SPAZIO DI ELLE:
Buonasera a tutti! Anzi, vista l’ora,
buonanotte! =)
Visto che è la prima volta che mi cimento
nella scrittura, mi presento: mi chiamo Elle e ho vent’anni. Forse, alcune di
voi mi conosceranno come la pazza che sta traducendo quella meraviglia di The
Kitten and Coyote; altri, probabilmente, si staranno chiedendo perché esistano
idioti come me in circolazione (per i secondi: non vi preoccupate, avete la mia
solidarietà!).
Detto questo, presento un po’ la storia. Innanzitutto,
come ho scritto prima, è la prima volta che mi cimento nella scrittura di una
FF e ho anche il coraggio di pubblicarla, quindi dire che sono estremamente
agitata, è dire poco. Ho scritto questo primo capitolo in super velocità,
trascinata dall’onda dell’ispirazione, che ho voluto cavalcare finché durava. Sinceramente
non so come possa risultare, spero sia quantomeno leggibile. Proprio per le mie
incertezze, vi confesso che sarei contentissima di ricevere da voi qualche
feedback. Positivo o negativo non importa, solo avere un’idea se mi sono bevuta
il cervello e mi devo fare internare o se a qualcuno può piacere questo mio
vano tentativo di scrittura. Let me know!
Detto questo, trovate la descrizione della
trama qua sotto, quindi per avere un’idea su questa mia Kurtbastian basta che
leggiate un po’ più in giù!
Ho un’ultima comunicazione di servizio da fare
per chi legge The Kitten and Coyote. NON SONO MORTA! Anzi, sto già lavorando al
tredicesimo capitolo. Gli altri li ho passati alla mia Beta, che purtroppo
però, ha avuto dei problemi, quindi tarderanno un po’ ad arrivare, ma giuro che
ci sono ancora, quindi non disperate e soprattutto, non abbandonatemi.
Concludendo questa nota lunghissima, ringrazio
chi deciderà di dare almeno una chance a questa mia follia creativa.
Buona lettura.
Love, - Elle.
I
should tell you
Kurt e Sebastian si rincontrano.
Situazioni, luoghi, persone diverse. Anche loro sono un po’ differenti, pur
essendo rimasti sempre uguali. Sebastian è ancora l’arrogante ragazzino pieno
di sé che odora di sesso. Kurt sta ancora con Blaine, anche se il loro rapporto
è ormai danneggiato, probabilmente in maniera definitiva.
Rachel è troppo piena di sé. Santana è
sempre uguale, stronza e caliente. Anche
Brittany è sempre lei: un gran cuore e una mente persa tra unicorni e delfini.
Finn è lontano, parecchi fusi orari più in là. Burt è il solito padre
affettuoso, anche se ormai è diventato un senatore molto impegnato. L’era del
Glee Club sembra lontana anni luce per chi ormai è completamente proiettato
verso una nuova avventura. New York è la cornice perfetta per lasciarsi il
passato alle spalle.
Capitolo primo:
“Here we
come, here we go”
[…]
Era come
essere squarciati a metà, ma contemporaneamente sentirsi finalmente interi,
completi. A Kurt sembrava che il dolore
percorresse ogni sua vena, si irradiasse per ogni suo nervo cercando di
raggiungere ogni singola fibra del suo corpo. Allo stesso tempo la sensazione di
estasi, quella felicità eterea che aveva formato una bolla intorno a lui, lo
avvolgeva, lo proteggeva, lo fortificava. Pian piano, quella bolla di
perfezione si dissolse, lasciando nell’aria un’impercettibile senso di voluttà,
che riequilibrava il dolore fisico provato dal controtenore. Il suo corpo si
stava abituando alla tensione, lasciando spazio ad un piacere che cresceva
silenzioso, che aumentava ad ogni battito del cuore. Ogni percezione fisica era
amplificata; condividere così tanto con una persona, mentalmente e fisicamente,
aprì il suo cuore e il suo corpo a nuove emozioni e sensazioni. Potevano essere
passati secondi o ore quando l’impatto di ciò che stava succedendo raggiunse
finalmente Kurt, che come risvegliandosi da un lungo sonno, aprì di scatto gli
occhi, finalmente cosciente appieno di tutto quello che stava provando.
Visibilmente più rilassato, sbatté ripetutamente le sue lunghe ciglia,
attraverso le quali riusciva a vedere il volto dell’altro ragazzo. Un volto
familiare, ma allo stesso tempo così nuovo per lui. Un volto che gli aveva
fornito sia i suoi incubi peggiori che i suoi sogni migliori. Il viso di chi, a
dispetto del loro passato, aveva imparato ad apprezzare.
Sebastian
era abituato al sesso. Spesso aveva ricevuto e donato piacere. Spesso aveva
trovato amanti terribilmente esperti e capaci. Spesso avevano complimentato le
sue qualità tra le lenzuola. Spesso era passato da un letto ad un altro, o
anche da un sedile posteriore di un’auto all’altro, o da un bagno dello Scandal
a uno della Dalton; tutto pur di trovare un po’ di sollievo e piacere,
completamente, puramente fisico. Spesso il suo corpo era abituato al contatto
intimo e profondo con un altro corpo. Tuttavia, ciò che gli era sempre mancato,
era stato il contatto con un’altra persona. Il contatto intimo e profondo non
solo di due corpi, ma di due anime, due menti, due cuori. Non era la sua prima
volta, tecnicamente, ma nel momento in cui si trovò dentro il corpo caldo, sexy
e allo stesso tempo dolce di Kurt, realizzò che invece sì – quella era la sua
prima volta. Ancora meglio: era la loro
prima volta. Insieme. Non aveva mai dato
peso ai sentimenti, credendo fossero per persone deboli e ingenue. Le relazioni
l’avevano sempre infastidito, forse anche disgustato a volte. Il dover parlare
di emozioni, condividerle, spendere il proprio tempo a conoscersi, tenersi per
mano in pubblico, avere sempre una spalla su cui piangere; semplicemente aveva
pensato fossero cose che non facevano per lui
– Oh, se si sbagliava.
[…]
Era stato
un battito di ciglia, quello di un cuore, di un paio di ali. Un momento, mesi
prima, che aveva cambiato tutto.
New
York, lunedì 22 ottobre
Rosso, arancione e giallo. Colori
caldi, antitesi di quella brezza sempre più pungente che apriva le porte ai
mesi più freddi. Central Park è ricoperta di foglie; alcune sono già a terra,
sono le foglie secche, quelle più vecchie. Altre sono ancora vive, appese a
rami scarni, alla mercé di un vento che le farà inevitabilmente morire. Times
Square è già in movimento, pronta a surriscaldarsi per le ore più trafficate.
Taxi gialli sfrecciano da quartiere a quartiere: da Brooklyn all’Upper East
Side, dal Queens a Staten Island. Le vie iniziano a fermentare; tra poche ore
affollate di visi senza identità, corpi uniti che corrono insieme, come gocce
di una stessa onda. I primi lavoratori si affrettano nella metropolitana. Le
ultime anime della notte si affannano per tornare verso il loro nido. È così
che si risveglia New York.
New York. La Grande Mela. Cosmopolita,
culturale, stimolante, eccitante, accogliente, ma anche pericolosa, spaventosa.
Una sfida.
L’esatto opposto di ciò che è – o
forse era, almeno per alcuni – Lima.
Lima, Ohio. Cittadina minuscola,
bigotta, rurale, noiosa, limitata ed ignorante. Una porta chiusa.
Si, perché Kurt ce l’ha fatta a
lasciare la sua città natale.
Ha lottato con le unghie e con i
denti, ha affrontato l’inferno a testa alta. Ha camminato con sicurezza anche
quando aveva il viso rigato di lacrime e il corpo ricoperto di lividi. Si è
fatto strada tra l’ignoranza, gli abusi, gli ostacoli che la vita gli ha posto,
cercando la sua via d’uscita.
E l’ha trovata.
Kurt Hummel è ufficialmente un New
Yorkese.
Beep. Beep. Beep.
“Buongiorno, New York.
Sono
le sette e trenta di questo lunedì 22 ottobre. Inizia una nuova settimana e
mentre il tempo scorre e ci avviciniamo sempre più ai mesi più freddi, ci
dobbiamo ricordare che tra soli nove giorni si celebra la festa più
terrificante e spaventosa dell’anno. Preparatevi a zucche, zombie e fantasmi,
ma soprattutto tirate fuori i costumi! È ora di bussare di porta in porta per i
più piccoli e di organizzare party sfrenati per chi è più cresciuto.
Personalmente, io, Anne Johnson, la vostra DJ preferita – o almeno credo – ho
già deciso come mascherarmi. Prenderò spunto dai favolosi look della nuova
Regina del Pop. È la stravaganza fatta a persona e sa sfoggiare gli accessori
più eccentrici, dettando le mode e a volte spaventando i fans. È per questo che
mi ispirerò a Lady e mi circonderò di bollicine – ma non di alcool. Credo che
ormai abbiate capito tutti di chi parlo, ma per chi ancora non ha colto i miei
indizi, ecco a voi uno dei suoi pezzi più famosi. È un inno, un messaggio
universale. Buona sveglia, cari New Yorkesi.
…It doesn't matter if you love him
or
capital H-I-M
Just put your paws up
'cause
you were born this way, baby
My
mama told me when I was young
we are
all born superstars
She
rolled my hair
and
put my lipstick on
in the
glass of her boudoir…
“Gnnnn…non ora!”
“Hummel,
fa tacere quel travestito per cui hai una fissazione Freudiana o giuro che ti
brucio l’ultimo Armani che hai comprato!” – una voce ancora rauca arrivò
direttamente dall’altra parte del corridoio.
“Vaffanculo,
Santana! Comunque è inutile che ti lamenti, tanto lo so che devi alzarti presto
anche te stamattina!”
Kurt
si rigirò tra le coperte e allungò il braccio verso il comodino per spegnere la
sua radio sveglia. Per quanto adorasse Lady Gaga e Born This Way fosse un po’ la sua canzone, a quest’ora della
mattina non aveva lo stomaco per affrontare la Latina in puro stile Lima
Heights con indosso un baby doll leopardato. Si, era già successo; si era già
svegliato con una simile visione e non voleva assolutamente ripetere
l’esperienza. Sarebbe stato il sogno erotico di ogni maschio etero della sua
età, ma per Kurt, era solo materiale da catalogare come immagini da usare per “sbollire” in caso di necessità.
La
luce filtrava soffusa e fioca tra le fessure delle persiane color panna. Kurt
richiuse gli occhi, facendosi cullare nel suo dormiveglia dal rumore
metropolitano della città che si risvegliava.
Aveva
avuto una nottataccia. Aveva dormito si e no due o tre ore, un sonno disturbato
e poco riposante.
Probabilmente
era stata colpa delle tre tazze di caffè della sera prima, prese per restare
sveglio per finire in tempo gli ultimi bozzetti.
Forse
era l’ansia per la giornata che lo aspettava, un’avventura eccitante e
paralizzante allo stesso tempo poteva prendere piede quel giorno.
Forse
erano i continui pensieri, le preoccupazioni, i ricordi che continuavano a
frullargli in testa, non lasciandolo riposare bene ormai da tempo.
Forse,
erano tutte e tre sommate. Il risultato comunque non cambiava: Kurt era
terribilmente stanco, frustrato, con i capelli sfatti e la testa pesante.
Sbuffò
e lanciò via le coperte, facendole cadere a terra per poi scendere dal letto.
Si avvicinò alla finestra della sua camera, spalancando le persiane e in
seguito i vetri. Luce e aria fresca, quasi fredda, inondarono la stanza,
aiutando Kurt a svegliarsi del tutto.
Osservando
dal suo terzo piano la strada sotto di lui, sospirò. A volte ancora non credeva
di avercela fatta. Di essere fuggito dall’Ohio ed essere finalmente a New York.
Doveva farsi pizzicare o farsi versare dell’acqua gelida in testa – compiti che
Satana aveva eseguito con estrema
delizia durante i primi giorni di convivenza.
Non
tutto era andato come aveva programmato.
All’inizio
del suo ultimo anno di liceo, aveva steso minuziosamente, punto per punto, i
suoi piani per la Grande Mela. Neanche la metà di quelli combaciavano con la
realtà che stava vivendo.
Per
iniziare, dopo aver dominato il palcoscenico in pantaloni oro luccicanti che
non lasciavano nulla alla fantasia e aver ricevuto l’approvazione di Carmen
Tibideaux, non era stato ammesso alla NYADA.
Quando
aveva letto la lettera della famosa università, il suo mondo gli era crollato
addosso.
Tutto
quello per cui aveva lottato, il percorso che si era costruito passo dopo
passo, conquista dopo conquista, era crollato come un castello di carte dopo
una ventata d’aria. I primi giorni erano stati scioccanti. La sua lettera era
arrivata insieme a quella del suo fratellastro e della sua migliore amica. Il destino
per loro aveva intrapreso strade diverse, così Rachel e Finn avevano rotto il
fidanzamento. La prima era partita da sola per New York, pronta a spianarsi la
strada per il primo Tony. Il secondo aveva deciso di arruolarsi nell’esercito,
e qualche giorno dopo la partenza dell’ormai ex fidanzata, era partito per la
Georgia, per un campo di addestramento.
Kurt
si era ritrovato così completamente solo, l’unica spalla su cui piangere rimastagli
era quella del fidanzato.
Blaine.
Il
dolce, elegante, bellissimo Blaine. Il suo Usignolo preferito che, quando aveva
deciso di trasferirsi per l’ultimo anno al McKinley, non aveva fatto i conti
con la differenza nei curriculum delle due scuole, perdendo così un anno. Il Blaine
che doveva rimanere ancora a Lima. Lo stesso Blaine che era cambiato,
diventando quasi irriconoscibile agli occhi del suo Kurt. Blaine, che per tanti
motivi, era sempre più distante, sempre più freddo.
Ed
ecco la seconda grande differenza tra i suoi piani e la realtà.
Non
solo aveva dovuto rinunciare alla scuola dei suoi sogni, ma anche all’appoggio
del fidanzato e della migliore amica, riducendosi a condividere un appartamento
con Santana – Satana – Lopez.
Niente
più loft per tre nel Lower East Side, niente più colazione da Tiffany, niente
più Gershwin Theater né maratone di musical; niente più Elphaba o Glinda,
niente più Katy Perry né Barbra Streisand.
…
Kurt
scosse la testa, liberandosi dai suoi pensieri. Adesso basta, Hummel, hai una giornata impegnativa e importantissima a
cui pensare. Basta rimorsi, ricordi e rimpianti.
Con
una nuova determinazione, Kurt si riscosse dalle sue preoccupazioni, abbandonò
la sua posizione alla finestra e andò a piazzarsi di fronte al suo armadio,
preparando l’outfit perfetto per la giornata che lo aspettava. Il suo armadio
era di un legno scuro, un wengè color cioccolato, perfettamente liscio; era
molto più grande di quello che le misure della sua stanza permettessero, ma se
c’era una cosa che per Kurt Hummel era fondamentale, erano i suoi vestiti. E quando
Kurt teneva a qualcosa, lottava fino alla fine per ottenerla. Anche se si
trattava di urlare qualsiasi tipo di insulto con un tono più alto di tre ottave
rispetto al solito, affinché gli operai che si occupavano del trasloco,
capissero l’importanza di incastrare nei pochi metri quadri a sua disposizione
una bestia del genere.
Passò
tutti i suoi abiti firmati, scegliendo quelli adatti alla giornata. Andò sul
semplice, sobrio ed elegante. Immancabili skinny jeans neri, stretti da
togliere il fiato; una camicia bianca di Dolce e Gabbana, con i bottoni in
madre perla; un gilet gessato sopra e per finire i suoi Doc Martens bianco
lucido. Al collo un morbido foulard di seta grigia e sopra, vista l’aria
autunnale, un trench grigio antracite. Perfetto.
Si
spostò in bagno. Doccia veloce, ma accurata, usando tutti i prodotti specifici
che ormai comprava dai tempi del liceo. Bagnoschiuma, shampoo e balsamo tra i
più costosi in commercio – ma la perfezione non ha prezzo.
Finita
la doccia, si fermò davanti allo specchio per il suo rituale di idratazione
mattutino. Sicuramente non voleva avere
le rughe alle soglie dei suoi trent’anni.
Stupendo anche se stesso con la totale elasticità e morbidezza della pelle del suo viso, sorrise alla
sua immagine riflessa. Prese un pettine, una spazzola, phon e lacca – molta lacca
- e iniziò a sistemarsi i capelli, con
particolare attenzione al ciuffo davanti.
Soddisfatto
del risultato, finalmente uscì dal bagno, solo per scontrarsi con un’arruffata
e ben poco calma Santana.
“Quando
hai finito di pettinare la cresta ai mini pony che defechi la mattina, vorrei
usare anche io il bagno, Hummel.” Incrociò le braccia al petto e seppur
struccata, coi capelli ancora spettinati dal cuscino, in culotte e canotta,
riusciva ancora ad incutere timore.
“Serviti
pure, Satana. E non ti preoccupare,
oggi i mini pony avevano tutti un pelo perfetto!”
Santana
sbuffò, lo spinse via ed entrando in bagno, chiuse a chiave la porta dietro di sé.
Kurt
tornò in camera, si vestì e controllando l’ora – perfettamente puntuale – raccolse la sua tracolla in pelle,
preparata la sera prima, gli occhiali da sole Chanel retrò – perché non si sa
mai – e i fatidici bozzetti per cui aveva lavorato tanto.
Uscì,
inchiavò il portone e scese le scale del palazzo in cui vivevano con rinnovato
vigore. Aveva ritrovato un’energia positiva, che poteva solo che migliorare in
seguito alla sua abituale sosta allo Starbucks dietro l’angolo.
All’esterno,
l’aria frizzante di ottobre lo sferzò in pieno viso, costringendolo ad
avvolgersi meglio la sciarpa intorno al collo. Iniziò a camminare, osservandosi
intorno.
Non
voleva essere uno dei tanti New Yorkesi che camminavano decisi, sguardo davanti
a sé, senza vedere in realtà dove andavano. Una delle tante facce che si affannavano
in giro per la città, espressione decisa, ma vuota. Se c’era una cosa che aveva
imparato su New York, era che la città non cessava mai di stupirlo. Anche dopo
un mese, lo stesso quartiere, la stessa strada, nascondevano ancora minuscoli
dettagli da scoprire. Ogni giorno, solo guardandosi intorno nel suo solito
tragitto da casa a Starbucks, trovava qualcosa di nuovo, un’emozione, una
sensazione, uno scorcio, un vicoletto, una bancarella.
Dopo
pochi minuti di cammino, Kurt girò l’angolo e spinse la porta in vetro del suo
solito bar. Entrò sorridendo alla barista. Ormai lui e Cassie si vedevano ogni
mattina. Lei conosceva il suo ordine e i suoi orari, e sapendo che spesso
andava di fretta, gli faceva trovare pronto il suo Mocha. A volte, indugiava
sull’alimentazione sana che si imponeva dai tempi della pubertà, e si concedeva
anche un muffin al cioccolato.
“Ciao,
Cassie! Sei sempre più bella!”
Cassie
arrossì furiosamente. “Peccato che i migliori siano gay.”
Prese
da dietro il bancone l’ordinazione già pronta di Kurt e gli porse la tazza
fumante di caffè.
“Sono
3 dollari e 75 cent, Kurt.”
“Ecco
qua. E tieni pure il resto.”
“È
stamattina la grande giornata?”
“Si.
Te ne ricordi?”
“Come
non potrei?” lo prese in giro Cassie – “Hai bevuto caffeina per un anno ieri
pur di restare sveglio!”
“Vero.
Grazie mille, tesoro. Scappo, altrimenti faccio tardi. Ci vediamo domani.” Fece
finta di soffiarle un bacio, afferrò la tazza e si voltò verso l’uscita. Proprio
in quel momento sentì la porta aprirsi, ma non fece in tempo a vedere chi
entrasse perché il suo cellulare iniziò a squillare.
“Merda,
merda, merda!”
Dovendo
tenere in equilibrio bozzetti e caffè, mentre cercava nella borsa il telefono,
Kurt tenne gli occhi incollati al pavimento. Continuò a camminare verso l’uscita
senza alzare mai lo sguardo, fino a che non si scontrò con qualcuno,
rovesciandogli l’intera tazza di caffè addosso.
“Oh
mio Dio! Mi scusi, non l’avevo vista!”
L’uomo
– o forse era meglio definirlo ragazzo -
nel frattempo controllava il danno alla sua camicia, che in apparenza
sembrava molto costosa.
“Potrebbe
anche guardare dove va!”
Kurt
si immobilizzò, sgranando gli occhi. Gli sembrava di riconoscere la voce di
quello sconosciuto. Alzò finalmente lo sguardo, incontrando due occhi verde
smeraldo colmi di malizia e un sorrisetto sbieco.
“Sebastian?”
………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..