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Autore: sayuri_88    13/08/2012    2 recensioni
Se su una spiaggia mentre osservi il tramonto facessi un incontro speciale?
Ho pensato a come deve essere passare le vacanze estive per una persona che non può, per cause di forza maggiore, passare una giornata sotto il sole come fanno tutti ed è uscito questo...spero vi piaccia^^
Dal capitolo:
Sognavo che un giorno avrei potuto correre sotto il sole, andare alla spiaggia a nuotare e poi asciugarmi sulla sabbia, pranzare in un parco mentre i raggi del sole sfioravano la mia pelle come delle carezze. Un sole che mi era amico insomma. Ma la realtà era ben diversa.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Scusate L'enorme ritardo e buone vacanze!!!


Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

p.s: ho scritto una nuova storia "La musica nel cuore" finita se volete farci uns alto siete ben accette!!! Ecco un piccolo spoiler:

« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa. 
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.



 

 

 

 



 

... Calma ...

 




 

—Edward, ecco non vorrei fare la parte della ragazza che ne approfitta…
Dopo essere tornati dalla radura, Edward era tornato a casa, visto che Charlie era già seduto sul divano a guardare un programma di pesca, ed era tornato solo la sera inoltrata, quando mio padre era già andato a dormire.
—Forza dimmi, sai che puoi chiedermi tutto quello che vuoi —e bloccò sul nascere il mio fiume di parole. Non ero una che chiedeva aiuto agli altri e per questo mi sentivo a disagio ma l’aiuto di Edward avrebbe velocizzato molto le cose e sarebbe stato anche motivo per passare del tempo assieme.
—Ecco… —mi alzai a sedere sul letto facendo cadere le coperte sul mio grembo. Edward al mio fianco fece lo stesso e nell’ombra della notte fui sicura di vedere un sorriso d’incoraggiamento. Mi guardai attorno, l’armadio, la scrivania, la libreria erano mobili molto pesanti per un essere umano al contrario per lui erano nulla; delle piume.
—Vorrei ridipingere la stanza, le pareti in alcuni punti sono rovinate dall’umidità o sono ricoperte da graffi… e mi chiedevo se domani potresti aiutarmi… —chiesi lanciandogli uno sguardo si sottecchi. —Dovresti spostare i mobili, papà non è poi tanto giovane e spesso la schiena gli da problemi quando deve alzare qualcosa di molto pesante mentre per te non sono un problema… è come alzare una matita.
—Certamente che ti aiuto, così potrò anche farmi ufficialmente conoscere da Charlie —raggelai alle sue parole. Non perché non lo volessi, ma che gli avremmo detto?
“Papà, ecco ti ricordi Edward Cullen? È venuto un paio di volte per studiare… bene, è un vampiro ma non morde, o meglio è vegetariano, quindi al massimo evita di invitare Johnny con il suo cane quando lui è nei dintorni. Ed ecco è più o meno il mio ragazzo e mi aiuterà a dipingere camera mia. Ah, e un'altra cosa: saremo da soli”.
Sì, sarebbe stramazzato al suolo stecchito.
Sentì un dito freddo e duro poggiarsi sulla mia fronte e lisciare le rughe della mia fronte corrucciata.
—Che ti frulla in quell’affascinate testolina? —disse facendomi arrossire fino alle punte delle orecchie.
—Come la prenderà Charlie? Non voglio che gli venga un infarto nel sapere che esco con un vampiro.
La suddetta creatura sovrannaturale ridacchiò e con un gesto fluido mi riportò in posizione supina con la schiena poggiata al suo torace. Mi girai e lo abbracciai. L’orecchio era poggiato dove doveva esserci il cuore ma da lì non proveniva alcun suono. Certe volte mi sembrava ancora assurdo che lui fosse un vampiro e qualche volta, come in quella situazione, mi sembrava assurdo e irreale.
—Non gli diremo che sono un vampiro, semplicemente che ho intenzione di frequentarti per molto tempo e per la camera posso chiedere a Emmet di accompagnarmi fino a che tuo padre non andrà da Billy.
Il suo era decisamente un piano migliore, annuì e mi rilassai felice cadendo in poco tempo in un sonno profondo. Di sottofondo la ninna nanna di Edward.
 
Il giorno dopo, ero nervosa, avevo informato papà che era rimasto sorpreso di sapere di Emmet e Edward, ancora di più quando lo avevo informato che avevo iniziato a uscire con il più “giovane” dei fratelli non da amici.
Alla fine del mio discorso, Charlie aveva deciso di posticipare la sua uscita per andare da Billy per la pesca e farmi compagnia fino all’arrivo dei ragazzi. Chissà perché… pensai ironica mentre lo vedevo prendere posto sul divano.
Alle dieci, i fratelli Cullen, come da accordi, si presentarono alla mia porta. Perfetti nonostante indossassero una semplicissima tuta consunta ad arte e in mano gli attrezzi da perfetti imbianchini. Avrei potuto proporre ad Edward di dipingere anche il resto della casa… me lo immaginavo di già con i jeans la maglietta  a maniche corte poi per il caldo si sarebbe tolto la maglietta, come avevo visto fare agli imbianchini che avevano dipinto il salotto della casa a Jacksonville.
Scacciai quei pensieri aprendo maggiormente la porta e salutandoli con un sorriso più innocente possibile.
—Bella, Bella, Bella… finalmente ci hai salvato dalla piaga di Edward, era così deprimente averlo in giro per casa — fu il saluto riservatomi dall’armadio ambulante appena aprì la porta.
—Ciao, Emmet. Sono felice di essere stata utile —dissi trattenendo una risata. —Prego, entrate.
—Ciao, Bella —mi salutò Edward con un bacio sulla fronte e una carezza sulla guancia.
—Ciao —ricambiai lasciandomi andare alle sensazioni che quel semplice gesto mi provocava. Mi ci abituerò mai?
—Emmet, Edward, a quanto pare Bella vi ha coinvolto nei suoi progetti —mio padre fece la sua comparsa sullo stipite della porta in un atteggiamento falsamente amichevole.
—Oh, non si preoccupi Capo Swan, per noi non è un problema.
—Per te di sicuro no —borbottò squadrando i muscoli gonfi di Emmet.
—Emmet, che ne dici di iniziare a portare questa roba in camera di Bella mentre recupero il resto? —disse Edward rivolgendo un rapido sguardo al fratello che annuisce e velocemente sale le scale.
—La camera è la prima a sinistra! —gli urlai dietro. Inutile, avevano un udito perfetto ma mio padre non lo sapeva e sarebbe sembrato strano se avessi usato un tono di voce basso.
 
—Edward, —esordì papà invitando con un dito a seguirlo in salotto, —Bella, mi ha detto che state insieme —e si sedette sul divano. Qualcuno mi sotterri sotto cento metri di terra, per favore, pregai mentre il mio genitore dava il via al momento più imbarazzante della mia vita.
Cercai lo sguardo di papà e quando lo incontrai, piegai il capo in una supplica per evitare quella discussione.
Emmet era già salito, ma certamente stava sentendo tutto, e quello rendeva il tutto ancora più mortificante. Non avrebbe perso tempo per inventarsi qualche battuta o barzelletta su di me e suo fratello.
Immune al mio sguardo, Charlie sorrise e invitò il ragazzo a sedersi sulla poltrona davanti a lui. Sembrava voler ricoprire anche in quel momento le vesti dello sceriffo di Forks. Con un sospiro rassegnato, presi posto accanto a mio padre sperando che il tutto finisse il prima possibile.
Perché i genitori dovevano mettere i figli in quelle situazioni?Mi chiesi mentre guardavo mortificata il ragazzo che, al contrario di me, appariva tranquillo e a suo agio.
Beh, leggeva nel pensiero e quindi poteva prepararsi le risposte, probabilmente già sapeva quello che gli avrebbe chiesto. In ogni caso era a prova di proiettile e quindi papà non poteva fargli nessun graffio.
—Le ho chiesto se avrebbe accettato un mio corteggiamento e lei ha accettato —non tentava minimamente di nascondere la nota di felicità e orgoglio mentre rispondeva a mio padre con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Sembrava volerlo urlare a tutto il mondo ed era disarmante per me. Il mio cuore ormai si era abituato a fare gli straordinari, come sempre, quando ripensavo che quello che stavo vivendo era vero e che Edward era davvero interessato a me. —Spero che per lei non ci siano problemi.
—E hai intenzioni serie con mia figlia? —gli chiese ed io avvampai per l’imbarazzo.
—Papà… —il mio doveva essere un richiamo ma fu più un lamento.
Mi sembrava di essere stata catapultata indietro di cento anni, quando era consuetudine chiedere al padre il permesso di corteggiare la figlia o per chiederle la mano. Ma eravamo nel nuovo millennio perbacco, avrebbe dovuto accettare le mie scelte. Allo stesso tempo avevo il cuore in gola e sudore freddo scendeva lungo la mia fronte nel timore che dicesse di no.
—Molto serie.
Charlie emise un grugnito di approvazione, incrociando le braccia al petto e guardando il ragazzo seduto di fronte a lui con fare severo.
—Molto bene, vedi non fare stupidaggini —disse alla fine. Si alzò e recuperata la giacca, ci augurò buon lavoro.
Edward si era guadagnato il suo beneplacito.
Dissi a Edward di salire pure mentre io rimasi al piano terra giusto per scambiare quattro chiacchiere con papà a quattr’occhi, ora che il pericolo era passato.
— Papà, perché hai fatto quella scenetta? Lo avevi già conosciuto e ti è sempre stato simpatico.
—Sì, ma ora me lo presenti come fidanzato e vuoi stare qui da sola con lui, sei pur sempre mia figlia —borbottò burbero. Alzai gli occhi e sorrisi. Alla fine era un papà che si preoccupava per la sua bambina.
—C’è Emmet e poi Edward è un ragazzo con la testa sulle spalle e un po’… all’antica —dissi dopo un momento di tentennamento per cercare le parole giuste. Alla fine era vero, Edward era un ragazzo del primo novecento, e la morale, l’etichetta, a quei tempi erano molto rigide.
—All’antica… — ripeté scettico.
—Sì, in certe cose è più vecchio di te —dissi sapendo che i due vampiri mi avrebbero sentito. Infatti, arrivò la sonora risata di Emmet.
Più rassicurato, almeno così credevo, se ne andò. Feci un respiro profondo e rientrai salendo velocemente le scale.
Finalmente potevo godermi la mattina con Edward.
—Dov’è Emmet? —gli chiesi. Edward si girò e mi abbagliò con il suo sorriso sghembo.
—L’ho cacciato, non la smetteva di fare le sue solite battute stupide… Forza, mettiamoci al lavoro —disse con entusiasmo e batté le mani tra di loro.
Il letto e l’armadio erano sistemati nel mezzo della stanza ed erano coperti da un grande telo mentre gli altri mobili erano sistemati nel corridoio. Mi stupì ancora una volta di quanto fosse incredibile quello che riuscissero a fare.
—Okay, allora metto i quadri fuori e possiamo iniziare —i quadri? I quadri!
Strabuzzai gli occhi e mi fiondai su di essi prima che lo potesse fare Edward ma avevo scordato che lui si muoveva più velocemente di me e io non avevo fatto nemmeno un passo che lui aveva già in mano tre tele e sfortuna volle, perché, sì, la fortuna e cieca ma la sfortuna ci vede benissimo, che il primo quadro del gruppo ancora poggiato alla parete fosse il ritratto del vampiro.
Lo guardò per un momento prima di poggiare i quadri che aveva in mano contro la parete e prendendo la tela incriminata tra le mani. Lo rimirò ancora per qualche minuto prima di voltarsi verso di me.
—E questo? — mi domandò. Stampato in faccia un sorriso birichino.Imbarazzata, glielo strappai di mano. Me ne ero completamente dimenticata che fosse lì in mezzo e maledì la mia sbadataggine.
—Beh… ecco l’ho fatto l’estate scorsa —balbettai, torturandomi le mani tra di loro. Era stata una paura incontrollata a impedirmi di far vedere il quadro a Edward, non so perché ma credevo che si sarebbe arrabbiato che mi avrebbe urlato contro dopo aver capito quello che c’era dietro a quel ritratto e anche dopo la confessione dei suoi sentimenti per me quel timore non era svanito anzi era raddoppiato, se non triplicato.
—È molto bello ma con un soggetto simile non poteva none esserlo.
Ridacchiai rilassandomi grazie alla sua battuta. Forse non aveva letto quello che c’era dietro a ogni pennellata che mi aveva portato a comprendere quello che provavo per lui. Ne fui sollevata.
—Hai un’alta considerazione di te.
Serafico alzò le spalle e recuperati i quadri, li sistemò fuori dalla porta. Per ultimo prese il suo ritratto, ancora tra le mie mani, e, dopo averlo osservato con uno sguardo che non seppi interpretare, sistemò fuori anche quello.
Poi iniziammo a lavorare.
 
Grazie al suo aiuto riuscì a dipingere tutte e quattro le pareti in tempi brevi e all'una, ero sdraiata sul divano mentre il mio aiutante cucinava per me. Non sapevo cosa aspettarmi, secondo lui tutto quello che mangiavo, aveva un pessimo odore.
—Come fa Esme a cucinare? —urlai per farmi sentire in cucina per poi realizzare che era inutile, in quanto in vampiri avevano un udito più sviluppato dei cani e Edward avrebbe capito anche se avessi sussurrato la frase.
—Anni e anni di esperienza —disse il vampiro facendo il suo ingresso in salotto con il piatto nella mano destra e forchetta e cucchiaio nella sinistra.
—Anche tu hai tanti anni di esperienza? —lo provocai mentre lo osservavo sistemare il piatto davanti a me.
L’aspetto e l’odore erano ottimi, sembrava il piatto di un grande chef, ma volli comunque scherzare.—Devo preoccuparmi?
Edward sfoggiò uno sguardo fintamente offeso e in mondo molto drammatico si portò la mano al petto come a proteggere una ferita profonda.
—Non bravo come Esme ma sono stato un ottimo allievo. Però non chiedermi di cucinare qualcos’altro oltre queste omelette, in quel caso si che dovresti preoccuparti.
—Qualcosa in cui non sei capace! —dissi con finta voce scioccata, per rendere maggiore l’effetto mi portai anche la mano davanti alla bocca spalancata e continuai la mia burla —Non credevo di poter vivere a lungo per vedere questo girono.
Sogghignò e scosse la testa senza smettere di ridere e si sedette vicino a me poggiando un braccio sullo schienale dietro di me e l’altro sul bracciolo.
—Abbiamo mangiato pane e simpatia questa mattina? —e con il braccio poggiato dietro di me miprese per le spalle e mi obbligò ad avvicinarmi a lui, gli ero quasi spiaccicata addosso, e mi baciò lasciandomi basita per la naturalezza del suo gesto.
—Che c’è? —mi chiese spaesato dal mio sguardo vacuo. Sorrisi e mi ripresi.
—No, è che è strano, credo di dovermi abituare — giustificai il mio comportamento. Lui ricambiò il mio sorriso e sistemò una ciocca, sfuggita alla mia coda, dietro l’orecchiosenza perdere l’occasione di sfiorarmi la guancia in una leggera carezza. Il contatto fisico sembrava importante per lui. Come se volesse accentarsi che io fossi realmente lì con lui.
—Quando vuoi, io sono qui —disse facendomi arrossire. Accennai un timido sorriso e portai tutta la mia attenzione sul piatto davanti a me.
—Bella, non voglio che tu ti senta a disagio —disse con tono sommesso. Scossi la testa e tornai a guardarlo.
—No, te l’ho detto, mi ci devo abituare ma non mi ha dato fastidio. Assolutamente.
—Okay —disse con tono sollevato, —forza assaggia e dimmi com’è. Esme ha impiegato una notte intera per insegnarmi a prepararla.
Tagliai un pezzetto e la assaggiai per poi mostrare tutto il mio entusiasmo al cuoco. 
—Davvero, buono. Sarà l’unica cosa che sai fare ma è ottima.
Chinò il capo in un piccolo inchino e poggiò la testa sul palmo della mano mettendosi a fissarmi.
—Ho qualcosa in faccia? —chiesi passandomi la mano sul viso alla ricerca di qualche pezzetto di frittata o pomodoro.
—No, perché?
—Mi fissi.
—Mi piace guardarti mentre mangi —rispose alzando le spalle.Ridacchiai chiedendomi se non avesse perso qualche rotella durante la sua vita secolare. A nessuno piace guardare qualcuno mentre mangia. Si fanno tante di quelle facce buffe e imbarazzanti...
—Non farlo. È imbarazzante —lo supplicai.
—Perché?
—Perché? Sembro una mucca che rumina quando mangio —spiegai come se fosse la cosa più logica del mondo. Per contro lui si mise a ridere di gusto, come se avessi appena detto la barzelletta più spassosa del secolo.
—Allora per me sei la mucca più bella di tutte.
Ripagai la sua affermazione con un piccolo sorriso e il viso arrossato.
—Sembri un cucciolo quando mangi tutto da una parte e ti si gonfia la guancia e sorridi soddisfatta perché ti piace.
—Voi invece come vi procurate il cibo? —chiesi per spostare l’attenzione dalla discussione sul mio modo di mangiare al loro. Non glielo avevo mai chiesto in quella settimana, dovevo prima assimilare per bene la novità della sua natura. Certe volte avevo ancora la sensazione che fosse tutto un sogno, un frutto della mia mente.
—Cacciamo dove c’è più sovrappopolazione di animali, durante i periodi in cui c’è il sole qui a Forks cogliamo l’occasione per spostarci di più e cacciare qualcosa di diverso da cervi o altri erbivori che popolano questa zona… —un lamento fuoriuscì dalla mia bocca nel sapere che piccoli Bambi erano il loro pranzo ma era meglio loro che un essere umano.
M’immaginai Charlie tra le braccia di Rosalie mentre questa si cibava di lui prosciugandolo, o Angela e Ben, e anche se con un po' di sensi di colpa nel pensare ciò fui felice che al loro posto ci fossero conigli, cervi e volpi.
—Ma come fate? A cacciare intendo. Come fanno i cacciatori? —domandai nella mia beata innocenza. Edward ridacchiò mostrando i suoi denti bianchi e con uno scatto aprì e chiuse la bocca, come a mordere qualcosa d’immaginario, e facendoli battere tra loro provocando un suono sordo.
—Usate i denti? —ero sorpresa ma effettivamente i suoi denti sembravano affilati come rasoi e forti come una morsa. Forse erano anche meglio dei fucili.
—Hai mai visto documentari su come cacciano i leoni o tigri?
Annuì ricordando i tanti documentari visti a scuola durante l’ora di scienze. Il leone acquattato tra l’erba alta e beige, come il suo mantello, aspettava il momento di colpire l’elemento debole del branco che aveva puntato e dopo essersi lanciato all’inseguimento, l’afferrava per la gola fino a che questa non moriva.
—Il nostro modo di cacciare è molto simile —mi spiegò ma evitai di immaginarmi la famiglia Cullen in quello scenario e continuai ad approfondire la mia conoscenza del suo stile di vita. Prima o poi avrei anche dovuto chiedergli degli altri vampiri. La prima tra tutte era: quante possibilità c’erano che qualcuno di quelli non vegetariani arrivasse a Forks e si cibasse di esseri umani lasciando cadaveri dissanguati in giro per il piccolo paese?
—Cosa ti piace cacciare?
—Puma, —e i suoi occhi s’illuminarono, —sono i miei preferiti, ma non posso cacciare solo quelli così mi accontento il più delle volte di cervi o altri erbivori. Emmet invece si diverte a cacciare orsi, specialmente appena svegliati dal letargo.
—Perché non usate le banche del sangue? Voglio dire ora avete la possibilità di usufruire di sangue umano senza uccidere, perché dopo questa scoperta non siete tornati alla dieta originaria?
—È vero ma poi sarebbe difficile resistere se qualcuno si tagliasse un dito davanti a me, ma soprattutto il sangue animale ci ha reso più uniti. Noi vampiri ci muoviamo in gruppi piccoli e spesso viaggiamo in solitaria, gruppi grandi come la mia famiglia o quella dei Denali sono rari, e in più il nostro stile di vita ci ha permesso di essere più civili di vivere in mezzo alla gente senza troppi pericoli.
—Capisco… —dissi. Ero arrivata a paragonare il sangue alla droga. Quando se ne fa uso, se ne diventa dipendenti e non si riesce a resistere alla tentazione di prenderne una dose.
Guardai l’orologio, che segnava le due e trenta. Era ora di tornare al lavoro.
—Beh che ne dici di continuare questa discussione mentre finiamo la camera?
—Certo, ormai la vernice dovrebbe essere asciutta —accettò alzandosi per primo e portando quello che restava del mio pasto in cucina. Lo seguì osservandolo mentre, come se fosse a casa sua, lavava, asciugava e sistemava i piatti al loro posto. Mi dissi che era proprio da sposare, insomma quale ragazzo pulisce a casa di qualcun altro?
Non ci mise molto a sistemare tutto, assieme salimmo le scale e ci prendemmo qualche secondo per ammirare il nostro lavoro.
Le pareti erano di un azzurrino chiaro che non affaticava l’occhio, sul soffitto spiccava lo spazio libero, dove avrei dipinto il sole, e nella parte verso la finestra l’azzurro sfumava in un blu notte su cui faceva capolino qualche stella. Alla fine ero certa che sarebbe uscito un bel lavoro.
—Bene, prima prepariamo i colori e poi mi aiuti, ovviamente ti occuperai solo di stendere il giallo, non so quanto ti sei dedicato all’arte in questo secolo… —non volevo peccare di superbia ma Edward, a parte le sue doti da pianista, non mi era mai sembrato un tipo artistico, lo vedevo come scienziato, fisico, medico ma per quello che riguardava la pittura, scultura,… ecco erano due mondi separati che non si sarebbero mai incontrati ed infatti la sua risposta mi confermò i miei sospetti.
—Ho passato un periodo negli anni cinquanta e sessanta ma poi ho lasciato. Semplicemente non era il mio campo.
Così ci mettemmo al lavoro.
—Se ti sfidassi a mangiare la tempera? La mangeresti? —gli domandai girando il capo verso di lui. Stavo preparando i colori per dipingere il sole, non avevo ancora trovato la giusta tonalità di arancio e quella domanda mi sorse spontanea dopo che mi aveva confessato che spesso si era trovato nella situazione di mangiare per salvare le apparenze ma che per lui era stata un’esperienza traumatizzante.
Edward volse il capo verso di me, qualche goccia di colore colorava le sue guance pallide, e delle mani era meglio non parlarne, ma fortunatamente sulla parete non c’erano macchie.
Saltò giù dalla scala e si sedette al mio fianco.
—Non mi farebbe nulla —rispose per poi inzuppare il pennello nella tempera gialla e compiendo il gesto di portarselo alla bocca.
—No! Fermo —urlai bloccando il suo braccio a mezz’aria. Mi guardò spaesato e mi sorrise per rincuorarmi.
—Bella, davvero non mi faccio nulla. Avrò solo i denti gialli al massimo —disse trattenendo le risate.
—Non fa nulla, non mangiarla lo stesso —borbottai recuperando il pennello per rimetterlo nel suo vasetto.
—Se ti fa sentire meglio… tonando alla tua stanza, vuoi che ti faccia il giallo del sole? Così ci portiamo avanti —propose alzandosi.
Guardai i colori su cui stavo lavorando e il soffitto, non volevo che il colore si asciugasse troppo ma l’arancio che avevo fatto mi piaceva.
—Okay, tanto ormai i colori sono pronti. Ti do una mano.
Era divertente e, tra risate e pennellate, sul vestito dell’altro a tradimento, alla fine sembravamo due che avevano partecipato a una partita di paintball, alle sei del pomeriggio avevo finito gli ultimi ritocchi.
—Allora che te ne pare? —chiesi al mio aiutante con voce soddisfatta.
Edward alzò lo sguardo poggiando le mani sui fianchi e girò su se stesso analizzando ogni punto.
Abbassò lo sguardo e mi abbagliò con il suo sorriso sghembo.
—Bellissimo.
Lo abbracciai di slancio e senza pensarci lo baciai sulla bocca. Non ci mise molto a ricambiare, felice della mia iniziativa.
Quando mi staccai, sorrisi imbarazzata ma felice.
—Te l'ho detto che era questione di farci l'abitudine.
Accentuò il sorriso e si chinò a baciarmi ancora con maggiore intensità allacciai le braccia attorno al suo collo, sentivo le gambe molli e avevo bisogno di appoggiarmi a lui per non finire a terra.
—Bells, sono a casa! —la voce di papà arrivò chiara e forte.
Mi staccai subito, gli occhi sbarrati e terrorizzata. Il vampiro sembrava spaesato ma poi scosse la testa e sorrise dolcemente.
—Che mi fai, Bella? —domandò retorico lasciandomi interdetta.
 Si allontanò e incominciò a raccogliere i vari secchi. Mi schiarì la gola e mi diedi una sistemata ai capelli prima di chiamare mio padre.
—Papà, siamo in camera! Vieni a vedere —urlai prima di rendermi conto che c’era un piccolo problema.
—O mamma! Emmet non c’è! A papà verrà un infarto —sibilai guardandomi attorno alla ricerca di una soluzione. Papà se ne era andato credendo che saremmo rimasti tutti e tre a lavorare e se avesse scoperto che Edward ed io avevamo passato un’intera giornata da soli mi avrebbe impedito di vederlo senza la sua supervisione!
Avrei potuto dire che se ne era appena andato per un’emergenza a casa o una commissione improvvisa,…
—Qualcuno mi ha chiamato? —sobbalzai voltandomi verso la finestra da cui stava entrando il fratello di Edward. Quando si dice: “Parli del diavolo, spuntano le corna”.
—Come… lascia stare —iniziai a dire ma i passi di papà sulle scale scacciarono ogni domanda sul suo tempismo impeccabile. —Ciao, papà. Che te ne pare?
Charlie fece il suo ingresso con i pollici infilati nella cintura e la pistola ancora nella fondina. Entrò a passo cadenzato, guardandosi attentamente attorno, salutando i fratelli Cullen con un cenno del capo. Si fermò al centro della stanza e dopo una veloce occhiata diede il suo verdetto.
—Bello, hai fatto il sole sul soffitto.
—Già. Grazie a Emmet e Edward sono riuscita a finire tutto —si soprattutto grazie a Emmet, mi dissi sarcastica. Lanciai uno sguardo complice al più giovane dei Cullen che venne prontamente ricambiato e tornai a guardare mio padre.
—Ma questa notte dove dormi? La vernice ci metterà un po' ad asciugarsi —commentò portandosi una mano sul mento —starai in camera mia, io dormirò sul divano letto.
—Sarebbe l’occasione per fare quel pigiama party saltato —intervenne Edward facendo scattare la testa di papà verso la sua direzione. —Quando siete andati a Jacksonville per il compleanno della sua ex moglie, Alice aveva invitato Bella a casa nostra per un pigiama party.
Al nominare Jacksonville Charlie strabuzzò gli occhi per poi riprendere il suo controllo di sempre.
—Sì, anche Rose non vede l’ora —scoccai un’occhiata storta nella direzione dell’energumeno. Da quando Rosalie era eccitata all’idea di vedermi gironzolare per casa sua?
—Poi avrebbero casa tutta per loro io e miei fratelli siamo invitati a casa di amici a Seattle —continuò Emmet. Aggrottai le sopracciglia, presa in contropiede. Edward non mi aveva accennato nulla quel giorno, gli lanciai uno sguardo interrogativo ma lui si limitò a farmi l’occhiolino. C’era qualcosa sotto me lo sentivo e mentalmente mi appuntai di indagare più a fondo appena fossimo rimasti soli.
—Sì, Bella me lo aveva detto —borbottò —Ci saranno solo le ragazze a casa?
—Mamma e papà rimangono, si sono già organizzati per lasciare alle ragazze la loro privacy —spiegò Emmet. Guardai Edward ma lui sorrideva senza lasciarmi capire cosa avesse in mente. In quel momento avrei tanto voluto poter leggere la mente come lui.
Non dovetti scrutare lo sguardo di mio padre alla ricerca di una riposta, quando il mio vampiro sfoggiò il suo sorriso sghembo, capì che papà era favorevole.
—Sì, perché no? Se per Bella va bene, io non ho problemi —e detto ciò tre paia di occhi mi fissarono, in attesa della mia risposta.
—Certo, sarà bello passare una serata con Alice e Rose —e sperai che il tentennamento che avevo avuto nel dire il nome della vampira bionda fosse passato inosservato. Ero nervosa all’idea di passare una nottata con lei e dispiaciuta del fatto che Edward non ci sarebbe stato, non volevo mettere fine a quella nostra giornata ma l’idea di passare un po' di tempo con Alice non mi dispiaceva e forse quella si sarebbe rivelata l’occasione per farmi conoscere da Rose e mostrarle che di me si può fidare, che non farei nulla alla sua famiglia.
—Perfetto, allora chiamo a casa —disse Emmet estraendo il cellulare.
 
Infilai il pigiama per ultimo e ripassai mentalmente tutto quello che avevo preso, per essere sicura di avere tutto e poi chiusi lo zaino. Recuperai il cellulare e scesi le scale. Passai davanti al salotto e vidi mio padre placidamente spaparanzato sulla poltrona con una birra in mano. La voglia di uscire scemò, mi sentivo in colpa a lasciarlo da solo. Poggiai lo zaino vicino all’ultimo gradino e lo raggiunsi.
Charlie alzò lo sguardo e sorrise.
—Sicuro che posso andare? Tu rimarrai da solo…
—No, vai pure. Ti divertirai di più con le ragazze che con me. Oltretutto questa sera c’è la partita e viene anche Billy, ti annoieresti con due vecchietti come noi — e sogghignò bevendo un sorso di birra.
Billy…il pensiero del padre di Jake mi ricordò quello che mi aveva confidato Edward. I Quileutte erano davvero dei lupi mannari. Tutte quelle loro leggende di discendere da essi erano vere. Dovevo lasciare papà da solo?
Quella sera non ci sarebbe stata la luna piena e quindi Billy non si sarebbe trasformato e poi loro due erano grandi amici. L’indiano non avrebbe fatto nulla a mio padre ne ero certa.
I lupi e i vampiri in tutto quello che avevo letto erano definiti come nemici naturali e quello spiegava il comportamento dell’indiano ogni volta che vedeva Edward o solo quando si nominavano i Cullen. Che avrei fatto quando lo avrei rivisto?
Il campanello suonò in quel momento. Sorrisi credendo che fosse Alice alla porta e corsi ad aprire ma il sorriso mi morì sulle labbra quando per primo vidi Jake dietro alla carrozzina del padre.
—Billy, Jake, ciao —li salutai dopo essermi ripresa.
—Sembra che tu stessi aspettando qualcun altro.
Billy parlò per primo con quel suo tono allegro e gioviale. Accennai un sorriso e li feci passare.
—Sì, una mia amica del liceo mi ha invitato a casa sua a dormire.
—Non rimani? —mi chiese Jacob con un tono che non nascondeva la delusione.
Negai con il capo e li accompagnai in salotto, dove vennero accolti da un Charlie entusiasta. Si alzò di scatto dalla poltrona e raggiunse l’amico per dare il via al loro strano rito di saluto. Cose da uomini, mi dissi trattenendo un sorriso.
—Che ci fanno loro qui? —sibilò Jacob di punto in bianco. Subito dopo qualcuno bussò alla porta e non ci misi molto a capire a chi si riferisse. Quando aprì la porta Alice sorrideva e saltellava e non ebbi nemmeno il tempo di dire “ciao” che aveva iniziato a elencare le attività che avremmo fatto. Charlie arrivò poco dopo, richiamato dalle sue grida e urletti di gioia.
Fui veloce a congedarmi, non mi erano sfuggite le occhiatacce di Jacob e del padre ma non dissero nulla, forse memori della sfuriata di papà dopo la discussione tra Edward e Jake che per poco non era sfociata in una rissa tra due esseri sopranaturali.
—Bene, è andato tutto bene —squittì la vampira quando entrammo in macchina. —Jasper ormai dovrebbe fidarsi un po' più di me e delle mie percezioni.
—Che vuoi dire?
—Non potevamo vederti perché c’erano i licantropi, ma ero certa che non sarebbe successo nulla. Non avrebbe alzato un dito davanti al capo Swan. Non ci sarebbe servita tutta questa scorta.
—Che scorta? —chiesi guardandomi attorno. Alice dondolò la testa a destra e a sinistra tra il divertito e lo scocciato.
—Il tuo principe azzurro e il mio non mi hanno mollato per un secondo da quando sono uscita da casa e ora riesci a vederli. O forse no… —no, direi di no, pensai mentre assottigliai lo sguardo alla ricerca di un profilo umano. —I tuoi riflessi sono troppo lenti, ora…—spiegò calma e sibillina, tenendo lo sguardo fisso nella macchia verde del bosco che costeggiava la strada. Salutò qualcuno e poi tornò a fissare la strada.
Quando parcheggiò la macchina, all’interno del garage, non ebbi il tempo di aprire la portiera che qualcun altro lo fece per me.
—Ciao —mi salutò Edward porgendomi la mano e aiutandomi a scendere. Si chinò verso di me baciandomi lentamente sulle labbra, come se mi volesse assaporare. Baciarlo era un’esperienza unica.
—Ciao, Edward —lo salutai quando ci staccammo.
—Hai visto che è sana e salva? —s’intromise la voce di Alice, catturando la nostra attenzione. Sorrideva furba e mi guardò con fare malizioso, proprio quando Jasper fece la sua comparsa al suo fianco, stringendola a se. —È una prerogativa dei maschi Cullen essere troppo protettivi con le proprie compagne —mi rivelò facendomi arrossire fino alle punte dei capelli. Jasper li riservò un’occhiata che doveva essere di rimprovero ma che in realtà sembrava quella di un padre che nonostante la marachella della figlia vorrebbe solo coccolarla.
—Ci vediamo su —disse la vampira prima di sparire nel nulla assieme al marito. Già, marito, quando me lo aveva detto ero rimasta senza parole.
—Forza, vieni —m’incitò Edward prendendo dalle mie mani lo zaino.
—Ma voi non dovevate andare via? —domandai ricordandomi solo in quel momento che non dovevano esserci quella sera.
—Diciamo che era una piccola bugia —confessò con tono fintamente dispiaciuto e avvicinando il pollice e l’indice per supportare la sua tesi di una bugia bianca. Scossi la testa divertita e felice per l’inatteso cambio di programma. Non avrei dovuto salutarli di lì a poco, sarebbe rimasto e la cosa mi mandava al settimo cielo e mi rassicurava. Se Rose avesse deciso di fare uno strappo alle regole di famiglia, lui avrebbe dato una mano ad Alice per proteggermi. Non che la bionda avesse mai manifestato il desiderio di attaccarsi alla mia giugulare ma non ero mai rimasta da sola con lei, c’era sempre qualcuno che la teneva sotto controllo mentre quella sera non ci sarebbe stato Edward.
Mi prese la mano e mi sospinse verso la porta che permetteva di arrivare al salotto dopo una piccola rampa di scale.
—Volevo passare una serata solo con te, sarebbe stata la perfetta fine di una perfetta giornata ma Alice non vuole perdere l’occasione di un vero pigiama party quindi preparati a fare da cavia per tutta la serie di prodotti di bellezza che ha comprato. Ha sempre voluto usarli.
Mi bloccai sul gradino e per poco non caddi in avanti a causa della spinta del vampiro che ignaro continuava a salire le scale.
Solo grazie ai riflessi di Edward ciò non accadde.
—Tutto bene? —mi domandò premuroso.
—No, —dissi con ironia —in pratica mi stai dicendo che tua sorella vuole usarmi come valvola di sfogo di cinquanta anni di cure del corpo negate! Certo che va bene! Ho solo paura!
Beffandosi di me, sghignazzò divertito dalle mie sfortune.
—Le ho fatto promettere di andare per gradi.
Gradi? Alice non sapeva cosa volesse dire andare per gradi! Lei andava direttamente in quinta e non sapeva cosa voleva dire rallentare.
—E tu le hai creduto? —il mio scetticismo si tagliava a fette.
—Le do fiducia? —rispose facendo suonare la frase più come una domanda che una risposta e condì il tutto un sorrisetto esitante che voleva essere rassicurante. Sospirai e lo incitai ad andare avanti, non avrei potuto fare molto ormai, solo pregare che si sarebbe trattenuta come aveva promesso.
 
Quella sera scoprì la maschera dei capelli, davvero non sapevo che esistesse, conoscevo quelle per il viso ma che anche i capelli ne avesserobisogno, quello non lo sapevo. Poi il balsamo, lacche, spray e una serie di prodotti dai nomi francesi che non avevo afferrato. Anche il mio viso scoprì una serie quasi infinita di prodotti, liquidi, creme, cose dalla consistenza sabbiosa.
La mia amica sembrava una bambina in un negozio di giocattoli.
Non avevo il cuore di fermarla, era così raggiante e non la smetteva di dire quanto fossefelice e non volevo rovinarle la serata, il colpo definitivo lo aveva assestato quando mi aveva detto che lei non ricordava nulla della sua vita da umana e in quel modo voleva riscoprire quelle esperienze dimenticate.
Lì non ce l’avevo fatta a dirle basta.
Per me voleva solo dire di sopportare qualche prodotto un po' troppo profumato o una maschera di argilla.
Alice era appena scesa in cucina a recuperare qualcosa da mangiare, ovviamente per me, quando la bionda mi rivolse direttamente, per la prima volta, la parola.
—Alice, si sta divertendo molto. Grazie —il ringraziamento di Rosalie mi aveva lasciata scioccata e piacevolmente stupita. Dovevo interpretarlo come un primo passo verso una nuova amicizia?
Quando avevo fatto il mio ingresso in salotto, mentre i signori Cullen ed Emmet mi avevano salutato calorosamente, la bionda si era limitata a un saluto più freddo e distaccato che sembrava un contentino per i suoi famigliari ma quando Alice ci aveva trascinate entrambe al piano superiore dopo un iniziale atteggiamento glaciale si era sciolta, avrei giurato di aver visto un sorriso in un paio di occasioni.
—Rose… —iniziai, volevo dirle che mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio, diventarle amica e creare un rapporto come quello che si era creato con Alice, ma lei mi bloccò. In un angolo del mio cuore sperai che volesse essere lei a fare il primo passo ma le sue parole stroncarono sul nascere quella speranza.
—Non credere che questo significhi qualcosa per me. Ritengo ancora che tu sia una fonte di guai per la mia famiglia —no, decisamente non voleva porgermi un ramoscello d’ulivo.
Un bussare leggero alla porta mi sollevò dall’arduo compito di risponderle. Non avrei saputo che dire o fare. Il tono con cui lo aveva detto, anche se non era cattivo, era duro e mi fece tremare dalla testa ai piedi.
—Sera, signorine. Bella, sei ancora viva?
La testa di Emmet fece capolino dalla porta semiaperta della stanza di Alice. Lui e i suoi fratelli erano andati a caccia assieme ai genitori, lasciandoci così casa libera. Fortunatamente erano tornati e mentalmente, proprio quando fece il suo ingresso anche Edward, ringraziai il loro tempismo perfetto.
Ricambiai il saluto e chiesi se la caccia fosse andata bene.
—Abbastanza bene, ma non chiedermi altro. Il signorino non vuole che entri nei dettagli —e indicò con il pollice il fratello alle sue spalle che lo sorpassò spingendolo scherzosamente con la spalla.
Mi ero sempre chiesta cosa volesse dire avere un fratello e vedere i Cullen mi aveva fatto capire cosa volesse dire e li invidiavo. Si prendevano in giro, scherzavano, spalleggiavano prima per quello poi quell’altro fratello o sorella. C’era una complicità che invidiavo e mi sarebbe piaciuto farne parte.
—Ti sei divertita? —mi chiese Edward raggiungendomi. Annuì con vigore e mi alzai per abbracciarlo e schioccargli un bacio sulle labbra. Quel semplice gesto sembrava mandarlo in visibilio ogni volta come se per lui fosse un onore avere le mie attenzioni.
Solo che lui non riusciva a capire che la più fortunata tra i due ero io.
—È stato molto divertente. Tu, invece?
—Sì, moltissimo, soprattutto a battere qualcuno —disse alzando la voce e lanciando un’occhiata scherzosa verso Emmet. L’interessato lo fulminò con lo sguardo, assottigliando gli occhi. Uno sguardo che doveva essere minaccioso ma che in realtà sembrava quello di un bambino pronto per la sua ennesima marachella.
—Vedrai la prossima volta ti straccerò e Bella vedrà che mezza cartuccia si ritrova come compagno... —il vampiro era un tipo molto competitivo e non amava essere battuto e Edward sembrava divertirsi a vederlo in quello stato.
—Sogna, Emmet. Piuttosto è Rose che dovrebbe aprire gli occhi. Forza, Bella, vieni, vediamo se il perdente riesce  a concludere qualcosa questa sera… —e dal tono malizioso e il sorrisetto sornione che gli aveva increspato le labbra potevo immaginare a cosa si riferisse.
Edward non aspettò una risposta, mi prese per mano e mi fece uscire dalla camera di Alice. Quando chiuse la porta dietro di se nel silenzio della casa proruppe la risata di Emmet.
— Chi sei tu e che fine ha fatto il mio fratellino noioso?— continuò il vampiro uscendo anche luidalla stanza. Dietro venne subito Rose che sorrideva divertita dalla scenetta dei due ma, appena incontrò i miei occhi, quel brio sparì per essere sostituito da uno sguardo neutrale. Sarei mai riuscita a farmi accettare da lei?
—Vieni, Bella. Alice mi ha accordato il permesso di farti vedere dove dormirai questa notte —la voce di Edward arrivò soffice al mio orecchio. Una sua mano corse alla mia vita, stringendomi un abbraccio protettivo.
Voltai lo sguardo sorridendogli mesta poi tornai a guardare la bionda ma questa era sparita, così come il suo compagno.
La mia visuale venne oscurata dal corpo del vampiro alzò le mani chiudendole a coppa attorno al mio viso e, con una leggera pressione, mi obbligò ad alzarlo verso di lui. Gli occhi dorati sembravano risplendere di luce propria ma le strinature nere che facevano capolino qua e la, lasciavano trasparire la sua preoccupazione.
Non potevo leggere nella mente delle persone come faceva lui, così per capire quello che pensava mi ero lasciata guidare dai suoi occhi, imparando a leggervi le sue emozioni e pensieri.
—Non dare troppo peso a quello che dice o fa Rose. È solo preoccupata.
Sapeva come mi facesse rimanere male il comportamento di sua sorella e per quanto anche lui ci rimanesse male, cercava sempre di giustificarla e non perdeva occasione per farci avvicinare. Ero arrivata alla conclusione che dietro l’astio della donna ci fosse qualcosa di serio e forse comprendendolo avrei potuto fare passi avanti e capire dove sbagliassi con lei.
—Perché Rosalie ritiene che io sia una minaccia per voi? Teme che lo dica a qualcuno? —domandai senza nascondere l’incredulità per quella possibilità —Io non lo farei mai —affermai con enfasi. Non volevo vederli andare via o essere preda di fanatici ma anche se avessi detto qualcosa, nessuno mi avrebbe creduto. Charlie e mia madre mi avrebbero comprato un biglietto di sola andata per un centro psichiatrico.
—Non è per quello, o meglio non solo per quello.
Sospirò come a volersi liberare da un peso troppo grande per lui. Nei suoi occhi c'era una tempesta, era combattuto se dirmi la verità o continuare a tacere. Che poteva esserci di così grave?
Alla fine sospirò e si arrese.
—Vieni, credo sia ora di farti vedere qualcosa —e poggiò una mano dietro alla mia schiena. Un invito a proseguire.
Mi portò nello studio di suo padre. Non ero mai stata in quella stanza e rimasi un po' delusa dovetti ammettere, era un normale studio di un medico non di un medico vampiro di trecento e più anni.
Un’imponente poltrona di pelle nera dietro a una massiccia scrivania di legno, dietro una grande vetrata che dava sull’immenso bosco dietro casa Cullen mentre le pareti laterali erano completamente nascoste dietro a una serie di massicci scaffali traboccanti di libri di tutte le dimensioni e i dorsi consunti mostravano la loro vera età. Forse, alcuni era vecchi quanto Carlisle stesso, pensai mentre sfioravo con riverenza i dorsi di alcuni di essi e ne leggevo i titoli. Trattati in latino, tedesco, francese, italiano. Nemmeno il più grande studioso del mondo poteva vantare una così grande e variegata raccolta.
Edward, però, m’invitò a prestare attenzione alla parete alle mie spalle, quella da cui eravamo entrati. Spalancai la bocca, mostrando tutto il mio stupore.
Era piena di quadri di ogni dimensione e dalle cornici più variegate. Sembrava la collezione di un museo, solitamente però, loro compravano secondo un criterio particolare, cercavano di creare un filo conduttore per dare significato alle proprie collezioni ma, in quell’insieme di opere, dai colori smaglianti, cupi e ombrosi, non riuscivo a orientarmi.
Edward mi guidò all’inizio della parete sulla sinistra di fronte a un quadro a olio di piccole dimensioni. Certo era che se Edward non me lo avesse mostrato io non lo avrei nemmeno notato rispetto ai suoi fratelli più grandi e vivaci.
Era cupo, un fiume strisciava sinuoso sullo sfondo mentre davanti una città fatta di viuzze e case dai tetti spioventi mostrava una Londra di tanto tempo fa.
—La Londra della giovinezza di Carlisle.
—Woo… —fu quello che riuscì a dire. Per me era assurdo immaginare il Carlisle che conoscevo, camminare per quelle strade scure e tra quelle abitazioni di legno e pietra. Il cielo cupo sembrava voler cadere sulla testa degli abitanti tanto le nuvole erano pesanti.
—Tutta questa parete rappresenta la sua storia e anche la mia, quella di Esme e dei miei fratelli —continuò, illustrandomi uno a uno ogni singolo quadro.
Io ascoltavo ammaliata, affamata di ogni parola che usciva dalle sue labbra. Con soli tre metri di parete fui trasportata indietro nel tempo in una storia che più che mai sentì vicina. Potevo quasi sentire i rumori, gli odori, le voci e la gente di cui mi parlava. Potevo quasi toccarle.
In fine, Edward si fermò davanti a un quadro, il più grande di tutti, era un tripudio di colori, l’oro era ovunque e mostrava l’altissimo livello del committente.
Rappresentava l'interno di un grande atrio classicheggiante, colonne corinzie. In primo piano quattro figure bellissime dietro le quali c’erano tre alti seggi finemente decorati. Erano degli dei nel loro momento di massima gloria.
Quando mi avvicinai e osservai meglio, rimasi a bocca aperta nel riconoscere nella figura leggermente in disparte, rispetto al trio compatto, qualcuno che conoscevo bene.
—Sì, è Carlisle —l'affermazione di Edward fece volatilizzare i pochi dubbi che mi erano sorti. —Quelli al suo fianco sono i Volturi. Possiamo definirli come nostri sovrani. È per loro che Rosalie è preoccupata.
I Volturi…
Inconsciamente rabbrividì nel pronunciare il loro nome. Nei loro occhi c’era un qualcosa di terrificante e la consapevolezza di ciò che erano e di ciò che potevano fare.
—I Volturi si preoccupano che la nostra società rimanga nascosta ai vostri occhi. Chi trasgredisce è praticamente condannato.
Tremai letteralmente di paura alla sua rivelazione e il cuore schizzò alle stelle. Come potevo avercela con la bionda sapendo quello che la famiglia rischiava? Avrei fatto come lei per proteggere i miei cari.
Non volevo che finissero nei guai per colpa mia.
Edward dovette leggere tutto quello sul mio viso perché si affrettò ad aggiungere, cercando di tranquillizzarmi:
—Non ti devi preoccupare è impossibile che vengano qui. Non diamo nell'occhio e tu sei più che affidabile e loro non si muovono da Volterra senza una minaccia concreta.
—Volterra? —biascicai.
—Sì, è in Toscana. Agiscono solo quando c'è qualche vampiro che sta lasciando un po’ troppe tracce su di noi. Non ti devi preoccupare. Ho tutto sotto controllo —ribadì, —e Alice li tiene costantemente sott’occhio.
Appariva così deciso e sicuro di se che riuscì a tranquillizzarmi e il fatto che Alice potesse vedere il futuro mi dava la speranza che tutto sarebbe andato bene.
—Edward, vero che se dovesse succedere qualcosa me lo dirai? —dissi pregandolo con lo sguardo.
—Certo, ma come ti ho detto, non corriamo nessun pericolo.
Lo abbracciai, poggiando la guancia sul suo petto mentre con lo sguardo non perdevo di vista il grande quadro. Dopo le mie insistenze Edward prese a raccontarmi la storia di quella famiglia reale che si occupava di far rispettare le leggi in tutto il mondo. 
—E loro seguono il vostro stile di vita? —domandai poggiando il mento sul suo sterno e alzando lo sguardo verso il suo viso. Il vampiro, fissando assorto il quadro, rispose con voce dura:
—No, preferiscono la vecchia maniera. Quando Carlisle era alla loro corte, hanno cercato di convincerlo a rinunciare al suo stile come lui ha tentato di convertirli al suo —poi abbassò lo sguardo addolcendo i lineamenti e mi lasciò un veloce bacio a fior di labbra e m’invitò a voltare le spalle al quadro e a tutto quello che rappresentava. —Purtroppo e fortunatamente nessuno ha raggiunto il proprio obiettivo. Io e gli altri non saremmo qui altrimenti.
—Grazie al cielo aggiungerei. Non riuscirei a immaginarvi mentre attaccate un essere umano o peggio, non avreste mai incontrato Carlisle e così non vi avrei conosciuto ed io non avrei mai saputo nulla di te —mormorai con tono basso, realizzando che, se non fosse stato per Carlisle, lui sarebbe morto in un misero letto di ospedale senza nessuno a piangere per la sua perdita.
—Ora basta discorsi su vampiri, caccia e tutto il resto… è mezzanotte passata e gli umani devono andare a letto —non riuscì a non liberare una piccola risata nel sentire il suo tono da padre severo ma mi zittì quando si fermò davanti alla sua camera. Mi ero domandata, dove avrei dormito, certo la casa era grande ma le stanze erano tutte occupate ma non avrei mai immaginato di stare in quella di Edward.
Se mio padre ne fosse venuto a conoscenza, gli sarebbe venuto un infarto.
Aprì la porta e rimasi spaesata quando al posto del divano nero in pelle, vidi un grande letto in ferro battuto, con la testiera fatta da decorazione floreale, e il copriletto era di un blu mare che sfiorava il pavimento.
Semplice, per non stonare con il resto dell’arredamento ma con quel tocco romantico che mi piaceva tanto.
—Non credo che ti sarebbe piaciuto fare il terzo incomodo così ho dato una risistemata alla stanza.
Lo guadai aspettando un suo cenno per entrare e dopo che me lo diede, raggiunsi il letto e mi sedetti. Saltellai ed era così morbido che mi sembrava di sprofondarci dentro.
—Adoro il letto matrimoniale —dissi lasciandomi cadere all’indietro. Ne avevo sempre desiderato uno e quando avevo deciso di trasferirmi a Forks avevo accarezzato l’idea di prenderne uno ma mio padre aveva distrutto i miei sogni dicendo che la stanza era troppo piccola.
—Ti piace?
—Molto, ma non dovevi preoccuparti tanto, il divano andava benissimo —dissi issandomi sui gomiti per guardarlo.
Edward si esibì in una smorfia di disappunto. — E farti dormire sul divano?Il letto più comodo per certe cose — affermò criptico. Non feci in tempo a chiedergli cosa intendesse che mi ritrovai sdraiata al centro del letto con lui che mi sormontava. Era bellissimo.
Era la frase che si ripeteva incessantemente nella mia mente mentre scivolavo con lo sguardo sul suo viso illuminato dalla tenue luce della stanza.
Un brivido di eccitazione mi scese lungo la colonna vertebrale mentre un sorriso seducente e anche un po' malandrino gli piegava le labbra, conscio di quello che aveva provocato in me, e per una volta decisi di essere io l’audace, di accantonare per un momento l’imbarazzo della situazione e dedicarmi a un’operazione che avevo scoperto piacermi più del lecito.
Il vampiro si appoggiò maggiormente contro il mio corpo, ormai non c’era nemmeno un millimetro libero per far passare un filo tra di noi ma non pesava su di me. Le sue braccia erano piegate ai lati della mia testa, una gamba era tra le mie mentre l’altra, all’esterno, mi sfiorava il ginocchio.
Io ero libera di agire come volevo e le mie mani non ci misero molto a raggiungere il suo collo e poi finire tra i suoi capelli, spingendo il suo viso ancora più contro il mio. Le gambe si arpionarono alla sua imprigionandola in una presa ferrea.
Baciarlo era come salire su una di quelle torri, diffuse in tutti i parchi divertimenti, che salivano lentamente facendoti crescere l’eccitazione nell’attesa del momento in cui, una volta in cima, ti fanno cadere a ruota libera, infondendoti una carica di adrenalina che ti fa sentire onnipotente. Era così che mi sentivo e mi piaceva così che potevo essere definita una tossicodipendente dai suoi baci. Nemmeno la droga più potente poteva provocarmi una reazione simile.
Quando ci staccammo, aveva una strana luce negli occhi. Lo stesso sguardo che leggevo in quello dei suoi fratelli e sorelle quando guardavano il rispettivo compagno.
Desiderio, passione, amore, era ebbro di felicità. Era il tipico sguardo ebete di chi è innamorato. Era dunque il riflesso del mio e mi sentivo così orgogliosa di essere l’oggetto di tale sentimento che per un momento mi sentì inadeguata, impreparata al mondo che mi si stava aprendo davanti.
Con quante vampire e donne umane ha sviluppato e si era migliorato?  Quel pensiero su cui avevo accuratamente evitato di soffermarmi, emerse prorompente, come uno tsunami che si infrangeva sulla spiaggia distruggendo tutto quello che incontrava, facendomi perdere la mia sicurezza e facendo riemergere la Bella adolescente, timida e insicura.
Lui poteva definirsi un esperto con i suoi cento anni di esperienza sulle spalle, io ero ancora a rudimenti, anzi nemmeno a quelli giacché il primo bacio lo avevo dato a lui.
—Che c’è? —soffiò sulle mie labbra. Chiusi gli occhi cercando di scacciare quei timori con tutte le mie forze. Era un momento bellissimo e non volevo rovinarlo dalla paura di non essere adeguata.
Così negai con il capo ma quando riaprì gli occhi, capì subito che lui non mi aveva creduto.
—Bella? —infatti il suo richiamo non si fece attendere.
—Mi chiedevo ecco… con quante vampire o umane hai intrecciato rapporti come questo o più… intimi —biascicai imbarazzata fino alle punte dei capelli, soprattutto per l’ultima parte. Rimase in un primo momento spiazzato guardandomi con le sopracciglia agrottate.
—Perché questa domanda? —mi chiese dopo un attimo d’incertezza che mi fece presagire il peggio. Erano state così tante? Pensai mentre iniziavo a scavarmi una fossa da sola.
Edward scivolò al mio fianco ma non perse mai il contatto visivo e fisico. Schioccò le dita e le luci si spensero come per magia. Lo stupore però venne subito surclassato dal suo tentativo di sviare il discorso.
—Non si risponde con un’altra domanda —insistetti, iniziando a convincermi di essere una persona che amava il masochismo. Perché solo una masochista s’interessava alle precedenti fidanzate del suo ragazzo vampiro centenario.
—Solo una —confessò lasciandomi piacevolmente stupita. Una in cento anni? Le campane suonavano a festa nella mia mente, anche se una parte di me era incredula. Una buon parte di me.
—Solo una? —e lui annuì sorridendo —una seria e altre da una notte e via o solo una, una? —masochista, masochista, masochista, masochista, masochista, masochista. Mi ripetevo nella mente.
—Una, una. È durata un anno e non ci ho messo molto a capire che non era lei. Che non eri tu —aggiunse con un tono basso e intriso di dolcezza. Non resisetti e lo baciai. Un bacio che voleva essere un ringraziamento, che voleva dirgli che lo stesso era per me, nessuno sarebbe stato come lui, e che significava tutta la felicità che sentivo in quel momento.
—Ora mi dici il perché della domanda? —mi chiese per poi invitarmi ad andare sotto le coperte. Ubbidiente eseguì l’ordine, la stanchezza stava iniziando a farsi sentire.
—Beh ecco… Non so bene come comportarmi. Sono inesperta in certe cose... — gli confessai mentre lui mi stringeva in un abbraccio che sembrava volermi fondere con il suo corpo facendoci diventare una cosa sola. 
—Credimi la cosa non può rendermi più felice, —mi confessò in un orecchio. Lo baciò fecendomi ridacchiare per il solletico e poi scese, seguendo il profilo della mascella fino ad arrivare alle labbra, depositando un leggero bacio. Ci ritrovammo occhi negli occhi, i suoi erano di un profondo nero che sembrava un mare in tempesta. Sapevo che ne avrei dovuto avere paura ma non la provavo. Al contrario sembravo una piccola falena attirata dalla luce di una lampadina. Anche se sa di firmare la sua condanna continuava il suo volo imperterrita, smaniosa di raggiungere quella fonte di luce.
—Non sai quanto mi riempie di gioia essere colui che ti insegnerà tutto —affermò calcando con enfasi l’ultima parola.
Avvampai nel comprendere che con quel tutto intendesse proprio tutto.
 
Le settimane che seguirono e furono le più belle della mia vita.
Forks era la solita cittadina tranquilla e pacifica. I Cullen mantenevano il loro profilo basso e nessuno veniva a disturbarli, soprattutto un certo gruppo di vampiri italiani.
Ero le sei di sera ed ero ancora a casa di Edward, come ormai succedeva ogni pomeriggio dall’inizio delle vacanze invernali. Stavamo imparando a giocare a sacchi, o meglio il vampiro cercava di insegnarmi a giocare, io cercavo di fare del mio meglio, quando Carlisle tornò dall’ospedale visibilmente preoccupato.
Dei rumori di freni sul vialetto ci avvisarono dell’arrivo di un componente della famiglia e a giudicare dall’ora poteva solo essere Carlisle di ritorno dal suo turno. Solitamente entrava tutto sorridente, poggiava la valigetta vicino all’ingresso e si fermava a chiacchierare ma quel giorno il suo sguardo aveva perso la sua luce allegra. Sembrava teso e preoccupato.
—Papà, che succede? —chiese Edward con tono duro. A velocità umana il ragazzo si avvicinò al padre. Come chiamata fece la sua comparsa anche Esme.
Carlisle fece spostare lo sguardo da suo figlio a me, incerto. La mia presenza sembrava frenarlo ma uno sguardo di Edward e una carezza della moglie, gli sciolsero la lingua.
—È stato trovato un uomo morto giù alla riserva di La Push —mi avvicinai anch’io appena venne nominata la riserva degli indiani.
—Chi è? —chiesi temendo che fosse qualcuno che conoscevo.
—L’agente Chanson —i miei timori furono confermati.
—Johnny… —mormorai scioccata. Era un vecchio amico di papà che qualche volta veniva a bere una birra a casa nostra assieme al suo cane.
—Secondo la polizia è stato sbranato da un animale.
—Ma? —lo incalzò il figlio.
—Non credo che sia stato un animale — a grandi linee ci spiegò lo stato in cui era, senza entrare in troppi particolari ma abbastanza per farmi comprendere che non era stato ne un animale ne un essere umano a ridurre lo sventurato in quello stato bensì uno di loro. C’era un vampiro in città e non era vegetariano.
—Uno di noi? —ringhiò Edward con rabbia. Carlisle annuì serio.
—Emmet e Jasper stanno già perlustrando il bosco —lo informò —Alice e Rose li stanno aiutando.
—Li raggiungo —tuonò Edward duro con già un piede oltre la porta.
—Cosa? No! —urlai bloccando la sua mano a mezz’aria.
—Non preoccuparti, Bella, andrà tutto bene —cercò di tranquillizzarmi ritornando al mio fianco. Prese il mio viso tra le mani e mi obbligò a guardarlo fisso negli occhi.
—Potrebbe essere ancora in giro… —mormorai ignorando le sue parole. Se lo avesse trovato e Edward avesse avuto la peggio? No, non potevo sopportarlo. —Se ti attaccasse… —la voce mi morì in gola, non riuscivo ad accettarlo. Mi sentivo un’egoista ma non me ne importava. Gli altri potevano andare a seguire questo nomade ma lui no. Non poteva!
Perché quel vampiro aveva deciso di venire a Forks? Fino allora avevamo vissuto benissimo, senza minacce. Perché con tutti i posti nel mondo era passato di li?
—Esme… le faresti compagnia? — chiese alla madre, senza togliere gli occhi da me. M’irrigidì e mi aggrappai alle sue braccia con tutta la forza che avevo.
 
Una lieve carezza sulla guancia mi ridestò dal mio torpore. Alla fine ero crollata addormentata ma il sonno era stato inquieto. Nel dormiveglia il mio subconscio non faceva altro che proiettare scene in cui Edward, Alice o uno degli altri venivano fatti a pezzi o bruciati dal vampiro.
Mugugnai e lentamente mi girai su me stessa, stropicciandomi gli occhi come se fossi una bambina mentre una risata argentina arrivò alle mie orecchie. Spalancai gli occhi e senza pensarci due volte mi fiondai contro il suo petto. Non senza farmi un po' male per il colpo ma quello passò in secondo piano. Edward mi avvolse tra le sue braccia, trasmettendomi quel fuoco freddo ormai familiare, e lo sentì sorrisi tra i miei capelli.
—Ben tornato —mugugnai, strofinando il viso contro il suo petto.
Non era servito a nulla trattenerlo, era stato inamovibile. Doveva accertarsi che il vampiro se ne andasse. “Non ci impiegherò molto, sarò di ritorno ancora prima che tu ti accorga della mia assenza” aveva detto prima di sfrecciare fuori dalla porta, solo che ci aveva messo più del previsto e con la scusa dell’ennesimo pigiama party con Alice e Rose ero rimasta a casa Cullen, in trepida attesa del loro ritorno.
Così, dopo una veloce cena mi ero rintanata in camera di Edward, anche mia quando mi fermavo per la notte, dove troneggiava ancora il letto che aveva preso per me e mi ci sdraiai. Stare in quella camera mi faceva sentire meno la sua mancanza e alleviava i miei timori. Il suo profumo saturava l’aria e avevo l’impressione che fosse lì, sdraiato vicino a me a canticchiarmi una delle sue composizioni.
Nell’attesa del suo ritorno, i miei pensieri non avevano fatto altro che vagare attorno a quel misterioso vampiro. Aveva ucciso un essere umano e più di una volta mi ero ritrovata a pregare di non doverlo mai incontrare.
Solo in quel momento avevo compreso che stare con i Cullen aveva limato la mia percezione sulla loro razza.Loro erano gentili, simpatici e sembravano esseri umani a tutti gli effetti ma quell’episodio mi aveva messo di fronte alla realtà.
Non tutti erano come i miei amici e anche se Edward mi aveva messo in guardia più e più volte i suoi discorsi erano rimasti una serie diparole astratte nella mia mente. Ora quelle parole avevano un volto, quello di Johnny. Un signore dallo sguardo gentile e dedito al suo dovere, che amava passeggiarecon il suo cane indipendentemente dalla pioggia o dalla neve.
—Scusa se ho fatto tardi — mormorò prima di baciarmi la fronte.
—Avete scoperto qualcosa? —gli chiesi staccandomi da lui per arrivare subito al punto.
In risposta Edward mi strinse più a se e nascose il viso tra i miei capelli, aspirando con forza.
—È così grave? —chiesi timorosa.
—No, le sue tracce si dirigono verso il Canada —mi rivelò e le sue parole ebbero il potere di sollevare dal mio petto quel peso che lo opprimeva. —Se n’è andato.
Non era più a Forks, papà e tutti i miei amici potevano continuare le loro vite, ignari del pericolo che li aveva sfiorati. Però era scappato e quello voleva dire che avrebbe ancora ucciso o che sarebbe potuto tornare lì.
—Quindi non avete dovuto combattere?
—No, se n’è andato, non c’è nessun pericolo. Ora dormi che sei uno straccio.
Io però avevo ancora delle domande da fare. Nell’attesa non mi ero solo preoccupata per Edward e i Cullen ma anche per Jake e quelli della riserva. —E i Quilutte?
—Anche loro l’hanno inseguito ma ne hanno perso le tracce lungo la costa. Carlisle ha chiesto loro una collaborazione ma non sono stati felici della nostra proposta —certo, per loro anche i Cullen erano nemici, alla stregua del vampiro che aveva ucciso Johnny. —Mio padre ci sta ancora parlando.
—Se c’è qualcuno che può fare qualcosa è lui — come si poteva negare qualcosa a Carlisle. Nemmeno un umano aveva più umanità di lui.
—Sì, hai ragione ma ora dormi —mormorò e come ipnotizzata scivolai distesa sul letto, abbracciati, e finalmente, consapevole che era al mio fianco, Morfeo mi accompagnò in un sonno tranquillo e senza sogni.
 
 I funerali si svolsero tre giorni dopo. Tutta la comunità partecipò alle esequie del poliziotto. Johnny era conosciuto da tutti e tutti gli volevano bene. C'era anche il suo cane, accucciato vicino a quelli che dovevano essere i figli del defunto, si erano trasferiti anni addietro e i rapporti con il genitore, stando alle voci che giravano, non erano molto buoni.
Fu una cerimonia semplice e veloce, poi gli amici più stretti e i suoi colleghi si spostarono a casa sua per il tradizionale buffet e solo in tarda serata io e mio padre tornammo a casa, dove mi stava aspettando Edward.
Eravamo affacciati alla finestra, osservavo il buio fuori da essa e rabbrividì, immaginando due occhi rossi che mi scrutavano con insistenza.
— Papà sta già organizzando delle battute di caccia, crede che siano lupi... — temevo che, indagando, sarebbe arrivato a scoprire la verità.
— Non troverà nulla, la pioggia ha cancellato ogni possibile traccia — mi rassicurò il vampiro cercando di rasserenarmi.
— Johnny e papà erano molto amici, è stato un brutto colpo per lui — mormorai voltandomi e guardando il soffitto dove il sole che avevo dipinto sembrava farsi beffe della notte fuori dalla finestra.
— Lo so, ma il genere umano ha imparato a convivere con la morte vedrai che lo supererà — un’amara verità ma pur sempre una verità.
Poeti e pittori avevano raccontato chi celebrato, chi piangendo la caducità della vita, tuttavia, nonostante le tante parole spese, nulla era cambiato nei secoli e a noi, nonostante il dolore, toccava imparare ad andare avanti ricordando chi non era più con noi ma senza mai voltarsi indietro.
Quella notte mi coricai con la speranza di non dover più vedere un amico morto per colpa di un vampiro. Quel nomade aveva incontrato sia i Cullen che i Quileutte e certamente non avrebbe osato tornare.
Ancora non sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.

   
 
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