddato.
Mi guardai intorno, cercando un sedile libero, il più vicino possibile alla ringhiera, per sentire l’aria fresca in faccia, e per poco non presi un colpo.
Andrea era lì seduto e fissava un punto nel vuoto dritto davanti a sé, nel mare, e non mi aveva notata.
Strinsi forte la carta dei sacchetti che mi aveva dato Chin, con il cuore in gola: era strano vederlo lì dopo aver tanto pensato a dove avesse potuto finire, dopo averlo tanto cercato in tutti i volti della gente di Venezia e in tutti gli angoli dei miei ricordi.
Ed era lì tranquillo, con i capelli più scompigliati del solito. E fissava chissà dove, mentre io fissavo lui.
Deglutii e mi avvicinai più lentamente possibile, tanto che si accorse di me solo quando la mia ombra lo distrasse dai suoi pensieri e si voltò a guardarmi.
E io ero lì, indecisa tra un sorriso e un’espressione strana, come impaurita, aspettando che mi mettesse a fuoco.
Quando mi riconobbe rimase come paralizzato per una frazione di secondo, sorpreso, con le sopracciglia alzate e la bocca semiaperta.
“Hei!” Esclamò con un tono di voce innaturalmente alto scattando su più dritto con la schiena.
“Heilà!” Risposi io a bassa voce, a disagio, senza sapere se sedermi sul sedile accanto a lui o rimanere lì ferma come un palo.
Andrea si mosse nervosamente sulla sedia guardando di qua e di là mentre io dondolai sulle punte dei piedi.
“Bè, che ci fai qui? Cioè…come va?” Chiese infine lui guardandomi con un sorriso teso.
“Oh, tutto bene! Sono andata a rifornirmi.” Dissi io alzando i sacchetti del ristorante a mo di spiegazione.
“Ah, vedo. Hai fatto bene…Hai…hem, vuoi sederti?”
“Oh, sì. Grazie!”
Mi sistemai lentamente sul sedile mentre l’imbarcazione partiva con calma dalla fermata.
E ora? Come potevo chiedergli in modo carino dove fosse scomparso per tutto quel tempo? Forse dovevo iniziare a scusarmi per averlo coinvolto nella faccenda di Alex e della sua testata contro il muro?
La situazione era piuttosto imbarazzante e il silenzio stava durando un po’ troppo, ma per fortuna fu lui a parlare:
“Bèh, è da un po’ che non ci si vede eh?”
“Già. Sai, ho visto Stefano…”
“Ah sì?”
“Eh sì…” Proprio davanti a casa tua, mentre ti stalkerizzavo.
Tornò di nuovo il silenzio, interrotto solo dal rumore del vaporetto, finchè non decisi di schiarirmi la gola e voltarmi verso di lui.
“Senti, mi dispiace per l’ultima volta che ci siamo visti. Era una situazione un po’ particolare e mi scuso davvero per quello che ti ha detto Jacob, sai…quel ragazzo…non quello in barella, quello…l’altro.”
Finii di borbottare e mi fissai la punta delle scarpe.
Sentii Andrea sospirare e tornai a guardarlo: aveva un espressione indecifrabile, neutrale.
“Non ti preoccupare, non c’è problema.” Disse poi tranquillamente, senza emozione nella voce e portandosi una mano ai capelli, attorcigliandoseli velocemente intorno al dito.
Quel tono monocorde, così strano nella sua bella voce mi fece agitare, sentii che cominciavo a scaldarmi e cominciai a parlare troppo veloce.
“Bè, non penso non ci sia problema dato che mi hai evitata per…”
Maledizione, la risata di Christos. Mi interruppi per cercare il cellulare e rifiutare l’ennesima chiamata dei ragazzi, odiandoli per il tempismo.
“Ecco, insomma…perché non mi hai mai risposto al telefono?” Riuscii a dire infine, guardandolo dritto in faccia.
Lui scosse la testa con aria stanca e sospirò.
“Ascolta, lascia stare.” Disse poi con lo sguardo basso.
“No io non…scusa un secondo.”
Un’altra chiamata. Rifiutata. Dannazione, Christos.
Mentre rimettevo il cellulare in borsa, Andrea con mia sorpresa si alzò in piedi a guardarmi.
“Ascolta Ceci, ho dovuto ignorarti perché ho capito che per me non c’è il posto che mi ero immaginato di poter avere. Stai cercando di sistemare qualcosa in cui non centro nulla e devo farmi da parte...per il mio bene. Lo so, mi rendo conto di essere stato un idiota a coinvolgermi in qualcosa che in realtà è esistito solo nella mia testa, ma è per questo che devo prendere le distanze da te. Non so, non è da me questo…non è da me.”

Oddio.
Totalmente spiazzata da quella sottospecie di confessione improvvisa mi trovai a fissarlo con gli occhi sgranati per qualche secondo prima di riuscire a pronunciare un “Cosa?” che mi sembrò subito la parola più sbagliata da dire.
Lo guardai scrollare le spalle mentre il mio stomaco si stringeva in modo quasi doloroso: quello che aveva detto mi aveva veramente colta di sorpresa, era questo quello che sentiva? Non sapevo proprio cosa pensare, era come se mi avesse lanciata nell’acqua fredda sotto di noi e per un assurdo momento lo immaginai mentre mi scaraventava con un abile mossa di restling nel canale.
Deglutii e mi imposi di ritrovare un minimo di lucidità.
“Non so…” Dissi lentamente, scegliendo con attenzione ogni parola. “…non so se sono d’accordo con te.”
Mi schiarii la voce cercando di attirare il suo sguardo che ormai sembrava del tutto assente.
“Insomma io so di dovermi…hem, riassestare, ma per te io credo ci sia del posto, cioè sei stato gentile con…”
“HAHAHAHAHAHA…”
Maledizione. Un'altra chiamata.
“Scusa un secondo!”
Risposi al cellulare e, senza ascoltare chi diavolo stesse parlando, sbottai: “Ragazzi piantatela!”
Tornai a guardare Andrea che stava scuotendo la testa con un sorriso triste.
“Vedi?” Disse. “E’ stato bello esserci per un po’, ora però devi pensare a sistemare il tuo mondo. Io non ci sto, lo capisco.”
Senza lasciarmi il tempo per rispondere si voltò di scatto e scese alla fermata a cui non mi ero nemmeno accorta fossimo arrivati.
Restai lì ferma, con del cibo cinese freddo in mano e la bocca semi aperta senza rendermi davvero conto di quello che era successo.
E il vaporetto ripartì e la riva, insieme ad Andrea, si allontanò piano fino a scomparire nel buio.
Ed io non riuscii più a distinguere se la sua figura fosse ancora lì, a rivolgere le spalle al mare, ferma e fragile come un ombra.


* We miss you= Ci manchi
* Malaka = insulto a piacere, molto simile a "idiota" in italiano :)

Hahaha ho aggiornato e tutto ciò fa molto ridere perchè nessuno si ricorderà più di questa storia ma ho una scusa sul mio ritardo. La maturità e tutto l'esaurimento che ne è conseguito :) Ma finalmente ora che sono una ex liceale maturata ecco a voi questo capitolo :) Spero vi sia piaciuto (a me no.) e che mi vorrete bene comunque!
Grazie di tutte le recensioni agli altri capitoli!
Un bacio,


Ireth

 

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