Shade-Tolerant

di sayuri_88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tramonto ***
Capitolo 2: *** Forks ***
Capitolo 3: *** Ritorno ***
Capitolo 4: *** Incontro ***
Capitolo 5: *** Jacksonville ***
Capitolo 6: *** Verità ***
Capitolo 7: *** Calma ***
Capitolo 8: *** ... Tempesta ... ***



Capitolo 1
*** Tramonto ***


Hola! questa storia partecipa al concorso OS dell'estate. Ho pensato a come potrebbe essere la vita, l'estate in questo caso, per una persona che non può esporsi al sole, come i vampiri. Così ho ambientato la storia nel mondo della Meyer, creando un Twilight alternativo. Spero vi piaccia e mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate^^. Buona lettura!
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... Tramonto ...












Da piccola mangiavo tante carote, pomodori e qualsiasi altro frutto o verdura che avesse un’alta concentrazione di melanina o carotene, insomma quelle sostanze che permettono all’uomo di stare al sole senza subire troppi danni.
Sognavo che un giorno avrei potuto correre sotto il sole, andare alla spiaggia a nuotare e poi asciugarmi sulla sabbia, pranzare in un parco mentre i raggi del sole sfioravano la mia pelle come delle carezze. Un sole che mi era amico insomma. Ma la realtà era ben diversa.
Il sole era il mio nemico numero uno ed era un bel problema se ti ritrovavi a vivere in una città dove il sole splende alto nel cielo per almeno trecentosesanta giorni l’anno e con la media delle massime e minime nel periodo estivo di quarantuno-ventisette gradi centigradi, come succedeva a Phoenix. L’estate era un vero incubo per la sottoscritta, che si vedeva obbligata a rimanere reclusa in casa fino al tramonto. Per questo mamma decise di trasferirsi a Jacksonville dopo il suo matrimonio con Phyl, certo anche lì, la situazione per me non era delle migliori ma sicuramente più sopportabile.

A scuola molti m’indicavano come “ l’albina”, i più fantasiosi come “la vampira”. Non potevo negare che non s’impegnassero.
Anche se, effettivamente fossi nata nel medioevo, mi avrebbero veramente additato come vampira, con tanto di referto medico, e impalettata…
 
Erano le sette e trenta passate e mi ero recata alla spiaggia per osservare il tramonto, uno spettacolo a dir poco magnifico. Il cielo si era tinto di gialli, arancioni e rossi mentre il blu della notte, stava prendendo il posto dell’azzurro del giorno, una barca attraversava placida quello specchio d’acqua per tornare a casa.
La tavolozza con i colori nella mano sinistra e il pennello con la destra con cui tracciavo linee veloci e fluide per cogliere l’attimo, anche la più piccola sfumatura.
Attorno a me il rumore delle onde che s’infrangevano sul bagnasciuga, il suono del vento che soffiava caldo, scompigliandomi i capelli in una danza frenetica, e il richiamo stridulo dei gabbiani, che si riparano nei loro nidi in attesa della notte.
 
 
Sulla tela avevano iniziato a prendere forma le mie emozioni e sensazioni. La tristezza per la fine di un altro giorno ma anche la gioia per la certezza che presto ne inizierà un altro e la speranza che il futuro porta con sé.
 
Il sole si era quasi completamente nascosto sotto il manto scuro del mare, quando una sagoma attirò la mia attenzione. Un uomo, o meglio un ragazzo, era fermo in riva al mare, i piedi bagnati dalle onde che lo colpivano e si ritiravano lasciando dietro di se solo una leggera schiuma bianca, in mano reggeva un piccolo sacchetto e sorrisi, probabilmente erano conchiglie. I pantaloni erano arrotolati fino al ginocchio, probabilmente per non bagnarli, indossava una leggere camicia bianca a maniche corte che metteva in risalto il busto e le braccia muscolose, ma non massicce, i capelli volteggiavano leggeri attorno al suo viso, mi davano l’impressione di essere soffici e setosi, in un momento pensai come sarebbe stato immergervi la mano. Infine ne osservai il viso, il ragazzo era contro luce e potei vedere poco o niente, ma avrei giurato che avesse un’espressione corrugata. Mi ricordava molto “ Il pensatore ” di Rodin.
 
Guardava nella mia direzione ma non ero tanto vanitosa da ritenere che stesse osservando me. Probabilmente c’è qualcosa lungo la strada che costeggia la costa, normale visto che di sera si riempie di bancarelle, di gente e ragazze...
Mi girai per controllare ma la strada era ancora deserta. Che stesse davvero osservando me?
Purtroppo quando mi girai per accertarmene, il ragazzo non c’era già più. Ebbi una fitta allo stomaco che non mi seppi spiegare. Quel ragazzo mi aveva affascinato e incuriosito e l’assurdo era che, molto probabilmente, era frutto della mia fervida immaginazione. Come poteva un essere umano volatilizzarsi in quel modo?
 
Sistemai i pennelli e i colori, poggiai la tela sopra lo zaino e di fianco il piccolo cavalletto, mi tolsi i vestiti, che coprivano tutto il mio corpo, e finalmente potei fare il tanto agognato bagno del giorno. Chiusi gli occhi e immaginai che fosse ancora giorno e che il sole stesse splendendo sopra di me mentre io, galleggiando, mi beavo del suo tepore ma quando li riaprì, ricaddi nella realtà, dove non ci sarebbe stato nessun sole che mi baciava la pelle o nessun raggio che mi sfiorasse senza riempirmi di bolle o donandomi un colorito violaceo. Sbuffai e in poche bracciate tornai a riva. Era passata una mezzora da quando mi ero immersa ed era tempo di tornare a casa per non far preoccupare Renée e Phyl.
 
— Sono a casa! — urlai appena misi piede nell’ingresso.
— Ciao, tesoro! Sono in cucina — Poggia i miei strumenti vicino alla porta e la raggiunsi.
— Ho preparato il tuo piatto preferito! — la sua affermazione mi fece sbarrare gli occhi per la paura. Renée si era messa ai fornelli! E le parole “Renée” e “fornelli” messi nella stessa frase, non annunciavano mai nulla di buono.
— R... Renée — mormorai con tono preoccupato.
— Oh…non fare quella faccia. Non cucino così male… — borbottò offesa Renée aggiungendo un “ che figlia ingrata” pensando che non la sentissi. In quel momento entrò anche Phyl, che aveva assistito alla scena dalla terrazza.
— Tua madre ha ordinato la cena al ristorante, ha solo riscaldato — disse avvicinandosi a Renée e schioccandogli un bacio a fior di labbra.
A quella rassicurazione tirai un sospiro di sollievo e con un sorriso sulle labbra li aiutai a portare in tavola la cena.
 
Mi dispiaceva obbligarli a mangiare con me quando ormai era tutto buio, con la luce del sole mi sarebbe impossibile cenare sulla terrazza all’aperto.
Il tempo passò velocemente tra una risata e l’altra. Anche se non potevo uscire spesso di giorno, l’estate era la mia stagione preferita. Io, Renée e Phyl, che con la pausa estiva del campionato non era costretto a spostarsi in continuazione, potevamo passare molto tempo insieme. Dopo cena uscimmo per camminare tra le bancarelle disposte lungo la costa e quando arrivammo al punto in cui mi trovavo a dipingere mi tornò alla mente la figura alta e slanciata del ragazzo misterioso. E come se qualcuno avesse ascoltato i miei pensieri, illuminato dal raggio di un faretto, lo vidi. Il ragazzo misterioso era a quattro o cinque bancarelle di distanza, addosso, gli stessi vestiti della spiaggia e la stessa espressione corrugata. Avevo già mosso un passo verso la sua direzione, volevo essere certa di non aver immaginato nulla e accertarmi che quel ragazzo fosse vero, quando la voce di Renée mi destò dal mio intento.
— Bella! Guarda questa collana. Ti starebbe d’incanto! — mi disse mettendomi sotto il naso, una collana di legno, graziosa ma inutile per una che non portava gioielli, così la riposi sul tavolino sotto lo sguardo contrariato di Renée.
Tornai a guardare il ragazzo ma anche questa volta di lui nessuna traccia. Sconsolata seguì Phyl e mamma come un automa, rispondendo a monosillabi, troppo impegnata a rivivere nella mia mente quell’attimo in cui i nostri occhi si erano incontrati, erano di un colore che non avevo mai visto prima, particolare. Semplicemente unico.
 
Quando tornai a casa, la prima cosa che feci, fu chiudere le tende, in modo che il sole del mattino non filtrasse, e dopo essermi cambiata mi coricai, addormentandomi con la sensazione di due occhi, dalla particolare sfumatura di miele/ambra, che mi osservavano.
 
 
Il giorno dopo, mi svegliai che era mattino inoltrato, mi girai nel letto mettendomi pancia all’aria e girando la testa verso le grandi tende scure. Da quella poca luce che filtrata, potevo capire che anche oggi il sole splendeva fiero nel cielo e quindi: un'altra giornata di reclusione per me. Con un gesto secco mi liberai delle coperte e a piedi nudi mi diressi in bagno per una doccia fredda per togliere il torpore residuo del sonno.
 
Per una che è “allergica” al sole le giornate come questa, passano molto lentamente, tra noia e monotonia. Non essendoci molto da fare in casa presi un blocco da disegno e iniziai a scarabocchiare.  Disegnai quello che succedeva al di là della grande finestra del soggiorno, da quando Renée aveva fatto istallare queste vetrate che impedivano ai raggi UV di entrare potevo almeno osservare quello che succedeva nel mondo. Si fa per dire.
Osservavo lo svolgersi della vita delle altre persone come in una televisione, tranquillamente seduta sulla poltrona osservavo dalla finestra il solito trio di fissati con il jogging corre dall’altra parte della strada, i tranquilli passanti occasionali che camminavano parlando tra di loro o ancora il postino portare la posta di casa in casa, in alcune entrava anche, e stranamente lo faceva in quelle dove c’era una povera giovane donna, sola, che si presentava alla soglia di casa con una misera vestaglia…
Riportavo tutto sul mio blocco che come un diario raccontava i miei pensieri. Infine senza neanche rendermene conto avevo disegnato due occhi ipnotici ambrati, li avevo visti solo una volta ma mi erano rimasti dentro.
 
 
Lo scatto della serratura mi fece sussultare, velocemente girai il foglio incriminato per cominciarne uno nuovo. Questa volta, arte astratta.
 
Ancora il tramonto, ancora un’altra giornata che finisce. Il meteo aveva annunciato pioggia per il giorno dopo e in cuor mio speravo fosse vero, almeno avrei potuto uscire di casa senza problemi. I mesi tra giugno e settembre sono i più piovosi dell’anno, certo per la gente normale passare le vacanze estive con la pioggia non è il massimo delle aspettative, ma per quelli come me invece è una benedizione. Sarei potuta andare in giro per negozi o comprare il gelato in quella nuova gelateria di cui mi aveva parlato mamma qualche giorno prima o ancora meglio, uscire con lei per mangiare da qualche parte a pranzo e girare per negozi.
 
In pratica quello che la gente faceva durante le giornate di sole io le facevo quando c’era la pioggia, ma non mi lamentavo, anche se era frustrante non poterlo fare sotto il sole.
 
Come la sera prima stavo finendo il mio dipinto, quel giorno avevo deciso di usare l’acquarello, quando una sagoma a me familiare si fermò nello stesso punto del giorno prima. Era tornato! Quella consapevolezza, inspiegabilmente, fece aumentare al mio cuore i suoi battiti.
Restò fermo a guardarmi, e sì, questa volta ero sicura che stesse guadando me perché la spiaggia era deserta, per un paio di minuti, in una posa rigida, come se fosse indeciso su qualcosa, per poi incamminarsi verso di me. Oddio stava vendendo verso di me!
— ciao — la sua voce calda mi avvolge come un abbraccio.
— ciao — mormorai incantata.
— posso? — chiese titubante, indicando il posto vicino a me.
— c…certo — dissi senza abbandonare l’aria trasognante che probabilmente avevo in quel momento.
Con un’eleganza, pari a quella di un ballerino di danza classica, il ragazzo misterioso si sedette al mio fianco. Le gambe, piegate vicino al petto, i gomiti, poggiati sulle ginocchia. Faceva invidia a un modello.
— mi chiamo Edward, tu? — e solo in quel momento mi risvegliai dal torpore e realizzai di averlo davanti agli occhi e questa volta, potei osservare anche i più piccoli particolari. Osservai il suo viso, aveva lineamenti dritti e regolari, la pelle era molto pallida, molto più della mia.
Rimasi ammaliata quando un angolo delle labbra svettò verso l’altro, in un sorriso storto che non aveva niente di lecito. Era semplicemente stupendo.
Solo quando lo vidi ritirare deluso la mano, capì di non avergli ancora risposto. Afferrai la sua mano prima che fosse tardi e subito una scarica elettrica si diffuse per tutto il corpo a quel semplice contatto, ed ebbi la certezza che l’avesse sentita anche lui perché mi guardo stupito. Solo in un secondo momento notai come la sua pelle fosse insolitamente fredda, dovrebbe essere calda, insomma oggi si erano raggiunti i 29°C, pure la mia pelle era più calda della sua ed io avevo quasi sempre le mani fredde. Ma non dissi nulla, non erano certo fatti miei.
— Isabella….ma chiamami pure Bella — dissi accennando un sorriso timido.
— Modesta.
— C…cosa? — lo guardai prima interrogativa, poi arrossì come un peperone quando realizzai a cosa si riferisse.
— Ah no, non volevo…insomma…Bella è … — la sua risata interruppe il mio sproloquio.
— Sì, avevo capito. Stavo scherzando.
— Oh…ehm… bene — dissi impacciata.
— Allora Bella, sei qui in vacanza? — mi chiese curioso.
— No, io vivo qui con mia madre e Phyl — il suo sguardo da interessato divenne stupito. Potevo immaginarne il motivo.
— Sì, lo so… sono bianca come un lenzuolo, come faccio a vivere qui e non essere abbronzata? — dissi ridacchiano e ottenendo un sorriso di conferma da parte sua.
 — Beh, ti svelo un segreto…. — sussurrai avvicinandomi maggiormente, subito imitata da lui, — sono una vampira — dissi con fare cospiratore. Quello che non mi aspettavo fu la sua reazione, si allontanò con un rapido scatto, che mi lasciò basita, irrigidendosi all’istante e una maschera di terrore a coprirgli il viso angelico.
— Stavo scherzando — lo rassicurai e rilassatosi mi abbagliò con un altro dei suoi sorrisi storti, si poteva definirlo sghembo.
Una mano, corse ai capelli scompigliandoli ancora di più. Mi persi in quel gesto che tanto desideravo fare. Mi morsi la lingua per non chiedergli il permesso, certamente mi avrebbe preso per pazza e poi sarebbe fuggito a gambe levate.
— sei una pittrice? — mi chiese per cambiare discorso, indicando, con un cenno della testa, il blocco, placidamente poggiato sulle mie gambe in attesa di essere completato.
— diciamo che mi diletto — non potevo certo definirmi una pittrice, sarebbe stato un insulto bello e buono. Amavo dipingere e davo il meglio ma certo non ero Monet o Van Gogh. Quelli erano pittori con la “P” maiuscola.
— sei molto brava — il suo apprezzamento mi fece arrossire, anche Renée, Phyl e Charlie mi avevano già fatto dei complimenti ma il fatto che lo avesse fatto lui, mi rendeva orgogliosa e fiera.
Tolsi le pinze che teneva fermo il disegno al piano di legno e glielo porsi.
— Consideralo un regalo — lui mi guardò stupito, non se lo aspettava.
— Cosa? No non posso accettare. Ci avrai lavorato molto — non lo lascia finire.
— Insisto — Edward lo prese senza non poca titubanza e lo osservò attentamente, sembrava studiare ogni singola pennellata, ogni sfumatura.
 
 
— Davvero bellissimo — mormora distogliendo lo sguardo dal foglio per guardarmi. Ancora una volta mi ritrovai ad arrossire sotto quello sguardo serafico. Cercando di riacquistare un minimo di contegno, mi schiarii la voce e tentai di intavolare un discorso con l’Adone che avevo al mio fianco. Che si siano ispirati a lui gli antichi scultori greci?
— Invece tu? Sei in vacanza?
— Oh no, ho accompagnato mio padre per un convegno medico. Èuno dei relatori — Ecco perché non è abbronzato, quei convegni durano giornate intere.
— Quindi è un medico… — quando si dice costatare l’ovvio, brava Bella davvero intelligente — anch’io da piccola volevo fare il medico — confessai — ma presto capii di non avere futuro percorrendo quella strada —
— Perché? — chiese sinceramente incuriosito.
— Beh, io e il sangue non andiamo d’accordo. Sto male solo al sentirne l’odore — dissi ridacchiando.
— Ma l’odore del sangue non si sente— affermò guardandomi scioccato.
— Si invece. Sa di ruggine e di sale — dissi ovvia mentre la sua espressione diventava sempre più incredula. Mi guardava a bocca aperta, cercò di dire qualcosa ma presto vi rinunciò scuotendo la testa divertito, mi parve anche di sentirgli dire “ è incredibile” ma era così flebile che pensai di essermelo immaginato.
— Tu invece seguirai le orme di tuo padre? — volevo sapere qualcosa di lui, io avevo rivelato molto mentre lui ancora nulla.
— No, meglio che stia lontano dal sangue umano — disse con tono cupo, forse pensava di aver deluso suo padre con quella scelta. Non chiesi nessun chiarimento, in fondo non lo conoscevo e non avevo nessun diritto di ficcanasare nella sua vita.
— Anche tu soffri della vista del sangue? — domandai, contenta che qualcosa ci accumunasse.
— Più o meno — disse con tono criptico.
 
Il suono del mio telefono fece scattare entrambi. Infastidita da quell’interruzione cercai il telefonino che si era perso nella borsa. Quando finalmente lo trovai, la voce di mia madre di chiedeva dove ero finita e di tornare velocemente a casa se non volevo finire in punizione per una settimana.
Poi guardai l’orologio che segnava le 21.30, strabuzzai gli occhi. Come avevo fatto a fare così tardi? Forse mamma aveva tutte le ragioni per essere preoccupata, ma mettere in punizione una ragazza di 17 anni che durante le vacanze estive è costretta a rimanere chiusa in casa  a causa della sua malattia è un po' inutile.
— Devo andare — dissi amareggiata dopo aver chiuso la chiamata.
In sua compagnia il tempo e lo spazio sembravano talmente sfocati da sfuggire alla mia percezione.
— Beh tua madre sarà sicuramente preoccupata — e con la stessa grazia con cui si era seduto, si alzò, imitato da me che al confronto sembravo una foca marina.
Mi aiutò a raccogliere le mie cose e volle anche accompagnarmi a casa per essere sicuro che non mi succedesse nulla. Lo ringrazia per la sua premura, sembrava un uomo di altri tempi.
 
Purtroppo casa mia non era molto distante dalla spiaggia e in meno di un quarto d’ora eravamo arrivati.
— Ci vedremo anche domani? — chiesi speranzosa. La sua compagnia mi piaceva, nonostante vivessi a Jacksonville da cinque anni, non avevo fatto molte amicizie, anzi quasi nessuna. Chi passerebbe del tempo con una ragazza che non può stare troppo sotto il sole e deve indossare abiti coprenti per farlo? Sarebbe imbarazzante per loro… l’unica ragazza che sembrava non farsi problemi era Claudia, purtroppo questa partiva per l’Italia durante le vacanze estive lasciandomi da sola.
— Certamente.
— Perfetto allora a domani! Mi trovi alla spiaggia dalle sei e mezza — entusiasta entrai in casa con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
 
— Sono tornata!
— Isabella Marie Swan! Ti sembra l’ora di tornare! Nessuna chiamata, nessun messaggio! Che dovevo pensare io! — nonostante le urla e i rimproveri di Renée, il sorriso che avevo stampato in volto non se ne voleva andare. Quello strano stato di pace e beatitudine che avevo raggiunto non sarebbe stato rovinato da nessuno.
— lo so scusa mamma, ma sai come sono quando disegno.
— beh deve essere una vera opera d’arte se sei stata via tre ore!
— Sì, non è venuto male — dissi ripensando ai suoi complimenti sinceri. Il mio cuore perse un battito nel rivivere quei momenti.
Come poteva uno sconosciuto avermi condizionato così tanto? Che sapevo di lui? Solo che si chiamava Edward, che il padre era un medico, che gli piaceva il mio stile e che era il ragazzo più bello che avessi mai visto.
— Posso vederlo? — chiese abbandonando l’aria da mamma arrabbiata per lasciare spazio a un’espressione di pura curiosità. Il sorriso si gelò sulle mie labbra, tirandole in un’espressione tesa.
— Emh…no — dissi iniziando a sudare freddo.
— Perché? — forza Bella pensa a una scusa plausibile che non comporti il nominare un certo ragazzo.
— Perché… perché l’ho regalato a un bambino. Sì, stava giocando con la mamma sulla riva e quando mi ha visto, si è avvicinato e siccome gli piaceva tanto, gliel’ho regalato — conclusi la mi arringa difensiva con tutta la convinzione di cui ero capace. Non ero mai stata una brava attrice ma speravo che in quel momento le mie doti si rivelassero più raffinare del solito. E, infatti, gli occhi di Renée sbrilluccicavano di gioia mentre mi faceva i complimenti per il mio gentile gesto.
 
Il giorno dopo effettivamente ci fu una giornata nuvolosa che mi permise di passare la mattinata in compagnia di mia madre curiosando per i negozi e le vie del centro senza timore di riempirmi di bolle, eritemi o spellature. Verso mezzogiorno iniziò a piovere ma questo non danneggiò il mio umore. Era bello passare una giornata normale. Tornammo a casa nel tardo pomeriggio, piene di buste e bustine e con l’umore alle stelle. Sistemati i nuovi acquisti presi in necessario per disegnare, un grande telo e mi incamminai verso la spiaggia.
— Bella torna presto.
— promesso.
Nel cielo ancora alcune nuvole, che lo coloravano di mille sfumature grigiastre, perfette per il carboncino mentre l’orizzonte era libero e tinto dei colori del tramonto. Il vento mi soffiava contro ma avevo un appuntamento e nessun’intenzione di tornare a casa senza prima averlo visto.
 
 
Arrivai alla spiaggia che erano le sei e mezza passate e lui era già li, seduto a gambe incrociate al limite del bagnasciuga, guadava assorto il mare che rigettava le sue onde sulla spiaggia. Era una visione.
I capelli scompigliati dal vento gli davano un aspetto libero, quasi selvaggio, la camicia blu svolazzava a ritmo del vento, le maniche arrotolate fino ai gomiti, appoggiati placidamente sulle ginocchia, e le gambe fasciate da un paio jeans chiari.
— Edward — mormorai al vento e come se questo si fosse fatto messaggero delle mie parole, vidi Edward girarsi di scatto e sorridermi felice. Con gesti rapidi si alzò, si ripulì della sabbia rimasta attaccata ai pantaloni e alle mani e con una corsetta, fu al mio fianco.
— Lascia ti do una mano — e senza darmi il tempo di rispondere prese il mio blocco e la tavola di legno — dove ti metti? —. Mi guardai attorno cercando il punto migliore.
— Là, vicino agli scogli. Così avrò l’effetto dell’acqua che s’infrange.
                                                 
 
Edward osserva pensieroso il punto che gli ho indicato per poi rivolgermi il suo sorriso sghembo. Avevo pensato che avrebbe avuto qualcosa da ridire ma il sorriso che mi rivolse mi aveva rincuorato.
— Sì, mi piace. Forza allora, non voglio che poi mi accusi di rallentarti il lavoro — e a passo svelto mi sorpassa lasciandomi stupita ancora ferma nello stesso punto.
— Cosa? No non lo penserei mai! — urlai, per sovrastare il rumore del vento e delle onde, mentre iniziavo a correre per raggiungerlo.
 
— Carboncino? — chiese curioso quando mi vide aprire la scatolina dove ne tenevo dei pezzetti.
— Sì, per questo tempo uggioso è perfetto — dissi entusiasta. Col carboncino mi divertivo sempre molto, potevo sfumare usando le dita, il palmo o un pezzetto di carta in base all’effetto che volevo avere. Certo alla fine avevo le mani completamente nere ma questo era un piccolo particolare.
— Allora… come mai non sei abbronzata come tutti che vivono in Florida?
Involontariamente m’irrigidì e la mia espressione si fece triste. Vedendo la mia reazione Edward si affrettò a tranquillizzarmi.
— Non devi dirmi nulla se non vuoi. Non sei obbligata.
— No, non preoccuparti… — presi un profondo respiro e iniziai a parlare.
— Soffro di porfiria e questa non mi permette di stare a diretto contatto con la luce solare — l’avevo detto e ora dovevo solo sperare che non scappasse a gambe levate. L’espressione di Edward era imperscrutabile, non mi permetteva di capire cosa stesse pensando in quel momento. L’impossibilità di capire quello che stava pensando, mi fece cadere in uno stato di ansia acuta. Abbassai gli occhi per fuggire da quel gioco di sguardi che non faceva altro che aumentare la voragine nel mio petto e nervosamente iniziai a giocherellare col carboncino che tenevo in mano, impiastricciandomi ancora di più le mani, fino a che mi prese il mento obbligandomi a rialzare lo sguardo verso di lui e ancora quella stessa scarica elettrica che avevo sentito il giorno prima mentre gli stringevo la mano, attraversò tutto il mio essere.
— Anche Van Gogh soffriva di porfiria ed è diventato un grandissimo pittore.
— Beh, allora ho un futuro da pittrice assicurato. Una garanzia — dissi ridacchiando sollevata per il modo in cui aveva preso la notizia — anche Vlad III, quindi ho anche un futuro da vampira! — continua stando al suo gioco.
— Saresti una bellissima vampira — disse guardandomi intensamente mettendomi in imbarazzo.
Ricominciai a disegnare e presto le scogliere e l’infrangersi dell’acqua su di esse presero forma sul foglio bianco. Rimanemmo così, io a spostare lo sguardo dal mare al foglio e lui che seguiva ogni mio movimento.
— Perché avevi così timore da dirmelo? — chiese di punto in bianco.
— I ragazzi… quando lo vengono a sapere, mi stanno alla larga ­— dissi accompagnando la mia affermazione con un’alzata di spalle che vorrebbe mostrare indifferenza, ma probabilmente non fa altro che mostrare quanto la cosa mi faccia stare male.
— Perché? — il suo sguardo si era assottigliato, sembrava quello di un falco che aveva appena puntato la sua preda ed ebbi timore.
— Perché devo sempre stare attenta al sole e vivendo a Jacksonville è un problema abbastanza rilevante e in estate quando uno si vuole divertire non può certo portarsi dietro una palla al piede — risposi con ovvietà.
— Sono solo degli stupidi. Non devi dare retta a quello che ti dicono — gli occhi mi si fanno lucidi e un sorriso amaro increspa le mie labbra.
— Già… ma dopo anni che ti senti chiamare “l’albina” o “la vampira” — dissi mimando le virgolette sui due appellativi che mi avevano affibbiato — ti viene voglia di rimanere rinchiusa in casa almeno fino al College, la gente sembra più matura all’università — e non potei impedire a una lacrima di scivolare lungo la mia guancia, subito la tolsi con la mano.
Edward mi sorrise comprensivo prima di iniziare a ridere. Lo guardai interrogativa e lui tra una risata e l’altra m’indico con un dito la guancia, dove avevo tolto la lacrima. Presi lo specchietto che portavo sempre con me e osservai il mio riflesso.
Una striscia nera di carboncino faceva bella mostra di se sulla mia guancia. Le mie gote si tinsero di rosso per la pessima figura appena fatta ma guardarlo ridere era uno spettacolo unico e la sua risata cristallina contagiò anche me. Ridevamo come due sciocchi e probabilmente se qualcuno sarebbe passato di li, ci avrebbe dato dei matti ma non m’importava. Era riuscito a risollevarmi il morale con una semplice risata e gliene ero infinitamente grata.
 
Edward tornò serio, prese le mie mani tra le sue disegnando cerchi immaginari e guardandomi negli occhi, dopo un minuto di silenzio, disse — tu sei perfetta così come sei — e mi diede una lieve carezza sulla guancia che ebbe l’effetto di rilassarmi ma anche di scombussolarmi. Il mio cuore batteva a ritmi frenetici.
— Grazie — sussurrai con voce colma di gratitudine senza staccare il mio sguardo dal suo.
Passammo il resto del tempo a parlare della sua famiglia, di come fu adottato e dei suoi fratelli. Dalle sue descrizioni dovevano essere simpatici, un po' di dubbi li avevo su Jasper e Rosalie ma probabilmente di persona si sarebbero rivelati sicuramente affabili.
 
E’ incredibile quanto sia riuscita ad aprirmi con Edward, neanche Renée e Phyl sanno di questi nomignoli e dei miei sentimenti, con loro sono sempre la solare Bella che accetta la sua situazione e vive felice dipingendo e leggendo. In effetti si dice che ci confidarsi con un estraneo sia più facile.
 
Quando tornai a casa, avevo ancora un sorriso ebete stampato in faccia che provocò un fiume di domande sul motivo scatenante, ma l’intervento di Phyl per sedare l’attacco di mia madre mi risparmiò dall’assedio forzato.
 
Dopo la cena, quando Phyl mi chiese di uscire con loro rifiutai e nella tranquillità della mia stanza iniziai un nuovo dipinto.
 
Il girono dopo stavo frugando tra i cassetti della mia stanza alla ricerca di foglie dorate ma senza successo. Renée e Phyl erano usciti la mattina presto con alcuni loro amici e sarebbero tornati la sera tardi e quindi nessuno sarebbe potuto andare a comprarli per me. Purtroppo ne avevo assolutamente bisogno, dovevo finire il dipinto il prima possibile per regalarglielo, non sapeo quanto sarebbe rimasto ancora a Jacksonville. L’orologio segnava le due di pomeriggio, il picco del sole era già passato ma il rischio era ancora molto alto. Era anche vero che sarei andata in macchina, quindi non avrei preso il sole se mi fossi coperta per bene, e poi potevo parcheggiare nei parcheggi sotterranei del centro commerciale e quindi evitare il sole.
Sì, avrei fatto così.
Aprì l’armadio e presi una maglietta a maniche lunghe, i pantaloni di una tuta, indossai un cappello con visiera e mi diressi in garage. Salì sulla macchina e guidai fino al centro commerciale.
 
— Sono sei dollari — porsi al commesso i soldi e usci dal negozio.
— Grazie e arrivederci.
Ero arrivata al centro commerciale in poco tempo, avevo trovato subito quello che mi serviva e ora stavo camminando per i corridoi sbirciando tra le vetrine, quando delle risate alquanto fastidiose, e che purtroppo conoscevo bene, arrivarono al mio orecchio. Con la coda dell’occhio sbirciai la zona della fontana e ne ebbi la conferma. Fred Niles e Gabe Morris erano seduti, anzi stravaccati, su una delle panchine, in mano avevano entrambi una bottiglia infilata in un sacchetto di carta. Potevo immaginare che cosa contenessero.
Attorno a loro, in bella mostra, delle lattine accartocciate, almeno sei. Distolsi lo sguardo schifata, come facevano a bere a quell’ora del pomeriggio?
Senza perdere altro tempo m’incamminai verso gli ascensori che portavano al parcheggio.
 
Fred e Gabe, erano il mio incubo a scuola, a dire il vero era l’incubo di tutti i nerd e gli emarginati della “ Wolfson High School “. Figli di papà che per la troppa noia si divertivano a prendersela con quelli che non potevano difendersi.
La mia fortuna era essere amica di Claudia, la ragazza del quarterback e questo, mi dava un piccolo margine di vantaggio. Non mi avrebbero fatto nulla fino a che fossi stata in compagnia della mia amica, anche se non si risparmiavano battute non proprio carine.
Ma ora Claudia non c’era.
 
Ero quasi arrivata agli ascensori quando un corpo estraneo mi strattonò all’interno di uno di essi. Le mani bloccate dietro la schiena e una mano sulla bocca m’impedivano di reagire o anche solo urlare per attirare l’attenzione. Risate cattive arrivavano dalle mie spalle. Un alito fetido soffiava sulla mia guancia. Alcool e fumo.
Le porte dell’ascensore si aprirono e fui buttata dentro.
— Ma chi abbiamo qui la piccola figlia di Dracula — una voce lasciva e con un forte accento texano, che nonostante gli anni non era sparito del tutto. Riuscì a mordergli la mano che mi chiudeva la bocca e gli urlai contro.
— Niles! Sei un pazzo. Lasciami subito — Gabe intervenne e mi tappò la bocca con una mano mentre il suo amico si lagnava dal dolore dietro di me.
— Brutta puttana — sibilò al mio orecchio intensificando la presa sui polsi. Mi stava facendo un male cane e il terrore di quello che potevano farmi m’impediva di pensare a una soluzione. Una soluzione che alla fine non c’era. Che potevo fare chiusa in un ascensore che stava salendo fino al tetto e bloccata da due energumeni?
 
Dopo il “plin” dell’ascensore, le porte si aprirono, attorno a noi neanche un’anima viva. I miei tentativi di liberarmi erano inutili e i lamenti che emettevo non avrebbero attirato nessuno.
Salirono le scale che portavano al tetto, forzarono la porta che ne bloccava l’ingresso e finalmente mi lasciarono andare. Gabe mi lanciò letteralmente a terra, per proteggermi portai le braccia in avanti, procurandomi diverse escoriazioni non molto profonde, ma che facevano dannatamente male.
— Dici che si scioglie al sole Fred? — sghignazzò quell’idiota chiudendo la porta dietro di sé. Mi alzai e cercai di aprirla, purtroppo senza successo. Iniziai a battere energicamente.
Dovevano averla bloccata in qualche modo o questa si poteva aprire solo dall’interno.
— Ehi! Fatemi uscire! — urlai continuando a colpire la porta con una mano e tentando di aprirla con l’altra.
— Non fare così Swan! È per la scienza! Dimostreremo l’esistenza dei vampiri o al contrario sfalderemo il mito — urlò Fred prima di scoppiare a ridere, una risata sadica e malvagia, seguita subito da quella del suo compare.
— Fatemi uscire vi prego — mormorai rallentando i battiti sulla porta, ormai inutili, visto che le voci dei due ragazzi si facevano sempre più fievoli e nessun’altro sarebbe venuto casualmente sul tetto.
Poggiai la schiena contro la porta e mi lascia scivolare a terra guardando davanti a me. Un paio di metri di corridoio mi dividevano dalla terrazza illuminata dal sole e sarebbero diminuiti con l’andare delle ore.
 
Erano quasi le tre, da mezzora urlavo senza sosta ma nessuno mi sentiva. Usare il cellulare era inutile. Non prendeva.
Le tre e trenta, i graffi non mi facevano più male, mi ero rannicchiata in un angolo pensando a un modo per uscire da quella situazione, non avevo alcuna intenzione di passare il pomeriggio, e forse anche la notte, bloccata in quei pochi metri di corridoio. Mi alzai e camminai fino al limite dell’ombra, alzai il cappuccio della maglietta, per proteggere la testa, per colpa di quei deficienti avevo perso il mio cappello preferito, le maniche tirate fino a coprire le mani e preso tutto il coraggio che avevo scattai verso la ringhiera.
 
— Ehi! Qualcuno mi sente! Ehi! Sono bloccata qua sopra! — urlai a più non posso ma la gente sulla strada passava senza degnarmi di attenzioni. Quei pochi che sentivano le mie urla, alzavano la testa e vedendomi sbracciare nella loro direzione mi salutavano.
— Dannazione non ti sto salutando! Ho bisogno di aiuto! Sono bloccata.
Dopo un po' la pelle aveva iniziato a prudermi e bruciare e non era un buon segno. Incapace di sopportare ancora, ritornai a ripararmi all’ombra per cercare un po' di sollievo prima di riprovare. Lascia libero sfogo alle lacrime che avevo trattenuto. Come avrei fatto a uscire da li? Renée e Phyl sarebbero arrivati tardi e nessuno sapeva dove trovarmi.
Passarono i minuti e in poco tempo arrivarono le quattro, feci forza sulle mani per alzarmi da terra e a passo lento e incerto mi avvicinai ancora una volta alla ringhiera.
La mia pelle iniziava a mostrare i segni del contatto con i raggi del sole, in alcuni punti era rossa, in altri quasi violacea, soprattutto le mani, mi rifiutavo di capire come fossi messa sul volto e il collo, ma sicuramente non ero messa meglio.
Dopo altri minuti, che mi parvero interminabili una guardia, notò la mia presenza e corse all’interno dell’edificio. Finalmente felice mi lascia andare a terra, la testa pulsava e la pelle bruciava un po’ ovunque. Le forze mi stavano abbandonando, aprì e chiusi gli occhi più e più volte fino a che non riuscì più ad ordinare alle palpebre di alzarsi.
Poi fu il buio.
 
Suoni fastidiosi si susseguivano, mi sembrava di riconoscere dei carrelli che venivano trasportati avanti e indietro, “bip” simili a quelle delle macchine dell’ospedale.
Ero ancora leggermente stordita ma cercai di aprire gli occhi, almeno per capire dove fossi finita. Ero ancora sul tetto o mi avevano riportato a casa?
— Si sta svegliando! Phyl si sta svegliando! Chiama i dottori, le infermiere! — quella voce mi era familiare, ero sicura di conoscerla.
— Bella! Bella sono la mamma — a fatica riuscì ad aprire gli occhi e il viso preoccupato di Renée vece capolino nel mio campo visivo.
— R… Renée — gracchiai dopo alcuni tentativi falliti. Avevo la gola secca e bruciava.
— Renée la gola mi… mi fa male.
— lo so tesoro non preoccuparti i dottori hanno detto che passerà — disse per rassicurarmi, mi guardai attorno e realizzai di essere in una stanza del Jacksonville General Hospital.
La voce di Renée, si fece seria, come poche volte l’avevo sentita — Bella mi devi dire che è successo. Perché sei uscita? E perché eri chiusa sulla terrazza del tetto? — sentì dei passi e poi vidi un uomo in divisa entrare nella stanza.
— Mi…. — mi bloccai incapace di andare avanti, cercai di ingoiare della saliva e quello mi permise di continuare a parlare — mi servivano delle foglie dorate ed ero andata al colorificio del centro commerciale — Renée continuava ad accarezzarmi i capelli riservandomi sguardi apprensivi e preoccupati — stavo…tornando al parcheggio quando davanti agli ascensori mi sono sentita afferrare — a quel punto lo sguardo del poliziotto si fece più attento mentre quello di Renée divenne una maschera di puro terrore.
— Saprebbe riconoscerli signorina? — intervenne a quel punto il poliziotto. Io annuì.
— Erano miei compagni di scuola. Frederic Niles e Gabe Morris — annuendo il poliziotto segnò i nomi su un piccolo blocchetto.
— Che cosa le hanno fatto? — mi chiese con tono professionale. Renée invece non staccava lo sguardo dal mio viso, probabilmente nella sua testa stava già vagando tra mille e più scenari.
— Mi hanno chiuso fuori perché volevano vedere se bruciavo al sole come i vampiri — lo sguardo di Renée si fa allucinato e subito si volta verso il poliziotto, tempestandolo di mute minacce — li avevi visti che bevevano prima di aggredirmi, stavano bevendo birra e delle lattine erano già ai loro piedi. Vuote.
— qualcuno più testimoniare che erano quei due ragazzi? — a quella domanda negai col capo.
— Sinceramente non lo so.
— Era la prima volta che mostravano atteggiamenti aggressivi verso di lei? — esitai a rispondere, confermare voleva dire farla passare liscia a quei due ma negare voleva dire rivelare a Renée tutte le bugie che le avevo propinato…
— Non erano mai arrivati a questo punto ma non è la prima volta che mi prendono di mira — confessai alla fine.
— Bella! Perché non mi hai mai detto nulla? — la delusione, per il mio comportamento, era ben visibile sul suo viso e mi colpì come un pugno nello stomaco.
— I... io non volevo farti preoccupare inutilmente — tenni lo sguardo basso non avevo la forza di sostenerlo.
— Signorina, prima che mi congeda, le devo chiedere se ha intenzione di sporgere denuncia.
— Certo che sporgerà denuncia! È vergognoso il comportamento di quei ragazzi! — intervenne Renée con tono risoluto, sembrava quasi il ruggito di una leonessa. Alzai di scatto la testa e la guardai con occhi sbarrati, nei suoi potevo leggere tutta la determinazione di una madre che è pronta a difendere la propria figlia a spada tratta e seppi che in qualche modo ce l’avremmo fatta. Gabe e Fred avrebbero avuto quello che meritavano.
 
Erano passati tre giorni ed ero ancora in ospedale per accertamenti, nemmeno Renée e Phyl erano tornati a casa, la notte rimanevano con me, anche se cercavo di convincerli che stavo bene e che potevano andare a casa a dormire su un letto vero.
Tre gironi che non mi presentavo alla spiaggia, con rammarico pensai che Edward ormai avesse smesso di recarvisi, non vedendomi più arrivare.
— Phyl — chiamai il mio patrigno intento a guardare una partita di basket, alla piccola tv della mia stanza — sai qualcosa di un convegno medico qui a Jacksonville?
Assunse un’espressione pensosa, per poi rispondermi infliggendomi il colpo di grazia — So che ce ne era uno all’Hotel Omni ma è finito ieri. Perché?
— Nulla.
Realizzai che non lo avrei più rivisto. Si sarà preoccupato per me? Credo che non lo saprò mai, stupidamente non c’eravamo scambiati né mail o i numeri di telefono. La mente corse a quel dipinto ancora incompiuto nella mia stanza, mancava così poco che lo finissi. Sospirai rassegnata, probabilmente doveva andare così, le nostre strade si erano incontrate per un attimo e poi subito separate. Nelle sere d'estate è così.
 
Passò un altro giorno e finalmente potei tornare a casa e la prima cosa che feci fu finire il dipinto. Alla fine era venuto davvero bene, anche se era niente in confronto all’originale.

 
Con leggerezza accarezzai il profilo della mascella, del naso, delle sopracciglia per poi salire sulla fronte e scendere a sfiorare le labbra. Quel ritratto era l’unico ricordo che mi restava di lui.
 
— Tesoro — la voce di mia madre mi richiamò dalla cucina. Era seduta al tavolo da pranzo il suo viso portava ancora i segni della sofferenza e della preoccupazione sopportate in questi giorni. Phyl al suo fianco le teneva stretta la mano e alternava sguardi preoccupati a me e Renée.
— Siediti Bella — disse lui, quando vide che mamma non apriva bocca.
— Mentre eri in ospedale io e tua madre abbiamo mandato avanti la denuncia contro quei due ragazzi —  una pausa, rassegnazione — oggi c’è stato il verdetto — Un'altra pausa, rabbia — e il caso è stato archiviato per insufficienza di prove — mi paralizzai sul posto. Avevo rischiato la vita e loro non venivano puniti!
— Bella — il lamento di mia madre mi fece riprendere contatto col mondo — so che per te può essere difficile ora. Le vacanze stanno finendo e presto ricomincerà la scuola… — la guardai interrogativa non capendo dove volesse arrivare — e capisco se tu non te la senti di tornare. — voleva che abbandonassi la scuola? — quindi ho chiamato tuo padre e sarebbe felice di averti a Forks con lui, finiresti il liceo lì, in fondo si tratta di un anno.
Andare a Forks da Charlie?
 
Dopo essermi presa alcuni giorni per pensare avevo annunciato la mia decisione. La mia non era una fuga, ma la speranza di un nuovo inizio.
 
Stavo sistemando le ultime cose, ero indecisa se portarmi dietro anche la cartelletta dei disegni quando dal plico ne scivolò fuori uno. Era il tramonto che stavo dipingendo quando vidi Edward per la prima volta. Un ricordo tornò a galla, un frammento di una delle nostre poche ma preziose conversazioni.
 

— Di nuovo il crepuscolo, l’ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste… la fine di un altro giorno. Ogni giorno deve finire, anche il più perfetto — disse, osservando il sole scomparire all’orizzonte.

— non è detto che tutto abbia una fine. 

 
E chissà forse la parola “ fine ” non era ancora stata scritta.




...

 

____________________________________________________
 


Ed eccoci alla fine^^ spero che non vi siate annoiati a leggere. Forse qualcuna si aspettava un finale diverso o forse proprio questo ma a me piace, è un finale aperto. Bella ha deciso di trasferirsi a Forks, ci sarà anche Edward e tutti gli altri Cullen? Beh ognuna può farsi una sua idea. Forse riprenderò in mano la storia per un seguito ma per ora rimane così, anche perchè per il concorso ci vuole una OS e non un papiro^^
Vi va di farmi sapere che ne pensate???? 

  
 
  
3.12.11: LA STORIA AVRA' UN SEGUITO, DIVERSI CAPITOLI SONO GIA' SCRITTI. 
  
 
  
Citazioni e spiegazioni:
 
1. Nelle sere d'estate è così.
 (Sere d’estate da “ Grease”)
 
2. Di nuovo il crepuscolo, l’ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste… la fine di un altro giorno.
(Edward Cullen da “ Twilight ”)
 
3. “ Shade-Tolerant ” un modo con cui sono chiamati quelli che soffrono di eliofobia.
 
4. - ma l’odore del sangue non si sente-
- si invece. Sa di ruggine e di sale -
(Edward Cullen e Isabella Swan da “ Twilight ”)
 
5. La Porphyria è parzialmente connessa alla luce solare.
La porfiria è una sindrome genetica per la quale l'emoglobina dei globuli rossi morti non viene smontata dal fegato ma si trasforma in una molecola sensibile alla luce e si sistema nel derma per cui quando viene colpita da raggi solari reagisce in modo simile alla clorofilla (la molecola priva dell'atomo di Fe è molto simile) trasformando l'energia luminosa in en. chimica, ma non avendo noi un sistema capace di utilizzarla, la trasferiamo al tessuto circostante che ne viene danneggiato, per cui i malati presentano danni simili ad ustioni(bolle, eritemi, spellature, caduta di peli, ciglia, capelli, unghie ecc.) Un modo di alleviare i sintomi è assumere tanto carotene che si sistema nel derma e fa da scudo ai raggi.Provoca deformazioni e un colorito violaceo della pelle ed è stata connessa in passato all'esistenza di vampiri e lupi mannari, a causa della apparente similarità nell'aspetto dei malati a quella dei leggendari mostri.
 
 


Altre mie storie nel fandom twilight:


La mia piccola fifona

- Oddio!oddio! Edward ho paura - mormorai avvinghiandomi al braccio del mio ragazzo.
Mi aveva convinto a entrare in quell’edificio che sembrava aver scritto a caratteri cubitali “abbandonate ogni speranza voi che entrate” ma che il mio adorato ragazzo, a quanto pare, non aveva visto. Dovrò suggerirgli una visita dall’oculista mi appuntai mentalmente una volta che saremmo usciti da quell’inferno.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Commedia ] [ Capitoli: 1 ] [ Personaggi: Bella/Edward ]
[ Pubblicata: 02/07/11 ] [ Aggiornata: 02/07/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
 
 
 Red Fairytale - Ultimo capitolo
C’era una volta una bambina tanto vivace quanto sbadata, correva sempre anche per andare da una stanza all’altra, i genitori non sapevano come farla stare ferma soprattutto perché aveva la tendenza a sbattere contro oggetti fermi e inciampare sui suoi stessi piedini ed erano preoccupati che potesse farsi molto male, ma la amavano tanto e quando la vedevano a terra a piangere per l’ennesima caduta la rassicuravano e le davano un bacino sulla bua per fargliela passare e la piccolina rassicurata tornava felice a saltellare per la casa o il giardino mentre i genitori amorevoli, aspettavano la successiva caduta.
In un girono di fine giugno correva nei campi col suo fratellone, quando….
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Generale ] [ Capitoli: 3 ] [ Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti ]
[ Pubblicata: 30/04/11 ] [ Aggiornata: 03/05/11 ] [ Note: Nessuna ] [ Completa ] 

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Capitolo 2
*** Forks ***


Ciao! Mi ero ripromessa di non postarla perchè volevo completarla prima, ma mi sono venuti tanti dubbi e così ho deciso di postare il secondo capitolo per sapere se il seguito vi piace. Sono al quinto capitolo e sono nel panico perchè non so se vi può piacere. Quindi lascio a voi l'ardua sentenza. Posso andare avanti o nessuno leggerebbe gli altri capitoli?
Colgo l'occasione di ringraziare le ragazze che hanno recensito l'OS le vostre parole mi hanno fatto davvero piacere, quindi grazie per aver perso due minuti per scrivermi due paroline^^

Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina FB dove sono sempre a vostra disposizione. 

Ora vi lascio alla storia... Solo una premessa: quando arrivate alla fine non lanciatemi pomodori o uova, cibo andato a male o oggetti appuntiti : )

Per sicurezza si nasconde...

 




 

 



... Forks ...



 
“Il comandante vi comunica che siamo arrivati all’aeroporto di Port Angeles. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento e che viaggerete ancora con la nostra compagnia. Vi ricordiamo inoltre di controllare di non aver dimenticato nulla: borse, libri o suocere indesiderate…”
 
Una risata generale nacque alla battuta del capitano, poi i passeggeri si alzarono e iniziò una lunga processione per uscire da quella scatola di ferro. Vicino al portellone di uscita c’era una hostess bionda, che sorrideva gentile ai passeggeri che le passavano davanti ringraziandoli e augurandogli buon soggiorno nella città. Era perfetta nella sua divisa inamidata, col trucco impeccabile e i capelli raccolti in un’alta crocchia su cui era fissato il cappellino con la spilla della compagnia aerea.
— Grazie e arrivederci — mi disse quando le passai davanti.
— Arrivederci.
 
L’aeroporto era poco affollato, così riuscì a recuperare i miei bagagli molto velocemente, e uscì. Subito fui colpita da una ventata d’aria non fredda, gelida, che mi obbligò a cercare riparo nel mio cappotto nuovo. Il cielo era plumbeo, di un tetro grigio scuro - così diverso dal mio amato cielo della Florida - e dove i birichini raggi solari facevano capolino tra le nuvole. Qui il Sole sembrava un concetto astratto e per quanto esso m’impediva di passare le giornate fuori casa a Jacksonville, mi piaceva, mi trasmetteva calore, benessere. Tutto sotto la luce dei suoi raggi si colorava di vivacità e gioia.
Il cielo di Forks mi trasmetteva solo tristezza e desolazione, già troppo presenti nella mia vita in quel periodo. Scacciai a forza quei pensieri negativi e ritornai a osservare il manto di nuvole. Era per questo motivo che non avevo mai voluto andare a vivere da Charlie.
 
Charlie Swan, il bravo sceriffo di Forks, che in quel momento mi aspettava appoggiato alla macchina di servizio della polizia, le braccia conserte sul petto e lo sguardo serio impegnato a osservare ogni faccia che usciva dall’aeroporto. Si aprì in un sorriso quando inquadrò il mio viso, un sorriso che contagiò anche me. Nonostante tutto, ero felice di rivederlo.
Mi raggiunse subito, liberandomi dal peso delle valige. Sorrideva felice, aveva sempre voluto che passassi più tempo con lui, oltre le due settimane di ferie che poteva permettersi.
— Allora, com’è andato il viaggio? Ti sei stancata? Hai trovato difficoltà? — parlò a macchinetta, per la gioia e la preoccupazione.  L’avvenimento dell’estate appena passata lo aveva scosso parecchio, c’era voluto tutta la persuasione di mamma per convincerlo a non precipitarsi a Jacksonville con un fucile da caccia carico e pronto al tiro.
— Charlie è andato tutto bene. È stato un viaggio tranquillo — gli dissi ridacchiando e seguendolo verso la macchina.
 
Il viaggio fu lungo, guardavo il paesaggio sfrecciare fuori dal finestrino, ero circondata dal verde delle fronde degli alberi e il marrone dei loro tronchi. Tre ore dopo, il cartello “Benvenuti a Forks” annunciava che finalmente ero arrivata nella mia nuova casa.
Charlie abitava al limitare del bosco, in una classica casetta, in pieno stile americano, a due piani, dipinta di un tenue azzurro, sbiadito nel corso degli anni, e dal tetto spiovente. Sulla facciata quattro finestre, due per ogni piano e sulla destra era situata l’entrata, coperta da una tettoia spiovente, sostenuta da due colonne.
L’avevano comprata Charlie e Reneé subito dopo il matrimonio e doveva essere il loro nido d’amore, invece si rivelò il luogo della loro rottura ma infondo tutti lo sapevano, lo avevano previsto. I miei genitori erano come il Sole e la Luna, la notte e il giorno. Troppo diversi per poter durare e mamma lo capì presto. Non era Forks il suo mondo, troppo piccolo, troppo spento e morto. Partì e mi portò con sé, verso una nuova vita.
 
Charlie parcheggiò sul ciglio della strada dietro a un vecchio pick-up che un tempo doveva essere stato rosso. Scesi dalla macchina e mi fermai a osservarlo curiosa.
— Benvenuta a casa, Bella — disse Charlie affiancandomi. — Ho pensato che ti servisse un mezzo per muoverti.
Potevo sentire il calore del suo corpo e l’affetto che trasudava da ogni poro, anche se non mi abbracciò o esternò in nessun modo i suoi sentimenti, è sempre stato così, riservato ma sempre presente. Eravamo molto simili in questo.
— Grazie, papà.
Lui sorrise e senza aggiungere altro, prese la mia valigia e s’incamminò lungo il vialetto.
 
Mi mostrò la mia stanza, la stessa in cui tenevano la mia culla da piccola, solo riadattata a un’adolescente. Il pavimento era di legno, le pareti erano dipinte di un azzurro pallido, il letto a mezza piazza era poggiato, col lato corto, sulla parete di sinistra e davanti, un armadio a due ante, in legno scuro. Di fronte alla porta si apriva una finestra dalle tende ingiallite, che dava sul giardino, anche se la vista, era impedita da un albero di medie dimensioni, e accanto era posizionata una sedia a dondolo, la stessa su cui mamma mi allattava e mi faceva addormentare quando non ne volevo sapere di dormire nel mio lettino.
— Allora, Bells, ti piace come l’ho arredata? — mi domandò Charlie che nel frattempo mi aveva raggiunto con i bagagli.
— Molto bella. L’hai scelta tu? — lui chinò il capo imbarazzato e si grattò la nuca.
— Veramente mi ha aiutato Sue. Te la ricordi? Era la moglie di Harry — disse il nome della donna con gli occhi luccicanti d’ammirazione, che poi si spensero, al pronunciare il nome dell’amico.
— Oh sì, me la ricordo, — dissi mentre nella mia mente iniziarono a delinearsi i contorni della sua figura. Una donna di statura media e dalla pelle bronzea, tipica dei nativi americani, un carattere gentile e dolce. Aveva sempre qualcosa per me quando andavo a La Push con Charlie. — Come stanno lei e Harry?
Il viso di Charlie se possibile si scurì ancora di più e la cosa mi fece pentire di aver posto la domanda.
— Harry è morto l’anno scorso.
— S… Scusami Cha…papà io… — ero imbarazzata e quelle che uscivano dalla mia bocca erano frasi sconnesse.
— Non preoccuparti Bells. Non potevi saperlo — e impacciato mi poggiò una mano sulla spalla che strinsi. Sapevo quando fossero legatiquei due. Lui, Billy e Harry andavano spesso a pescare durante i weekend, erano molto legati e deve essere stato un brutto colpo per lui ed io mi sentì verme per non essere stata lì con lui.
 
Charlie mi lasciò il tempo di sistemare le mie cose e ambientarmi nella casa. Sistemai i vestiti nell’armadio, organizzai la scrivania e riempì gli scaffali di libri, fortunatamente, ne avevo portata una selezione altrimenti sarei stata costretta a dormire sul divano perché nella stanza non ci sarebbe più stato posto per me.
 
Prima di dimenticarmene chiamai Reneé che preoccupata iniziò una lunga serie di domande su com’era il tempo, inutile visto che c’era sempre nuvolo, le persone, che non avevo ancora conosciuto, la camera e molto altro. Prima di riattaccare mi fece promettere di chiamarla spesso per aggiornarla sulle novità e di tener controllata la posta elettronica. Dopo l’episodio, era diventata più apprensiva e anche se ero a chilometri di distanza da loro, per lei ero sempre in pericolo e i suoi timori erano anche i miei. Ormai non sapevo più quante erano state le notti che mi avevano visto urlare di paura a causa di incubi in cui rivivevo quel pomeriggio e tutte le volte mamma era li per me a cullarmi come fossi stata una bambina.
 
Spesso un oggetto, un paesaggio o anche solo un odore ci riportano alla memoria un attimo passato, magari non hanno nessun apparente legame, ma la nostra mente agisce da sola e ci riporta a un momento e ce lo fa rivivere.
Fu quello che mi successe mentre stavo sistemando il cavalletto vicino alla finestra e mi persi a osservare il paesaggio. Era tutto verde e marrone, un cielo grigio minacciava pioggia da un momento all’altro e non so perché a quella vista, il volto pallido, decorato da un paio di occhi ambrati, e incorniciato da una folta chioma bronzea, riemerse dal mare dei miei ricordi. Posizionai una tela sul cavalletto e con decisi colpi di pennello riprodussi lo scorcio di paesaggio.
Che cosa stai facendo Edward?
Stupidamente non gli avevo chiesto nemmeno il cognome e questo mi rendeva impossibile cercarlo su Facebook o su Messenger o uno di quegli altri social network che tanto andavano di moda. Certo io ero la prima a non usarli ma forse lui avrebbe rappresentato lo stimolo giusto per usufruirne.
 
“Mi sembra di conoscerlo da sempre”era un’affermazione del tutto astratta per me. Come si può dirlo quando non si conosce la persona? Era impossibile, era solo una frase smielata, anche per una romantica come me, cha si trovava sui cioccolatini o in poesie dedicate all’amato o all’amata.
Era un’affermazione del tutto astratta fino a che non avevo incontrato Edward, mi sembrava naturale stare con lui, parlare, ridere. Nessun timore o imbarazzo.
 
Avevo appena posato il pennello e stavo rimirando il mio lavoro quando sentì la porta aprirsi e la voce profonda di mio padre risuonare per la casa annunciando il suo rientro. Era ora di cena, così scesi in cucina accantonando tutti i miei pensieri che tanto non avrebbero portato a nulla.

Convinsi Charlie a lasciarmi cucinare qualcosa ma quando aprì il frigorifero, mi chiesi come aveva fatto Charlie a sopravvivere per tutti quegli anni e intuì che da quel momento mi sarei dovuta occupare della cucina. Alle dieci di sera, dopo aver lavato i piatti e sistemato l’ultimo scatolone, feci per abbassare la tapparella ma mi diedi mentalmente della stupita.
Quando mai si era visto il Sole da quelle parti?
Così mi limitai a tirare le tende, quelle sarebbero bastate per la fievole luce del mattino.
 
Ebbi una notte movimentata a causa di uno strano sogno, anche se sarebbe meglio dire incubo. Correvo in un bosco, era notte fonda e avevo paura, qualcuno mi stava seguendo, anche se non potevo vederlo, lo sentivo forte alle mie spalle. Correvo senza guardare dove andassi, più di una volta mi ero ritrovata a terra, i rami graffiavano la mia pelle lasciando una striscia rossa al loro passaggio.
Dei ruggiti echeggiavano nell’aria, era un animale? Un leone? Ma cosa ci faceva un leone in un bosco? Qualcosa mi afferrò per la spalla e con forza sovrumana mi gettò contro un albero. La vista si annebbiò e quello che riuscì a intravedere tra le tetre ombre degli alberi furono due rubini, rossi come il sangue, che emanavano morte e malvagità. Erano così diversi da quelli caldi e dolci di Edward.
Apri gli occhi di scatto e mi misi a sedere sul letto. La fronte era imperlata di sudore, il mio respiro corto e spezzato, tutto l’opposto del mio cuore che batteva così forte da rischiare di uscire dal petto. Ero sveglia e mi trovavo nella mia stanza ma quella sensazione di terrore non aveva intenzione di abbandonarmi. Quella notte, i papaveri di Morfeo avevano fatto un ottimo lavoro, in quel sogno tutto sembrava così reale, così vero, come anche il dolore alla schiena e alla spalla tanto che le toccai per essere certa che non ci fosse nulla.
Era un incubo, solo un brutto sogno, continuavo a ripetermi. Mi distesi nel letto e mi rannicchiai su me stessa, presto caddi in un sonno profondo e senza sogni.
Quando mi svegliai, l’incubo era solo un brutto ricordo ma presto ne sarebbe iniziato un altro.
 
Primo giorno di scuola ed ero la nuova studentessa il che, in un paesino come Forks, voleva dire avere un grande riflettore che puntava dritto su di me e che per i primi giorni avrei avuto gli occhi di tutti puntati addosso. Sarei stata studiata, soppesata in ogni singolo gesto o parola, sottoposta al giudizio di ogni studente e relativa famiglia fino a che non avrebbero trovato qualcosa di scandaloso sul mio conto, giusto per parlare di qualcosa.
Era una situazione spinosa per una che voleva mantenere un profilo basso, che sfiorava l’invisibile.
Avevo paura, era inutile negarlo, almeno a me stessa. A Charlie avevo fatto credere che fossi tranquilla e pronta a iniziare la scuola ma dentro di me si susseguivano sempre le stesse domande.
E se qualcuno mi avesse preso come bersaglio per i loro scherzetti ed io avessi dovuto subire ancora, oppressa dall’omertà generale?
Chi prende le difese dei più deboli rischiando di diventare a sua volta un bersaglio?
A Jacksonville qualcuno della mia classe aveva provato a reagire ma era presto messo al suo posto dai miei aguzzini. Sarebbe stato diverso in un piccolo paese, dove tutti conoscevano tutti?
 
Con quei pensieri, indossai la giacca e uscì nel freddo della mia prima mattina settembrina a Forks. La prima di una lunga serie.
Incredibilmente quel giorno c’era il Sole, certo non quello cocente e intenso della Florida ma era comunque Sole. Che Forks volesse darmi il benvenuto e mostrandomi che infondo quel globo giallo non era bandito dal suo cielo e che qualche volta poteva spuntare anche lui tra la coltre di nuvole? Come a volermi dire: “Vedi Bella, non è così male, ti piacerà Forks.”
Lo presi come un’allegoria, una premonizione, della mia nuova vita. Nonostante le difficoltà, il Sole avrebbe tagliato la coltre di nubi che in quel momento mi soffocava e avrebbe illuminato il mio mondo portandomi piacevoli novità.
Solo due giorni dopo avrei costatato quanto avessi avuto ragione.
 
Parcheggiai il mio Chavy scassato nel primo posto libero e m’incamminai verso l’edificio della segreteria. Ad accogliermi, una signora di mezza età, occhialuta e dai capelli rossi, risultato di una tinta non proprio recente.
— Come posso aiutarti, cara? — disse appena alzò lo sguardo. Sembrava una donna gentile e ammodo, non come la segretaria di Jacksonville, quella era una donna spocchiosa e altezzosa, rifatta dalla testa ai piedi e sempre intenta a pitturarsi le unghie.
— Sono Isabella Swan e… — ma non mi lasciò finire, ovviamente tutti aspettavano la figlia al prodiga dello sceriffo che dopo anni tornava all’ovile. Mi diede il mio orario, i moduli da far firmare ai professori, e riconsegnare a fine giornata, e la pianta della scuola. La ringraziai e uscì dall’edificio proprio quando la campanella iniziò a suonare. Osservai la mappa alla ricerca dell’aula per la prima lezione e costatai che non era lontana avrei potuto evitare di andare in giro come una demente.
Prima lezione: Letteratura.
Mentre m’incamminavo per raggiungere l’edifico tre, pensai che forse in questo posto dimenticato da tutti avrei potuto avere una vita normale. Le nuvole erano un’ottima protezione contro i raggi solari e il tempo uggioso unito alle basse temperature avrebbe favorito il mio abbigliamento super coprente, che a Jacksonville mi aveva fatto guadagnare tante occhiate storte.
Inoltre non sarei più stata chiamata “albina” o “vampira” visto che Forks, tutti avevano la pelle chiara come la porcellana.
Mi stupì il fatto che, molti studenti vestissero leggero, nonostante le temperature non fossero poi così alte, ma forse essendo abituati a questo freddo, appena le temperatura andavano leggermente sopra la media tiravano fuori dall’ultimo cassetto dell’armadio i vestiti “estivi”.
Mentre camminavo nel corridoi vidi alcuni ragazzi lanciarmi occhiate curiose, mentalmente iniziai a catalogarli in una rigida tabella dividendoli in pericolosi e non pericolosi. Nei loro sguardi cercavo quella luce quasi diabolica che illuminava gli sguardi dei bulli della vecchia scuola, Fred e Gabe in primis.
Non volevo ripetere la simpatica esperienza dell’estate appena terminata. Una volta mi era bastata.
Con stupore dovetti costatare che la colonna dei pericolosi era quasi vuota, se non per qualche soggetto strano.
 
Il professor Meson mi accolse senza tante cerimonie, firmò il foglio e mi fece accomodare in fondo all’aula. Sperai di essere passata inosservata ma le continue e furtive occhiate dei miei compagni mi suggerivano che il mio tentativo non era andato a buon fine. Per distrarmi concentrai la mia attenzione sul programma che stava esponendo il professore e sulla lista di letture obbligatorie da fare durante l’anno. Molte cose le avevo già fatte e per me non sarebbe stato un problema seguire. Passai tutto il tempo dalla lezione cercando di ignorare quella fastidiosa sensazione di essere osservata, non amavo stare al centro dell’attenzione e per ovvie ragioni, stavo già pensando a un modo per andarmene quando il suono stridente e assordante della campanella annullò ogni mio piano di fuga.
— Ciao, tu sei Isabella Swan, giusto? — una ragazza dalla chioma bionda mi si era avvicinata e sorrideva cordiale ferma davanti al mio banco, in attesa di una mia risposta.
— Sì, ma chiamami Bella, lo preferisco.
— Io sono Jessica Stanley. Hai bisogno di una mano per trovare la prossima lezione? — mentre parlava lanciava sguardi furtivi attorno a noi, come a pavoneggiarsi per il fatto che fosse stata la prima a rivolgermi la parola. Praticamente ero il suo nuovo giocattolo.
— No, ho lezione nell’edificio sei e ho già visto dov’è — dissi gentilmente, non volevo essere il suo mezzo per farsi notare. Ma a quanto pare non era così che doveva andare…
— Ma che coincidenza! Anch’io ho lezione lì — rispose sorridente.
Che fortuna…
Cercando di nascondere la mia riluttanza la seguì silenziosa lungo il breve tragitto, ascoltandola mentre discorreva sui professori e i succulenti pettegolezzi scolastici. Alle domande che mi pose sulla mia vita a Jacksonville, risposi perlopiù a monosillabi, qualche volta aggiungevo anche un grugnito o un altro suono strano.
Non amavo parlare di me con degli estranei, certo era stato completamente diverso con Edward ma con lui era tutta un’altra storia, era sinceramente interessato, mentre questa Jessica voleva qualche informazione da spiattellare in giro appena avessi voltato le spalle.
 
A metà giornata già ero in grado di riconoscere alcuni volti, più difficile, si era rivelato associarli ai nomi giusti ma col tempo avrei ricordato tutti. Non era stato molto imbarazzante, quasi tutti i professori seguirono l'esempio del Signor Meson, solo quello di trigonometria mi obbligò a un’imbarazzante presentazione davanti a tutta la classe e quando arrivò l’ora di pranzo, accompagnata da Jessica e Angela,mi recai all'edificio che ospitava la mensa. Angela erauna ragazza dai capelli castani, come gli occhi, nascosti dietro a uno spesso strato di lenti da vista, con cui seguivo trigonometria e che si era rivelata una persona gentile e disponibile, era timida come me e fu l’unica che non mi assillò con domande sulla mia vita. Nella mia mente era già catalogata come migliore amica.
Ci sedemmo a un tavolo già occupato da un gruppo di ragazzi: Lauren, Ben, Mike, Eric e Tyler.
La prima era una bella ragazza molto magra, bruna e con una buona dose di trucco sul viso e prima di salutarmi non si esentò dal farmi una radiografia completa.
Ben era un ragazzo dai tratti orientali, lo sguardo sveglio e intelligente, mi accolse cordiale, subito lo associai ad Angela, pensai che sarebbero stati una bella coppia.
Eric aveva l’aria del cervellone, che come tutti gli adolescenti si trovava a lottare contro l’acne, smilzo e dai capelli neri che mi riservò molte, forse troppe, attenzioni.
Infine c’era Mike, era un biondino dal sorriso smagliante e dalla carnagione più rosea rispetto a quella degli altri, era originario della California e si era trasferito a Forks da quattro anni, subito si premurò di assicurarmi la sua più completa disponibilità in caso di bisogno.
— Jessica, chi stai cercando? — le chiese Lauren guardandola curiosa.
La ragazza appena si era seduta aveva tirato il collo, muovendosi frenetica sulla sedia, scrutando palmo a palmo tutta la sala.
— I Cullen… ma non ci sono — borbotta sconsolata ritraendo il collo e stringendosi nelle spalle.
— Chi sono i Cullen? — chiesi a nessuno in particolare.
Gli occhi della bionda si accesero di malizia — I Cullen sono i figli adottivi del Signor Cullen e sua moglie. Sono dei fighi pazzeschi! Sembrano modelli — mi spiegò con sguardo sognante ma con una nota di stizza nella voce che mi fece pensare a una buona dose di gelosia.
— E poi stanno insieme! — intervenne Lauren con tono da pettegola.
— Tranne Edward — aggiunse Jessica.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando la mia mente registrò il nome e il suo viso pallido dai lineamenti decisi e gli occhi dorati, tornò prepotente davanti ai miei occhi annebbiando la realtà che mi circondava. Stupida! Quante possibilità ci sono che Edward Cullen e il tuo Edward siano la stessa persona? Mi diedi doppiamente della stupida perché; primo era impossibile un tale colpo di fortuna, e nel caso fosse lui se nemmeno Jessica e Lauren avevano attirato la sua attenzione, certamente, non l’avrei ottenuta io, e secondo non è mai stato “mio”.
— È uno schianto ma nessuna sembra al suo livello — continuò infastidita.
Io nascosi un sorriso dietro a un sorso di acqua.Chissà quando è stato il suo turno di essere rifiutata... 
— Già — convenne la bruna — ma gli altri fanno coppia tra di loro, è incesto — concluse scandalizzata. Un bel pettegolezzo per la piccola e calma città di Forks.
— Tecnicamente sono stati adottati e non ci sono legami di sangue. Non si può parlare d’incesto — intervenni a difesa di questi ignoti Cullen e guadagnandomi una furente occhiata dalla ragazza. Lauren sembrava non amare essere contraddetta.
 
Durante il resto della giornata non accadde nulla d’interessante. Appena suonò la campanella mi diressi, accompagnata da Mike, verso l’aula di biologia. Il ragazzo aveva una buona parlantina e fortuna volle che non fossimo allo stesso banco, il professore lo fece accomodare qualche fila dietro mentre io presi posto in uno dei banchi alle prime file, il mio compagno era assente quel giorno e accolsi la notizia con gioia. Avrei passato un’ora in tranquillità, senza un vicino che mi lanciava occhiate furtive o che cercava di intavolare una conversazione.
Poi fu la volta di ginnastica, una vera tragedia, fortunatamente dopo l’ennesimo colpo in testa a un compagno di squadra, il professore mi permise di sedermi sugli spalti per osservare la lezione. Gliene fui immensamente grata, non ero mai stata brava con la coordinazione occhio-mano.
Quando, anche l’ultima campanella rintoccò, corsi in segreteria per riconsegnare tutti i moduli e mi fiondai verso il mio pick-up che in quel momento rappresentava il mio porto sicuro. Quel giorno ero stata così sotto osservazione che volli scappare il prima possibile. Accesi la macchina che mi salutò con un rombo facendo girare diverse persone nella mia direzione e con molta attenzione uscì dal parcheggio.
Una volta al sicuro nelle mura di casa, potei ripensare alla giornata trascorsa.
 
La casa degli spartani si era rivelata essere molto diversa dalla mia vecchia scuola, non c’erano i soliti ragazzi pompati, le cheerleader stronze quanto bellissime o gente prepotente come Fred e Gabe, forse perché qui si conoscevano tutti da generazioni e a conti fatti il primo giorno di scuola non era andato male, certo non erano mancati sguardi indagatori e domande troppo curiose ma nessuno mi aveva preso in giro, anche perché nessuno sapeva nulla della mia malattia, e mi avevano accolto con calore, alcuni anche troppo. Non sembrava regnare la legge delle tre scimmie: “ Non vedo, non sento, non parlo” e quello era un buon inizio.
Così, quando Charlie mi chiese un resoconto approssimativo della giornata, non dovetti mentirgli più di tanto.
 
Il giorno dopo incredibilmente c’era ancora bel tempoesperai con tutto il cuore che così nonsifosse esaurita la dose annua di Sole per il piccolo paesino dello stato di Washington.
Dopo aver fatto colazione con Charlie, recuperai lo zaino, il giaccone e uscì. Nonostante il Sole, le temperature erano molto basse e sferzava un vento gelido che mi fece rabbrividire appena misi piede fuori dalla porta. Alzi il colletto del giubbotto, sistemai la sciarpa fin sopra il naso e corsi verso la macchina con la speranza di trovare un po’ di calore nel piccolo abitacolo.
La giornata corse lenta e tranquilla, Jessica rimase sempre al mio fianco non mancando di salutare chiunque incontrasse e cogliendo l'occasione per presentarmi: "Lei è Bella, la nuova studentessa". Mi sembrava di essere un oggetto da esposizione.
Arrivò l'ora di pranzo ed io, con Jess al seguito, mi diressi in mensa, dove trovai Angela ad aspettarmi e a stento trattenni un sospiro di sollievo. Avrei avuto un po’ di respiro dall'insistenza della bionda.
— Ciao, Bella, com’è andata la giornata?
— Abbastanza tranquilla — commentai con una rapida occhiata in direzione della mia accompagnatrice che non ci stava prestando attenzione, troppo intenta a guardarsi attorno. Angela parve cogliere l'allusione e mi sorrise comprensiva.
— Jess, i Cullen non ci sono nemmeno oggi — la avvertì Lauren che era arrivata anche lei in mensa. A quell'affermazione la ragazza sbuffò.
— Non saranno ancora tornati dalle vacanze… — azzardò Angela con un’alzata di spalle— Forza, Bella, andiamo a fare la fila. Ho una fame da lupi — Angela, come me, non sembrava molto interessata alle faccende di questi fantomatici Cullen e lasciando le due ragazze alle loro supposizioni ci mettemmo in fila per il pranzo.
— Andiamo fuori? — propose Mike che ci aveva raggiunto insieme a Tyler ed Eric.
— Sì, almeno godiamo un po’ di Sole — concordò Jessica affiancandolo con fare civettuoso sotto il mio sguardo allucinato. A malapena c'erano diciotto gradi!
Tutti si trovarono d’accordo con l'idea di Mike e si stavano dirigendo verso l'uscita quando li avvisai che sarei rimasta dentro.
— Cosa? Perché? — mi chiese Eric visibilmente dispiaciuto così come Mike e Angela. Solo Lauren e Jessica avevano un cipiglio infastidito, oltretutto mal celato.
— Per me fa troppo freddo — giustificai la mia reticenza con il problema che venendo dalla Florida per me queste erano temperature che sfioravano il gelo artico. Infondo non era una bugia…
— Anche per me è stato un problema nei primi tempi — disse apprensivo Mike.
— Beh, allora rimaniamo dentro — propose Tyler provocando le proteste di Jess e Lauren.
— No, andate pure io mangio e poi devo andare in biblioteca a recuperare dei libri — mi affrettai a controbattere vedendo le occhiate di fuoco delle due ragazze. Non volevo avere problemi già il secondo giorno e volevo essere lasciata in pace, stare sola, senza dover rispondere a mille e più domande.
— Sto io con Bella — soggiunse Angela.
— Non c’è bisogno che rinunci per me. Vai con gli altri — cercai di convincerla, non volevo che rinunciasse per me.
— Non mi sento molto bene oggi e se sto al chiuso, è meglio — così Angela ed io rimanemmo all’interno della mensa mentre le altre due e i ragazzi, dopo molte insistenze, si diressero verso il giardino.
— Devi scusare Jessica, non è una cattiva ragazza — affermò dopo che ci fummo sedute a un tavolo libero. Probabilmente non sono sfuggite nemmeno a lei le sue occhiate e quelle della sua amica.
— Lo so — concordò.
— Come sono andati questi primi due giorni? Deve essere dura ricoprire il ruolo della nuova arrivata — disse con un sorriso comprensivo. Eravamo molto simili, timide e riservate e forse lei riusciva a comprendere bene il mio disagio nello stare al centro dell’attenzione.
— Sì, spero solo che la novità passi in fretta ma per il resto non mi posso lamentare. Tutti sono stati molto gentili con me — chi per un tornaconto, come Jessica, o chi sinceramente era interessato, come Angela ma anche i ragazzi sono stati ospitali forse perché gli studenti sono pochi e ci si conosce quasi tutti.
A Jacksonville sarebbe stato impossibile, troppi studenti.
— Magari con il prossimo nuovo arrivato — azzardò ridendo.
— Oh bene allora sono a posto… se aspetto qualche nuovo studente, mi sa che sarò la nuova arrivata per molto tempo — dissi stando al suo gioco, ma quello che avevo detto probabilmente non era molto lontano dalla verità.
— Mike è arrivato quattro anni fa mentre i Cullen sono gli ultimi che si sono trasferiti e sono arrivati due anni fa… Se ti va bene tra due anni, arriverà qualcuno di nuovo — quindi secondo “tradizione” dovrei aspettare solo due anni, pensai con sarcasmo.
 
Tornata a casa, il vialetto era già occupato da una vecchia macchina e da quella della polizia.
Charlie non mi aveva detto che avremmo avuto ospiti, pensai quando parcheggiai a lato della strada.
Spensi il motore e velocemente entrai in casa, dove fui accolta da grasse risate, poggiai lo zaino per terra, appesi il cappotto e mi diressi verso il salotto.
— Ah Bells, sei arrivata. Ti ricordi di Billy e Jacob? — mi domandò Charlie appena mi vide fare il mio ingresso, con l’indice indicava l’uomo vicino al divano e il ragazzo seduto sulla poltrona vicino al camino.
— Vagamente — mormorai guardando sconcertata il vecchio indiano. Quante cose erano successe ed io non ne sapevo nulla. Billy aveva avuto un incidente che gli aveva paralizzato le gambe, ora poteva muoversi solo con la carrozzina e doveva sempre contare su qualcuno per svolgere alcune operazioni che per me erano normali.
— Jake, tu ti ricordi di Bella? — il ragazzo mi sorrise imbarazzato, doveva avere qualche anno in meno di me. Aveva lunghi capelli neri raccolti in una coda bassa, il viso aveva tratti regolari ed era caratterizzato da zigomi sporgenti, un mento un po’ arrotondato da bambino e gli occhi erano neri come la pece. Si poteva definirlo attraente.
— Certo che mi ricordo, facevamo le torte di fango insieme — esclamò mentre si alzava per stringermi la mano e così per poterlo guardare in viso dovetti alzare lo sguardo, per il mio metro e sessanta tre, Jacob appariva come un gigante.
Accennai un sorriso, non sapendo che dire. Io delle torte non mi ricordavo e nemmeno di lui, sinceramente.
— Ma tu forse non ti ricordi. Giocavi spesso con Rachel e Rebecca, le mie sorelle maggiori — aggiunse vedendomi spaesata.
— Oh sì, me le ricordo — mormorai quando un ricordo sfocato mi balenò nella mente.
— Billy è venuto a darti il benvenuto a Forks, sai è lui che mi ha venduto il pick-up.
— Allora ti devo ringraziare, è bellissimo — certo era vecchiotto ma per me era perfetto.
— Non devi ringraziarmi, Jake non vedeva l’ora che lo vendessi, vero figliolo?
— Certo! È una lumaca quell’aggeggio — si lagnò il ragazzo.
— Ehi! Non è vero! — protestai decisa a difendere l’onore del Chevy e Jacob mi guardò con sguardo scettico, di chi non credeva a una sola parola.
— Hai mai provato a superare i novanta chilometri l’ora?
— No — avevo il sospetto che il rottame, epiteto affettuoso, non sopportasse l’alta velocità ma per girare il paese andava benissimo.
— Bene, non provarci mai.
— Beh, ma il suo dovere lo fa bene, non devo partecipare a nessuna gara — ferma nella tesi che il mio Chevy andasse benissimo e che non doveva subire nessuna critica.
 
Jake e Billy si fermarono a cena e così potei svuotare il frizer da tutto il pesce che Charlie aveva pescato e così fare posto per quello nuovo. Fu una serata piacevole Jake mi parlò del suo progetto di costruire una macchina, la sua difficile ricerca dei pezzi per sistemarla e mi raccontò di La Push mentre Billy e papà parlavano dei risultati delle ultime partite come due bravi tifosi accaniti. Poco importava che tifassero per due squadre differenti.
 
— Ma sono sempre così? — chiesi divertita a Jake mentre sparecchiavamo la tavola. I nostri padri avevano iniziato una lunga discussione sul migliore giocatore della stagione e dopo un’ora non erano ancora giunti a una soluzione.
— E a volte anche peggio — sghignazzò scuotendo la testa sconsolato.
— Come mai non ti ho mai visto a scuola? — anche se aveva un anno in meno di me, la scuola era piccola. Tutti conoscevano tutti.
— Vado a La Push. Tutti quelli della tribù la frequentano, ci teniamo lontani dai musi bianchi. — e scoppiai a ridere per il tono che aveva usato.
 
Continuammo la serata ridendo e scherzando, gli raccontai anche della malattia. Non so perché lo feci, da quando ero arrivata, non lo avevo mai detto a nessuno per timore di rivivere la situazione della vecchia scuola ma Jake m’ispirava fiducia, in qualche modo sapevo che sarebbe andato tutto bene. Era facile, quasi naturale, parlare con lui, ispirava sicurezza e allegria, il sorriso, che non abbandonava mai il suo viso, era contagioso e i suoi modi un po' rozzi erano… teneri.
Alla fine della serata salutai i Black col sorriso sulle labbra e la promessa di andare a trovarlo alla riserva il prima possibile.
Ero felice poiché mi ero appena fatta un vero amico.


 

. . .





Citazioni e spiegazioni:

1. L’annuncio del Capitano è vero. Atterrati a Malta il pilota ci ha salutato così : )
 
2. Morfeo, quando inviava sogni popolati da forme umane, portava sempre con sé un mazzo di papaveri con cui, sfiorando le palpebre dei dormienti, donava loro realistiche illusioni.
 
3. Chissà quando è stato il suo turno di essere rifiutata... 
( da Twilight, pensieri di Bella)

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Capitolo 3
*** Ritorno ***


 




 



... Ritorno ...

 




Mi sedetti sul limite del bagnasciuga del Horseshoe Lake e osservai l’acqua incresparsi sotto la leggera spinta del vento e finalmente rilasciai un sospiro di sollievo. Ero solo, solo con i miei pensieri, perfettamente in pace con quello che mi circondava.

 Distrattamente presi un sassolino e lo lanciai. Rimbalzò diverse volte fino a raggiungere la sponda opposta e schiantarsi contro il tronco di un albero provocando un profondo buco su esso.

Ci avevo messo un po' troppa forza…

Sbuffando mi lasciai cadere sulla spiaggia e portai le mani dietro la testa. Lo scricchiolio dei sassolini sotto il mio peso, era il solo suono udibile. Il cielo era completamente coperto di nuvole e se fosse passato un umano, non sarebbe morto d’infarto per avermi visto brillare come un diamante.

A Forks ci sarà il Sole per i primi due giorni di scuola” aveva predetto Alice e così Elazar ci aveva invitato a godere ancora della sua ospitalità. Li vedevamo così poco che nessuno aveva obbiettato.

Il Clan Denali era composto da lui, Carmen, la sua compagna, e dalle sorelle Irina, Kate e Tanya.

Era quell’ultima il mio principale problema…

Edward ti va di venire a cacciare con me?

Il suo pensiero mi arrivò forte e chiaro, non ebbi difficoltà a riconoscerla, mi era molto familiare, così come non avevo difficoltà a riconoscere gli altri membri della mia famiglia. Era a pochi metri da me, nascosta dalla boscaglia, sentivo il suo odore e attraverso la sua mente la vedevo osservarmi. Non mi alzai né mi voltai a guardarla, continuai a guardare il cielo e studiando il lento movimento delle nuvole.

— Ti ringrazio della proposta Tanya, ma non necessito di nutrirmi ancora per qualche giorno — risposi cercando di non apparire scortese. Le volevo bene ma le sue insistenze in questi giorni si erano fatte più pressanti mettendomi sempre nella scomoda condizione di rifiutare cercando sempre di non ferirla.

I Denali erano come dei cugini, anche loro avevano abbracciato lo stile di vita di mio padre, rinunciando a cacciare umani e vivendo solo di sangue animale. In un certo senso ci faceva sentire meno mostri.

Ma non devi ridurti al limite, potresti mettere in pericolo qualcuno e poi potremmo divertirci insieme…

Pensò materializzandosi a cavalcioni su di me. Non potevo negare che fosse una bellissima visione, i capelli biondi scompigliati dal vento, gli occhi ambrati screziati da alcune tracce di nero, segno che era affamata, e le labbra rosse e provocanti inclinate in un sorriso malizioso.

Nella sua mente si susseguivano immagini in cui io ero uno dei protagonisti: noi che correvamo nella foresta, noi che nuotavamo nel lago, noi sempre più vicini, noi in situazioni molto intime.

Ricordi che si mischiavano a desideri.

C’è stato un tempo per noi. Credevo di poter trasformare in amore quell’affetto che provavo per lei. Volevo provare quel brivido, quelle emozioni così sconvolgenti che i miei fratelli provavano per le loro compagne.

La vampira come me era alla ricerca di quel bellissimo sentimento e credevamo di trovarlo l’uno nell’altra ma non fu così.

Era il 1970 ma poco più di un anno dopo, nonostante i bellissimi momenti, le risate, le confidenze, avevamo capito che non ci sarebbe stato futuro per noi. Non riuscivo a vederla come compagna della mia esistenza. Tanya avrebbe voluto continuare, darci tempo ma sapevo che era tutto vano. Lei aveva accettato passivamente e presto si era consolata con umani o altri vampiri. All’inizio per scatenare il me la mera reazione di gelosia o qualsiasi altra cosa che mi avrebbe fatto tornare sulle mie decisioni. Alla fine si era arresa.

Ancora, tuttavia, alcuni pensieri di noi due aleggiavano nella sua mente. La possibilità di una seconda occasione più proficua, credendo che c’eravamo arresi troppo presto, continua a bruciare dentro di lei. Una fiamma che aveva alimentato soprattutto negli ultimi due anni da quando eravamo tornati dalla Russia.

— Tanya, ti prego… — mormorai scostandola con delicatezza e mettendomi a sedere. Mi portai la testa tra le mani, in un gesto di protezione. Non volevo che pensasse a certe cose.

Sapeva che per me non c’erano altre possibilità, che non sarebbe cambiato nulla.

Scusa…

E potevo chiaramente percepire dai suoi pensieri che lo era davvero, ed io mi sentivo un guardone nell’entrare nel luogo dove ognuno vorrebbe stare da solo con se stesso, e mi sentivo in colpa con Tanya per spiare i suoi pensieri, ma non potevo farci nulla, non c’era nessun bottone che spegnesse quella capacità.

Solo una persona sembrava essere muta. Quella piccola umana il cui profumo mi aveva tentato ogni oltre dire la prima volta che lo percepì. Dovetti scappare per non attaccarla su quella spiaggia mentre il Sole tramontava alle mie spalle.

Non c’era nessuno, solo io e lei, sarebbe stato un gioco da ragazzi circuirla e poi morderla ma non volevo, non dopo i sacrifici fatti per vivere umanamente. Ne avevo parlato con Carlisle e solo le sue rassicurazioni mi diedero la forza di avvicinarla per scoprire perché il suo profumo mi attirava tanto. Sapevo di rischiare molto ma la curiosità era stata più forte di ogni altro tentativo di opposizione.

Ti devo proprio esasperare, vero?

Il pensiero della vampira al mio fianco mi riportò alla realtà e sorrisi.

— Non molto — mormorai cercando di essere il più diplomatico possibile. Spesso e volentieri i miei fratelli mi avevano preso in giro per la corte spietata di Tanya, scommettendo e scherzando alle mie spalle. Molte volte sono stato sul punto di sbranarli ma il pensiero delle loro “dolci metà”, che avrebbero sicuramente cercato vendetta, mi aveva fatto desistere.

Sii onesto.

— Okay, forse questa volta sei stata più insistente del solito.

Sospirò mentre si sdraiava al mio fianco.

Un tempo non mi avresti rifiutato, pensò con malinconia. Da quando sei tornato da Jacksonville, sei strano. Quando ti ho visto, ho avuto la sensazione di aver definitivamente perso con te.

— È stato molto tempo fa, Tanya — mormorai amareggiato sotto il peso dei suoi tristi pensieri, ma mi attardai a riflettere sul pensiero che aveva fatto dopo. — Che intendi dire sono strano?

— Non lo so… — rispose con la sua voce da usignolo, — eri, sei — si corresse — diverso, non so come o il perché ma lo sento.

— Io non sento nulla… — dissi perdendomi a osservare l’incresparsi dell’acqua. Aveva un non so che di calmante il ritmico e costante movimento dell’acqua.

— Oh beh, ovvio, io sono una donna. Voi uomini siete troppo ottusi su certe cose — fu la sua risposta divertita, seguita da una botta sul braccio. Rido con lei, anche se dentro di me cerco di capire le sue parole e di cercare questo fantomatico cambiamento.

— Chissà quando finalmente qualcuno arriverà a porre fine a questa nostra lunga solitudine… — mormorò anche lei con lo sguardo al lago.

Eravamo, simili dopotutto, entrambi attendevamo l’arrivo di colui o colei che avrebbe fatto battere ancora i nostri cuori morti. E dopo cento anni c’era da chiedersi se esisteva davvero la vampira per me.

“Ma ha battuto una volta, proprio quest’estate…” quella vocina inattesa e insidiosa mi colse alla sprovvista. Aveva ragione, mi era parso di sentirlo battere quel giorno sulla spiaggia mentre giungeva alle mie orecchie il mio nome pronunciato da una voce dolce ed esile.

— Allora, vado — disse alzandosi da terra e pulendosi la gonna dalla ghiaia e sabbia. I suoi pensieri erano malinconici oscurati dai miei stessi pensieri.

Un suo ultimo sguardo speranzoso che non sortì su di me l’effetto desiderato e poi scomparve in un battito di ciglia.

Più rilassato tornai a stendermi sulla ghiaia e puntai gli occhi al cielo ma non erano le nuvole quelle che stavo osservando, bensì un viso a cuore con un paio di occhi castani, come il cioccolato e le labbra piegate in un sorriso dolce.

“Che stai facendo Isabella? Perché non sei più venuta alla spiaggia? Io ti ho aspettato per due giorni, lo sai?”

 

Seduto al posto di guida della mia macchina, distrattamente accarezzavo il tubo di plastica che conteneva il piccolo acquarello che avevo custodito gelosamente per tutto il tempo che ne ero venuto in possesso.

Dopo aver lasciato Jacksonville, io e Carlisle, avevamo raggiunto gli altri a Denali e così me lo ero portato dietro.

Era da due settimane che ogni notte lo srotolavo per poter ammirare i colori luminosi e caldi di quel tramonto e ogni volta mi sembrava di essere lì, sulla spiaggia al suo fianco. Sentivo l’odore salmastro del mare, mi sembrava di percepire il vento tra i capelli, il richiamo degli uccelli e più di tutto il suo profumo, la sua voce e il suo tocco, timido e gentile.

La semplice curiosità si era trasformata in desiderio di conoscerla e di proteggerla. Appariva così fragile che persino un soffio di vento troppo forte l’avrebbe distrutta. Vi ero rimasto male quando non mantenne la sua promessa e non si presentò più alla spiaggia, se prima avevo pensato che avesse avuto un problema con la famiglia dopo compresi che forse il suo subconscio le aveva detto quello che la sua ragione non aveva capito.

Doveva stare lontana da me.

Lo stesso lo pensava Rose che dopo aver scoperto la storia dell’acquarello, aveva presto liquidato la faccenda affermando che in qualunque caso non l’avrei più rivista. Alice era quella che ci era rimasta più male, non l’aveva vista e non aveva potuto aiutarmi quando al secondo giorno in cui Bella non si era presentata e casa sua era vuota l’avevo chiamata per sapere se avesse visto qualcosa.

— Allora Edward, non ti mancherà Denali? — mi chiede Emmet sghignazzando. Dai suoi pensieri vedevo quanto lo avevano divertito i miei tentativi di fuga per evitare le imboscate di Tanya.

Probabilmente molte cose me le rinfaccerà per l'eternità.

— Piantala di infastidire Ed e vieni a darmi una mano troglodita! — la voce squillante di Alice mi risparmiò la fatica di rispondergli, anche se non sarebbe servito a nulla. Un muro mi avrebbe prestato più attenzione.

Emmet si allontanò dalla mia macchina e raggiunse Alice mentre stava uscendo dalla casa con diverse valige al seguito.

— Contento di tornare a casa? — mi chiese la voce dolce e materna di Esme che si era abbassata a livello del finestrino della Volvo, allungò una mano e dolcemente mi accarezzò i capelli. In un certo senso ero il suo figlio preferito, forse perché a differenza degli altri io non avevo nessuno con cui dividere la mia esistenza.

— Molto — era sempre bello passare del tempo con la famiglia al completo ma ora avevo bisogno di pace e soprattutto di tornare alla mia radura.

 

Noi tutti c’eravamo già congedati e stavamo aspettando il capofamiglia nelle nostre macchine.

— Grazie della tua ospitalità Eleazar, magari a Natale potete farci una visita e così festeggiare insieme — disse mio padre che si era fermato a parlare con lo zio nell’atrio. Nonostante non li vedessi, potevo sentire tutto chiaramente, grazie all’udito fine che caratterizzava la mia razza.

— Certo Carlisle. Sarà un piacere — accettò il vampiro mentre accompagnava mio padre alla porta.

Mentre Carlisle s’incamminava a passo umano verso le macchine, vidi la famiglia Denali ferma sull’uscio della porta. Erano tutti dispiaciuti per la nostra partenza.

Buona fortuna, chissà che troverai quello che cerchi, fu il pensiero di Tanya che mi guardava con un sorriso sulle labbra. Ricambiai e mi augurai che anche lei trovasse qualcuno con cui dividere l’eternità.

Tanya negli ultimi giorni aveva cercato di essere meno insistente, almeno ci provava nei fatti perché la sua mente lavorava ancora a briglia sciolta.

— Possiamo andare — annunciò Carlisle salendo sulla sua Mercedes dai vetri oscurati.

 

Partimmo alla volta di Forks e dopo meno di quattro ore mi ritrovai nel familiare bosco nebbioso che circondava la nostra casa. Deviai in una strada sterrata, che un umano avrebbe faticato a vedere a causa dei cespugli che la nascondevano, e accelerai, desideroso di rivedere casa.

Ero circondato da alberi che al loro cospetto mi facevano sentire giovane nei miei cento anni. Possono gareggiare con Carlisle, pensai mentre il bosco iniziava a diradarsi ed essere sostituito da una piccola radura che Esme, nella sua bravura, aveva trasformato in un bellissimo giardino.

La giornata stava volgendo al termine e le ombre degli alberi saettavano fino alle mura della casa, che al centro della radura svettava in tutta la sua bellezza. Sorrisi felice quando la vidi. Ero finalmente a casa.

Parcheggiai la macchina in garage, ero il primo visto che dopo le prime due ore di viaggio avevo superato gli altri sfrecciando solitario per le strade dell’Alaska. Volevo rimanere solo con i miei pensieri.

Scesi e dopo aver recuperato le mie cose, mi precipitai nella mia stanza al terzo piano, buttai la valigia per terra per poi andare alla ricerca di una cornice con cui proteggere la piccola opera d’arte che avevo custodito gelosamente in quell’ultimo mese che ero rimasto in Alaska.

Non trovai nulla e mi ero appena seduto sul divano di pelle nera e guardavo il dipinto sconsolato, quando il rumore delle ruote di due macchine che si fermavano davanti a casa, e i pensieri che le accompagnavano, mi avvisò che i miei fratelli erano arrivati.

Mancavano solo Esme e Carlisle.

I pensieri di Rose mi arrivavano forti e chiari. Era infastidita per una cosa che stavano facendo i nostri genitori mentre Alice sembrava felice, stava già pensando alla serata che la aspettava con Jasper. I miei fratelli, invece, stavano pensando a dove mettere tutti i vestiti che le loro dolci metà avevano comprato.

Mezz’ora dopo arrivarono anche gli ultimi membri della mia famiglia.

 

— Entra pure, Esme — dissi ancora prima che bussasse. I suoi pensieri l’avevano preceduta. Sapevo che aveva qualcosa per me che, secondo lei e la mia sorellina, mi avrebbe reso felice. Entrò tendendo nascoste le mani dietro la schiena, ma non sondai la sua mente per sapere cosa nascondesse.

— Edward, volevo dirti che siamo arrivati. Ci siamo fermati a Port Angeles per prenderti una cosa — e finalmente mi mostrò quello che teneva nascosto: una cornice di legno, ebano, nella metà interna, e chiaro, in quella più esterna.

— È per il dipinto. Alice ha visto che cercavi una cornice senza trovarla e così… — lasciò la frase in sospeso. Poggiai l’acquarello sul divano e mi alzai per raggiungere mia madre, le lasciai un bacio sulla guancia e la ringraziai.

— Ti piace? — trillò la voce entusiasta del piccolo folletto. Era rimasta lontana da me per non rovinare la sorpresa ma non riusciva più a contenere la sua curiosità.

— Alice, dovresti saperlo, che razza di veggente sei? — scherzai ricevendo in cambio una linguaccia e una risata sbarazzina.

— La migliore! Sono felice che ti piaccia. Ora bisogna decidere dove metterlo — borbottò e senza darmi il tempo di fare nulla prese la cornice, vi sistemò l’acquarello e senza esitazione lo appese sulla parete di fronte al divano. Certa che così l’avrei sempre avuto sott’occhio.

— Ecco fatto.

Il dipinto aveva una parete tutta per se e sembrava fatto apposta per stare nella mia stanza. Osservandolo mi sembrò di ritornare a quei giorni, potevo ancora sentire il suo profumo tentatore che m’ipnotizzava. Potevo ancora vederla mentre arrossiva ai miei complimenti o i suoi occhi accesi di luce propria mentre con gesti lenti e precisi dava forma alla sua fantasia.

— Mi spiace di non aver visto nulla — disse Alice con sguardo triste. Era così impegnata a controllare gli altri e Jasper che non aveva visto la ragazza e si dava della sciocca per quello.

— Non importa — non la incolpavo certo di ciò, non poteva vedere ogni cosa.

A quanto pare quella di Bella doveva essere una semplice parentesi. Una bella parentesi.

Allora perché il mio desiderio di tornare da lei si faceva sempre più impellente?

— Sì, ma è la prima persona a cui ti interessi seriamente da trent’anni a questa parte — insistette — Poteva essere qualcosa d’importante.

— Meglio che sia andato così. È un’umana. Vi è forse sfuggito questo dettaglio? — intervenne Rosalie mentre faceva il suo ingresso nella mia stanza. Finalmente aveva esposto quello che pensava, anche se non comprendevo tutto questo suo odio verso Bella.

Bloccai Alice, prima che desse voce ai suoi pensieri.

— Lascia perdere, Alice. Ha ragione — dovetti ammettere con amarezza. Era un’umana, troppo fragile per il mio mondo.

— Edward, non importa se è umana. Se ti può rendere felice, ne vale la pena — disse la cara Esme lasciandomi una carezza sulla guancia e uscì dalla mia camera trascinandosi dietro mia sorella. Così rimasi solo, con le ultime parole di mia madre a vorticarmi nella mente.

Se ti può rendere felice, ne vale la pena…

Alice ed Esme volevano solo vedermi felice e avrebbero accettato anche di vedermi al fianco di una donna con sei occhi, due paia di braccia e branchie al post delle orecchie se avrebbero visto che lei riusciva a rendermi felice.

 

Non era cambiato nulla nell'ultimo mese. Forks era rimasto il solito paesino monotono e tranquillo, qui non sarebbe mai successo nulla che avrebbe scosso la mia esistenza.

Affrontai il susseguirsi di curve che caratterizzavano la strada, oltrepassai il ponte sul fiume Calawah ed entrai nella vivente cittadina più piovosa d’America. Alice al mio fianco già controllava il futuro di Jasper, sempre preoccupata che il suo compagno potesse fare qualche passo falso. Jasper, anche lui cercava di raccogliere tutto il suo autocontrollo per non attaccare nessuno. Emmet pensava già alla prossima caccia, indifferente alla scuola, mentre Rose come al solito era intenta a rimirare la sua immagine nello specchio, sistemando le ciocche di capelli che uscivano dalla sua acconciatura e pregustava già il suo ingresso nella scuola e lo sguardo degli altri studenti.

Arrivammo alla Forks High School in tempo di record e subito fui travolto dall’ondata di pensieri degli studenti e professori. Centinaia e centinaia di voci, talmente noiose da passare inosservate.

— A quanto pare c'è una studentessa nuova — mormorai appena scesi dalla macchina. Alcuni pensieri confusi erano saltati alla mia attenzione. Una ragazza nuova, che veniva da qualche zona del Sud est, ma non cercai di capire chi fosse. Per me, e i miei fratelli, sarebbe stata solo un’altra umana che sarebbe stata ammaliata dal nostro aspetto e i cui pensieri sarebbero stati superficiali e noiosi come quelli di tutti gli altri.

— Chissà se gli avranno parlato di noi — disse Emmet con sguardo divertito. — Vogliamo scommettere che si scioglierà appena vedrà il nostro Edward — continuò rivolgendosi a Jasper che abbandonata la sua espressione algida sorrise sornione.

— La smettete di mettermi in mezzo — ringhiai a mezza voce per non attirare sguardi indiscreti. Sapevano che non sopportavo quelle ragazzine dominate dai propri ormoni e ancora meno i loro miseri tentativi di farsi notare.

Alice stranamente era rimasta in silenzio e quando la cercai con lo sguardo, la vidi immobile con gli occhi quasi vitrei, segno che stava avendo una visione ma quando sondai la sua mente, trovai un muro a difesa dei suoi pensieri. Feci per chiederle cosa avesse visto ma mi precedette. Con un sorriso malizioso che mi lasciò interdetto, disse: — Basta fare i bambini, la campanella suonerà — e fece una pausa teatrale, — proprio ora.

E così fu, il trillo della campana risuonò per tutto il parcheggio richiamando la massa di giovani menti all’interno dell’edificio.

 

Un altro noioso giorno era appena iniziato.







Che mi dite di questo Edward? 
Spero che non siate arrabbiate per la scelta. L'eternità da soli non è una bella prospettiva, in Tanya pensava di trovare la sua Bella... ho sempre pensato che fosse assurda la scelta della Meyer di farlo come un prete, passatemi il termine, io al suo posto avrei paura di tutto quel tempo e cercherei qualcuno per condividerlo. Spero di leggere qualche vostro parere. Vi rocordo la mia pagina di FB per tutte le informazioni che volete.




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  La ragazza dello chalet - Ultimo capitolo
« Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
« In pratica, ci sono solo due regole ».
« In pratica ».
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Commedia ] [ Capitoli: 3 ]   
[ Pubblicata: 06/01/12 ] [ Aggiornata: 01/02/12 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 7 recensioni ]
    I'm a Fool to Want You 
Ti accarezza con lo sguardo, manca così poco per toccarvi.
Lo desideri il suo tocco, lo brami.
E quasi ti senti una sciocca per volerlo.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Introspettivo ] [ Capitoli: 1 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 01/02/12 ] [ Aggiornata: 01/02/12 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 2 recensioni ]
    Tre all’improvviso - Lei, lui e… Ultimo capitolo
Quando un compito ti può cambiare la vita.
Dal capitolo 1:
« Cullen, Swan! In coppia ».
Nello stesso momento due persone, un ragazzo e una ragazza, alzarono la testa di scatto e guardarono la professoressa con occhi sbarrati, come se davanti a loro avessero il demonio in persona.
La professoressa ignara della reazione provocata, camminò tranquillamente verso la ragazza mora poggiando un bambolotto sul suo tavolo. [...]
« Per le prossime due settimane sarete i genitori di questa tenera bambina » annunciò sorridente la donna continuando poi il suo giro.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Commedia, Romantico ] [ Capitoli: 5 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 10/11/11 ] [ Aggiornata: 20/01/12 ] [ Note: AU, OOC ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 26 recensioni ]

 
    …: Fughe, scontri e biblioteche :… - Ultimo capitolo
Edward si è appena trasferito in una nuova città e durante una fuga si scontra con due occhi marroni come il cioccolato e....LEGGETE^^
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Commedia, Generale ] [ Capitoli: 15 ] [ Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 22/08/11 ] [ Aggiornata: 29/12/11 ] [ Note: AU, OOC ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 109 recensioni ]
    Buttare via tutto, e di nuovo ricominciare Ultimo capitolo
lei era il bersaglio degli scherzi di lui, lei una bimba timida e ciocciottella che vedeva in lui il suo peggiore incubo. Che succede se lei se ne va, per tornare solo otto anni dopo? è tutto come prima o per una qualche ragione nascerà qualcosa di bello?
Dal capitolo:
Lei che stava porgendo la mano si blocca come fulminata- I-Ian?- la guardo interrogativo non capendo il suo cambiamento repentino, che le è preso? 
Si schiarisce la gola - Ian…Knight?- a quanto pare le hanno già parlato di me. Sorrido strafottente.
-il solo ed unico- sbianca completamente.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Romantico ] [ Capitoli: 13 ]   
[ Pubblicata: 27/03/11 ] [ Aggiornata: 12/12/11 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 16 recensioni ]
    Voglio essere come l’araba fenice 
Voglio essere come l’araba fenice che muore e rinasce dalle sue ceneri.
Cancellare una vita che odi e ricominciare da zero ed è quello che vuole fare Liam.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Drammatico ] [ Capitoli: 1 ]   
[ Pubblicata: 30/11/11 ] [ Aggiornata: 30/11/11 ] [ Note: Missing Moments ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 4 recensioni ]
    La donna giusta - Ultimo capitolo
Ancora prima di formulare un pensiero, il mio corpo scatta e il cervello da ordine ai piedi di muoversi e con l'ombrello copro la sua esile figura. Il suo profumo mi colpisce come un pugno in faccia, mi beo di quel momento.
Il mio corpo freme di desiderio, ne vuole di più, sempre di più, desidera un contatto più profondo, desidera prenderla e portarla in un posto solo per noi, dove lei é solo mia, dove io sono solo suo, dove lei suona solo per me.
- bisogno di aiuto signorina? - dico con voce resa roca dal turbinio di emozioni che sono in atto dentro di me.
Passione. Desiderio. Bramosia. Dolcezza. Tenerezza. Senso di protezione. Possesso. Devozione.
I suoi occhi, blu come un cielo d'estate, incatenano i miei e non posso impedire alla mia mente di ritornare al primo giorno che la vidi.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Rosso ] [ Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale ] [ Capitoli: 6 ]   
[ Pubblicata: 11/05/11 ] [ Aggiornata: 04/11/11 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 12 recensioni ]
    La promessa di una bestia - Ultimo capitolo
Extra dalla mia storia "Beastly". Daniel è un vampiro da molti secoli condannato a una vita di tenebre contro la sua volontà. E' una bestia. Tutto cambia quando, lungo il suo cammino incontra Isabel, giovane matricola della Dartmouth.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale ] [ Capitoli: 2 ]   
[ Pubblicata: 14/08/11 ] [ Aggiornata: 07/10/11 ] [ Note: Missing Moments ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri ] [ Leggi le 4 recensioni ]
    Isabella and the half-vampire - Ultimo capitolo
Bella è una normale ragazza che vive a Forks da sola e un giorno d'estate scopre che il mondo in cui è vissuta fino ad ora era solo una piccola parte di quello che è realmente...
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Commedia, Romantico ] [ Capitoli: 2 ] [ Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 01/09/11 ] [ Aggiornata: 11/09/11 ] [ Note: AU, What if? ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 9 recensioni ]
    In barca a vela controvento 
- ONE SHOT DELL'ESTATE -
Un viaggio in solitaria che porterà una ragazza alla scoperta di un mondo che neanche immaginava. Quello che pensava fosse solo una favola per bambini è in realtà un mondo nascosto, ai più. Un'avventura che la porterà a conoscere qualcuno che le mostrerà questo misterioso nuovo mondo.
Dalla storia:
Giocherellai con la piccola collana che portavo al collo. Era molto semplice, fatta con frammenti di corallo rosso da cui pendeva una metà di conchiglia, simile al nautilus, ma più piccola, e al centro una bellissima perla. Non so com’era possibile, ma questa cambiava colore in continuazione, col tempo avevo associato la cosa all’influenza dell’umore, come quegli anelli che vedono lungo le spiagge o nei negozi di souvenir. Ogni volta che provavo forti emozioni, il suo colore cambiava.
Come ne ero venuta in possesso? Beh, questa è una bella storia.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Avventura, Fantasy, Romantico ] [ Capitoli: 1 ]   
[ Pubblicata: 19/08/11 ] [ Aggiornata: 19/08/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale ] [ Leggi le 1 recensioni ]
    La mia piccola fifona 
- Oddio!oddio! Edward ho paura - mormorai avvinghiandomi al braccio del mio ragazzo.
Mi aveva convinto a entrare in quell’edificio che sembrava aver scritto a caratteri cubitali “abbandonate ogni speranza voi che entrate” ma che il mio adorato ragazzo, a quanto pare, non aveva visto. Dovrò suggerirgli una visita dall’oculista mi appuntai mentalmente una volta che saremmo usciti da quell’inferno.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Commedia ] [ Capitoli: 1 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 02/07/11 ] [ Aggiornata: 02/07/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 3 recensioni ]
    Beastly - Ultimo capitolo
Ispirato alla Bella e la Bestia.... Isabel sta per partire per l'università dove farà nuove conoscenze, nuove amicizie e qualcosa di più.... ma non tutto è come sembra.
Dal capitolo:
Isabel s’imbarcò sull’aereo con sentimenti contrastanti. 
Gioia, per l’inizio di una nuova esperienza. Tristezza, per dover salutare suo padre e i luoghi dove era cresciuta e che l’avevano fatta sentire al sicuro. Timore, perché aveva come il presentimento che qualcosa sarebbe successo e che questo le avrebbe sconvolto l’esistenza, in bene o in male ancora non lo sapeva.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Mistero, Romantico ] [ Capitoli: 4 ]   
[ Pubblicata: 05/06/11 ] [ Aggiornata: 08/06/11 ] [ Note: Nessuna ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri ] [ Leggi le 5 recensioni ]
    Red Fairytale - Ultimo capitolo
C’era una volta una bambina tanto vivace quanto sbadata, correva sempre anche per andare da una stanza all’altra, i genitori non sapevano come farla stare ferma soprattutto perché aveva la tendenza a sbattere contro oggetti fermi e inciampare sui suoi stessi piedini ed erano preoccupati che potesse farsi molto male, ma la amavano tanto e quando la vedevano a terra a piangere per l’ennesima caduta la rassicuravano e le davano un bacino sulla bua per fargliela passare e la piccolina rassicurata tornava felice a saltellare per la casa o il giardino mentre i genitori amorevoli, aspettavano la successiva caduta.
In un girono di fine giugno correva nei campi col suo fratellone, quando….
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Generale ] [ Capitoli: 3 ] [ Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 30/04/11 ] [ Aggiornata: 03/05/11 ] [ Note: Nessuna ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 16 recensioni ]

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Capitolo 4
*** Incontro ***


Eccomi con il capitolo che tutte attendevate. I Cullen tornano a scuola e chissà se Bella incontrerà il famoso Edwrd Cullen....
Non mi dilungo troppo, volgio solo dire Grazie 1000 alle spupende sette ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite e ricordate.
Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina 
FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

 



... Incontro ...

 

 

Terzo giorno ed ero già in ritardo, tutto perché il pick-up non ne voleva sapere di partire.

 

Parcheggiai nel primo posto libero, vicino all'uscita, e corsi, cercando di non inciampare sui miei stessi piedi, verso l’ingresso della scuola.

 

C'era una nuova macchina, una Volvo grigia metallizzata. Non m’intendevo di macchine ma quella era il sogno di mia madre e me ne aveva parlato cosi tanto che conoscevo ogni sua caratteristica.

 

La notai subito perché era in forte contrasto con il resto delle macchine degli altri studenti - compresa la mia - che al confronto sembravano tanti rottami e davano l’idea di essere finiti in una discarica.

 

La Volvo, invece, era tirata a lucido, come appena uscita dal concessionario.

 

— In tempo — soffiai, fermandomi davanti all’aula di spagnolo, appena risuonò l’ultimo rintocco della campanella.

 

Fortunatamente non ero l'unica ritardataria, altri dei miei compagni entrarono con me, tra di loro una ragazza bassina e dallo sguardo allegro che mi salutò con la mano. La guardai interdetta mentre ricambiavo il saluto e cercando di ricordare il suo nome anche se ero sicura di non averla mia vista.

 

Sbuffai mentre mi sistemai al mio banco. Quel giorno il Sole non c'era, le nuvole ricoprivano tutto il cielo, nemmeno uno spicchio di azzurro faceva capolino tra quella coltre di nuvole grigie.

 

 Chissà quando rivedrò il Sole...

 

 

 

 

Alla terza ora, avevo lezione di letteratura, la mia compagna di banco era Jessica ma ancora non si era vista. Probabilmente era stata trattenuta dal professore, pensai, e mentalmente lo ringraziai per avermi risparmiato dalla sua parlantina, ma quando la vidi entrare con sguardo sognante dovetti scartare quell'ipotesi. Mi salutò entusiasta e si accomodò al mio fianco. Ricambiai il saluto e riportai la mia attenzione al libro che stavo leggendo.

 

— Non mi chiedi perché sono felice? — esordì, dopo avermi scoccato diverse occhiate storte. Si vedeva che fremeva per raccontare a qualcuno quello che le era successo ma a me non interessava. Il problema era che sarebbe stata capace di andare avanti in eterno.

 

— Perché sei felice? — gli chiesi per farla contenta, sperando che in quel modo soddisfatta la sua voglia, mi avrebbe lasciato in pace. I suoi occhi si accesero di eccitazione e saltellò sulla sedia girandosi completamente verso di me.

 

— Ho incontrato Edward Cullen — confessò come se fosse il più grande scoop del secolo. Come al solito, il mio cuore perse in battito quando Jessica pronunciò il suo nome — mi ha sorriso e mi ha salutato augurandomi buona giornata! — la guardai stranita non capendo perché fosse così incredibile il fatto.

 

— Che fortuna… — esclamai cercando di metterci più entusiasmo possibile ma a quanto pareva non ero stata molto brava. Jessica mi guardò in tralice e indispettita volse lo sguardo verso il professore che aveva appena fatto il suo ingresso in aula.

 

Dovevo essere onesta, se mi avesse salutato l’Edward che ho conosciuto a Jacksonville, anche io sarei messa come lei. Lui con quel bellissimo sorriso, quegli occhi luminosi come oro fuso. Mi sarei letteralmente sciolta.

 

Scossi la testa come a scacciare quel pensiero e mi concentrai sulla lezione.

 

 

 

 

L’ora trascorse velocemente sotto la raffica d’informazioni che il professore ci faceva appuntare e la mia mano gioì al suono salvifico della campanella. Così anche il mio stomaco, che brontolava per avere attenzione.

 

Fuori dall’aula trovammo ad attenderci il resto della truppa: Mike, Tyler ed Eric che sorridenti si proposero di accompagnarci a mensa. La cosa aveva lusingato molto Jessica che subito aveva approfittato di Mike, anche se questo non aveva tolto lo sguardo da me. Tirai un sospiro di sollievo ma durò poco perché subito fui affiancata dagli altri due.

 

Ero proprio il giocattolo nuovo…

 

 

 

 

Ci mettemmo in fila con i nostri vassoi, io ero dietro ad Angela, che avevamo trovato all’ingresso della mensa insieme a Ben, e parlavamo del compito di civica quando una voce ben conosciuta interruppe la nostra discussione, chiamandomi. Era impossibile che fosse proprio la sua.

 

— Bella?

 

Ancora. Iniziai a pensare di essere diventata pazza se già a diciotto anni sentivo delle voci nella mente. Da quando Jessica mi aveva detto dell’arrivo di quel fantomatico Edward Cullen, il suo omonimo di Jacksonville non abbandonava la mia mente.

 

 Scossi la testa per scacciare quel formicolio che si era impossessato del mio corpo e continua a guardare la mia amica che invece guardava tra il sorpreso e l’incuriosita qualcosa alle mie spalle.

 

— Bella, Sei tu? — per la terza volta quella voce melodiosa mi chiamò. Mi girai e quello che mi ritrovai di fronte mi lasciò senza fiato. Avevo anche le allucinazioni!

 

— Ciao, Edward — al suono della voce civettuola di Jessica sbattei ripetutamente le palpebre. Non era un’allucinazione, lui era li, era vero. Ma Edward non la ascoltava, guardava me forse, anzi sicuramente, con la mia stessa espressione stupita. Quante possibilità c’erano di ritrovarlo in quella scuola?

 

— Cullen — salutò sgarbato Mike. Cullen? Era lui il fantomatico Edward Cullen? Il mio Edward e Edward Cullen erano la stessa persona?

 

— Non sapevo che conoscessi Bella — continuò con voce stizzita e uno sguardo di fuoco, non era difficile intuire quello che pensasse, lo vedeva come una minaccia. Cosa ridicola visto che a quanto detto dalle mie compagne lui aveva rifiutato ragazze più belle di me.

 

— Edward — mormorai con un filo di voce. Ancora stentavo a credere che fosse davanti a me, ma era davvero lui, il suo profumo era inconfondibile ed era meglio di quello che ricordassi.

 

Inevitabilmente mi aprì in un sorriso estatico, che lui contraccambiò mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.

 

— Che ci fai tu qui? — chiedemmo in coro per poi scoppiare in una leggera risata. Tutti ci guardavano straniti, come se fosse assurdo che Edward Cullen rivolgesse la parola a qualcuno.

 

— Mi sono trasferita da mio padre. Finirò il liceo qui a Forks.

 

— Emh… Bella, dovremmo andare a sederci — Jessica ruppe il nostro momento intervenendo con la sua voce, che in quel momento mi risultò molto fastidiosa. Quando la guardai, potevo chiaramente vedere l’invidia bruciare dentro i suoi occhi. Era infastidita dalla nostra complicità.

 

— Ti va di farmi compagnia? — intervenne Edward lasciando la mia amica, ma soprattutto me, di stucco.

 

— I... Io non so, se... — farfugliai guardando Jessica. Volevo andare con tutta me stessa e, per quanto non mi dispiacesse lasciare Jess, non volevo apparire come un ingrata a quelli che in quei due giorni erano stati molto gentili con me.

 

— Vai pure Bella e non preoccuparti, ci vediamo dopo a lezione — intervenne Angela sospingendo gli altri verso il primo tavolo libero. Le sorrisi grata, aveva capito il mio dilemma e mi aveva aiutato senza fare troppe domande.

 

— Prima le signore — disse Edward cedendomi il passo.

 

— Tu non mangi? — gli chiesi vedendo che non aveva preso nessun vassoio.

 

— Oh sì, aspetta un momento — e si allontanò per recuperare del cibo. Si muoveva agilmente tra la massa di ragazzi ed era impossibile non notarlo con quel suo portamento signorile. Spiccava su tutto ed era chiaro il motivo per cui le ragazze lo guardavano con occhi sognanti mentre i ragazzi gli lanciavano occhiate di fuoco, più che giustificate. Chi li guarderebbe con un Adone simile in circolazione?

 

Ma lui era il ragazzo che non guardava nessuna, che stava in compagnia dei fratelli e snobbava le ragazze che gli correvano dietro.

 

Era chiaro che non avevo nessuna speranza.

 

Lo vidi bloccarsi a metà strada per avvicinarsi a un gruppo appena entrato. Due ragazzi e due ragazze che, come Edward, sembravano usciti da una rivista di moda: bellissimi, perfetti, superiori.

 

 Tutti avevano occhi ambrati e una carnagione molto pallida. Si attardò solo per pochi minuti, in cui lo sguardo dei suoi fratelli saettò nel mio. Il gigante, che se non ricordavo male si chiamava Emmet, pareva divertito, la ragazza più piccola dai capelli corvini era la stessa che quella mattina mi aveva salutato, e doveva trattarsi di Alice, sembrava entusiasta e per nulla stupita, mentre gli altri due mi guardavano una con sufficienza e l’altro preoccupato. Dovevano essere Rosalie e Jasper.

 

 

— Allora dove vuoi sederti — mi chiese una volta tornato al mio fianco.

 

— Erano i tuoi fratelli? — dissi con un’altra domanda. Lui annuì.

 

— Sì, ma non preoccuparti non ci disturberanno.

 

— Cosa? No, se devi mangiare con loro… non ci sono problemi — ma Edward mi bloccò con una scollata di spalle.

 

— Avranno la possibilità di parlare in santa pace — giustifica. — Cose di coppie.

 

— Oh… Okay. Beh, ti va bene quello laggiù? — e indicai un tavolo ancora vuoto dall’altra parte della sala.

 

— È perfetto — acconsentì e come prima mi fece segno di precederlo. Un perfetto gentiluomo.

 

— Tua sorella mi ha salutato questa mattina — dico mentre mi siedo. Edward mi guardò stupito.

 

— Rosalie? — domandò incredulo.

 

— No, l’altra, quella bassa. Alice, se ricordo bene.

 

— Ti ricordi i loro nomi? — mi chiese sempre più sorpreso. Io arrossì e chinai il capo iniziando a giocare con il cibo.

 

— Beh sì, sono abbastanza strani per i nostri giorni, sembrano più nomi da nonni. Senza offesa — mi affetto a dire certa di averlo offeso. Nel dirlo alzai lo sguardo ma nel suo non vidi nessun segno di risentimento, al contrario pareva molto divertito.

 

— Nessuna offesa, è vero — disse ridacchiando. — Gli ho parlato di te e lei deve averti riconosciuta dalla descrizione che le ho fatto — sbattei le palpebre diverse volte, come aveva fatto la sorella a riconoscermi da una semplice descrizione? Ma soprattutto: lui aveva palato di me ai suoi parenti? La cosa mi lusingava e imbarazzava allo stesso tempo ed ero sicura di essere arrossita. — Quindi sei all’ultimo anno?

 

Gli fui grata di aver cambiato discorso togliendomi dall’imbarazzo di rispondere.

 

— Sì. Finalmente la tortura sta finendo. Pensavi fossi più piccola?

 

— Mi sembravi più giovane, anche se sei di certo più matura di quelle della tua età — disse guardandomi con sguardo disarmante. Il mio cuore andava al galoppo mentre le mie guancie stavano già bruciando dall’imbarazzo.

 

— Mamma dice che quando sono nata avevo già trentacinque anni — gli rilevai ridacchiando della battuta che mi faceva spesso Reneé. Lui si unì alla mia risata per poi ricominciare con le sue domande. Come a Jacksonville, non mi davano fastidio, erano dettate sì dalla curiosità ma non quella morbosa e con il semplice scopo di spettegolare.

 

Era sinceramente interessato.

 

— Se tuo padre è di Forks. Perché non ti ho mai visto in questi due anni? — chiese con rammarico, come se gli dispiacesse non avermi conosciuto prima.

 

— Era da tre anni che non tornavo qui — avevo smesso di venire perché il tempo quasi lugubre di quel paese non mi piaceva e per quanto non potevo stare sotto il Sole e abbronzarmi, avevo sempre voluto avere un qualche tipo di contatto con esso.

 

— Come mai non sei venuta a vivere da tuo padre prima? Insomma, con la porfiria non avresti avuto molti problemi.

 

Inevitabilmente m’irrigidì e con disinvoltura mi guardai attorno, nessuno aveva sentito quello che aveva detto Edward. Eravamo in un posto appartato e il tono della sua voce era stato basso , bisognava essere vicini per sentirlo.

 

Sorrisi più rilassata.

 

Perché non mi ero trasferita da mio padre prima? Anche Claudia me lo aveva chiesto spesso e anche se era un controsenso per una come me, le davo sempre la stessa risposta.

 

— Amo il Sole e odio tutto quello che è umido, freddo e bagnato — Edward si esibì in un sorriso strano che non seppi decifrare. — Può sembrare un paradosso per una come me, ma ho sempre sognato di stare sotto il Sole, sentire il calore sulla pelle, socchiudere gli occhi mentre cerci di guardarlo anche se sai che è impossibile. È risaputo che quando non puoi avere una cosa t’intestardisci per ottenerla.

 

— Ti posso capire — mi rispose con tono amaro mentre lo sguardo si perse verso ricordi a me sconosciuti. Poco dopo tornò a osservarmi tra il curioso e il preoccupato.

 

 — Se non sono indiscreto, posso chiederti che fine avevi fatto? Perché non sei venuta alla spiaggia? — sembrava risentito, come se davvero gli fosse dispiaciuto che io non mi fossi presentata e una parte di me esultò a quella prospettiva.

 

Che potevo dirgli? La verità era esclusa. Non volevo più ripensare a quello che era successo, ero stata così male e ancora non riuscivo a capire come quei due avessero potuto spingersi tanto in là con le loro azioni.

 

Quel giorno sul terrazzo avevo rischiato molto non volevo pensare a cosa sarebbe successo se fossi rimasta sotto quel sole cocente per un'altra ora. Così inventai una scusa, sperando di riuscire a recitare bene la mia parte senza farmi scoprire.

 

— Scusa, ma non sono stata bene, nulla di grave comunque — riassunsi senza entrare nei particolari. Il suo volto si rabbuiò.

 

— Ma non eri in casa — disse, come se mi avesse scoperto mentire. Aggrottai le sopracciglia interdetta dalla sua frase. Come faceva a saperlo? Non poteva essere che…

 

— Sei venuto a casa mia per caso? — chiesi tra lo stupito e il lusingato, voleva dire che si era preoccupato. Edward fece una buffissima smorfia e si passò la mano tra i capelli scompigliandoli ancora di più.

 

— Beh, mi ero preoccupato e pensavo ti fosse successo qualcosa — disse con un sorriso disarmante, ero sicura che a quella confessione le mie gote si fossero tinte di un rosso scarlatto ma ero felice che le mie supposizioni fossero vere.

 

— Ero in Ospedale. Per questo non ero in casa — il trucco di una buona bugia, secondo Claudia, era dire un po' di verità e un po’ di menzogna ma soprattutto di non entrare troppo nei dettagli. Erano difficili da ricordare e potevano creare confusione.

 

— Cosa! Come fai a dire nulla di grave se sei stata ricoverata! — disse con occhi spalancati dalla preoccupazione.

 

— No, era solo per dei controlli. Normale routine — dissi cercando di calmarlo. In fondo una mezza verità non ha mai ucciso nessuno.

 

— E che cosa hai avuto? — Sembrava seriamente spaventato all’idea che io potessi stare davvero male.

 

— Niente di che, ho mangiato qualcosa di avariato e i miei si sono agitati più del dovuto e mi hanno tenuto in ospedale per tre gironi — dissi scrollando le spalle. Non volevo che Edward sapesse dell’aggressione di Fred e Gabe. Non mi aveva guardato con compassione quando gli avevo detto della malattia e so che, se gli dicessi la verità, non avrebbe pietà di me ma in ogni caso non cambierebbe nulla e servirebbe solo a farlo stare male per nulla.

 

— E invece tu non hai detto molte cose — dissi per cambiare discorso, non ero brava a mentire e se fossimo andati avanti per quella strada mi avrebbe scoperta.

 

Edward mi guardò disorientato e anche un po' impaurito, additai quella reazione a possibili segreti che non voleva fossero diffusi. Una ragazza segreta, un piccolo furto, anche se da come si vestiva non aveva problemi di soldi - certo non avrei mai pesato a quello che avrei scoperto qualche tempo dopo -, così continuai chinandomi verso di lui con un sorriso sornione e dissi: — tipo che sei lo scapolo d’oro della Forks High School.

 

Lui mi fissò per qualche secondo, senza dire o fare nulla, poi scoppiò a ridere.

 

Una risata cristallina e melodica. Poteva diventare la mia musica preferita.

 

Era bello come reclinava la testa, mostrando il collo magro e lungo scosso dal riso, ed era bello anche come si grattava la fronte e scuoteva la testa divertito. Non lo avevo visto per più di un mese ma quello che mi aveva fatto provare quei pochi giorni era marchiato a fuoco dentro di me e il ritrovarmelo inaspettatamente come compagno di scuola aveva fatto tornare tutto a galla.

 

Basta Bella con queste fantasticherie! Puoi ambire solo al ruolo di amica con uno come lui!

 

— Addirittura? — disse dopo essersi dato un contegno.

 

— Beh, i discorsi nei bagni e le occhiatacce delle ragazze attorno a noi sono molto eloquenti — affermai scrutando la sala. Intercettai lo sguardo sbigottito di Jessica, Lauren che era lo stesso delle altre. Lui m’imitò e sogghignò nel vederle distogliere lo sguardo come scottate.

 

— Beh, ma anche tu non sei da meno — disse scrutando, questa volta con volto severo, la sala — hai molti spasimanti.

 

— Io? — era impossibile, nella vecchia scuola ero isolata da tutti e quelli che mi rivolgevano la parola era solo per accattivarsi Claudia o per aiuto nei compiti. — Direi che ti sei preso un abbaglio — dissi divertita.

 

Certo Mike aveva mostrato un certo interesse, così come Tyler ed Eric, ma era solo perché ero nuova, nessuno mi conosceva e passata la novità si sarebbero stancati. Nel caso ci avrebbe pensato il mio carattere chiuso e introverso a farli scappare.

 

— No, non credo. Sono molto bravo a leggere le persone — affermò lui sicuro di quello che diceva.

 

— A sì? Anche me? — e mentalmente pregai in tutte le lingue che non fosse così perché altrimenti si alzerebbe e mi lascerebbe sola come un’allocca mentre lui raggiungeva i suoi fratelli e magari si sarebbe messo a ridere dell’ennesima ragazzina che si era presa una cotta per lui.

 

Edward fece un sorriso strano, quello che avevo definito “sghembo”, che come ogni volta fece aumentare le mie palpitazioni.

 

— Tu sei difficile da leggere — ammise dopo alcuni minuti di silenzio.

 

— Strano, mia madre dice che sono un libro aperto — e tutte le volte che mi aveva beccato a mentirle ne erano una prova tangibile. Edward fece ancora il suo sorriso sghembo.

 

— Beh, le madri conoscono tutto dei loro figli… ma i tuoi dipinti mi aiutano a capirti — e subito pensai al dipinto che mi ero portata dietro e che raffigurava un viso d'angelo. Avrebbe letto tutti i miei sentimenti dietro ogni pennellata che avevo tracciato e ogni sfumatura?

 

Imbarazzata, chinai il capo e mangiucchiai qualcosa dal piatto. Solo quando ero certa di aver ripreso un colorito almeno accettabile rialzai  il capo.

 

— Bene, allora chissà che penserai di me... — dissi ridacchiando. Se ne diceva di ogni sui pittori e artisti in generale.

 

— Che sei una persona introversa ma luminosa, che non vuole sempre farsi vedere forte e che mette gli altri al primo posto — lo avevo ascoltato a bocca aperta.

 

— E hai scoperto tutto questo dal dipinto che ti ho regalato?

 

— E dalle nostre chiacchierate. Poche ma molto rivelatrici. — disse con una scintilla gioiosa negli occhi.

 

— Che lezione hai ora? — mi chiese di punto in bianco. E solo dopo essermi guardata attorno notai che la sala si stava svuotando.

 

La campanella aveva suonato ed io non me ne ero accorta.

 

— Emh… — mi chinai a recuperare dallo zaino il mio orario e quando mi rialzai sobbalzai stupida della sua vicinanza. Si era chinato in avanti con le braccia incrociate sotto il petto e poggiate sul tavolo, mostravano i suoi muscoli tesi e gonfi. Non avevo mai notato quanto fosse robusto e pensai che dovesse essere uno di quegli appassionati della palestra. Non lo avrei mai detto…

 

Edward interpretò male il mio gesto e rabbuiandosi si allontanò con una profusione di scuse.

 

— No, è solo che non eri così vicino prima e mi hai colto alla sprovvista. Comunque ho biologia con Banner — dissi dopo un’occhiata al foglio.

 

— Anch’io — esclamò con ritrovato entusiasmo. Prese il mio vassoio e lo portò agli scaffali.

 

Io lo seguì come un cagnolino e insieme ci incamminammo verso la nostra lezione.

 

 

 

 

— Bene, Signor Cullen, si accomodi vicino alla Signorina Swan. È nuova e lei è un ottimo studente. Le potrà essere di aiuto.

 

Felice di poter passare altro tempo con lui mi accomodai al mio banco e questa volta il posto vuoto al mio fianco, venne occupato da un bellissimo ragazzo dagli occhi ambrati.

 

Una volta che tutti gli studenti ebbero preso posto, il professore attirò la nostra attenzione con un battito di mani.

 

— Bene ragazzi oggi metteremo in pratica quello di cui abbiamo discusso l’altro giorno. Forse un lavoro pratico vi permetterà di comprendere meglio il fantastico mondo della mitosi. 

 

 

In coppie dovemmo classificare i cinque vetrini che documentavano le diverse fasi della mitosi disponendoli poi nel giusto ordine. Edward prese il microscopio e sistemato il primo vetrino, disse:

 

 — Prima le donne, collega? — accettai e dopo una veloce occhiata avevo già individuato la fase.

 

— Profase — sentenziai sicura, avevo già fatto un esperimento simile e l’uso delle radici di cipolla facilitava il compito.

 

— Posso? — chiese allungando la mano sulla mia che stava già togliendo il primo vetrino. La sua pelle era fredda, non me ne stupì, era proprio come l’altra volta.

 

Potevo capire il suo scetticismo ma avevo già stampato in faccia un sorriso di sfida.

 

— Accomodati — e preso il microscopio, diede anche lui una rapida occhiata prima di confermare la mia ipotesi.

 

— Come avevo detto — gongolai porgendogli il secondo vetrino. Lui sorrise, divertito dalla mia reazione e, senza aggiungere altro, lo sostituì. Andammo avanti così per tutto il tempo dell’esperimento. Io dicevo e lui controllava e viceversa, nessuno dei due aveva mai sbagliato. Oltre che molto bello era anche molto intelligente. 

 

— Signor Cullen, perché non hai lasciato usare il microscopio anche alla Signorina Swan? — gli chiese il professore una volta che ebbe controllato il nostro lavoro.

 

— È stata lei a identificarne tre su cinque — disse con uno sguardo orgoglioso. Il Signor Banner mi guardò sorpreso.

 

— Ha già fatto prima questo esperimento?

 

— Sì, ma con embrioni di coregone.

 

— Frequentava il corso avanzato? — mi chiese sinceramente sorpreso.

 

— Sì.

 

— Bene, allora credo che voi lavorerete bene insieme — e si congedò per controllare i lavori degli altri, lo vidi fermarsi davanti al tavolo di Mike che velocemente nascose il libro sedendoci sopra.

 

— Newton, Callagar ma ascoltavate quando ho spiegato? Non ne avete azzeccata una! — Mike e l’altro ragazzo si guardavano imbarazzati e cercavano di farfugliare qualche scusa plausibile.

 

— Beh… — e tornai a guardare il mio compagno — direi che abbiamo fatto un ottimo lavoro, collega.

 

— Già, a quanto pare non sono l’unico secchione nella classe.

 

 

 

 

Purtroppo l’ora passò troppo velocemente e con la promessa di rivederci il giorno dopo a pranzo ci salutammo, ognuno diretto alla propria lezione. Edward voleva accompagnarmi ma l’arrivo del fratello biondo, che aveva il potere di mettermi in soggezione lo obbligò a cambiare i suoi piani.

 

 Guardai l’orario per controllare la mia lezione, era nell’edificio quattro. Sbuffai, mi aspettava una lunga lezione di matematica, e quello che era peggio, era che avevo come compagne Jessica e Lauren.

 

Sicuramente mi salteranno addosso, vorranno sapere in che rapporti sono con Edward, pensai, o mi uccideranno direttamente. Sul giornale di domani Charlie potrebbe leggere “Omicidio alla Forks High School, povera studentessa uccisa da due sue compagne di classe per un ragazzo”. Avrei rovinato un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità.

 

Ma tutto era passato in secondo piano e, mentre camminavo verso la mia lezione, ripensavo a quanto ero stata fortunata a ritrovare Edward. Sembrava tutto un sogno, un bellissimo sogno, tanto che mi diedi un pizzicotto sul braccio, che mi fece urlare dal dolore. Decisamente non era frutto della mia immaginazione e decisamente avevo appena fatto una figuraccia visto che tutti gli studenti che erano nel corridoio mi guardavano stralunati. Accennai un sorriso e a passo di carica, con la testa china sui miei piedi che in quel momento mi parvero davvero interessanti, raggiunsi l’aula.

 

Con mio sommo piacere nessuna delle due ragazze era ancora arrivata, così mi sistemai in un posto vicino alla cattedra, in modo da evitare loro eventuali attacchi durante la lezione. Fortunatamente i professori incutevano un certo timore, soprattutto la professoressa Withe che poteva gareggiare con un generale delle SS.

 

Mi ero appena sistemata quando due furie entrarono dalla porta. Jessica e Lauren erano arrivate di corsa, si erano spintonate per riuscire a superare l’altra, e ora avevano il fiato corto. Gli occhi di Jessica fiammeggiarono appena entrai nel suo campo visivo, mentre quelli di Lauren si assottigliarono, diventando due fessure. Deglutì a vuoto.

 

Quelle due facevano molta paura.

 

— Hai dimenticato di dirci qualcosa? — indagò Jessica appena preso posto al mio fianco.

 

— Già, come mai non ci hai detto che conoscevi Edward? — incalzò l’altra.

 

— Non c’è molto da dire… — dissi con nonchalance prendendo il libro, aprendolo alla pagina della lezione del giorno, e si formò una smorfia sul mio viso nel leggere quello che avremmo fatto.

 

Le funzioni proprio non le potevo digerite.

 

— Non ha mai rivolto la parola a nessuno, arrivi tu e ti parla come se fossi una vecchia amica — intervenne acida la bionda. Gelose, erano davvero gelose.

 

— Sentite l’ho incontrato quest’estate e abbiamo parlato un po’. Niente di speciale — spiegai cercando di nascondere il mio fastidio per il loro atteggiamento.

 

— Sì, ma perché non ci hai detto che lo conoscevi quando te ne abbiamo parlato? — inveì Lauren. Io chiusi gli occhi cercando di mantenere la calma.

 

Che cosa volevano queste? Le conoscevo da due giorni e pretendevano che le trattassi come le mie amiche del cuore e che gli raccontassi vita, morte e miracoli.

 

— Non sapevo che erano la stessa persona, okay? Quando l’ho visto in mensa, sono rimasta stupita anch’io — piacevolmente stupita, aggiungerei…

 

— Signorina Swan, vorrei iniziare la lezione se ha finito di parlare con la Signorina Stanley — intervenne la voce autoritaria della professoressa Withe interrompendo la nostra discussione. Sprofondai nella sedia mentre farfuglio delle scuse e diventavo rossa dall’imbarazzo.

 

Odiavo la matematica.

 

 

 

 

Una volta a casa mi tornò in mente la discussione fatta a pranzo con Edward. Volevo dimenticare quello spiacevole episodio ma ancora non potevo, non finché Fred e Gabe non si sarebbero presi le loro responsabilità. Purtroppo il processo non aveva portato a nulla, le loro famiglie potevano permettersi i migliori avvocati della Florida e contro di loro il nostro avvocato d’ufficio non poté nulla. Adesso Charlie ed io, aspettavamo la telefonata di Reneé e Phyl che mi avrebbe catapultato di nuovo in quell’incubo, forse, sperai, per l’ultima volta.

 

 

 

 

Il giorno dopo mi alzai col sorriso sulle labbra.

 

Quando entrai in cucina trovai Charlie già seduto al tavolo intento a sorseggiare una tazza di caffè e appena si accorse della mia presenza alzò un sopracciglio.

 

— Bells, come mai così felice oggi? Nemmeno quando c’è stato il sole eri così elettrizzata — al capo Swan non poteva certo passare inosservato il mio stato d’animo.

 

— Niente di che, questa mattina mi sono svegliata così — dissi con un’alzata di spalle. Fortunatamente non insistette oltre, non era un padre apprensivo, l’importante per lui era che non bevessi e che non mi drogassi.

 

Recuperai i cereali, riempì la tazza di latte e mischiati tutto, appena finito, abbandonai le stoviglie nel lavandino e mi fiondai fuori da casa. La sciarpa a coprirmi fin sopra il naso e il cappello di lana schiacciato sulla testa tanto che avevo lasciato libero solo una piccola striscia per gli occhi. Ci avrei messo un po' di tempo per adattarmi al clima polare di Forks.

 

Quando arrivai a scuola, il parcheggio era quasi pieno, a quanto pareva quel giorno molta gente aveva deciso di essere mattiniera. Parcheggia il pick-up tra una vecchia Toyota e una quasi nuova Jeep, spensi la macchina, tirai il freno a mano, recuperai lo zaino dal sedile del passeggero e quando mi girai per aprire la portiera cacciai un urlo che fece girare un gruppetto di ragazzi poco distante.

 

— Ciao Bellina! Hai dormito bene questa notte? — mi salutò come se ci conoscessimo da una vita.

 

Un ragazzo, o meglio armadio vista la stazza, che non seppi subito riconoscere spuntò dal finestrino. Aveva folti riccioli neri che gli ricadevano morbidi sulla fronte, un paio di occhi ambrati venati da alcune striature nere e un enorme sorriso allegro a deformargli labbra. Portai una mano al petto nell’inutile tentativo di fermare la cavalcata del mio cuore.

 

— Emmet, sei uno stupido. L’hai spaventata! — lo richiamò una voce che ben conoscevo. Edward fece capolino a fianco di quello del fratello. Stranamente, anche erano entrambi adottati, avevano la stessa strana sfumatura degli occhi.

 

— Scusalo, Bella, ma da piccolo deve essere caduto dalla culla e ha subito danni irreparabili.

 

 Sghignazzai alla sua battuta che fu seguita da un leggero spintone, anche se tanto leggero non era, da parte dell’energumeno.

 

— Buon giorno, Edward, Emmet — li salutai e guardano il fratello maggiore continuai: — e sì, ho dormito particolarmente bene questa notte.

 

Quella notte, come del resto quella prima e molte altre precedenti, era stata tranquilla e in certi attimi di dormiveglia mi sembrava che qualcuno vegliasse su di me. Mamma mi diceva sempre che ognuno di noi ha un angelo custode e mai come in quell’ultimo mese le sue parole mi erano sembrate così veritiere.  

 

Con il senno di poi, probabilmente non avrei usato proprio quelle parole.

 

— Chissà perché… — sghignazzò come risposta, senza che sia riuscita a capire l’allusione. Poi un suono strano si diffuse nell’aria, sembrava una specie di ringhio sommesso.

 

— Lo avete sentito? — chiesi ai due fratelli guardandomi in giro, cercando di capire da dove fosse arrivato.

 

— Cosa? — mi chiese Edward interrogativo. Emmet invece continuava a sghignazzare divertito per qualcosa.

 

— Questo! Sembra un animale — esclamai dopo che lo sentì una seconda volta e questa volta Emmet, si piegò in due per le risate.

 

— Lascialo perdere, Bella, mio fratello è irrecuperabile e comunque io non ho sentito nulla — rispose dubbioso il rosso. Iniziai a credere che tutto fosse frutto della mia mente e forse era meglio lasciar perdere, prima che pensasse di aver a che fare con una pazza.

 

— Forza vieni, ti voglio presentare gli altri.

 

Preceduti da Emmet, che ancora ridacchiava, ci dirigemmo verso la Volvo argentata dove ci attendevano gli ultimi fratelli Cullen, Rose guardava il fidanzato con un cipiglio di disappunto. Alice, al contrario, saltellava sui piedi e sorrideva felice a noi, facendo spuntare, di riflesso un sorriso sul mio viso.

 

Era tenera.

 

A fianco del folletto, stava un ragazzo che sembrava più un universitario che un liceale. Aveva una chioma leonina bionda e sul viso un’espressione imperscrutabile, non capivo se gli facesse piacere o se volesse trovarsi da tutt’altra parte. Jasper, lo stesso che aveva recuperato Edward dopo biologia.

 

— Ciao a tutti — dissi imbarazzata. Mi sentivo una nullità in mezzo a tutte queste bellezze da calendario.

 

— Bella! Che bello conoscerti. Lui è Jasper, il mio fidanzato — disse alludendo al biondino al suo fianco — ma già lo sai. Lei invece è Rose, non farti intimidire dal suo caratteraccio, solo Emmet riesce ad addolcirla — sussurrò l’ultima frase nel mio orecchio ma i sorrisetti divertiti dei ragazzi Cullen e lo sguardo di fuoco della bionda verso la sorella mi dicevano che avevano sentito. Si allontanò e tornando al suo tono squillante si presentò — Io sono Alice. Vedrai che diventeremo ottime amiche. Comunque dobbiamo muoverci o rischiamo di essere interrogate dalla signora Montes — e senza lasciarmi tempo di dire e fare nulla mi prese sotto braccio sospingendomi verso la scuola. Mi stupì di quanto la sua pelle fosse fredda, così come quella del fratello.

 

Per il resto della mattina non incontrai nessun Cullen, tranne Edward che con mio sommo stupore me lo ritrovavo a ogni fine lezione, attirandomi gli sguardi di tutti gli studenti, soprattutto ragazze.

 

— Tutto bene? — mi chiese mentre ci incamminavamo verso la mensa.

 

— No, sì… no, — affermai in fine decisa prima di stringermi nelle spalle in un gesto d’indifferenza — insomma non è nulla.

 

Edward mi guarda divertito, gli occhi scintillano di allegria e le labbra erano piegate nel suo sorriso sghembo.

 

— Forza, che cosa succede? Non sei brava a mentire.

 

Sbuffai distogliendo lo sguardo facendolo vagare per la mensa che avevamo appena raggiunto. Non era affollata ma già alcuni studenti erano in fila con un vassoio in mano. Non volevo dirgli che mi davano fastidio le occhiate che mi lanciavano gli altri, perché avrebbe potuto pensare che la sua presenza mi infastidisse, cosa assurda tra l’altro poiché non potevo desiderare di meglio, ma tutti quegli occhi puntati addosso erano così insistenti che mi mettevano a disagio.

 

— È per quello che dicono su di me? Ti metto in imbarazzo con gli altri?

 

— Sì… — ma subito mi diedi della stupida vedendo il suo sguardo rattristato — cioè non volevo dire che tu mi metti in imbarazzo…

 

— Non preoccuparti Bella, se non mi vuoi attorno, basta dirlo. Non t’infastidirò più — e quando fece per allontanarsi fui presa dal panico e gli afferrai la mano. Non volevo che se ne andasse, non aveva capito niente. 

 

— No, Edward per favore a me piace che m’importuni… cioè… non pensare male… voglio dire che mi piace passare del tempo con te — alla mia rassicurazione sorrise felice e riprese posto al mio fianco. — è che tutti ci guardano come fenomeni da baraccone e la cosa mi mette in soggezione, ecco. Mi sembra di essere nel Grande Fratello.

 

— È colpa mia, non parlo con nessuno se non i miei fratelli e il fatto che passi del tempo con te stupisce un po' tutti — azzeccò al primo colpo.

 

— Neanche fossi una qualche famosa star di Hollywood — borbottai guardando di sottecchi alcuni ragazzi che spudoratamente mi osservavano.

 

Avevo notato che nonostante Edward fosse un bellissimo ragazzo nessuno posava il suo sguardo su di lui per più di qualche secondo, come se temessero di essere accecati da una qualche luce abbagliante. Il loro atteggiamento mi ricordava le lezioni di catechismo in cui la catechista ci raccontava di come gli ebrei non guardavano mai in viso Mosè dopo che questi scendeva dal Monte Sinai.

 

— Comunque non ti devi scusare, è solo che non mi piace stare al centro dell’attenzione. Nella mia vecchia scuola non voleva mai dire nulla di buono.

 

Inaspettatamente sentì ancora lo stesso suono della mattina ma non ci feci caso, mi ero convinta che fosse tutto nella mia testa.

 

Ripenso a tutti gli scherzi e battutine dette a mezza voce atte al solo scopo di divertirsi alle mie spalle per questo ero sempre nell’ombra, cercavo di essere invisibile e si erano rivelati inutili tutti i tentativi di Claudia di farmi uscire allo scoperto.

 

— Ora sei qui e non permetterò a nessuno di offenderti — giurò con voce ferma e in quel momento mi sembrò tanto un cavaliere dall’armatura scintillante venuto in soccorso della bella, si fa per dire nel mio caso, principessa.

 

Dopo quella promessa Edward recuperò un vassoio riempiendolo di cibo: pizza, patatine, frutta, acqua,…

 

— Edward ma mangi tutta quella roba? — gli chiesi dopo che recuperò l’ennesimo piatto.

 

— Certo che no, c’è anche per te.

 

Senza permettermi di protestare andò alla cassa ed estrasse il suo portafoglio per pagare, si rifiutò di accettare la mia parte era più che deciso a offrirmi il pranzo per festeggiare il nostro incontro. Quando fui sicura che non mi guardasse alzai la mano con cui lo avevo bloccato e la osservai. Come la prima volta, che lo toccai a Jacksonville, mi era parso di essere attraversata da una scarica elettrica.

 

 

 

 

— Ti fidi di me? — mi chiese quando uscimmo dalla mensa. Ci stavamo dirigendo verso l’aula di biologia per l’ultima ora quando Edward mi prese per mano e mi fece deviare verso il parcheggio. Cadeva una leggera pioggerellina, impalpabile ma nel rigo di poco mi ritrovai con il giaccone completamente bagnato, come i capelli.

 

— Perché me lo chiedi? Ma comunque stiamo sbagliando strada, biologia è dall’altra parte — dissi guardando alle mie spalle la massa di studenti che si dirigeva nelle diverse aule.

 

— Non si risponde a una domanda con un’altra domanda — disse fermandosi in mezzo al parcheggio. Lo vidi spalancare gli occhi e poi sollevò le mani per alzarmi il cappuccio in modo da non bagnarmi. Nel farlo scostò una ciocca dei miei capelli, sistemandola dietro l’orecchio e nel ritrarre la mano sfiorò la mia guancia in una leggera carezza. La sua pelle era fredda come il ghiaccio, ma era ghiaccio bollente mentre sfiorava la mia pelle. Quel semplice gesto mi svuotò completamente la mente, mi sembrava di galleggiare.

 

— Allora ti fidi? — era in trepidante attesa come se per lui fosse di vitale importanza la mia risposta.

 

— Sì — sussurrai ancora stordita dalle sensazioni provate. Ma era vero, ci conoscevamo da nemmeno una settimana ma sapevo di poter contare sempre su di lui. Era un qualcosa di inconscio.

 

— Allora credimi quando ti dico che a volte fa bene saltare le lezioni — e con un sorriso abbagliante azzittì ogni mia protesta. A volte sembrava ammaliare le persone, o almeno non me ci riusciva spesso.

 

Velocemente raggiunse la sua macchina e come un vero gentiluomo mi aprì la portiera del passeggero, mi lasciò entrare, la richiuse, e facendo il giro della macchina si accomodò al posto di guida. Il tutto eseguito con movimenti fluidi ed eleganti.

 

— Adesso mi dici perché abbiamo saltato biologia? — dissi appena chiuse la portiera. Se dovevo infrangere le regole, volevo almeno sapere il motivo.

 

— Test per scoprire il nostro gruppo sanguigno. Alice l’ha fatto ieri, anche lei non ama molto la vista del sangue — e mi lanciò un’occhiata divertita, che non riuscì a decifrare, sembrava esserci molto di più dietro quelle parole.

 

— Allora farò una statua a tua sorella — dissi grata per aver evitato di fare la figura di svenire in mezzo alla classe. Edward scoppiò a ridere.

 

— Meglio non dirglielo, potrebbe esaltarsi troppo e allora non la fermerebbe più nessuno.

 

La sua ipotesi non era del tutto da scartare, da quel poco che avevo potuto costatare quello che mi aveva raccontato si era rivelato veritiero.

 

— E grazie anche a te per esserti ricordato che sto male alla vista del sangue — aggiunsi sinceramente stupita che si ricordasse questo piccolo particolare.

 

— Io ricordo tutto — si pavoneggiò, ma il suo viso assunse un cipiglio preoccupato quando un fremito più forte degli altri mi scosse il corpo e mi chiese: — senti freddo?

 

— Un po' — ammisi. Eravamo a ottobre e le temperature erano decisamente precipitate. Sbuffai ripensando che a Jacksonville la gente andava ancora in giro con i pantaloncini e magliette a maniche corte.

 

Accese la macchina e mise il riscaldamento al massimo. Edward a differenza di me sembrava non soffrire il freddo, così come i suoi fratelli, non lo avevo mai visto tremare per il freddo o cercare di riscaldarsi, strofinandosi le braccia con le mani, come spesso facevo io per trovare un po' di calore. Sembravano essere nel loro ambiente naturale e anche in quel momento Edward con i capelli completamente bagnati e anche il maglione, visto che non si era chiuso la giacca, non tremava o mostrava altri segni del freddo.

 

Dopo pochi secondi che Edward ebbe acceso la macchina, partì una musica a me molto familiare.

 

— Debussy? — chiesi stupita che un ragazzo del ventunesimo secolo conoscesse la musica classica.

 

— Conosci Clare de Lune? — mi chiese imitando il mio tono.

 

— È una delle mie preferite.

 

— Anche delle mie — e si aprì in un sorriso angelico che fece prima fermare il mio cuore e poi farlo battere come se fosse un cavallo al galoppo. Pensai che sarei morta d’infarto a soli diciotto anni se mi avesse fatto un altro di quei sorrisi.

 

— Qual è il tuo colore preferito? — Mi chiese di punto in bianco.

 

— Come?

 

— Quale colore ti piace? — ripeté senza perdere il suo entusiasmo.

 

— Perché me lo chiedi?

 

— Voglio sapere quello che ti piace o non ti piace, qual è il tuo piatto preferito, la tua musica preferita,… Tutto.

 

E mi chiese proprio tutto: il mio colore preferito, la musica che ascoltavo, i libri che leggevo, addirittura la mia pietra preferita! E quando suonò la campanella del cambio dell’ora, si premurò di avvisarmi che il suo interrogatorio non era ancora finito. Ero da una parte atterrita per quello che avrebbe potuto chiedermi, dall’altra ero felice, perché voleva dire passare più tempo insieme e anch’io avrei potuto chiedergli qualcosa di più per riempire i buchi che avevo sulla sua persona.

 

 Come tutti i Cullen, confessava lo stretto necessario e non si sbilanciava mai.


 

.   .   .



Citazioni e spiegazioni: 

1. Discorso tra Edward e professore ricalca quello di Twilight.
 
2. Avrei rovinato un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità.”
(Twilght, Edward dopo averla salvata dai balordi a Port Angeles)
 
3. Mamma dice che quando sono nata avevo già trentacinque anni
(Twilght, Bella quando parla con Edward)
 
4. “Tu sei difficile da leggere” ammise dopo alcuni minuti di silenzio.
“Strano, mia madre dice che sono un libro aperto”
(Twilght, Edward e Bella)
 
5. Mosè doveva portare un velo perché la luce che emanava il suo viso avrebbe accecato le persone normali.




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Edward si è appena trasferito in una nuova città e durante una fuga si scontra con due occhi marroni come il cioccolato e....LEGGETE^^
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Commedia, Generale ] [ Capitoli: 16 ] [ Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 22/08/11 ] [ Aggiornata: 09/03/12 ] [ Note: AU, OOC ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 113 recensioni ]

    La ragazza dello chalet - Ultimo capitolo
« Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
« In pratica, ci sono solo due regole ».
« In pratica ».
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Commedia ] [ Capitoli: 4 ]   
[ Pubblicata: 06/01/12 ] [ Aggiornata: 26/02/12 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 13 recensioni ]

    I'm a Fool to Want You 
Ti accarezza con lo sguardo, manca così poco per toccarvi.
Lo desideri il suo tocco, lo brami.
E quasi ti senti una sciocca per volerlo.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Introspettivo ] [ Capitoli: 1 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 01/02/12 ] [ Aggiornata: 01/02/12 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 2 recensioni ]

    Tre all’improvviso - Lei, lui e… Ultimo capitolo
Quando un compito ti può cambiare la vita.
Dal capitolo 1:
« Cullen, Swan! In coppia ».
Nello stesso momento due persone, un ragazzo e una ragazza, alzarono la testa di scatto e guardarono la professoressa con occhi sbarrati, come se davanti a loro avessero il demonio in persona.
La professoressa ignara della reazione provocata, camminò tranquillamente verso la ragazza mora poggiando un bambolotto sul suo tavolo. [...]
« Per le prossime due settimane sarete i genitori di questa tenera bambina » annunciò sorridente la donna continuando poi il suo giro.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Commedia, Romantico ] [ Capitoli: 5 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 10/11/11 ] [ Aggiornata: 20/01/12 ] [ Note: AU, OOC ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 27 recensioni ]

    Buttare via tutto, e di nuovo ricominciare Ultimo capitolo
lei era il bersaglio degli scherzi di lui, lei una bimba timida e ciocciottella che vedeva in lui il suo peggiore incubo. Che succede se lei se ne va, per tornare solo otto anni dopo? è tutto come prima o per una qualche ragione nascerà qualcosa di bello?
Dal capitolo:
Lei che stava porgendo la mano si blocca come fulminata- I-Ian?- la guardo interrogativo non capendo il suo cambiamento repentino, che le è preso? 
Si schiarisce la gola - Ian…Knight?- a quanto pare le hanno già parlato di me. Sorrido strafottente.
-il solo ed unico- sbianca completamente.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Romantico ] [ Capitoli: 13 ]   
[ Pubblicata: 27/03/11 ] [ Aggiornata: 12/12/11 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 16 recensioni ]

    Voglio essere come l’araba fenice 
Voglio essere come l’araba fenice che muore e rinasce dalle sue ceneri.
Cancellare una vita che odi e ricominciare da zero ed è quello che vuole fare Liam.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Drammatico ] [ Capitoli: 1 ]   
[ Pubblicata: 30/11/11 ] [ Aggiornata: 30/11/11 ] [ Note: Missing Moments ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 4 recensioni ]

    La donna giusta - Ultimo capitolo
Ancora prima di formulare un pensiero, il mio corpo scatta e il cervello da ordine ai piedi di muoversi e con l'ombrello copro la sua esile figura. Il suo profumo mi colpisce come un pugno in faccia, mi beo di quel momento.
Il mio corpo freme di desiderio, ne vuole di più, sempre di più, desidera un contatto più profondo, desidera prenderla e portarla in un posto solo per noi, dove lei é solo mia, dove io sono solo suo, dove lei suona solo per me.
- bisogno di aiuto signorina? - dico con voce resa roca dal turbinio di emozioni che sono in atto dentro di me.
Passione. Desiderio. Bramosia. Dolcezza. Tenerezza. Senso di protezione. Possesso. Devozione.
I suoi occhi, blu come un cielo d'estate, incatenano i miei e non posso impedire alla mia mente di ritornare al primo giorno che la vidi.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Rosso ] [ Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale ] [ Capitoli: 6 ]   
[ Pubblicata: 11/05/11 ] [ Aggiornata: 04/11/11 ] [ Note: Nessuna ] [ In corso ]
[ Categoria: Storie originali > Romantico ] [ Leggi le 12 recensioni ]

    La promessa di una bestia - Ultimo capitolo
Extra dalla mia storia "Beastly". Daniel è un vampiro da molti secoli condannato a una vita di tenebre contro la sua volontà. E' una bestia. Tutto cambia quando, lungo il suo cammino incontra Isabel, giovane matricola della Dartmouth.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Giallo ] [ Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale ] [ Capitoli: 2 ]   
[ Pubblicata: 14/08/11 ] [ Aggiornata: 07/10/11 ] [ Note: Missing Moments ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri ] [ Leggi le 4 recensioni ]

    Isabella and the half-vampire - Ultimo capitolo
Bella è una normale ragazza che vive a Forks da sola e un giorno d'estate scopre che il mondo in cui è vissuta fino ad ora era solo una piccola parte di quello che è realmente...
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Commedia, Romantico ] [ Capitoli: 2 ] [ Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 01/09/11 ] [ Aggiornata: 11/09/11 ] [ Note: AU, What if? ] [ In corso ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 9 recensioni ]

    In barca a vela controvento 
- ONE SHOT DELL'ESTATE -
Un viaggio in solitaria che porterà una ragazza alla scoperta di un mondo che neanche immaginava. Quello che pensava fosse solo una favola per bambini è in realtà un mondo nascosto, ai più. Un'avventura che la porterà a conoscere qualcuno che le mostrerà questo misterioso nuovo mondo.
Dalla storia:
Giocherellai con la piccola collana che portavo al collo. Era molto semplice, fatta con frammenti di corallo rosso da cui pendeva una metà di conchiglia, simile al nautilus, ma più piccola, e al centro una bellissima perla. Non so com’era possibile, ma questa cambiava colore in continuazione, col tempo avevo associato la cosa all’influenza dell’umore, come quegli anelli che vedono lungo le spiagge o nei negozi di souvenir. Ogni volta che provavo forti emozioni, il suo colore cambiava.
Come ne ero venuta in possesso? Beh, questa è una bella storia.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Avventura, Fantasy, Romantico ] [ Capitoli: 1 ]   
[ Pubblicata: 19/08/11 ] [ Aggiornata: 19/08/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale ] [ Leggi le 1 recensioni ]

    La mia piccola fifona 
- Oddio!oddio! Edward ho paura - mormorai avvinghiandomi al braccio del mio ragazzo.
Mi aveva convinto a entrare in quell’edificio che sembrava aver scritto a caratteri cubitali “abbandonate ogni speranza voi che entrate” ma che il mio adorato ragazzo, a quanto pare, non aveva visto. Dovrò suggerirgli una visita dall’oculista mi appuntai mentalmente una volta che saremmo usciti da quell’inferno.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Commedia ] [ Capitoli: 1 ] [ Personaggi: Bella/Edward ] 
[ Pubblicata: 02/07/11 ] [ Aggiornata: 02/07/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 3 recensioni ]

    Beastly - Ultimo capitolo
Ispirato alla Bella e la Bestia.... Isabel sta per partire per l'università dove farà nuove conoscenze, nuove amicizie e qualcosa di più.... ma non tutto è come sembra.
Dal capitolo:
Isabel s’imbarcò sull’aereo con sentimenti contrastanti. 
Gioia, per l’inizio di una nuova esperienza. Tristezza, per dover salutare suo padre e i luoghi dove era cresciuta e che l’avevano fatta sentire al sicuro. Timore, perché aveva come il presentimento che qualcosa sarebbe successo e che questo le avrebbe sconvolto l’esistenza, in bene o in male ancora non lo sapeva.
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Arancione ] [ Genere: Mistero, Romantico ] [ Capitoli: 4 ]   
[ Pubblicata: 05/06/11 ] [ Aggiornata: 08/06/11 ] [ Note: Nessuna ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri ] [ Leggi le 5 recensioni ]

    Red Fairytale - Ultimo capitolo
C’era una volta una bambina tanto vivace quanto sbadata, correva sempre anche per andare da una stanza all’altra, i genitori non sapevano come farla stare ferma soprattutto perché aveva la tendenza a sbattere contro oggetti fermi e inciampare sui suoi stessi piedini ed erano preoccupati che potesse farsi molto male, ma la amavano tanto e quando la vedevano a terra a piangere per l’ennesima caduta la rassicuravano e le davano un bacino sulla bua per fargliela passare e la piccolina rassicurata tornava felice a saltellare per la casa o il giardino mentre i genitori amorevoli, aspettavano la successiva caduta.
In un girono di fine giugno correva nei campi col suo fratellone, quando….
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Generale ] [ Capitoli: 3 ] [ Personaggi: Bella/Edward, Un po' tutti ] 
[ Pubblicata: 30/04/11 ] [ Aggiornata: 03/05/11 ] [ Note: Nessuna ] [ Completa ]
[ Categoria: Libri > Twilight ] [ Contesto: Nessun libro/film ] [ Leggi le 16 recensioni ]


Chi l'ha vista? 
“Ennesima tragedia! " così ha esordito questa mattina Emilio Fede al TG4.
Non vuole essere offensiva o altro è solo una cavolata scritta dopo aver visto "una notte al museo 2" dove i doppiatori italiani hanno modificato alcune battute
[ Autore: sayuri_88 ] [ Rating: Verde ] [ Genere: Demenziale ] [ Capitoli: 1 ]   
[ Pubblicata: 24/04/11 ] [ Aggiornata: 24/04/11 ] [ Note: One-shot ] [ Completa ]
[ Categoria: Storie originali > Comico ] [ Leggi le 4 recensioni ]

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Capitolo 5
*** Jacksonville ***



Eccomi qui! Meno di un mese e sono arrivata con il capitolo! Sarò breve, ringrazio le ragazze che hanno messo tra le seguite preferite e ricordate la storia ma soprattutto quelle che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie 1000!!!
Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina 
FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

 




... Jacksonville ...


Passò un mese, in cui Edward ed io approfondimmo la nostra reciproca conoscenza e scoprì che non poteva esserci ragazzo migliore di lui.

Insomma aveva tutto: entusiasmo, carisma, simpatia, era intelligente, acuto, furbo, comprensivo e sapeva anche suonare il pianoforte, un grande punto a suo favore visto che avevo sempre desiderato imparare a suonarlo ma non ne avevo mai avuto occasione.

C’erano volte in cui mi chiedevo se avesse qualche difetto.

Così, quella che pensavo fosse solo una semplice infatuazione, conseguente effetto delle attenzioni che mi aveva riservato a Jacksonville, si era trasformata in amore. Amore, era una grossa parola ma era quello che sentivo, come facevo a esserne certa non lo sapevo. Di che prove si ha bisogno per dire di amare qualcuno? Io lo sapevo e basta, non c’erano ragioni precise.

Ero irrimediabilmente e incondizionatamente innamorata di Edward Cullen.

Come aveva predetto Alice eravamo diventate ottime amiche e non aveva perso occasione di rifarmi il guardaroba già durante il weekend della prima settimana. Si era presentata alle nove di mattina a casa mia e mi aveva letteralmente buttato giù dal letto dicendomi di prepararmi che lei, Jasper e Edward mi aspettavano in macchina.

In fondo non era stata una brutta giornata, certo in quel momento pensavo tutto il contrario con i piedi doloranti e le braccia che mi dolevano, ma mi ero divertita ad Alice mi aveva dato numerosi consigli. Volevo almeno essere carina e non sfigurare a fianco di Edward, sapevo che era una cosa sciocca e da ragazzine, e mi sentivo anche un po' ipocrita, visto che criticavo le ragazze di quel genere ed in quel momento mi stavo comportando come una di loro.

Certo, non c’era stato nessun drastico cambiamento  nel mio guardaroba, solo piccoli accorgimenti qua e la e maggiore attenzione nella scelta dei dettagli.

Avevo anche conosciuto i coniugi Cullen, due persone fantastiche e gentilissime. Esme era una donna meravigliosa, in certi aspetti mi ricordava mia madre, e Carlisle non era da meno, sempre un sorriso gentile per tutti e disponibile ad aiutare due studenti in un noioso ripasso di storia. Certe volte, raccontava alcuni avvenimenti, soprattutto dal seicento in poi, con tale entusiasmo e coinvolgimento che sembrava li avesse vissuti in prima persona.

In quel mese, ero anche riuscita a recarmi spesso a La Push da Jake e avevo conosciuto i suoi amici Quil ed Embry due ragazzi allegri e molto simpatici. La nostra amicizia si era molto rafforzata e spesso avevo tentato di convincere Edward a venire con me ma ogni volta aveva qualcosa da fare: una commissione o quando lo convincevo, lo chiamavano al telefono per qualcosa che era successo a casa. Davvero strano.

 

Dovettero passare due settimane prima che succedesse qualcosa di strano.

Era un mercoledì e avevo finito in poco meno di un’ora i miei compiti e prima del ritorno di Charlie ne sarebbero dovute passare altre tre, così, spinta dalla curiosità, decisi di avventurai nel bosco dietro casa. Dal mio arrivo, non avevo ancora visto nulla se non la casa dei Cullen, il ristorante preferito di papà e la scuola.

Dietro casa nostra c’era un piccolo sentiero che serpeggiava tra gli alberi, era ben definito e anche per qualcuno come me, che non era molto pratica di traking, non avrebbe costituito un problema. Era tutto in pianura e in ogni caso non mi sarei allontanata di molto.

All’interno del bosco tutti i suoni sembravano annullarsi, era come trovarsi in un mondo parallelo, nemmeno gli uccelli cinguettavano. C’era solo in rumore del vento che scompigliava le fronde degli alberi. Camminai per non so quanto tempo e alla fine mi trovai davanti a un albero caduto, sembrava una panca naturale. Completamente ricoperta di muschio che le dava un aspetto fiabesco. Era morbido, umido e freddo. Come tutto il resto.

 Nella mia mente si delineò un immagine sullo stile dei pittori dei “Preraffaelliti” come Rossetti e Millais.

Una ragazza addormentata sul tronco, con abiti medievali, e vicino una figura maschile, il principe, che chino sulla figura della ragazza stava per risvegliarla dal suo sonno con un bacio. L’idea mi piaceva e, poiché Forks non offriva una vasta varietà di soggetti, sarebbe stata una bella distrazione.

Mi sedetti e curiosa mi guardai attorno.

Forse avrei scoperto qualcosa, pensai mentre m’immaginavo come una novella Indiana Jones avventurami nel profondo di una foresta misteriosa. Purtroppo ero a Forks.

Non succedeva mai nulla nella vecchia e nuvolosa Forks.

 

Verde, verde, marrone, verde, marrone, rosso. Spalancai gli occhi e di scatto mi misi in piedi. Due scie rosse erano sfrecciate a poche centinaia di metri da dove mi trovavo. Che cos’erano? Mi chiesi per poi dedurre che fosse stato solo un gioco della mia immaginazione che si era stancata del solito verde e marrone.

Comunque il fenomeno mi aveva incuriosito, e così mi avvicinai furtiva, anche se dubitavo di trovarci qualcosa. Arrivata al punto in cui quelle luci erano sfrecciate, non trovai nulla, solo tanto verde e tanto marrone.

Mi girai per tornare sul sentiero, la nebbia stava scendendo e sarebbe stato meglio per me tornare indietro prima di perdermi nel bosco.

Ero tornata sul percorso quando un ruggito, non troppo lontano da me, mi fece piegare a terra con gli occhi chiusi per la paura. L’eco si spense lentamente e il bosco ripiombò in un silenzio innaturale e agghiacciante. Il cuore batteva a un ritmo incalzante nella mia cassa toracica, tanto che il suono arrivava fino alle mie orecchie.

Passarono pochi secondi e vi fu un secondo ruggito, diverso dal primo, più rabbioso. Pensai che dovesse esserci qualche animale selvatico e in quel caso era meglio per me tornare il più in fretta possibile in casa ma quando mi girai verso la direzione di casa, vidi tra il fogliame un paio di occhi rossi, iniettati di follia che mi fissavano come nel mio sogno.

Non c'era pietà in essi e tremai come una foglia sotto il peso di quella furia selvaggia. Ero tesa come una corda di violino e la paura, la tensione, erano così pressanti che la mia mente si rinchiuse in se stessa estraniandosi dal mondo per cercare salvezza nell'incoscienza.

 

Qualcosa di freddo e duro sfiorò la mia fronte, come se qualcuno mi avesse appena dato un bacio. Poi un tocco leggero, più soffice di una piuma, mi sfiorò le guance, le palpebre e le labbra. Un sussurro indistinto.

Era piacevole e rilassante.

Scese poi verso il collo, sfiorando la clavicola, tremai e non seppi se per il freddo o per il piacere che mi procurava. Essa si ritrasse come scottata negandomi quel piacere inatteso ma gradito.

Come un lampo, tutto tornò a galla e quando riaprì gli occhi, mi alzai di scatto e nel farlo scivolai sull'umido muschio che copriva il tronco dell'albero su cui ero sdraiata.

A fatica mi rialzai e ripulì i pantaloni dal terriccio e dalle foglie, infine strofinai le mani sul giubbotto per asciugarle, alcuni graffi che mi ero procurata sulle mani bruciarono e lasciarono una leggera striscia rossa.

Mi guardai attorno per capire cosa fosse successo, l'ultima cosa che ricordavo era che mi trovavo a pochi metri dal tronco da cui ero caduta e che avevo sentito un ruggito agghiacciante, subito dopo un paio di occhi rossi e... E poi il buio.

Che era successo e come avevo fatto a tornare sull’albero?

L'unica soluzione era che mi ero addormentata e tutto quello che avevo creduto di vedere era solo l'ennesimo sogno, anche se un angolo remoto della mia mente mi diceva che c’era un fondo di verità in quello che era successo.

Tirai comunque un sospiro di sollievo e tornai a casa, con ancora un senso di disagio a scuotermi dentro, chiusi a chiave la porta d’ingresso, facendo scattare anche il chiavistello, e mi lascia scivolare a terra.

Le mani e il ginocchio destro mi dolevano per la caduta e leggeri graffi che mi ero procurata sui tronchi, qualcuna era ancora leggermente rossa, ma con un disinfettante tutto sarebbe andato a posto.

Ripensai a quei ruggiti, dovevano appartenere a due animali di grandi dimensioni, e il secondo doveva essere molto ma molto arrabbiato. Mia madre, certamente, avrebbe voluto sapere che animali fossero per controllare sul suo libro dei sogni se erano di buono o cattivo auspicio.

 

Usando i piedi mi liberai delle scarpe che rotolarono poco distanti da me e rimasi appoggiata alla porta con le gambe distese sul pavimento fino a che il battito del mio cuore e il respiro non tornarono sotto la soglia della normalità. Era stato un sogno che aveva le sfumature di un incubo e che mi aveva lasciato quella sensazione di paura anche dopo essermi risvegliata.

Era irrazionale, sapevo che non era reale ma il mio subconscio non era d’accordo, come quando avevo sognato di prendere una effe in matematica e alla mattina avevo il terrore di  dire a mia madre di quel pessimo risultato.

Erano le quattro e trenta quando mi trincerai in cucina e vi rimasi fino all’arrivo di mio padre.

Mi cimentai in una ricetta che richiedesse del tempo e che aiutasse a distrarmi. Recuperai il libro di ricette di nonna Swan e incominciai.

Preparai il ragù, e mentre questo cuoceva a fiamma bassa, mi diedi da fare con la besciamella, infine preparai la pasta fresca per le lasagne e i gesti, ormai meccanici, di impastare, girare e di tirare l’impasto ebbero il merito di svuotarmi la mente da ogni pensiero e sogno strano. Cucinare aveva sempre quell’effetto su di me.

Unì il tutto e le misi in forno facendo partire il timer.

Lavai, asciugai e sistemai gli utensili usati per cucinare e poi diedi una ripulita alla cucina che alla fine del lavoro assomigliava più a un campo di battaglia.

Il timer suonò proprio quando posai l’ultima posata sul tavolo e nemmeno mezz’ora dopo, Charlie varcò la porta di casa bagnato come un pulcino.

— Le lasagne di nonna Swan? — la voce di Charlie mi fece sobbalzare, tanto che sbadata com’ero, mi scottai un dito con il tegame bollente.

— Tutto bene? — mi chiese preoccupato mio padre

— Sì, non preoccuparti. Sai che sono sbadata — cercai di giustificarmi. Papà prese la mia mano tra le sue e analizzò la scottatura. Era rossa e pulsava. Senza mollare la presa aprì l’acqua fredda del lavandino e vi mise sotto il dito offeso. Il freddo ebbe l’effetto di appianare il dolore e non avrei fatto altro se non fosse per l’insistenza di mio padre.

— Tamponalo anche con dell’olio di oliva. Per sicurezza — aggiunse con tono supplichevole dopo aver visto il mio sguardo scettico.  Non era certo una scottatura tanto grave.

— E questi segni? — chiede additando i piccoli graffi che mi ero fatta nel bosco.

— Nulla di che… — risposi con un’alzata di spalle e ritirando al mano.

— Mi sono mancate le tue sbadataggini in questi anni — scherzò mentre usciva dalla cucina per liberarsi della giacca e della pistola. Sorrisi mentre recuperavo un pezzo di Scottex e lo imbevevo con l’olio.

 

— Papà, ma ci sono animali, ecco feroci in zona? — chiesi dopo esserci seduti a tavola. Era un sogno ma qualcosa dentro di me mi diceva che forse qualcosa di pericoloso calpestava il suo del bosco di Forks.

Charlie mi guardò aggrottando le sopracciglia.

— Oltre scoiattoli e cerbiatti non c’è molto. Perché?

— Oggi pomeriggio sono stata nel bosco qui dietro. Non sono andata lontano — lo rassicurai — mi sono addormentata e a un certo punto ho sentito dei ruggiti, forse erano solo parte del sogno... — mormorai alla fine sentendomi una sciocca. Bella, è solo un sogno, mi urlava una vocina mentre un’altra diceva che c’era un fondo di verità c’era.

— Ruggito? — chiese sempre più dubbioso. Io mi limitai ad annuire. — Forse l’hai solo sognato come dici, ma domani manderò qualcuno a controllare per sicurezza. Tu non inoltrarti più nel bosco. Intesi?

— Ci tengo a vivere ancora alcuni anni — lo assicurai ricominciando a mangiare la mia lasagna.

 

Il giorno dopo a scuola Edward era distratto, la sua mente sembrava essere partita per lidi lontani e più di una volta l’avevo scorto guardarsi attorno furtivo come se temesse che qualcuno lo seguisse. Quando gli chiesi informazioni lui sorrise e disse che era uan mia impressione. Probabilmente aveva ragione perché per il resto della mattinata si comportò come sempre. Il pomeriggio lo passai a casa a ripassare per il test del giorno dopo e mi stavo scervellando su una funzione, che non ne voleva sapere di venire, quando ricevetti la visita di qualcuno che non vedevo da qualche tempo.

— Bella! — la voce tuonante di Jacob e forti colpi alla porta, talmente forti da farmi temere che crollasse, mi fecero alzare di scatto. Velocemente andai ad aprire la porta e quello che vidi mi lasciò stupita.

— Jacob? Ma che ti danno alla riserva?!

Il mio amico era raddoppiato sia in altezza che in larghezza. Era come uno di quei lottatori di wrestling pompati. Com’era possibile che fosse cresciuto così tanto in meno di tre settimane ed oltretutto era stato anche ammalato, secondo quello che aveva detto Billy.

— Come stai? Ti hanno fatto del male? — fu la prima cosa che mi chiese.

— Che?

— Charlie ha detto a Billy che hai sentito dei righi. Devi stare lontana da loro — tuonò tremante di rabbia.

— J… Jake ma che stai dicendo? — balbettai indietreggiando per lo spavento. Non era mai stato così aggressivo, era sempre stato gentile e accorto.

— Bella, tu non sai molte cose — mi rivelò recuperando la calma.

— Ma di che parli? E da chi devo stare lontana?

— Dai Cullen, devi stare lontana da loro, sono molte le cose che ti tengono nascoste — mi rivelò criptico.

— Jake, erano animali e non so nemmeno se erano veri o li ho sognati… cosa c’entrano i Cullen? So che voi — riferendomi alle reticenze da parte di tutti i membri della tribù — non li accettate per qualche vostro strano e misterioso motivo ma non puoi usare i ringhi come scusa… stai esagerando.

— Bells, devi fidarti di me. Devi stare lontana da loro — ringhiò e poi, come se qualcosa lo avesse colpito, s’irrigidì, dilatò le narici aspirando con forza e iniziò a tremare più forte e si stagliò di fronte a me in tutta la sua statura.

— Jacob Black, allontanati da lei — al suono di quella voce melodiosa che nonostante in quel momento fosse piatta e minacciosa riusciva a tranquillizzarmi. Si girò e come un toro alla carica scese dal pianerottolo.

— Cullen — ringhiò — devi stare lontano da lei.

Edward era fermo all’inizio del vialetto e non toglieva gli occhi di dosso dall’altro.

— Al momento l’unico pericolo sei tu, cucciolo — disse avanzando fino a che ci fosse solo mezzo metro a separarlo dall’indiano.

Che voleva dire?

— Jake, calmati e Edward che cosa vuoi dire?

— Bella, stanne fuori — esclamarono allo stesso momento. Lo stupore per il loro prefetto sincrono fu sopraffatto dalla rabbia.

— Ti sei portato gli amichetti, vero? Hai paura di un faccia a faccia. Freddo? — ignari di quello che provavo, i due ragazzi continuarono la loro lotta a chi aveva il testosterone più alto.

— Ehi… voi due la volete smettere? Questa è casa mia! Ma mi ascoltate?

Iniziai a scendere i gradini ma dovetti bloccarmi a metà quando sentì la voce dura de mio compagno di scuola.

— Bella. Allontanati. Subito.

— Edward!

— Non farei mai del male a lei ma a te molto volentieri.

— Jacob!

Che stava succedendo? Mi chiesi sull’orlo di una crisi di nervi. Quei due stavano per fare a botte nel mio giardino.

La situazione sembrava degenerare ma fortunatamente mio padre ebbe il tempismo di parcheggiare la macchina di fianco alla moto, che notai solo in quel momento.

— Che succede qui? — Charlie ancora in divisa da sceriffo si piazza in mezzo ai due ragazzi che subito si rilassano, almeno in parte. — Bella, vai dentro casa fa freddo. Tu, ragazzo — additando Jake — non dovresti andare in giro così in inverno — e lo squadrò preoccupato. Effettivamente l’indiano indossava dei jeans stracciati e una maglietta a maniche corte.

— Prima se ne deve andare lui — soffiò, incenerendo con lo sguardo Edward.

— Jacob, ora basta con queste vostre fissazioni indiane — sbottò papà, — vai o ti arresto, anche se tuo padre è un mio vecchio amico.

Il Quileutte rimase fermo immobile prima di andarsene riluttante. Quando passò a fianco del rosso, si fermò per squadrarlo per l’ennesima volta il quale ricambiò lo sguardo con un sorriso di scherno.

— Sogna, Jacob Black — lo sentì dire.

Jacob digrignò i denti e con una spallata salì sulla sua moto e rombando se ne andò. Rilasciai il sospiro che inconsciamente avevo trattenuto.

— Tu, Edward, vai a casa. Tuo padre è passato dalla stazione, se dovete essere a Seattle alle otto, dovresti andare a casa — gli consigliò papà. Il ragazzo sorrise sghembo prima di promettergli di farlo subito.

— Ero solo passato per chiedere a Bella degli appunti di scuola — disse poi per giustificare la sua presenza. Charlie non ebbe nulla da ridire in fondo lui non sapeva che Edward non perdeva nemmeno una parola di quello che diceva il professore e che quindi i miei appunti erano per lui inutili.

Salì con eleganza i pochi scalini del portico e si mise al mio fianco chinandosi per lasciarmi un bacio sulla guancia come faceva sempre e mi sorrise. Matematicamente, come ogni volta, la mia faccia divenne più simile a un peperone.

— Come… — e mi schiarì la gola — Come sei arrivato qui? — gli chiesi non vedendo la sua macchina.

— Stavo facendo quattro passi — rispose con un’alzata di spalle.

— Casa tua non è esattamente dietro l’angolo — obbiettati alzando un sopracciglio.

— Mi piace camminare e per fortuna direi. Dovresti stare attenta a Jacob.

— Scusami?

— È instabile in questo momento e tu devi stargli alla larga.

— Okay, non ti sembra di esagerare? Avrà avuto una giornata storta — dissi cercando di difendere il mio amico. Certo era stato strano quel giorno ma avremmo parlato con calma e chiarito.

— Non esagero — obbiettò duro — è pericoloso.

— È un mio amico e non è pericoloso — dissi — Charlie gli ha parlato dei ringhi che ho sentito nel bosco ed è venuto a controllare. Domani gli parlerò e chiariremo.

— Cosa? Bella… — Edward pareva voler dire qualcosa, e il fatto che esitava stava a significare che non era molto d’accordo con il mio piano ma bastò una mia occhiataccia per fargli cambiare completamente  idea. — Va bene, ma chiamami, per qualsiasi cosa. Okay?

— Ed…

— Fammi questo favore — mi supplicò e così accettati anche se non capivo perché i due continuassero a predicare la pericolosità dell’altro.

 

— Vuoi un passaggio per tornare a casa?

— Oh, no, non c’è problema non ti devi scomodare — rispose Edward con i suoi soliti modi antiquati.

— Insisto, oltretutto tra poco si farà buio. Non c’è problema per me — insistetti e il mio amico accettò.

Appena il motore partì sul viso di Edward si formò una smorfia di disapprovazione.

Nessun commento, grazie.

Io non ho detto nulla » ribatté serafico lui.

L’hai pensato. Quindi non offendere il mio pick-up che alla faccia dei suoi anni va ancora che è una meraviglia.

Ciò non toglie che è una lumaca e ha bisogno di andare in pensione.

Edward, non devo partecipare a una gara della formula uno come invece credi tu. Ci sono dei limiti di velocità da rispettare, forse tu non sai cosa sono ma io sì dissi alludendo al suo modo di guidare spericolato.

Edward sorrise e scosse la testa divertito ma non disse nulla. Accese la radio e canticchiò per tutto il resto del viaggio.

 

Il giorno dopo era sabato e approfittando del fatto che papà andasse a trovare il suo amico indiano, mi aggregai.

La Push era una piccola riserva come ce ne erano tante in America, in esse si proteggeva e si coltivava la storia della tribù, le loro leggende, le loro tradizioni. Non avevo mai pensato che fosse un male conservare il ricordo di riti e credenze antiche ma quando per l’ennesima volta mi trovai a scontrarmi con il muro fatto da queste convinzioni, pensai che fosse ora che, avendo varcato le soglie del nuovo millennio, se le lasciassero alle spalle.

Non voleva spiegarmi le ragioni, perché non poteva parlarne con un bianco, ma pretendeva che gli dessi ascolto. All’ennesimo mio rifiuto acuì i toni e presto il discorso venne messo da parte per permetterci di godere di una mattinata in tranquillità. Prima che ce ne andassimo però, Jacob mi diede un pacchetto. Era il mio regalo di compleanno, anche se un po' in ritardo. Mi disse di leggerlo attentamente e di rifletterci sopra.

In quel momento rimasi interdetta dal suo consiglio e ancora di più quando scartandolo trovai una copia di “Dracula” di Bram Stoker.

Non lo avevo mai letto, non era il mio genere. Vampiri, cacciatori di vampiri, lupi mannari, erano cose cui non credevo e onestamente non m’interessavano.

 

— Allora, ti va di venire a casa mia? — Alice voleva organizzare un pigiama party poiché non ne aveva mai fatto uno. Mi guardava con quegli occhietti grandi ed espressivi cui era impossibile dire di no, proprio come quelli del gatto con gli stilavi di Shrek. Percependo la mia capitolazione Alice lanciò un grido di gioia mentre Edward al mio fianco scuoteva la testa divertito.

— Vedrai che ci divertiremo un mondo. Faremo tutto quello che si fa di solito: maschere, pedicure, manicure, capelli,… — elencò una serie di attività che mi lasciarono completamente basita e con il dubbio che la mia amica avesse visto troppi film adolescenziali.

— … torneremo venerdì sera quindi sabato prossimo sarai nostra ospite, anche Esme e Carlisle non vedono l'ora di conoscerti —  trillò entusiasta.

— Come tornate venerdì? — avevo smesso di ascoltarla e il frammento di conversazione era arrivato come un fulmine a ciel sereno.

— I nostri genitori hanno organizzato un’escursione in montagna e per questo fine settimana sono previsti tre giorni di sole e vogliono approfittarne. Partiremo mercoledì. — mi spiegò Edward. — Sono giornate cui mamma e papà tengono molto.

— Oh… — riuscì a mormorare. Non li avrei visti per tre giorni e la cosa mi buttava il morale a terra, mi ero abituata a essere accolta dall’esuberanza di Alice ogni mattina o alla simpatia di Emmet e alla presenza costante di Edward. Noi due passavamo molto tempo insieme e questo aveva portato a molte occhiate invidiose da parte di Lauren e Jessica e anche a battutine di pessimo gusto, spesso non si curavano nemmeno di accertarsi che io fossi a portata di orecchio, ma anche Mike, Tyler ed Eric non sembravano molto entusiasti, li definivano “strani” e qualche volta avevano esposto le loro idee al riguardo di ipotetiche operazioni plastiche, per loro era impossibile essere così belli senza l’aiuto della chirurgia estetica, e solo Angela sembrava non interessare la mia amicizia con i Cullen, al contrario era felice che io avessi fatto nuove amicizie.

C’era da dire che qualche volta avevo usato anch’io l’aggettivo strano. Primo tra tutti il loro colore degli occhi, di quella strana sfumatura ambrata dorata che più di una volta avevo visto scurirsi fino a diventare nera. Era solo un problema di luci, che creavano quell’effetto? Probabile.

Poi la pelle chiara, quasi cadaverica, erano sempre freddi, anche quando indossavano vestiti pesanti, la loro temperatura rimaneva bassa. Certo ognuno era diverso dall’altro ma inevitabilmente mi ritrovavo ad associarli a membri della stessa famiglia, il problema era che loro non erano parenti e avere tutte quelle caratteristiche in comune era bizzarro.

Ogni volta mi trovavo a pensare che stessi ingrandendo le cose e così accantonavo quei pensieri per godermi la loro compagnia.

— E dove andate?

Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Roks, a sud del monte Rainier — quel nome non mi diceva nulla, non ero un amante delle escursioni.

 

— Bella, sono in cucina — la voce di papà sembrava tesa e preoccupata e l’espressione che aveva in viso quando entrai nella stanza confermò i miei sospetti.

— È successo qualcosa? — chiesi pensando fosse accaduto qualcosa di grave al lavoro, a Billy o Harry. Charlie emise un sospiro profondo, come a volersi liberare da qualche brutto pensiero.

— Ha chiamato tua madre.

Lasciai cadere lo zaino a terra mentre la consapevolezza si faceva largo in me. Aspettavamo quella chiamata da tempo.

— Hanno presentato la domanda di ricorso due mesi fa e il processo si terrà mercoledì mattina — papà si azzittì e mi lasciò il tempo di assimilare la notizia. Raggiunsi il tavolo e mi sedetti di fronte a mio padre. Avevo paura di affrontare di nuovo tutto e il timore di sentire ancora una volta il verdetto in favore di quei due mi terrorizzava ancora di più.

— Ora, Bells, sei sicura di volerci andare? Ne abbiamo già discusso… — oh sì, se ne avevamo discusso. Charlie non voleva che io andassi a Jacksonville, era più propenso a fare una testimonianza scritta o qualsiasi altra cosa non implicasse il prendere un aereo e andarci di persona.

Se fino al giorno prima ero decisa ad andare di persona, in quel momento non ne ero più molto sicura. Ero pronta? Avrei avuto la forza per sedermi ancora sul banco dei testimoni e rivivere tutto ancora una volta? Rivederli non sarebbe stata una passeggiata, di notte sognavo ancora di essere chiusa in quella terrazza ma nessuno arrivava in mio soccorso e cosi ogni volta finivo per bruciare, come i vampiri, iniziavo a sentire caldo, poi la mia pelle si tingeva di rosso e si formavano macchie viola sostituite poi da croste e in fine prendevo fuoco per autocombustione.

Fu la possibilità di vederli pagare per quello che avevano fatto che mi fece ritrovare il coraggio. Ognuno si doveva prendere la responsabilità delle proprie azioni,così anche loro.

— Papà, ci andrò — dissi con voce flebile. Una voce che non convinceva neppure me. Inspirai con decisione e lo guardai decisa.

— Voglio andarci. È giusto che vada — rimarcai per fargli intendere che non avrei cambiato idea.

Charlie sospirò e accettò seppur riluttante la mia scelta.

— Ma verrò anch’io. Chiederò alcuni giorni.

— Papà, non è necessario. Il tuo lavoro… — tentati di dissuaderlo, anche se dentro di me gioivo alla prospettiva di averlo al mio fianco come sostegno.

— Quelli ti hanno fatto del male ed io voglio vederli in faccia mentre la giuria legge la condanna.

Un tono duro che non ammetteva repliche.

 

Saremmo partiti martedì e saremmo tornati sabato sera. Quella volta i miei genitori avevano assunto un ottimo avvocato e questi era convinto che avessimo la vittoria in pugno, i giudici non avrebbero potuto non riconoscere la loro colpevolezza. Video di sorveglianza che erano stati occultati, testimonianze oculari e c'era anche un'accusa di corruzione conto i Signori Niles e Morris.

Quando Charlie me lo disse, rimasi basita e l'assoluzione dei miei ex compagni di scuola appariva, alla luce di quella scoperta, più comprensibile, ma pensandoci bene non mi aveva stupito più di tanto.

 

Lunedì passò in fretta, informai Alice che non avrei potuto partecipare al suo pigiama party inventando la scusa di raggiungere mia madre per festeggiare il suo compleanno, con una festa a sorpresa, e della decisione di rimanere qualche giorno nella mia vecchia città.

Non mi piaceva mentire loro ma che potevo fare?

Alice sembrò prenderla bene ma per tutto il giorno rimase come chiusa in un mondo tutto suo, lo sguardo perso nel vuoto a guardare qualcosa che solo lei poteva vedere. Edward, cercava di nascondere, dietro i suoi soliti modi gentili e antiquati, il suo nervosismo, ma quando gi chiedevo che cosa fosse successo lui rispondeva che andava tutto bene e con qualche battutina e cambiava discorso.

Era bravo nello sviare il discorso quando si parlava di lui o della sua famiglia. Non parlava spesso del suo passato, sembrava voler dimenticare quel periodo, le sue riservatezze in un certo senso mi ricordavano quelle del Conte Dracula e mi ritrovai a pensare che in parte i Cullen gli assomigliassero per via della carnagione pallida e le profonde occhiaie che a volte circondavano i loro occhi come se fossero reduci da numerose notti insonni e la carnagione fredda.

“ Sembrava più la mano di un morto che quella di un vivente ”

Le parole di Jonathan Harker del descrivere la freddezza della mano del Conte mi rimbombarono in testa inattese.

Arrivò anche martedì e alle cinque e trenta del mattino ero "comodamente" seduta in uno dei sedili centrali nell'economica del volo Kenmore Air 5101. Charlie, seduto a quello vicino al finestrino, si muoveva nervoso e non ci fu modo di calmarlo ma presto la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò.

Avevo il dubbio che non avesse dormito molto negli ultimi giorni proprio come me.

La prima parte del viaggio la passai a recuperare il sonno perso mentre per il resto del viaggio lessi e ascoltai musica, cercavo di tenermi occupata per non pensare al processo ma non mi era possibile riempire ogni secondo del viaggio e quindi inevitabilmente mi soffermai a pensare a quello che voleva dire tornare a quella, che fino a un mese fa, era la mia casa e a quello che era cambiato da quando ero a Forks.

 

Avrei rivisto mamma e Phyl, ma anche Claudia che nonostante la lontananza non aveva smesso di essermi amica e mi riempiva di mail in cui mi raccontava le sue giornate e mi chiedeva delle mie e spesso l’idea di tornare a Jacksonville dopo la fine del processo mi aveva sfiorato la mente.

Il caldo, il Sole e il tramonto, da quando ero a Forks non ne avevo dipinto nessuno, a parte il secondo giorno.

Poi due occhi dorati si facevano largo tra i miei mille pensieri e vacillavo.

Forks non si era rivelata tanto brutta, in primis avevo ricostruito il rapporto con Charlie, avevo scoperto in Jake un buon amico, avevo ritrovato Edward e avevo fatto amicizia anche con gli altri giovani Cullen, certo con Rosalie e Jasper c’era ancora da lavorare ma ero fiduciosa, poi c’era Angela che nella sua riservatezza e buon carattere si era rivelata un’ottima amica e confidente. Jessica e Lauren forse erano le uniche che non mi sarebbero mancate nel caso avessi deciso di partire. Ma cosa più importante a Forks potevo andare in giro di giorno senza problemi ed era magnifico, a scuola i miei compagni non mi guardavo con pietà, né m’ignoravano, erano stati tutti gentili e disponibili e non c’erano bulli o idioti patentati. Forse un pregio di vivere in piccoli paesini.

Se avessi mai deciso di stilare una lista di pro e contro tra le due città, beh… Forks avrebbe vinto con netto vantaggio.

— Pollo o Insalata? — la voce della hostess mi fece sobbalzare. La donna mi guardava sorridente, nella sua divisa azzurra ben tenuta. Girai lo sguardo e vidi mio padre già intento a divorare la sua razione.

— Pollo — mormorai mentre tornavo a guardare l’assistente di volo, questa giratasi per prendere il vassoio mise in mostra il suo lato B, che attirò l’attenzione del signore seduto al mio fianco, l’uomo distolse lo sguardo poco prima che la signorina si girasse e capendo di essere stato beccato dalla sottoscritta si mosse nervo sul suo posto e poi nascose la testa nel piatto.

— Ecco a lei — disse l’hostess porgendomi la mia porzione poi superò per continuare il suo lavoro.

 

Finalmente dopo dodici ore di viaggio e tre scali, arrivai a Jacksonville che erano le otto e mezzo di sera.

— Tesoro! — la voce squillante di Reneè fece girare non poche teste, nonostante fosse sera, l’aeroporto di Jacksonville era in fermento, pieno di gente che andava e veniva, così diverso da quello tranquillo di Port Angeles. Chinai il capo sotto il peso dell'imbarazzo e accelerai il passo, quando la raggiunsi, mi abbracciò come se fossi la figlia che tornava a casa dopo anni.

— Ciao, mamma, che ne dici se rinviamo i convenevoli a dopo in macchina? — domandai lanciando occhiate furtive a destra e sinistra.

— Oh sì, sarai stanca. Domani sarà una giornata impegnativa e devi riposare — disse con voce tesa. Anche lei, come me, era agitata per il processo e solo dopo la fine di tutto questo avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Chissà come aveva passato l’ultimo periodo mentre attendeva l’accettazione del ricorso…

— Ciao Charlie, ti trovo bene — disse Reneè appena lui ci raggiunse insieme alle nostre valige. Era impacciato mentre salutava mamma e il suo nuovo marito, non doveva essere facile per lui vedere la donna che amava sposata con un altro.

— Dammi, ti aiuto a portare la valigia — intervenne Phyl. Anche lui era provato dalla situazione come tutti noi.

Charlie si limitò ad annuire e a porgerli la mia valigia.

Uscimmo dall’aeroporto e subito respirai a pieni polmoni l’aria leggermente salmastra di Jacksonville. Salimmo sulla macchina nera di Phyl, al suo fianco prese posto mamma mentre dietro con me salì Charlie. Nessuno parlò, ognuno troppo preso dai suoi pensieri, e così mi accasciai sul sedile poggiando la testa sul finestrino a guardare il mondo che sfrecciava. Nonostante l’ora tarda le strade erano piene di macchine e la città era illuminata a giorno. Guardai il cielo completamente sgombro da nuvole e realizzai che da qualche parte sotto quello stesso cielo c’erano i miei due aguzzini. In quel momento desiderai tanto che il cielo si riempisse di nuvole e tutto si colorasse di verde e marrone. La fredda Forks era l’unico posto in cui volevo stare in quel momento, lì, tutto era diventato familiare e rassicurante mentre Jacksonville mi stava facendo sentire un’estranea, un’intrusa in un mondo che ormai non era più il mio.

 

— Caso 128734, Dwyer contro Morris e Niles…

C’era il Sole mentre la guardia presentava il mio caso al giudice. Io ero seduta a fianco dell’avvocato Anderson che mi rassicurava in tutti i modi sul nostro successo mentre mia madre mi teneva la mano per darmi forza, o al contrario cercava sostegno da me. phyle e Charlie erano seduti nelle prima panche dietro di me.

I nostri avversari si erano presentati con quasi venti minuti di ritardo, apparivano spavaldi e sicuri di sé, come se si sentissero un gradino sopra gli altri. Mi strinsi maggiormente nella mia felpa e tirai le maniche per coprire le mani. Avevano chiuso le tende ma queste erano bianche e semitrasparenti e non mi proteggevano per nulla dal Sole.

 

Quella mattina era stato strano svegliarsi, con orrore avevo realizzato che la sera prima non avevo chiuso le tende lasciandomi così senza alcuna protezione ma quando aprì gli occhi di scatto, la stanza era buia e le tende erano ben tirate e mi ritrovai a ringraziare l’accortezza di mamma.

Era stato normale per me non preoccuparmi del Sole, a Forks dopo i primi due giorni era completamente sparito dietro a uno spesso strato grigio e non me ne ero più preoccupata.

Girai la testa verso destra, dove si trovava il banco della difesa dei miei aguzzini.

 Fred e Gabe erano seduti anche loro a fianco dei rispettivi avvocati, nei loro occhi c’era scherno e  disprezzo. Erano sicuri di vincere anche quella volta, dedussi mentre il processo iniziava e Gabe veniva chiamato al banco degli imputati. Passarono due ore, in cui si susseguirono testimonianze, presentazione e contestazione delle prove e arrivò anche il momento per me di affrontare l’interrogatorio degli avvocati.

— Signorina Swan, ci vuole dire che cosa è successo il pomeriggio del 12 agosto quando i due ragazzi qui presenti l’hanno chiusa fuori sulla terrazza…

— Obbiezione. Sono illazioni, non ci sono prove concrete che i nostri clienti abbiano fatto quello di cui sono accusati — l’avvocato di Gabe aveva interrotto il Signor Anderson. Strinsi i pugni e contrassi la mascella, come potevano dire ciò! Le prove che avevamo portato erano lampanti.

— Obiezione accolta. Signorina Swan ci dica cosa, secondo lei, è successo — disse il giudice passandosi il fazzoletto sulla fronte. Sembrava annoiato, anzi lo era, e gli sguardi che lanciava ai genitori dei due ragazzi non lasciavano presagire nulla di buono.

Volsi lo sguardo verso le panche poste dietro al tavolo, dove ero seduta qualche minuto prima, e vidi i miei genitori, mi trasmettevano tutto il loro coraggio e senza staccare gli occhi da loro iniziai il mio racconto. Ancora una volta ripercorrersi quei momenti terrificanti.

— … e l’ultima cosa che ricordo è l’uomo della sicurezza che correva dentro l’edificio. Poi sono svenuta — conclusi il mio racconto con voce bassa ma sicura. Durante il racconto c’erano stati momenti in cui la voce mi era mancata ma ero fermamente decisa a non mostrare nessun tentennamento o paura, per non dare la possibilità agli altri di contestare il mio racconto.

— Bene, si può accomodare — annuì all’ordine del giudice e dopo un veloce sguardo alla giuria ripresi il mio posto al tavolo, seguita dal mio avvocato.

— Sei stata bravissima Isabella. — si complimentò stringendomi la mano che avevo poggiato sul tavolo.

Annuì e inevitabilmente mi trovai a fissare i due ragazzi, c’era così tanto odio nei loro occhi che rabbrividì.

 

— Perché dobbiamo aspettare fino a dopodomani! — inveì Charlie appena usciti dall’aula del tribunale. Il giudice aveva deciso che la sentenza sarebbe stata letta Venerdì mattina per permettere alla giuria di analizzare bene i fatti.

Traduzione: guadagnare tempo per comprare i voti dei giurati.

— La capisco Signor Swan, ma non possiamo fare nulla. Comunque non si deve preoccupare vinceremo, la giuria è rimasta molto colpita dal racconto di Isabella.

E così tornammo a casa, senza sapere se avevamo vinto o perso.

 

— Mamma vado in spiaggia — dissi mentre infilavo nello zaino un blocco da disegno e i carboncini. Stando in casa non avrei risolto nulla, avrei solo visto mamma, papà e Phyl divorati sempre di più dall’ansia mentre io avevo bisogno di calma e tranquillità. Cose che solo il disegno riusciva a darmi.

— Tesoro, sei sicura?

— Vengo con te — disse Charlie alzandosi dal divano su cui era seduto.

— No! — gridai facendoli gelare sul posto. Non si aspettavano quello scatto.

— Ma… — tentò mamma.

— Vi prego — li supplicai — ho bisogno di stare da sola — e scandì le parole con calma per fargli capire che ne avevo davvero bisogno.

— Okay, — infine si arresero, — ma tieni sempre con te il cellulare. Ti chiameremo ogni mezz’ora.

— Non ci sarà bisogno, tornerò prima — promisi sapendo il motivo della loro apprensione.

 

L’aria calda mi colpì il viso appena uscì di casa e sorrisi felice. Niente era paragonabile al sapore salmastro del mare che ti entrava dentro fino alle ossa.

M’incamminai lungo la strada che costeggiava la spiaggia mentre il sole lentamente scendeva. Mi fermai e mi appoggiai alla ringhiera di legno che divideva la strada dalla spiaggia e m’incantai a osservare quella grande palla infuocata inabissarsi nel mare e l’unica cosa cui riuscivo a pensare era che fosse uno spettacolo bellissimo e mi piangeva il cuore nel sapere che a Forks non ne avrei mai visto uno così. Quel sentimento, però, venne sostituto dalla consapevolezza che lì avevo un altro Sole ad aspettarmi.

Il cellulare iniziò a vibrare e aggrottai le sopracciglia. Non era ancora passata la prima mezz’ora. Con mio grande stupore non era Reneè il mittente.

— Edward?

Ciao, Bella” la sua voce anche se ovattata dal microfono era comunque dolce come il miele. Mi allontanai dalla ringhiera e ripresi a camminare ma senza togliere gli occhi dall’orizzonte.

— Ciao, tutto bene?

Sì, volevo solo sentirti” mormorò e le mie guance s’infiammarono mentre il mio cuore aumentava i suoi battiti. Era sempre così quando mi parlava. “Che stai facendo? ”

— Guardo il tramonto — mormorai con un sorriso sulle labbra. Mi sembrava di averlo qui con me, come durante quei pochi giorni estivi.

“Ah sì, e com’è?” Potei giurare che stesse sorridendo e sorrisi anch’io.

— Bellissimo — affermai mentre l’ultimo spicchio di sole spariva sotto il mare.

“Già…” ed era come se lo stesse vedendo anche lui “e hai fatto qualche disegno?”

— No — mugugnai dispiaciuta, ro così persa ad ammirare il paesaggio che me ne ero dimenticata. La cosa sembrò divertirlo molto perché la sua risata cristallina arrivò forte e chiara dal ricevitore.

“Avrai altri giorni”

— Vero. E come va il trekking? — chiesi desiderosa di sapere qualcosa sulla sua vacanza.

Intanto m’infilai in mezzo alle stradine della città curiosando dalle vetrine l’interno dei negozi. Avrei potuto trovare qualche regalo per Alice e Angela, pensai mentre adocchiavo un negozietto di abiti vintage. Fortunatamente non c’erano molte persone in giro, la maggior parte della gente si muoveva lungo la spiaggia, e potei curiosare con calma.

“Tutto bene per ora…” ci fu una pausa, poi “solite cose. Alice si è già lamentata e lo stesso Rose. Sai, non amano molto queste scampagnate” disse ridacchiando. Lo imitai immaginano le due giovani Cullen mentre si lamentavano dei loro vestiti stropicciati e della fatica. Le due ragazze non davano l’impressione di essere molto sportive.

Mi fermai davanti a un manichino che indossava una collana degli inizi degli anni venti e mi sembrò perfetta per Alice.

“Come ha preso la sorpresa tua madre?” Esitai, era risaputo che non ero brava a mentire, ancora non capivo come Edward e Alice non mi avessero beccato.

— Sì, molto — e deglutì, — ne é entusiasta — ma chi volevo convincere con quel tono? Nemmeno io ci credevo!

Ma lui sembrò crederci e subito mi premurai di cambiare discorso, chiedendogli se a sua sorella sarebbe piaciuta la collana che avevo visto e dopo il suo assenso andai a pagare alla cassa.

Stavo uscendo dal negozio quando il mio senso dell’equilibrio decise di farsi un giretto lasciandomi in balia del dissestamento della strada. Scivolai sul gradino subito dopo la porta e siccome non era abbastanza, misi male il piede a terra, perché i ciottoli della strada non erano ben allineati, e caddi a terra, lagnando un prolungato “Oh cavolo”.

Il cellulare mi scivolò di mano finendo a terra in mille pezzi e i sacchetti fecero la stessa fine del telefono. Fortunatamente non mi feci molto male, delle escoriazione sui gomiti e sulla guancia, la caviglia mi doleva un po' ma non sembrava esserci nulla di rotto.

— Tutto bene signorina? — la voce della commessa arrivò alle mie spalle.

— Sì, niente di grave — dissi mentre mi alzavo a fatica. La donna raccolse i sacchetti e il mio cellulare.

— Ne è sicura? — non pareva molto convinta ma mi sforzai di sorridere e dopo qualche tentennamento rientrò nel negozio.

Perché devo essere sempre la solita imbranata, pensai mentre zoppicando ripercorrevo la strada dell’andata.

Stavo percorrendo l’ultimo tratto in discesa che mi separava dalla strada che costeggiava la spiaggia, sulla destra si aprivano due stradine. Superai la prima a passo veloce, non sapevo perché ma l’ansia continuava a salire dentro di me e una vocina mi diceva che era pericoloso attardarsi in quella zona. Stavo superando anche la seconda quando mi sentì afferrare da dietro e qualcuno mi tappò la bocca.

Subito entrai nel panico, quella scena l’avevo già vista solo in un contesto diverso: una ragazza che si stava dirigendo verso gli ascensori di un centro commerciale, qualcuno che la spintonava dentro imprigionandola in una presa ferrea e poi veniva chiusa da sola in una terrazza.

Cercai di urlare, senza successo, e mi dimenavo, ma l’uomo rideva dei miei tentativi di liberarmi.

— Fa la brava piccolina — ringhiò il mio assalitore all’orecchio con voce maligna tanto che mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Perché tutte me?!

Quella volta, però, ero decisa a non soccombere, a lottare e si sa che la paura rende coraggioso anche il più codardo degli uomini.

Piegai in avanti la testa per poi tirarla indietro di scatto colpendolo al naso.

— Ah… brutta… — si lamentò dopo avermi lasciato cadere a peso morto. Ancora le scene di me nell’ascensore e nella terrazza ritornarono alla mente, mi sembrava di rivivere la paura di quei momenti. Dovevo scappare, raggiungere la strada sulla spiaggia e sperare che qualcuno dei passanti mi aiutasse.

Ma non riuscì a fare nulla di tutto quello che avevo pianificato.

— Dove credi di andare. Eh! — l’uomo mi prese per i capelli strattonandomi indietro fino a finire contro il muro. Urlai per il dolore e la paura.

— Non ci provare più ragazzina — sibilò a pochi centimetri dal mio viso.

Con una mano strinse il mio collo facendomi respirare a fatica mentre l’altra la usò per tapparmi la bocca. Si era completamente addossato a me impedendomi qualsiasi tipo di reazione. — Voglio fare solo quattro chiacchiere.

Avevo chiuso gli occhi mentre cercavo di inspirare aria dal naso, la testa mi girava e le lacrime si stavano addossando agli angoli degli occhi. Quell’esperienza era ancora peggiore della prima.

 Iniziai a pregare, non ero religiosa ma in quel momento era l’unica cosa sensata che potevo fare. Pregai Dio di mandare qualcuno dei suoi angeli ad aiutarmi. In risposta sentì un ringhio, che mi fece aprire gli occhi di scatto e facendoli saettare a destra e sinistra, risuonò nell’aria.

Il peso che gravava sul mio corpo scomparve ed io impietrita caddi a terra. Gli occhi erano fissi dinanzi a me a osservare la parete di mattoni ma senza vederla, la mia mente era come paralizzata, bloccata per lo shock dell’aggressione.

Rantoli sommessi arrivavano dalla mia sinistra, erano coperti da un ringhio basso e prolungato che era tutt’altro che rassicurante. Fu quello che mi riscosse dal mio stato catatonico e mi costrinse a voltare il capo nella direzione di quei rumori.

Due figure, una sdraiata a terra mentre l’altra lo sormontava minaccioso, erano a pochi metri da me. La fievole luce lunare li illuminava permettendomi di delineare il profilo del mio salvatore. La luce lunare risaltava la chioma disordinata che aveva un qualcosa di familiare come il corpo dell’uomo asciutto ma muscoloso, coperto solo da un paio di pantaloni stretti e una maglietta a maniche corte di cui non riuscivo a definire il colore. Egli sormontava il mio aggressore come un leone sulla sua preda.

— Edward — mormorai con un filo di voce. E quando lui girò la testa di scatto verso di me, sussultai per lo spavento. Il suo viso era deformato dalla rabbia, era terrificante, come quella di un Dio pagano indignato che cerca la sua vendetta.

Forse vedendo il mio sguardo terrorizzato, i suoi lineamenti si spianarono, diventando dispiaciuti quasi sofferenti.

— Edward, lascialo a noi. 

Come se fosse apparita dal nulla, Alice, fece la sua comparsa con Jasper al suo fianco. Sbucarono dalle ombre della stradina, come spettri.

— No, tu non hai letto quello che voleva fare! — disse il mio salvatore guardando la sorella in cagnesco.

— Ma ho visto! — rispose lei con lo stesso tono e lui di rimando ringhiò più forte. Io tremai, non avevo mai sentito niente di così terrificante ma allo stesso tempo, dovetti ammettere, affascinante.

Poi un frammento del loro piccolo botta e risposta mi lasciò interdetta. Che voleva dire “vedere” o “sentire”? Di cosa stavano parlando?

Intanto il biondo si avvicinò all’uomo che mi aveva aggredito, era terrorizzato e tremava da capo a piedi ma appena Jasper poggiò una mano sulla sua spalla questi si rilassò all’istante, lo vidi poggiare la testa a terra mentre le braccia, inermi, cadevano sul suo petto.

Jasper lo prese e lo issò in spalla come se fosse una piuma. Era impossibile! La mia mente cercava mille e più possibili giustificazioni al fatto, era umanamente impossibile per uno come lui riuscisse a mettersi in spalla un energumeno come quello.

— Ed, tranquillizza Bella. È terrorizzata — parlò per la prima volta Jasper facendo in modo che tutta l’attenzione di suo fratello e Alice si focalizzasse verso di me.

Con una velocità sorprendente Edward si allontanò dall’uomo e lentamente, con le mani alzate si avvicinò a me.

— Bella, calmati. È tutto a posto ora — era esitante, guardingo, come se temesse che con un passo troppo affrettato io sarei potuta scappare. — Non ti farò del male. Lo giuro.

Mi accigliai non volevo scappare e soprattutto sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male, era successo tutto così in fretta che ero stata sopraffatta, ma lui mi aveva salvato.

Volevo alzarmi e quando ci provai, crollai di nuovo a terra e quella volta la vista mi si annebbiò sotto il peso di tutte le emozioni che stavo provando e poco prima di toccare il suolo vidi Edward affrettarsi a raggiungermi a una velocità sorprendente, disumana, e poi fu solo il buio.

 

— Non c’è modo di legarlo a quelli? — disse una voce melodiosa. Era tutto buio attorno a me, non capivo dove fossi o che cosa fosse successo, l’unica cosa di cui ero cosciente era il fatto di avere la testa appoggiata su un piano freddo e duro mentre qualcosa mi accarezzava il viso e il braccio. Lentamente come il diradarsi della nebbia tutto tornò a galla: l’aggressione, il salvataggio, Edward, Alice, Jasper e lo svenimento, e mi sarei fatta sopraffare dalla paura ancora una volta se un profumo di miele e sole non mi avesse invaso le narici rassicurando tutti i miei timori.

— No, nei loro pensieri non c’era traccia, hanno agito per terzi. Sono stati furbi. Dannazione! Se solo fossi arrivato prima — quella voce apparteneva a Edward, ne ero più che certa. — No, Alice, non voglio coinvolgerla.

Non capì a cosa si riferisse, quella frase era completamente sconnessa dal resto e poi chi erano “quelli”? Mi chiesi.

— Adesso basta, aprirà gli occhi tra due minuti — questa volta era stata Alice a parlare. Ecco chi aveva parlato prima.

Mossi piano le palpebre e come predetto da Alice, le riaprì dopo qualche tentativo. Prima sfocata, poi sempre più definito, la figura di Edward mi apparve in tutta la sua magnificenza.

— Ehi… — mormorò accarezzandomi una guancia.  Automaticamente il mio cuore aumentò i suoi battiti.

Sorrideva, un sorriso di sollievo ma che nascondeva anche tanti timori. Mi aiutò a sedermi e quando mi guardai attorno, scoprì che non eravamo più in quella dannata stradina ma su una panchina lungo la strada principale.

— Bevi — e mi porse una bottiglietta di coca cola che accettai con gioia, poi iniziò ad accarezzarmi la schiena con gesti lenti e leggeri che mi riempivano di brividi.

— Come ti senti Bella? — Alice era piegata sulle ginocchia e mi guardava con un sorriso dolce. Bevvi un sorso prima di rispondere, la gola era arida come un deserto e se avessi tentato di parlare non sarebbe uscito nessun suono.

— Bene, credo… — mi bloccai e raschiai la gola, — solo un po' provata ma me la cavo a reprimere i traumi — dissi con tragica ironia. Feci un'altra sorsata e mi accorsi di aver finito la bottiglia. Una mano pallida la prese e la buttò nella spazzatura vicina. Fissai Edward e lo scoprì con un’espressione dura e contrariata. Era arrabbiato.

— Già… hai omesso alcune cose — mormorò cupo e la cosa non presagiva nulla di buono. Mi porse un’altra bottiglia e con lo sguardo m’incitò a bere e obbediente lo feci. Avevo il sospetto che in qualche modo lui avesse scoperto cosa fosse successo quell’estate ma subito mi diedi della stupida. Come avrebbe potuto?

— Ma voi non dovevate essere a Goat Roks? — esclamai quando alla fine realizzai che la loro presenza li a Jacksonville non aveva senso.

Edward mi aveva chiamato e lo aveva confermato…

— Ecco… a questo proposito ti lasciamo con Edward. Noi dobbiamo sistemare una faccenda — intervenne Alice, criptica.

Prese sotto braccio Jasper e s’incamminarono verso il centro della città. — Noi ti aspettiamo in albergo Edward! Ah… Bella, grazie del regalo è bellissimo! — trillò sventolando il pacchettino in aria. Come faceva a sapere che quello era il suo?

Li osservai allontanarsi e solo quando divennero due puntini indistinti, tornai a guardare Edward che con le sopracciglia aggrottate mi osservava.

— Che c’è?

Lui scosse la testa sconsolato prima di passarsi stancamente una mano sul volto.

— Che cosa devo fare con te? Quando non ci sono, ti cacci sempre nei guai — arrossì e distolsi lo sguardo posandolo sulla strada affollata di gente di ogni età.

Nessuno stava facendo caso a noi.

— Non hai ancora risposto alla domanda — dissi senza guardarlo.

— Un cambio di programma dell’ultimo minuto.

La prossima volta inventa una scusa migliore almeno posso fare finta di crederci — sbottai — La verità, Edward. Al telefono hai detto che eri là e ora ti ritrovo qui.

— Volevo tenerti d’occhio e per fortuna visto quello che è successo.

— Ho sentito quello che vi siete detti tu e Alice. Che vuol dire che lei ha visto e tu hai sentito i loro pensieri?

Edward mi guardava con occhi spalancati, stupido da fatto che io avessi assimilato tutte quelle informazioni.

— No, Bella, hai capito male eri svenuta…

— Non prendermi in giro Edward. So quello che ho sentito e ci sono anche tante altre cose che ho visto — affermai ripensando alla forza di Jasper e di Edward, ai loro occhi. Ero offesa, perché si ostinava ad arrampicarsi sui vetri? Io ero sua amica, che cosa temeva?

Sospirò, un sospiro profondo, rassegnato, di chi sa che è arrivato il momento di confessare ma vorrebbe tergiversare.

— Possiamo parlarne un altro giorno? — il mio sguardo saettò nel suo che non la smetteva di guardarsi attorno con fare circospetto. Sperava che una volta dormitoci sopra, avrei dimenticato? Sentendosi osservato, si voltò vero di me e si affrettò ad aggiungere — È una storia lunga. Non è che non te lo voglia dire.

Ormai era bravo a “leggermi”, bastava uno sguardo e capiva quello che pensavo. Accantonai tutte le domande e annuì, certa che avrebbe mantenuto la parola data.

— Che cosa avete fatto all’uomo che mi ha aggredito? — chiesi.

— Jasper e Alice se ne stanno occupando. Lo porteranno alla polizia.

Mi limitai ad annuire.

— Quanto sono rimasta senza conoscenza?

— Un paio di minuti… sono le sette e dieci.

— Mamma! — esclamai agitata. Starà già perlustrando tutta la città. Cercai il mio cellulare ma poi ricordai la poco onorevole fine che aveva fatto.

— Usa il mio — e nel mio campo visivo apparve un telefonino di ultimissima generazione, che sembrava più un computer che un telefono. Il mio al confronto apparteneva all’era giurassica.

Lo presi e chiamai subito a casa e come avevo sospettato mamma appariva molto preoccupata così come Phyl e Charlie che stavano per venire a cercarmi. Li rassicurai dicendo che il cellulare mi era caduto e si era rotto e avevo chiesto a un amico che avevo incontrato di prestarmi il suo per rassicurarli.

“ Va bene… “ disse in un sospiro “ ma tra dieci minuti ti voglio a casa o vengo io a prenderti di peso” mi minacciò seria.

— Certo, arrivo subito — assicurai mentre non toglievo gli occhi di dosso da Edward. Mi scrutava come a volermi leggere dentro, volsi lo sguardo incapace di sostenere oltre il suo. C’era una tempesta dentro quegli occhi che in quel momento sembravano più scuri del solito. Non era la prima volta che notavo quel particolare.

— Ti accompagno — disse dopo che gli ebbi restituito il cellulare. Con innata grazia si alzò dalla panchina e si fermò a guardarmi con le mani nelle tasche. Sembrava in posa per la copertina di Vogue.

Lo imitai e nel silenzio più assoluto ci incamminammo verso casa. Inevitabilmente la mente corse a quello che era successo. Perché quell’uomo mi aveva aggredito? Istintivamente mi avvinghiai al braccio di Edward, mi faceva sentire protetta. Edward sembrò irrigidirsi in un primo momento poi si rilassò, sciolse la mia presa e temetti di aver azzardato troppo ma lui mi circondò le spalle con il braccio e mi strinse maggiormente a se. Piegò la testa verso il mio viso e depose un leggero bacio sulla testa e inspirò con forza tra i miei capelli, come a volersi accertare che fossi veramente lì con lui.

 

— Sono stata in ospedale perché sono stata male… non era nulla di grave non devi preoccuparti — citò parola per parola quello che gli avevo propinato il primo giorno che lo rincontrai. Mi sentì in colpa e tanto sciocca. — Perché mi hai mentito? Perché non mi hai detto dell’aggressione e del processo? — non era un’accusa o un rimprovero, sembrava deluso e triste.

— Io… perdonami. È che era passato, si era risolto tutto — la sua presa si rafforzò come a dire che non tutto era stato risolto — insomma non proprio tutto ma ero salva.

— E non hai pensato che io lo volessi sapere? — quella invece era un’accusa. Potevo capirlo, tra amici ci si dice tutto ed io gli avevo mentito e potevo comprendere questa sua reazione, mi credevo nel giusto a non volevo farlo preoccupare inutilmente.

— E per fare cosa? Quello che è fatto è fatto.

— Non tanto se quelli che ti hanno aggredito ad agosto ti mandano contro un pregiudicato per metterti paura — ringhia con rabbia e tremai, anche se sapevo che non era rivolta a me. Addolcì lo sguardo quando si accorse dell’effetto delle sue parole.

— Scusa, Bella, ma il solo pensare a quello che voleva fare mi manda in bestia.

— Pensi che siano stati i genitori di Gabe e Fred? — chiesi scioccata dalla rivelazione. Non arriverebbero mai a questo! O almeno così me ne convincevo.

— Ti prego parliamo d’altro. Ti dirò tutto quando sarò a debita distanza da quel… quell’essere e quei… — scosse la testa e sciolse l’abbraccio. Subito sentì freddo per quel distacco, buffo se si teneva conto che Edward aveva una temperatura più bassa del normale.

— Siamo arrivati — annunciò e solo in quel momento mi accorsi che eravamo pochi metri prima del cancelletto di casa. Com’era volato il tempo in sua compagnia.

— Cha farai ora? — chiesi per prolungare il mio tempo con lui.

— Raggiungerò i miei fratelli all’hotel e vedremo di organizzare dei turni per tenerti controllata.

“Siete dei ragazzi come potete tenermi al sicuro?” Volevo chiedergli ma avevo il forte sospetto che tutto quello rientrasse nel grande segreto dei Cullen che per ora era off limit — Solo… domani resta in casa tutto il giorno, ti prego, altrimenti non potremmo proteggerti.

— Perché? — ma dopo che un sorriso di scuse gli inclinò le labbra e mi risposi da sola.

— Ne riparleremo con calma quando torneremo a Forks — cantilenai e Edward annuì divertito.

— Scusa, ma è una cosa importante e forse sono anche egoista a non volertelo dire. Ho paura che dopo aver scoperto la verità, tu mi escluda dalla tua vita — i suoi occhi esprimevano un dolore straziante a quella prospettiva e dovevano essere un riflesso dei miei. Niente e nessuno mi avrebbe portato ad allontanare Edward dalla mia vita. — Tu nemmeno te ne rendi conto ma hai dato una ragione alla mia lunga esistenza.

Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.

— Edward, abbiamo diciassette anni — gli dissi ma lui non sembrava condividere il mio divertimento.

— Tua madre sta per uscire vado o non sapresti come spiegare la mia presenza. Ci sentiamo quando torneremo a Forks — disse ignorando completamente la mia battuta.

Boccheggiai spiazzata dalle sue parole, perché dovevo aspettare così tanto tempo? Avevamo tutto domani e venerdì.

— Tua madre ti requisirà per tutto il giorno e poi dovrete festeggiare la vostra vittoria dopodomani.

— Non sappiamo se vinceremo — risposi mesta. Potrebbero trovare qualcosa per proteggersi, far fuggire ancora una volta i testimoni, corrompere il giudice,…

— Vincerete — disse sicuro di sé. Da parte mia, sperai che avesse ragione, volevo che quell’incubo finisse per poter tornare alla mia vita.

Mi lasciò una carezza sulla guancia che fu come ghiaccio rovente sulla mia pelle e mi superò. Quando mi girai desiderosa di ammirare la sua elegante figura allontanarsi lui non c’era.

Era come svanito nel nulla.

— Bella! Oddio sei arrivata! — mamma apparve sull’uscio di casa con in viso un’espressione sollevata.

Entrai velocemente e potei constatare che sia Phyl che Charlie erano nella stessa situazione di Reneè. Mi diedi mentalmente un calcio per averli fatti preoccupare così tanto e avrebbero dato di matto se avessero scoperto l’aggressione. Così tacqui e con la scusa di riposare in vista di domani mi defilai in camera mia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Verità ***


Eccomi qui! Sarò breve, visto che vi ho già fatto aspettare tanto: ringrazio le ragazze che hanno messo tra le seguite preferite e ricordate la storia ma soprattutto quelle che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie 1000!!!
E' stato un parto questo capitolo, il tempo era poco e quando riuscivo a ritagliare un pò di tempo per scrivere, l'ispirazione andava a arsi un giretto e quello che scrivevo mi faceva schifo, forse è anche il periodo- sono un pò giù - e così riscrivevo tutto.
Le recensioni sono diminuite: poco tempo o vi sto annoiando?
Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina 
FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

p.s: ho scritto una nuova storia "La musica nel cuore" finita se volete farci uns alto siete ben accette!!! Ecco un piccolo spoiler:

« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa. 
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.





 




 

 

... Verità ...



 

— … Per questo dichiariamo gli imputati colpevoli — quelle parole ebbero l’effetto di farmi scoppiare il cuore di gioia. Avevo passato un’ora in piena crisi, con i miei famigliari, mentre aspettavamo il verdetto. Ci siamo riusciti, pensai appena il giudice lesse la sentenza ma ancora non potevo crederci. Forse avevo capito male, forse avevo proiettato i miei desideri sulla realtà ma la reazione delle persone a me vicine mi suggeriva che no, c’eravamo riusciti.
— Ce l’abbiamo fatta! — esultò la voce di Reneé e subito dopo sentì le sue esili braccia cingermi in un abbraccio liberatore e pieno di calore.
— Già non posso crederci — dissi ricambiando con meno foga il suo abbraccio. Troppo era ancora lo stupore.
— Tesoro, un po' più di entusiasmo — esclamò gioiosa, allontanandosi per guardarmi.
— È che ancora non riesco a crederci — mormorai. Pensavo che anche quella volta avrebbero trovato una scorciatoia, un modo per farla franca ma non era successo.
Quando finalmente realizzai che Gabe e Fred avrebbero pagato per le loro azioni sul mio viso spuntò un sorriso che andava da un orecchio all’altro e quando anche papà venne ad abbracciarmi lo ricambia con calore.
L’incubo era finito.
Mentre noi uscivamo dalla sala del processo dalla porta principale, Fred e Gabe venivano portati fuori, in manette, dalla porta laterale sotto la sorveglianza di due agenti sotto lo sguardo allibito dei loro genitori.
 
Come aveva detto Edward la sera dell’aggressione, giovedì non ebbi il tempo per sentirlo. Mamma si era presa tutta la settimana per poter passare  più il tempo possibile con me e mi aveva praticamente fatto il terzo grado su quello che era successo a Forks: gli amici, il tempo,… tutto quello che non mi aveva chiesto mercoledì per via del processo e della tensione me lo chiese in quelle ventiquattro ore che si rivelarono molo intense ma tutto sommato furono piacevoli. Ci eravamo sentite solo per mail e brevi chiamate telefoniche e le cose da raccontarci erano molte.
Nel pomeriggio mi raggiunse anche Claudia che libera dalla scuola lo passò tutto con me e fu bello poterla rivedere e parlarci. Si fermò anche a cena e se ne andò solo alle dieci di sera e stanca com’ero, ebbi solo la forza di chiudere le tende e poi crollare sul letto ma la mia mente era così piena di Edward che lo sognai rendendo il mio risveglio dolce e amaro.
 
— Prenoto subito al Ritz. Questa vittoria deve essere festeggiata al meglio.
Eravamo usciti dal tribunale ed io avevo alzato il cappuccio per coprirmi meglio che potevo e camminavo lungo la zona d’ombra degli alberi che costeggiavano l’ingresso del tribunale mentre poco più avanti la mia famiglia parlava animatamente.
Faceva caldo, molto caldo, mi ero così abituata all’umidità e alle temperature polari di Forks che quel caldo mi stava dando alla testa, mi dava quasi fastidio, volevo solo tornare a casa e stare davanti all’aria condizionata.
— Phyl, non è necessario — tentai di dire. Lui si girò guardandomi come se avesse detto la peggiore delle bestemmie.
— Ma cosa dici! Certo che è necessario, non preoccuparti dei soldi — per lui era quello il problema poiché avevo sempre protestato quando spendevano tanti soldi per me, ma in quel momento non era quello il problema. Volevo avere la serata libera per vedere Edward e stare con lui. Forse era egoistico da parte mia voler passare del tempo con lui, e non con i miei famigliari che avevano sofferto con me per tutto quel tempo, ma la mia era una necessità viscerale.
— So che non ami le feste, questo lo hai preso da me — mi disse con un’occhiata divertita cui risposi con un sorriso complice — ma per questa volta puoi fare uno strappo.
E accettai con un sospiro rassegnato.
Stavo camminando a fianco di Reneè quando una macchina dai vetri oscurati attirò la mia attenzione. Una Mercedes, una delle ultime uscite nel mercato, dai vetri oscurati e perfettamente tirata a lucido era parcheggiata all’ombra di una grande palma. Il finestrino del passeggero si abbassò lentamente fino a fermarsi più o meno a metà e rimasi stupita di vedere chi fosse al suo interno. Alice con il capo coperto da un foulard colorato e con indosso un paio di occhiali da sole, che la facevano sembrare una grande mosca, mi salutava con la mano inguantata ma la persona che attirò la mia attenzione più della mia amica fu Edward che con un cenno del capo mi salutò. Era chinato leggermente in avanti, una mano poggiata sul volante mi guardava con un sorriso rilassato e felice. Felice come lo ero io, loro erano lì con me, per me, per sostenermi, certamente c’era anche Jasper che forse era seduto nei posti posteriori della macchina e nascosto dal vetro oscurato.
— Bella, andiamo! — mi richiamò Reneè che si era avvicinata alla macchina.
Un ultimo sguardo alla macchina, i vetri erano stati rialzati, e raggiunsi i miei genitori.
 
— Allora Bella che farai? Tornerai a Jacksonville? — così esordì Phyl appena il cameriere portò via il mio piatto ancora mezzo pieno di carne e verdure grigliate. Stavo bevendo un sorso d’acqua e quella mi andò di traverso per la domanda inattesa.
— C… cosa? — anche Charlie aveva avuto la mia stessa reazione.
— Beh… ora che non ci sono più difficoltà — giustificò la sua domanda con una scrollata di spalle.
— Bella non avrebbe una vita tranquilla. Qui tutti parleranno del processo, le famiglie di quei due ragazzi sono influenti e non si arrenderanno — protestò mio padre ed io non potevo dargli torto. Avevamo vinto il ricorso ma quella era gente che non si arrendeva al primo ostacolo.
Si accese una discussione tra i tre adulti e la cosa fastidiosa era che nessuno stava chiedendo il mio parere.
Se me lo avessero chiesto un mese fa avrei detto sì. Il sole, il tramonto, il mare,… ma a Forks avevo ricostruito una vita tranquilla e mi ero fatta molti amici e soprattutto non ero nel mirino di nessuno. Ma più di tutto avevo ritrovato qualcuno, la prima persona che fuori dal mio nucleo familiare mi aveva guardato come una persona normale e che non aveva fatto della mia malattia il principale argomento di discussione.
— Non voglio tornare — intervenni nella discussione e azzittendo i miei genitori e il mio patrigno. Charlie mi sorrideva raggiante, Phyl semplicemente alternava lo sguardo tra me e sua moglie la quale mi guardava con la bocca semiaperta egli occhi velati da cosi tanti sentimenti negativi, che mi fecero sentire in colpa. Dolore, tristezza, rabbia e tante accuse.
— Scusate — mormorò alzandosi dal tavolo con un sorriso mesto e uscì sul terrazzo che costeggiava il lato lungo della sala rivolto verso il mare.
— Scusatemi — dissi, poggiando il tovagliolo sul tavolo, e la seguì. Appena uscita il vento caldo che veniva dal mare mi fece riempire la pelle di brividi per il contrasto con la frescura dell’interno. Feci vagare lo sguardo fino a che non la vidi.
Si era appoggiata alla balaustra e guardava dinnanzi a se. Pareva non essersi accorta di me. Ad un certo punto il silenzio fu rotto da un singhiozzo.
— Mamma?
Reneè parve destarsi da un sonno e si affrettò ad asciugarsi le guance.
— Solo un momento,tesoro.
— Mamma, credi davvero che nonvoglia tornare qui? Mi manchi tantissimo e anche Jacksonville mi manca.
— Allora perché non torni? — mi chiese voltandosi verso di me.
Gli occhi lucidi e imploranti. Era straziante guardarla. Volevo abbracciarla e dirle che sarei rimasta, che non l'avrei abbandonata. Ma questi mesi a Forks mi avevano cambiato.
— Perché sono sempre stata in qualche modo dipesa da te e tu eri in qualche modo felice di ciò — confessai con tono comprensivo. — Non te ne faccio una colpa, una parte di me era felice che ti preoccupassi tanto per me ma dopo quello che è successo molte cose sono cambiate. A Forks ho iniziato una nuova vita, sto bene, come non lo sono mai stata qui. Certo il freddo e l’umido sono stati difficili da accettare — sdrammatizzai facendola ridere.
Reneè sospirò e si accomodò su una panchina invitandomi a imitarla. Mi sedetti e lei prese le mie mani nelle sue e le strinse.
—Prenderti cura di te mi faceva sentire utile, — ammise con un sorriso imbarazzato — sei la mia bambina e volevo difenderti da tutto e tutti.
— Lo so, probabilmente anch’io con mia figlia farò lo stesso, ma arriva un momento in cui dobbiamo lasciare il nido — dissi usando la metafora che Phyl era solito usare quando parlava dell'Università.
— Già, a quanto pare è inevitabile ma ho fatto un buon lavoro, no? — mi chiese con voce roca e trattenendo le lacrime dietro un sospiro profondo.
— Sì, sei stata la miglior mamma del mondo — mormorai con gli occhi lucidi. Reneè mi accarezzò i capelli e poi allargò le braccia in un chiaro invito ad abbracciarla. Io ero quella delle pacche sulla spalla e via, era mamma quella espansiva ma non gli negai quel gesto di affetto e la accontentai e rimanemmo così, strette in un abbraccio pieno di affetto, gioia, tristezza e qualche lacrima da parte di entrambe.
— La mia bambina — mormorò rafforzando la presa su di me prima di lasciarmi libera.
— Ogni volta che avrai bisogno di me, chiamami ed io sarò qui il prima possibile — gli promisi.
Ritornammo al tavolo dopo una veloce tappa bagno. "Mamma deve incipriarsi il naso" si giustificò con un sorriso divertito.
Nessuno disse nulla, a parte Charlie che mi lanciò un’occhiata nervosa, ma si rilassò al mio cenno di rassicurazione.
 
La mattina dopo, io e papà, eravamo all'imbarco per prendere l'aereo che ci avrebbe riportato a casa.
Mi guardavo attorno alla ricerca di una chioma rossiccia o di un folletto esuberante ma non vi era traccia, né dell'uno né dell'altro. Erano già tornati a Forks? Avevano prenotato su un altro aereo?
Con la fine del processo e la fase di festeggiamenti l'episodio dell'aggressione tornò prepotente nella mia mente. L’immagine di Edward, che come un leone a caccia troneggiava sul mio aguzzino, e le sue parole criptiche mi ronzavano nella mente come un immenso sciame di api.
"Nei loro pensieri non c’era traccia... "
Che voleva dire quella frase percepita tra lo stordimento che aveva seguito l'agguato?
"Ma ho visto quello che sarebbe potuto succedere"
E quell’affermazione di Alice?
Edward aveva promesso, una volta a casa mi avrebbe dovuto raccontare tutto.
 
" I passeggeri del volo 337AB... sono pregati di raggiungere il Gate 7 "
La voce metallica arrivò prepotente alle mie orecchie.
Recuperammo i nostri bagagli a mano e ci mettemmo in fila con i biglietti alla mano.
Era sera quando finalmente arrivammo a Forks. Le ore di viaggio iniziarono a pesare come macigni e quando mi sdraiai con l'intenzione di far riposare gli occhi per un paio di minuti, crollai in un sonno profondo da cui mi risvegliai la mattina successiva, quando erano appena passate le undici.
Quel giorno lo iniziai con il sorriso sulle labbra. Potevo dire di aver chiuso in capitolo della mia vita e di averne iniziato uno nuovo. Giustizia era stata fattae potevo lasciarmi alle spalle quel brutto episodio, anche se, a onor del vero, non lo avrei dimenticato del tutto. L'avrei chiuso in un cassetto nella zona più remota della mia mente sperando che non venisse più riaperto.
Cercando di non fare troppo rumore mi avvicinai alla porta di mio padre.
Charlie dormiva ancora ed era strano visto che lo sceriffo era famoso per le sue alzate mattutine,indifferente al fatto che avesse dormito solo per due ore. A quanto pareva, il processo e tutto il resto erano stati una prova molto dura per lui, nonostanteavesse mostrato sempreunatteggiamento calmo e sicurodi se.
Tornai in camera decisa a sfruttare quello che restava della mattina e il più silenziosamente possibile, rimisi a posto gli indumenti che non avevo usato e misi in lavatrice tutto il resto. Recuperai anche la valigia di papà e sistemai anche la sua.Feci partire la macchina e andai in cucina per preparare qualcosa per pranzo. Erano quasi le due del pomeriggio ma visto che non toccavo cibo dalla sera della cena al ristorante, non avrei avuto problemi a divorare un pollo intero e Charlie probabilmente non sarebbe stato da meno. Il padrone di casa scese nel preciso momento in cui l’orologio del forno suonò e le mie previsioni si avverarono. Nemmeno un pezzettino era sopravvissuto al passaggio di mio padre e al mio. Dieci minuti dopo se ne andò per raggiungere l’amico alla riserva per festeggiare con lui la vittoria al processo, cercò di convincere anche me ma per il pomeriggio avevo altri piani.
 
Una volta che tutto ebbi ripulito la cucina, recuperai il cellulare, digitati poche ma decise parole e inviai il messaggio.
Avevo bisogno di risposte e lui me le doveva. Lo aveva promesso ed io dovevo sapere quello che stava succedendo. Aveva paura che lo cacciassi dalla mia vita ma nemmeno scoprire che contrabbandava droga per qualche cartello mi avrebbe spinto fino a tanto.
Era qualcosa d’inconscio ma sapevo di volerlo nella mia vita. Per sempre.
 
Nemmeno cinque minuti che qualcuno bussò alla porta.
— Ciao — lo salutai con un sorriso.
— Ciao — lui sembrava agitato e se prima ero tranquilla, in quel momento iniziai a preoccuparmi. Quello però non m’impedì di perdermi a osservarlo affascinata. Indossava un giaccone grigio lungo fino ai fianchi, sotto un paio di jeans scuri e una camicia azzurro chiaro. Non mi accorsi del tempo che passò, almeno fino a che la sua voce cristallina mi riscosse dal mio torpore.
—Mi fai entrare? — disse tentando il suo sorriso sghembo ma che non ebbe l'effetto delle altre volte.
Arrossì e rapida mi spostai dall'ingresso per lasciarlo passare.
— Sì, scusa. Entra pure.
Fece tre passi verso l'interno e attese fino a che chiusi la porta prima di togliersi il cappottoe appenderlo all'attaccapanni.
— Posso offrirti qualcosa da bere?
La mia richiesta lo fece ridere.
—Dopo ti pentirai di avermelo chiesto — mi spiegò criptico, quando gli domandai il perché, sorridendo a mia volta, ipnotizzata dalle sue movenze. Ero come quelle prede, nei documentari su National Geografic, che ipnotizzate guardavano il serpente senza rendersi conto di guardare in faccia la propria morte.
  — Beh... Il salotto sai dov'è. Io vado un attimo in cucina —dissi riprendendo un po’ di contegno.
Bevvi un bicchiere di acqua nel tentativo di eliminare l'arsura che mi bruciava la gola ed esitai prima di tornare sui miei passi. Poggiai il bicchiere vuoto sul lavandino e con le mani saldamente ancorate al bordo del lavabo piegai la testa in avanti.
Era arrivato il momento ma l'atteggiamento di Edward aveva instillato il me il timore. Forse era meglio lasciar perdere, mi dissi pensando di essere ancora in tempo. Avrei potuto iniziare a parlargli del compito di letteratura o chiedere il suo parere su “ Dracula”.
— Bella?
Il suo richiamo mi ridestò dai miei pensieri e fece riemergere il desiderio di conoscenza. Avevo come la sensazione che da quella rivelazione molte cose sarebbero cambiate
— Arrivo! — esclamai e a passo deciso lo raggiunsi in salotto.
Edward era comodamente seduto sul divano. Un gomito sul bracciolo, nelle mani reggeva il libro di Stoker e lo guardava con un sorriso amaro.
— Eccomi — dissi per palesare la mia presenza. Edward alzò gli occhi e si sistemò meglio sul divano.
— Bene, allora oggi scoprirò il grande mistero — esordì con falso entusiasmo.
— Già ma promettimi una cosa?
— Cosa?
— Promettimi che mi lascerai il tempo di spiegarti per bene tutto. Non voglio che tu abbia paura di me, di noi. Noi non ti faremmo mai del male, così come a nessun altro.
— Edward…
— Prometti, Bella. Tutto sarà più chiaro dopo — m’interruppe. Non sapevo che dire quindi mi limitai ad annuire prima di promettere.
— Bene. Da dove inizio? — mi domandò con un sorriso falsissimo e un nervosismo malamente celato. Non lo avevo mai visto in quello stato.
— Che ne dici dall'inizio? — gli proposi e lui scosse la testa, si girò verso di me e prese la mia mano tra le sue. La strinse con forza, come a cercare l’energia, il coraggio per parlare, ricambiai la stretta e lo guardai negli occhi in cui mi sembrava di leggere speranza.
Sorrisi per incitarlo a continuare.
— Se parto dall'inizio, sarà una cosa lunga. Che dici di farmi le domande che t’interessano ed io risponderò nel modo più esauriente possibile?
— Va bene — dissi stordita dalla sua affermazione. — Allora perché eravate a Jacksonville?
— Sapevamo che saresti andata lì, intendo prima che tu ce lo dicessi.
Si affrettò ad aggiungere quando stavo per dire che era logico visto che li avevo informati io.
— Come?
— Alice.
Ho visto... — mormorai, ricordando alcuni loro frammenti di conversazione. Edward annuì solenne.
— E sapevamo che qualcuno avrebbe tentato di farti del male, Alice l’ha visto chiaramente. E se tutto andrà come spero, dovremmo discutere di alcune cose tu ed io — mi ammonì. Non badai alla sua minaccia, ero troppo sconcertata dalla sua rivelazione.
— Alice vede il futuro? E allora tu sai leggere nel pensiero? — continuai.
— Sì.
Avvampai, non poteva essere vero, era assurdo. Non era umanamente possibile. Forse mi stava leggendo nella mente anche in quel momento e allora sapeva quello che provavo nei suoi confronti e aveva visto tutti i pensieri che avevo fatto su di lui! Ma soprattutto lui aveva ascoltato tutto il mio ragionamento. Il viso però era impassibile.
— Che sto pensando? — chiesi per testarlo. Sorrise e lentamente alzò la mano libera per sfiorarmi la fronte. Mi lascia travolgere dalle miriadi di sensazioni che mi stavano travolgendo. Era incredibile come un gesto come quello, semplice, privo di malizia potesse provocarmi tutte quelle emozioni.
— Tu sembri l'unica immune alla mia capacità.
Sospirai di sollievo, ero salva ma poi un pensiero s’insinuò nella mia mente. Perché io no?
— È per questo che ho impiegato molto per trovarti.
Gli occhi erano una tempesta nera, che mi fecero tremare dalla paura. Edward sembrò accorgersene e i suoi occhi tornarono di quella calda sfumatura dorata di sempre.
— Che cosa ho che non va?
— Come? — chiese lui stupito.
— Che cosa ho che non va e che t’impedisce di leggermi la mente? Sono forse malata? Ho un tumore? Mamma una volta ha visto un film in cui la protagonista aveva un tumore o altro al cervello e questo la proteggeva dai tentativi alieni di controllarle la mente come tutti gli altri.
— Frena, Bella, tu stai bellissimo. Il tuo odore è normale.
— Il mio odore? — chiesi stranita.
— Sì, diciamo che noi abbiamo un ottimo olfatto.
— Noi? Intendi tu, Alice e Jasper? E gli altri che dicono, lo sanno?
— Bella, anche loro sono come me. Siamo tutti uguali — mi rivelò con voce calma e calcolata. Come se temesse di spaventarmi se avesse alzato anche solo d mezzo tono la voce.
— Cosa siete? Tu e Alice avete dei poteri, avete udito e olfatto finissimo per non parlare poi della pelle pallida, gli occhi che cambiano colore, siete freddi e le occhiaie... — a ogni parola Edward si irrigidì sempre di più — Se non fossi certe che non esistono direi che voi siete dei vampiri — dissi con tono scherzoso.
Ma lui non pareva trovarlo divertente perché si limitò a guardarmi serio per poi pronunciare le parole che avrebbero stravolto completamente e irrimediabilmente la mia vita.
— È quello che siamo Bella.
— Cosa? — chiesi come una sciocca.
— Vampiri, siamo vampiri. Tutti da Carlisle a me.
Lo osservavo a bocca aperta, il cuore che batteva all'impazzata e la mia mente che si rifiutava di credere alle sue parole.
Scoppiai a ridere di gusto tanto che gli occhi iniziarono a lacrimare e la pancia iniziò a dolermi.
— Bella? Ti senti bene?
— Vampiri? Davvero voi siete vampiri? Adesso mi dirai che i Quileutte sono davvero dei lupi mannari e che magari ci sono anche tante Buffy in giro per il mondo a cacciare.
— Per i cacciatori non so dirti se esistono ancora, anche se ai tempi di Carlisle sì, o almeno dei fanatici che si ritenevano tali. Per i Quileutte invece è vero ed è per questo che devi stare attenta con loro, qualcuno si è già trasformato.
Mi aspettavo che da un momento all’altro si mettesse a ridere dicendo: "Scherzavo! Dovresti vedere la tua faccia. È impagabile ". Ma non lo fece.
Rimase li, le mani strette alle mie, guardandomi serio. Dannatamente serio.
Vampiri, cacciatori, lupi mannari, erano cose cui non credevo e lui invece mi stava dicendo che sì, esistevano.
— Non è uno scherzo, Bella — e per la prima volta vidi un lampo d’impazienza nei suoi occhi. — È la verità.
Non so per quanto tempo rimasi ferma a guardarlo e nemmeno quando liberai le mie mani dalla stretta in cui erano chiuse, nemmeno mi resi conto del lampo di dolore che attraversò gli occhi del ragazzo.
Le sue parole stavano prendendo sempre più consistenza dentro di me, la mia mente era sopraffatta da quella rivelazione e come a difendersi rifiutava la verità preferendo rimanere entro i confini sicuri del mondo in cui era vissuta fino a quel momento.
Non reagì quando la bocca di Edward iniziò a muoversi emettendo parole silenziose e nemmeno quando con sguardo ferito si alzò e scomparve dalla mia vista a una velocità non umana. Rimasi in quello stato catatonico per un tempo indefinito almeno fino a che non arrivò Charlie.
La mia mente lavorava a briglia sciolta. Non stava mentendo, era tutto vero me lo avevano detto i suoi occhi. Ero amica di una famiglia di vampiri!
— Bells?
Sobbalzai per lo spavento e per una frazione di secondo m’immaginai Rosalie che mi attaccava alle spalle puntando alla mia giugulare. Portai una mano al collo nel vano tentativo di proteggermi.
— Bella? Che hai? Sei bianca come un cadavere?
Bianca come un cadavere, come un vampiro.
— Sto bene — biascicai con voce bassa e tremante. — Non mangio questa sera, non mi sento molto bene.
— Certo, non preoccuparti. C'è del pollo avanzato io mangerò quello. Tu riposati.
Annuì e come un automa mi alzai dal divano e raggiunsi la mia camera, mi sdraiai sul letto e portai all'altezza del viso il libro di Dracula e lo aprì al punto in cui ero arrivata per riprendere la lettura.
È quello che siamo, vampiri.
Quella frase emerse tra le tante che mi offuscavano la mente e ricomincia daccapo, quella volta leggendo con diversi occhi, con la consapevolezza che quello che era scritto rispecchiava la realtà. In quel modo si spiegavano i loro modi delle volte antiquati, il loro atteggiamento più maturo rispetto alla loro apparente età, il loro aspetto… tutto ed io ebbi paura.
 
Quella notte non dormì, lessi per tutto il tempo. Sembrava che Morfeo si fosse dimenticato di me e alle cinque e mezzo di mattina avevo ormai terminato il libro.
Edward, i Cullen erano dei vampiri, di quelli veri con zanne e sangue come dieta base. Nella mia mente m’immaginavo Edward, o la piccola Alice, chini sul collo della loro vittima di turno. Rabbrividì.
Quanti esseri umani avevano ucciso?
Stoker non c’era andato leggero con Dracula e avevo il terrore che quelle parole potessero corrispondere a verità.
Su quegli esseri soprannaturali sapevo poco o nulla così, lasciai il libro ormai terminato sul letto e accesi il computer. Pagine e pagine di blog, saggi, siti dedicati ai vampiri e al loro mondo. Tentare di trovare qualcosa di rassicurante in quell’accozzaglia di titoli era come cercare un ago in un pagliaio.
Cercai cosa comportasse il morso di un vampiro e anche lì, c'erano diverse versioni. Il vampiro si nutriva del necessario e poi lasciava andare la vittime cancellando loro la memoria, e per un momento mi chiesi se Edward o qualcun altro lo avesse fatto su di me ma era impossibile, non avevo buchi inspiegabili nella memoria e soprattutto nessun segno sul collo. Continuando a leggere scoprì che per trasformare qualcuno c'era bisogno che l’essere umano bevesse del sangue del vampiro ma secondo altri siti, un morso era abbastanza per trasformare in vampiro la vittima.
Non sapevo a chi credere. Quale versione era vera ma soprattutto c’era qualcosa di vero? Avevo vissuto con i Cullen per mesi e gli unici aggettivi che potevo attribuirgli erano: gentili, simpatici, altruisti, un po’ strani dovetti ammettere ma lo erano in senso buono.
Erano i vicini che tutti avrebbero voluto, non davano l’impressione di essere degli assetati di sangue, spietati e lussuriosi.
 Sconsolata spensi il computer e mi sdraiai sul letto. Mi coprì il viso con le mani e stropicciai gli occhi come se potessi cancellare dalla mente le ultime novità. Stanca, lasciai cadere le mani sul letto e senza nemmeno accorgermene scivolai nel sonno.
Quando riaprì gli occhi, l’orologio segnava le undici di mattina. La scuola in quel momento era l’ultimo dei miei problemi. Mi alzai e proprio quando stavo uscendo dalla camera, il mio cellulare emise una vibrazione, segno che era arrivato un messaggio.
Lo presi ma bloccai a mezz’aria il dito per aprire il messaggio. Era Alice. L’esitazione durò un momento perché poi mi decisi ad aprirlo.
Non credere a tutto quello che leggi — lessi a bassa voce. Che voleva dire? Come faceva a sapere quello che avevo letto?
Poi mi ricordati di quello che mi aveva detto Edward, vedeva il futuro e questo voleva dire che tutto quello che ho fatto, lei l’ha visto.
— Non c’è privacy a casa vostra — dissi e se Alice mi stava guardando, probabilmente, mi aveva visto dire ciò. Nemmeno il tempo di pensarlo che, la pseudo vampira, mi mandò un altro messaggio.
Ci si fa l’abitudine dopo cinquanta anni. Ora ti lascio o Edward mi stacca la testa a morsi.
— Cinquanta anni? E fate ancora il liceo! — gracchiai sconvolta.
Non ero sicura che fossero vampiri, insomma potevano fare quello che volevano e frequentavano il liceo? Se fossi una vampira, avrei tante cose che vorrei fare e il liceo sarebbe l’ultima della lista. Viaggiare, imparare nuove lingue, seguire i più svariati corsi nelle più svariate Università.
Il rumore del cellulare mi distrasse dalla lista sul “cosa fare se fossi immortale”.
Ricorda, non credere a tutto quello che leggi. Parlate.
 Il punto era se io volessi parlare con loro ancora o se invece volevo evitarli. Mamma mi aveva proposto di tornare a Jacksonville e per un secondo accarezzai l’idea di chiamarla e accettare.
No, per quanto la mia razionalità mi urlava di stare alla larga da loro, il mio cuore diceva di non temerli. Edward, Jasper e Alice mi avevano salvato da quell’aggressione. Esme e Carlisle mi avevano trattato come una figlia.
Non era colpa loro se qualcuno li aveva trasformati e obbligati a fare quella vita. Proprio non riuscivo a immaginarmeli mentre uccidevano gente. Non la dolce Esme e l’altruista Carlisle.
Dovevo ammettere che per Rose non avrei messo la mano sul fuoco visto le occhiate che mi lanciava ma ero certa che non avrebbe fatto nulla che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua famiglia.
   Allora come facevano a nutrirsi? Si servivano di sangue di maiale che doveva essere abbastanza simile a quello umano o usavano le sacche comprate alle Banche del sangue?
Certo era che non avrei risolto nulla stando seduta sul mio divano facendomi mille più domande a cui non sapevo dare una risposta. Come diceva Alice dovevo parlare con loro. Dovevo parlare con Edward.
Edward… gli avevo promesso che lo avrei ascoltato fino alla fine, che gli avrei dato il tempo di spiegarsi ma non lo avevo fatto. Che pensava di me in quel momento?
Sapevo di non poterlo perdere, non volevo perderlo. Vampiro, licantropo, Yeti delle nevi, qualsiasi cosa fosse non m’interessava. Nonostante le rivelazioni, il mio sentimento per lui non era cambiato di una virgola.
Ero decisa e in poco tempo mi cambiai e mi vestì per raggiungere la tana del lupo. Ero sull’uscio di casa quando mi ricordai che loro erano a scuola e che avrei dovuto aspettare la fine delle lezioni.
Il cellulare vibrò per l’ennesima volta.
Edward è appena tornato a casa, va sicura sorellina.
— Grazie, Alice — dissi riconoscente e conscia che la ragazza mi avesse visto.
 
Coprì correndo i pochi metri che mi separavano dal pick-up cercando di non schizzarmi a causa delle pozzanghere che ricoprivano il viale e salì mettendo subito in moto.
Per l’ennesima volta percorsi il tortuoso sentiero che portava alla Villa nel bel mezzo del bosco. Il cuore iniziò a battere furioso quando iniziai a vedere la grande vetrata del salotto. Edward probabilmente mi aveva già sentito arrivare e, infatti, non mi stupì quando una volta scesa dalla macchina, lo vidi davanti alla porta osservarmi stupito.
— Ciao, Edward.
— Ciao — disse guardandomi come se fossi un fantasma.
— Mi fai entrare?
Accennai un sorriso perché quella scena sembrava molto simile a quella avvenuta il giorno prima davanti a casa mia. Sembrò riprendersi e si arrischiò a un sorriso.
— Sì, certo entra pure — disse facendomi spazio.
— Vuoi qualcosa da bere? Acqua, tè,… ? — mi propose mentre mi faceva strada verso il salotto.
— No, grazie — dissi — anche se non riesco a capire la funzione del cibo per voi. Insomma i vampiri non… insomma voi non mangiate — farfugliai. Non riuscivo a dire “bevete il sangue”, pronunciarla mi faceva venire in mente lui chino su una persona per succhiarne il liquido rosso.
— È per mantenere la facciata. La maggior parte del cibo la diamo in beneficenza. Anche i vestiti. Alice non ci permette di indossarli per due volte. Li fa sparireprima — confessa liberando una risata nervosa. Lo imitai e apprezzai il suo tentativo di alleggerire la tensione.
— Non mi è difficile immaginarlo, conoscendola.
—Non sei venuta questa mattina...
—Non mi sono svegliata. Ieri ho passato la notte in bianco.
—Ti ho visto.
—Come?
—Ero... in giro ieri notte e mi sono arrampicato sull'albero davanti alla tua finestra.
—Io non ti ho visto —mormorai. Dovevo sentirmi offesa o arrabbiata dal fatto che lui mi avesse spiato, ma non ci riuscivo. L’unica cosa che provavo era felicità. Nonostante il modo in cui lo avevo trattato non mi aveva abbandonato.
—Siamo molto silenziosi e dalla mia avevo un po’ di esperienza —confessò, lasciandomi interdetta. —Un paio di volte sono venuto a farti visita.
—Davvero? Qualche volta mi risvegliavo con la sensazione di aver avuto qualcuno al fianco —gli confessai con un po’ d’imbarazzo.
Edward sorrise mostrando i denti. Bianchi, perfetti e affilati. Quello mi ricordò il motivo che mi aveva portato lì.
—Ieri — iniziai, per introdurre l'argomento —ti avevo promesso che ti avrei ascoltato ma non l'ho fatto e ora sono qui.
—Credevo che non ti avrei più rivisto —disse con tono amaro.
—Ve ne sareste andati? —domandai con un nodo in gola.
—Sì, sarebbe stato troppo rischioso.
Annuì digerendo la notizia. Alla prospettiva di vederlo andare via, perderlo per la seconda volta, mi si straziava il cuore.
—Posso? —chiesi indicando il divano.
—Certo, scusa. Noi non abbiamo necessità di sederci e spesso mi dimentico delle necessità degli umani.
—Non fa nulla. Allora... Ti ascolto — dissi sedendomi. Gli rivolsi un sorriso tranquillo che lui ricambiò esitante.
Si sedette e parlò,svelandomi un mondo tutto nuovo.
—Sono nato a Chicago nel 1901 —strabuzzai gli occhi, scioccata dalla sua vera età.
—Quindi tu avresti 111 anni —lui annuì —li porti bene —dissi cercando di trovare qualcosa che non lo offendesse. La mia uscita lo fece scoppiare a ridere di gusto. La sua risata si diffuse nell'aria come musica aumentando le mie palpitazioni.
—Tu riesci a stupirmi sempre, Bella. Non fai mai quello che mi aspetto.
—Che avrei dovuto fare secondo te?
—Scappare urlando? Chiunque lo avrebbe fatto.
—Io non voglio scappare, voglio sapere per poterti stare vicina —affermai con tono serio, azzittendo la sua risata.
Allungò la mano sul divano con il palmo verso l'alto. In attesa di un mio gesto che non tardò ad arrivare.
Gliela strinsi e nemmeno due secondi dopo mi ritrovai abbracciata a lui. Il suo viso tra i miei capelli. Lo sentivo inspirare con forza e un sorriso a piegargli le labbra. Dopo il primo attimo di sorpresa ricambiai la stretta.
—Grazie —si limitò a dire. Lo strinsi con tutta la forza che avevo e sorrisi di riflesso a quelle parole.
—Sempre più facile —disse soffiando il suo alito freddo sulla mia testa.
—Cosa?
—Quando ti ho visto alla spiaggia a Jacksonville... —e fece una pausa come se temesse nel continuare —il primo istinto sarebbe stato quello di morderti —m’irrigidì alla sua rivelazione. Mi voleva mordere?
Più scioccante della sua rivelazione, fu la mia reazione alla notizia. Non avrei reagito, sarei stata felice di donargli il mio sangue se questo era in grado di nutrirlo. Un moto di fastidio si mosse dentro di me all'idea di altre donne che avevano potuto avere i miei stessi pensieri una volta capito chi era Edward.
Ignaro dei miei pensieri il vampiro continuò a narrare la sua storia. —Anche il giorno dopo, dovetti metterci tutta la mia forza di volontà ma riuscì a resistere... Il tuo profumo è buonissimo. Il più buono che io abbia mai sentito.
—Perché non lo hai fatto? —le parole uscirono dalla mia bocca come animate di vita propria. Edward mi scostò con impeto e mi osservò a occhi sbarrati, pieni di terrore.
—Bella, ti avrei ucciso! Non potevo farlo. Ho lottato anni contro la mia natura imponendomi di rinunciare al sangue umano.
—Come fai a nutrirti allora?
—Sangue animale.
—Quello dei maiali? —chiesi nella mia beata ignoranza. Avevo letto che in qualche film dove alcuni vampiri se ne nutrivano al posto di quello umano.
—Cosa? Beh anche… —disse impacciato —è successo, anche se preferisco quello di animali carnivori, sono più simili a quello umano...  ma credo di starti spaventando.
—No, insomma è che ieri notte ho fatto delle ricerche in internet e c'erano così tante informazioni, una che cozzavano con l'altra...
—Internet è sopravvalutato. Nulla è meglio dei cari e vecchi tomi —e bastava guardare la loro libreria per capirlo.
—Quindi voi vampiri non vi nutrite dagli umani?
—Sì, purtroppo sono pochi quelli che hanno fatto la scelta della mia famiglia. Scherzosamente ci definiamo vegetariani. In America sappiamo solo dei nostri cugini a Denali. Nel resto del mondo non saprei proprio.
—Sono felice della vostra scelta —dissi in tutta sincerità. Nella lunga notte insonne ero arrivata alla conclusione che non erano da condannare per il fatto di nutrirsi di sangue umano. Alla fine che faceva l'uomo? Anche lui poteva essere definito vampiro, forse gli animali ci chiamavano proprio così.
—Non è facile resistere, però —e il tono si fece amaro, —con la nostra scelta andiamo contro la nostra natura e anche una volta che siamo cibati non abbiamo quella sensazione di aver la pancia piena, per farti intendere. È una lotta lunga e difficile ma ci fa sentire meno mostri. Anche se lo siam...
—Non dirlo! —dissi mettendo la mano davanti alla sua bocca.
In un attimo vidi i suoi occhi scurirsi e nemmeno un secondo dopo, lui era dalla parte opposta della stanza. Davanti alla porta finestra aperta. Gli occhi chiusi, le mani chiese a pugno lungo i fianchi e il corpo teso.
—Scusami —mormorai temendo di averlo fatto arrabbiare. —Qualunque cosa abbia fatto…
—Non è colpa tua —mi bloccò rilassandosi, aprì gli occhi che erano tornati del loro usuale tono dorato e riuscì anche a sorridere, —lo spirito è forte ma la carne è debole —disse tornando a passo d’uomo al suo posto. Si sedette tenendo una certa distanza tra noi, come se avesse paura a starmi troppo vicino.
—Spiegami, almeno so come comportarmi. Che c’è? —gli chiesi quando una volta che si era seduto, si mise ad osservarmi con il suo sorriso sghembo.
—Mi stavo chiedendo che cosa ho mai fatto per incontrarti sul mio cammino. Ti ho appena detto che per poco non ti mordevo e tu… tu fai te stessa.
—Lo devo prendere come un complimento o… —onestamente non sapevo come prendere la sua affermazione.
—Decisamente.Non sai cosa significa per me tutto questo.
Si alzò e mi tese una mano.
—Vieni, voglio farti vedere il mio mondo.
Guardai quella mano tesa verso di me. Mi chiedeva fiducia, Edward cercava una possibilità ma io ero pronta per tutto quello? Stavo entrando in un mondo più grande del mio e la cosa mi terrorizzava nonostante il coraggio e la comprensione che avevo ostentato fino a quel momento. Quello che avevo scoperto quel giorno era solo la punta dell’iceberg e come insegnano a scuola, il più è nascosto sotto la superficie del mare.
Alzai lo sguardo e vidi il vampiro guardarmi speranzoso ma non riuscì a nascondere una nota di timore vedendo la mia esitazione.
Senza più pensarci presi la sua mano fredda e Edward come se fossi una piuma mi sollevò. Senza sciogliere le nostre mani mi portò davanti alla grande vetrata aprendola. L'aria fredda mi colpì in pieno viso facendomi rabbrividire. Uno sbuffo alla mia destra mi fece voltare di scatto ma quello che vidi era Edward con in mano il mio giaccone.
—Come… era appeso all’ingresso —farfugliai prima di darmi mentalmente della sciocca. Colpì la fronte con una mano.—Supervelocità, certo. Perché non ci ho pensato subito? —dissi piena d’ironia. Lui ridacchiò e mi aiutò a indossare la giacca per poi farmi una proposta che non mi sarei mai aspettata.
 
— Mi sento un koala —borbottai mentre mi tenevo stretta al suo collo. Non mi preoccupavo nemmeno di non stringere troppo, tanto lui non doveva respirare.
Edward mi fece fare un piccolo balzo per sistemarmi meglio sulla sua schiena e poi, senza preavviso, saltò sulla balaustra mantenendosi in perfetto equilibro e liberai un urletto quando lanciai un’occhiata verso il basso, facendolo ridere. Lui rideva ed io al contrario ero terrorizzata. Il cuore schizzava fuori dal petto e il sudore grondava dalla mia fronte.
Lui non poteva morire ma io sì!
—Non preoccuparti non cadrai —mi assicurò ma la fiducia scarseggiava in quel momento.
—Siamo a quattro metri dal suolo in bilico sulla balaustra e mi dici che non cadremo? Scusa ma mi è difficile convincermene — dissi aggrappandomi al corpo di Edward che vibrava dalle risate.
—Non c’è nulla da ridere —obbiettai picchiandolo sul petto ma questo al posto di zittirlo lo fece ridere ancora di più. Antipatico… pensai mentre poggiavo il mento sulla sua spalla.
—Scusami, —disse cercando di trattenersi —ora chiudi gli occhi — mormorò girando la testa verso di me.
In quel momento lo trovai bellissimo, più del solito s’intende. Con gli occhi che brillavano e un sorriso a trentadue denti a piegargli le labbra. Pensai a quanto fossi stata fortunata a incontrarlo sul mio cammino.
—Pronta? —mi chiese. Sentivo i suoi muscoli tendersi, pronti per il salto.
—No, ma va comunque —non sarei mai stata pronta quindi tanto valeva togliersi il pensiero. Via il dente, via il dolore.
Un altro mio urlo ci accompagnò per tutto il tempo. Sentivo l’aria sferzarmi i capelli e schiaffeggiarmi il viso. Sembrava passata un’infinità di tempo da quando aveva spiccato il salto e fu con sollievo che, un tempo indefinito dopo, toccò terra.
—Apri gli occhi ora —mi disse con voce che trasudava gioia da tutti i pori. Esitante aprì prima uno e poi l’altro occhio. La vetrata dava sul boschetto e da lì, a qualche centinaio di metri di distanza, si poteva vedere il corso del fiume e il fatto che noi ci trovassimo esattamente sulla sponda opposta mi fece sbarrare gli occhi dallo stupore, misto a terrore puro.
—Una volta allo Zoo di Phoenix ho visto un canguro fare un salto di nove metri.
—Con questo vorresti dire che sarei un canguro? —chiese il vampiro cercando di apparire offeso. Lo guardai e sorrisi sorniona.
—Anche loro, vivono per lo più di notte. Quindi siamo già a due elementi in comune.
Scosse la testa e poi si voltò verso il bosco.
—Ora ti faccio vedere come mi muovo. Se riesci cerca di tenere gli occhi aperti. Credimi ne varrà la pena —disse per poi sfrecciare a una velocità sorprendente tra gli alberi.
Il primo istinto fu quello di chiudere gli occhi e stringerli con forza ma Edward mi incitò ancora a tenerli aperti e così mi ritrovai con non poca paura a osservare il paesaggio che era diventato una massa di tutte le sfumature del verde e del marrone. Quando voltai lo sguardo per osservare il ragazzo, questi stava guardando me sorridendo, senza badare a dove stesse andando. Ci saremmo ammazzati così.
—Edward, guarda davanti a te! Ci… mi farai ammazzare —urlai spingendo con una mano il viso del ragazzo che non la smetteva di sorridere. Era pazzo, lui era immortale ma io ero di carne e ossa!
Tornai a guardarmi attorno usando la testa di Edward come protezione contro il vento e rimasi affascinata da quello che vedi.
Mi sentivo forte, onnipotente e invincibile. In quel momento avrei potuto fare qualsiasi cosa, anche sollevare una montagna senza nessuna fatica.
Ci fermammo dopo quelli che sembravano pochi minuti, in cima a una collinetta. In lontananza si vedevano le luci di una grande città. L’unica grande città della zona era…
—È Seattle quella? —gli chiesi stupita una volta scesa dalle sue spalle.
—Già.
—In macchina ci si mettono più di tre ore per raggiungerla e noi in pochi minuti siamo qui… —commentai più a me stessa che a lui. —Incredibile.
Abbassai lo sguardo, sporgendomi per vedere cosa ci fosse sotto di noi e subito la mano fredda del ragazzo si chiuse attorno al mio polso.
— Scusa ma con la tua fortuna rischieresti da cadere —spiegò il suo gesto mentre con l’altra mano mi cingeva la vita. Alzai gli occhi al cielo ma non risposi, alla fine non aveva tutti i torti.
—Possiamo andare la sotto? —gli chiesi, indicando la sponda dello Stretto di Pugert.
—Certo, salta su —rispose esultante. Avevo capito che Edward amava correre e saltare da un posto all’altro ma anche se mi aveva ampiamente dimostrato di essere affidabile e sicuro, io ero ancora molto restia a condividere con entusiasmo questo suo passatempo.
—Ecco, non potremmo scendere a piedi? —tentai inutilmente di fargli cambiare idea. Due secondi dopo ero aggrappata ancora alla sua schiena mentre sfrecciava tra gli alberi che avevano fatto guadagnare il soprannome di città di smeraldo a Seattle. Quella volta non ebbi nemmeno il tempo di chiudere gli occhi e di dire “ma” o anche solo rendermi conto che eravamo in movimento che Edward mi fece scendere dalle sue spalle sulla riva ghiaiosa dello stretto i cuisassolini scricchiolavano a ogni nostro movimento.
Edward dovette reggermi fino a che non mi fece sedere su un sasso perché il tutto era stato così veloce che la mia testa vorticava ancora e mi faceva camminare come un’ubriaca.
— Non ridere di me, è colpa tua. Vai troppo veloce.
— Scusa è che amo la velocità — non lo avrei mai detto, pensai mentre lentamente riprendevo contatto con il mondo circostante. — Va meglio? — mi chiese apprensivo mentre tirava indietro la massa di capelli che avevo in testa e che, a causa del vento, probabilmente sembrava un grande cespuglio di rovi.
— Sì, ora va meglio.
— Con un po' di pratica ti ci abituerai — disse senza sapere di scatenare in me una tempesta.
— No, io mi accontenterò della mia cara vecchia macchina che non supera gli ottanta chilometri orari.
— Eddai, Bella, non dire che non ti è piaciuto.
— Certo che mi è piaciuto. Solo che quando ero sulla tua schiena pregavo tutte le lingue del mondo perché non andassimo a schiantarci contro una roccia o un albero. Ho perso dieci anni di vita, Edward!— sembrava che il vampiro trovasse divertente vedermi dare di matto, forse perché credeva che io sarei scappata alle sue rivelazioni e vedermi invece ancora al suo fianco lo rendesse euforico, facendo uscire il suo lato più gioviale.
— Esagerata, non permetterei mai a un albero di venirti addosso.
Si sedette al mio fianco e mi diede una spinta scherzosa che ricambiai per poi poggiare la testa sulla sua spalla.
Rimanemmo in quella posizione per lungo tempo mentre Edward con la sua voce calma e profonda mi raccontava del suo mondo e per quello che poteva dei suoi famigliari.
Quando le gambe iniziarono a intorpidirsi, il vampiro mi accompagnò in una passeggiata lungo la sponda.
— Quindi voi non avete bisogno delle bare o di portarvi dietro la terra della Transilvania?— chiesi mentre cercavo di mantenere l'equilibrio su un sasso.
— No — rispose trattenendo le risate.
— L'aglio e l'acqua santa?
— Nessun effetto e le bare non ci servono, noi non dormiamo.
— Come non dormite? E come fate a riposare o sognare?
— Del primo non ne abbiamo bisogno del secondo immaginiamo. La nostra mente è più ampia della vostra. Ci permette di pensare e fare più cose contemporaneamente.
— Incredibile — mormorai e lui sogghignò.
— C'è qualcosa che non sapete fare? — continuai saltellando sul sasso successivo.
Tutto quello che avevo letto era stato più o meno sfatato dalle rivelazione di Edward anche se il suo mondo non aveva perso quella sfumatura tetra e pericolosa che aveva accompagnato tutte le mie ricerche.
 
Erano le sei di sera quando Edward mi riportò a casa sua dove mi attendeva il mio pick-up.
—Bella, il mio mondo è molto pericoloso ma ti prometto che non ti farò mai correre nessun rischio.
—Lo so, Edward ed io mi fido di te —dissi sorridendogli tranquilla. Il ragazzo alzò una mano con studiata lentezza e la posò sulla mia guancia. Mi lasciai andare al suo tocco e chinai la testa verso di essa.
—Hai paura? —mi chiese facendo aumentare il battito del mio cuore.
—Sì —gli confessai certa che l'onestà fosse il miglior modo per condividere la mia vita con lui.
—Di me? —la sua voce era nervosa, ansiosa.
—Sì... —dissi e come immaginavo i muscoli della sua mano, s’irrigidirono. Vi poggiai sopra la mia mano, alzai lo sguardo fissandolo nel suo in attesa e continuai —e nessun coraggio sarà bello come questa paura.
Quello era il mio posto. Non m’importava quello che erano, non m’importava se qualcuno mi avrebbe definito una pazza, o peggio, per la mia scelta. Avevo visto quello che gli esseri umani potevano fare, e i Cullen si erano dimostrati migliori di molti uomini che avevo conosciuto. Se loro erano dei mostri allora che cos’erano Fred e Greg o l’uomo che mi aveva assalito il giorno prima della sentenza?
—Ora è meglio che vada, Charlie tornerà tra poco e non ho ancora preparato la cena.
Il vampiro annuì, poi sorrise divertito.
— Qualcuno ha preparato dell'arrosto e le farebbe davvero piacere se lo accettassi —disse lasciandomi interdetta ma tutte le risposte ebbero risposta quando la porta si spalancò mostrando Alice che reggeva una grande pentola da cui fuoriusciva un profumo davvero invitante.
—Scusate, ragazzi —disse Esme comparendo a fianco della figlia, — ho provato a fermarla ma sapete com’è.
—Non fa nulla mamma.
—Quante storie —borbottò la tappetta —porto questa nella tua macchina e non provare a rifiutare, sai benissimo che nessuno qui lo mangerà — si affrettò ad aggiungere prevedendo la mia risposta.Mi lasciò un bacio sulla guancia e trotterellando raggiunse il pick-up.
—Grazie, Esme, non dovevi.
—O l'ho fatto con molto piacere. Amo cucinare —squittì tutta felice. Mi guardò commossa e mi abbracciò di slancio.
—Grazie bambina mia. Non sai cosa significhi per tutti noi —mormorò al mio orecchio. Non era la prima volta che me lo dicevano e quasi mi commossi per la gioia che mi trasmetteva.
 
— Allora, ci vediamo domani mattina —affermò Edward mentre mi chiudeva la porta dell'abitacolo.
—Certo. Buona notte o qualsiasi cosa facciate voi vampiri —lo salutai tenendo un tono scherzoso.
—Ultimamente caccio o vengo a farti visita.
—Verrai anche questa notte? —gli chiesi speranzosa. Sapere che lui era con me mi faceva sentire sicura.
—Se vuoi. Da adesso in poi voglio che sia tu a dettare i tempi.
—Pensi ancora di vedermi scappare urlando come un’isterica appena ti lasci sfuggire una parola di troppo?
Sogghignò ma non rispose. Mi lasciò un bacio sulla fronte e mi promise che ci saremmo rivisti quella notte, quando Charlie sarebbe andato a dormire.
 
Così, la prima cosa che feci quando tornai a casa fu sbloccare la finestra e dare una sistemata alla stanza che sembrava reduce dal passaggio di un tornado.
A mente fredda era un’operazione inutile visto che lui stesso aveva confermato di essere già stato nella mia stanza ma in quel momento non ci pensai. Nel riordinare mi resi conto che le pareti della mia stanza avevano bisogno di una ripassata di vernice e mi ripromisi che il primo giorno di sole mi sarei messa in opera.
Misi a scaldare l'arrosto, che scoprì essere accompagnato da saporite patate dorate. Quando arrivò mio padre, si stupì del pensiero della signora Cullen e mi raccomandò di ringraziarla almeno ogni boccone sì e l'altro pure.
Erano le otto e trenta quando finimmo di mangiare e speravo che lì da una mezz'ora se ne andasse a letto, insomma era sveglio dalle cinque di mattina e non era più tanto giovane, doveva riposare, ma per mia sfortuna quella sera c'era la partita della sua squadra preferita e certamente non si sarebbe schiodato dal divano almeno per le tre ore successive.
Indispettita per quel ritardo, corsi in camera mia e aprì la finestra.
Mentre aspettavo che mio padre andasse a dormire decisi di dare sfogo alla mia immaginazione e mi misi seduta alla scrivania, dove iniziai a disegnare le sensazioni provate mentre, stretta al collo di Edward, osservavo il fondersi dei colori della natura. Una volta terminato lo schizzo, indossai la camicia a scacchi di qualche taglia più grande e la salopette, già caduta vittima dei miei colori, raccolsi i capelli in un leggero chignon, fermai i capelli che mi cadevano sulla fronte con un paio di forcine e finalmente fui pronta per dedicarmi alla pittura. Accesi lo stereo e sul cavalletto sistemai una tela bianca che presto venne macchiata dal pennello.
—Da Debussy a questi? Bella, mi stupisci —disse una voce tra lo scioccato e il divertito.
Lanciai un urlo di spavento e mi cadde anche il pennello, prima sulla salopette e poi sul telo che proteggeva il pavimento.
—Edward, vuoi farmi morire? —dissi con ancora il cuore in gola.
Il vampiro era seduto sulla sedia a dondolo e mi guardava tranquillo.
—Tuo padre sta salendo —disse per poi scomparire come un prestigiatore. Un secondo prima c'era, quello dopo mi chiedevo se me lo fossi immaginato.
Charlie fece il suo ingresso con espressione preoccupata.
—Tutto bene, Bella? Ti ho sentito urlare.
—Ehi... Si scusa, tutto bene. Ho visto un ragno e mi sono spaventata.
L'espressione di mio padre si fece scettica e alzò vistosamente un sopracciglio come a chiedermi: " Hai fatto tutto questo trambusto per un ragnetto?"
—Era davvero grosso, nero e peloso. Sembrava il ragno di Hagrid —continuai tentando di convincerlo. —Ora è uscito dalla finestra, se n’è andato.
Papà borbottò qualcosa poi richiuse la porta e poco dopo sentì i gradini scricchiolare sotto il suo peso.
—Un ragno?
Questa volta sobbalzai solamente.
Quel ragazzo voleva farmi venire un infarto.
Girai lo sgabello verso la finestra da cui spuntava la testa sbarazzina di Edward e lo incitai a entrare.
—È stata la prima cosa a venirmi in mente. Comunque non avevi detto che saresti arrivato dopo che papà se ne fosse andato a dormire?
—Sì, ma ci stava mettendo troppo —rispose serafico, scrollando le spalle.
Da parte mia la cosa non poteva non farmi piacere, anche se, grazie alla collaborazione dello specchio alle spalle del ragazzo, realizzai che il mio aspetto era impresentabile. Ero piena di pittura, addirittura sui capelli, e con addosso abiti malconci.
Edward dovette accorgersi del mio disagio e cercò di rassicurarmi.
—Mi piace la tua divisa, segno di un genio al lavoro.
Lo ringraziai con lo sguardo, ovviamente arrossendo, e ritornai al mio sgabello.
—Ti spiace se finisco questo?
—Oh no. Fai pure ho sempre voluto rivederti all’opera —confessò per poi sedersi sul dondolo puntando i gomiti sulle ginocchia e fissando lo sguardo sulla tela. Lo ringraziai e gli diedi le spalle riprendendo il mio lavoro in religioso silenzio. Solo la musica che usciva dal lettore CD ci faceva compagnia.
Saperlo alle mie spalle intento a osservarmi mi metteva non poca agitazione. Aveva già manifestato il suo apprezzamento per i miei quadri e già a Jacksonville avevo dipinto con lui al mio fianco ma tutto aveva preso una sfumatura nuova.
—Hai mai conosciuto qualche artista famoso? —gli chiesi rompendo il silenzio. Feci girare lo sgabello su cui ero seduta e con la tavolozza in una mano e il pennello nell’altra gli rivolsi uno sguardo curioso. Edward poggiò la testa su una mano inclinandola e rispose:
—Solo Andy Warhol a New York, nel 1968, nella sua Factory. Carlisle era il medico che lo aveva salvato dopo che avevano sparato a lui e al suo compagno.
—Davvero?! —ero sinceramente stupita. L’attentato di Valerie Solanas aveva stravolto la vita del grande artista che aveva rischiato di morire e scoprire che Carlisle fosse stato uno degli uomini che lo aveva salvato, era scioccante. Avevano preso parte a un piccolo pezzo di storia: che sarebbe successo se Warhol fosse morto?
—Deve essere stato emozionante incontrarlo… quanto t’invidio.
Era uno dei miei artisti preferiti. Geniale, versatile con le sue opere aveva creato una nuova arte.
—Sì ma come tu invidi me io —disse sogghignando affettuosamente, —ho sempre invidiato Carlisle per aver avuto l’onore di incontrare Debussy —mi confessò.
—Hai conosciuto molti musicisti? —chiesi sapendo quanto era appassionato di musica. La prima volta che mi aveva fatto vedere la sua camera mi aveva stupito la grande parete piena di dischi, Cd e cassette. C’era anche un vecchio grammofono che funzionava ancora.
—Molti, alcuni sono diventati famosi altri invece non hanno avuto la stessa fortuna, anche se avevano un grandissimo talento.
Mentre riprendevo a dipingere mi raccontò degli incontri nei grandi locali e nelle bettole dei periferica, erano queste ultime che nascondevano i grandi talenti mi confessò.
Quando terminai il quadro, Edward mi aveva aggiornato su cinquant’anni di artisti dimenticati.
—È molto bello, cosa rappresenta? —chiese avvicinandosi e studiando attentamente la tela.
—Oggi —riassunsi ricevendo uno sguardo incuriosito, —tutto quello che mi hai raccontato e fatto provare è su questa tela.
Dopo la mia rivelazione, il suo sguardo si fece più attento e passò diversi minuti a osservare ogni centimetro di colore, ogni linea e pennellata, mentre io sfruttando quel momento mi concessi il tempo di osservarlo, o forse sarebbe meglio dire ammirarlo.
Indossava una semplice camicia nera come i jeans e ai piedi delle comode scarpe sportive. I capelli erano scompigliati come suo solito, forse di più per la corsa tra i boschi. Era incredibile come fosse impeccabile, senza una foglia tra i capelli, l’orlo sporco di terra o strappi provocati da rami appuntiti.
— Che c’è? — mi chiese sorridendo.
— Nulla — borbottai scrollando le spalle e iniziando a chiudere le boccette e metterle a posto.
— È frustrante non sapere quello che stai pensando…
— Una vera tragedia, come faranno le persone normali come me a sopravvivere? — gli domandai ironica.
Scosse la testa e poi iniziò a curiosare in giro per la stanza come se fosse la prima volta che ci mettesse piede.
— Vado a cambiarmi e darmi una sistemata — lo avvisai. Lui si girò e annuì.
Recuperai un cambio pulito e mi chiusi in bagno per venti minuti buoni ma finalmente quando uscì, ero pulita e profumata. Quando rientrai Edward era ancora intento a ispezionare l’alta fila di Cd musicali.
— Ma non eri già stato qui? — gli domandai inginocchiandomi al suo fianco.
— Sì, ma temevo di svegliarti e non ero molto a mio agio a spiare tra le tue cose senza il tuo permesso.
— Non ti ha fermato dall’entrare in camera mia quando dormivo — gli dissi trattenendo le risate per la sua logica contorta. — Comunque… data la tua longeva età ti sarà capitato di andare a qualche concerto dei Beatles o John Lennon…
— Sì, anche a qualcuno di Elvis per la verità — confessò e a mala pena trattenni una risata. Come non potevo non ridere immaginarlo con quel ciuffo gellato e agghindato come il re del rock,  il vestito pieno di lustrini e mantello abbinato, per non parlare delle enormi basette. Era impossibile non scoppiare a ridere.
— Scusa — bisbigliai — solo che immaginarti vestito come Elvis, insomma, non ti ci vedo proprio.
— Non ero così fanatico da emularlo, Bella. Apprezzavo le sue canzoni, anche se non sarei stato male vestito come il Re — si pavoneggiò. Alzai gli occhi al cielo e gli rubai i Cd che aveva in mano.
— Raccontami anche qualcosa d’altro, sul tuo passato. Mi hai raccontato di tutti — quella che più mi aveva colpito era la storia di Rose, Edward non era entrato in particolari ma potevo immaginare quello che fosse successo. Era stato deludente costatare come il mondo non fosse tanto cambiato nonostante i numerosi progressi di cui la razza umana si vantava. — Ma del tuo passato mi hai detto poco o nulla.
La sua espressione si fece dura e impassibile e presto sfuggì il mio sguardo per riprendere a vagare per la camera. Era chiaro come il sole che non ne volesse parlare, e nonostante era tanta la mia curiosità lasciai correre anche se diverse domande frullavano nella mia mente, prima tra tutte e quella che per me era più importante era: quante ragazze ha avuto?
Come potevo competere con tutte quelle donne che certamente ha avuto e i suoi centoundici anni di esperienza. Io ero una scolaretta delle elementari al confronto, anzi dell’asilo visto che non avevo nemmeno dato il mio primo bacio.
La porta si spalancò e comparve la figura di mio padre che mi augurava la buona notte.
Velocemente m’infilai sotto le coperte e scambiai qualche parola con papà per accordarci per il giorno dopo. Cercando di non darlo a vedere feci vagare lo sguardo sulla stanza. Edward era svanito ancora una volta, credetti che fosse uscito ancora dalla finestra invece, quando Charlie chiuse la porta, lo trovai a fissarmi. Se solo l’avesse aperta di più, lo avrebbe preso in pieno.
— Forse è meglio che vada è già mezzanotte — fu la prima cosa che disse dopo qualche minuto di silenzio in cui sentivamo i movimenti di mio padre per la sua stanza, il cigolio del letto e il fruscio delle coperte.
Guardai l’orologio e sfortunatamente il vampiro aveva ragione.
Perché quando stavo bene, il tempo passava troppo velocemente mentre quando seguivo le lezioni di algebra, queste non finivano mai?
 
La consapevolezza del tempo trascorso buttò su di me tutta la stanchezza della giornata e le palpebre iniziarono a diventare pesanti e le mie membra si assopirono.
— Te ne vai?— chiesi senza riuscire a nascondere la delusione. Non volevo vederlo andare via, la sua presenza stava diventando sempre più importante.
— Devi dormire, è tardi —disse lui rimboccandomi le coperte. Mi sembrava di essere tornata bambina quando mia madre veniva a darmi il bacio della buona notte.
— Non… non resti? — ero imbarazzata a fargli quella richiesta. Mi aveva confessato che lui mi aveva già visto dormire ma in quei momenti non sapevo che lui era lì.
— Solo se vuoi — rispose concorde con quello che mi aveva detto quel pomeriggio. Sarei stata io a dettare i tempi.
—Lo voglio —confessai e anche se era buio e l’unica illuminazione arrivava dai lampioni sulla strada vidi le labbra piegarsi nel suo sorriso sghembo che contagiò anche gli occhi.
— Forza, allora, a dormire che è tardi — mi raccomandò bonario.
— Sì, mammina — risposi mentre lui si alzava e andava a sedersi sulla seggiola a dondolo. Sistemai il cuscino e lo guardaiin attesa che il sonno mi cogliesse con la mente piena di lui ma diversamente dal solito non mi addormentai subito.
—Non riesci a dormire? —mi chiese alzandosi dalla sedia che iniziò a dondolare avanti e indietro con ritmo lento e cadenzato.
Il vampiro s’inginocchiò vicino alla mia testa e mi accarezzò i capelli iniziando a intonare una leggera litania.
Chiusi gli occhi lasciandomi cullare.
—Mi piace —mormorai, —chi è?
—L'ho composta io —rispose interrompendo la melodia per poi ricominciare subito. Sorrisi quando ormai, chiusi gli occhi, la mia mente aveva preso il largo per lidi onirici.
—Mi piace davvero tanto —borbottai con uno sbadiglio.
Il giorno dopo, mi svegliai pensando di aver vissuto un sogno, ancora mi sembrava di sentire le carezze lente e regolari di Edward sul mio capo ma il biglietto lasciato sul mio cuscino con una scritta inconfondibile mi confermò che lui era stato davvero con me tuta notte.
Volai letteralmente fuori dal letto e corsi in bagno preparandomi più in fretta possibile per raggiungere la scuola dove mi aspettava Edward.
 
—Parigi, sì andrei a Parigi.
—L’istruzione è importante.
—Sì ma stiamo parlando di cinquant’anni, Edward —obbiettai.
Eravamo seduti su una delle panchine vicino alla palestra. Sulla destra dei sempreverdi delimitavano il bosco e sulla sinistra il parcheggio ancora deserto.
Dopo le rivelazioni del giorno prima il vedere la scuola mi aveva riportato alla mente una domanda fondamentale che per lo stupore del momento avevo accantonato: Perché erano ancora al liceo dopo tutti quegli anni?
—Non abbiamo sempre frequentato il liceo, siamo andati in molte università sparse per il mondo e molti anni abbiamo fatto vita da nomadi, viaggiando e basta —confessò. I miei occhi s’illuminarono di curiosità. Quanto avrei voluto poter viaggiare anch’io e vedere quello che aveva visto lui. Purtroppo non avevo mai avuto la liquidità necessaria per potermi permettere il giro del mondo ma nemmeno una vita mi avrebbe permesso di vedere tutto.
—T’invidio per questo —confessai gelosa —anch’io vorrei vedere tutto quello che hai visto tu. Se fossi immortale, viaggerei sempre. Nonostante tutto quello che sappiamo, non si smette mai di imparare.
—Vero, centoundici anni e ogni giorno faccio una nuova scoperta ma ha anche i suoi lati… negativi —terminò con tono amaro che dichiarava concluso il discorso. Non doveva essere stato facile per lui vedere tutto scorrere mentre lui rimaneva immutato. Aveva visto gente morire per malattie, aveva visto l’odio nella sua massima e distruttiva forma.
Alzò lo sguardo e scrutò il cielo assorto. Lo imitai e rimanemmo così fino a che il rumore di alcune macchine mi avvisò che i primi studenti stavano arrivando.
 
Da quel giorno quel muro che sembrava dividermi dai Cullen, fatto di segreti e bugie era finalmente crollato, tutti erano più felici e rilassati, Edward in primis, l'unica non propriamente contenta era Rosalie ma in un certo senso potevo comprenderla.
Tutto quello che la mia mente catalogava assurdi e frutto della mia immaginazione avevano avuto una risposta e dopo una settimana Edward mi invitò nel suo posto speciale. Una radura dove mi aveva promesso di spiegarmi cosa succedeva loro quando si esponevano ai raggi del sole. Ero rimasta stupida nello scoprire che loro non bruciavano o non s’indebolivano ma non mi aveva voluto dire che cosa succedesse. “ È meglio che tu veda di persona” mi aveva detto.
Era sabato mattina e allo scoccare delle dieci Edward bussò alla porta di casa mia in tenuta da trekking pronto per la scampagnata, come l’aveva definita lui. Il cielo era completamente coperto di nuvole ma Alice aveva garantito che a mezzogiorno fino alle cinque di pomeriggio ci sarebbe stato il Sole, nemmeno una nuvola nel cielo. Dopo sette giorni avevo imparato a non scommettere mai contro Alice e le sue previsioni.
 
—Quanto è lontana ancora?
Stavamo camminando da quelle che mi sembravano ore fra tronchi caduti, muschio scivoloso e sassi che spuntavano a tradimento dal suolo e rami ad altezza della testa e se non stavo attenta avrei rischiato di andarci addosso. Era mezzo giorno passato e quindi il sole doveva essere già alto secondo quello che aveva detto Alice ma le fronde erano così fitte che non lasciavano passare nemmeno un raggio.
—Riesco a vedere la luce alla fine del sentiero, quasi cinquecento metri e siamo arrivati.
La sua affermazione mi lasciò stupita nonostante sapessi che avessero una vista migliore di quella di un falco.
—Magnifica… — riuscì a dire dopo diversi minuti di silenzio persa ad ammirare la radura per metà illuminata.
Era piena di fiori bianchi e viola che sembravano brillare ogni volta che erano colpiti dai raggi del sole. L’erba era di un verde brillante e acceso che sembrava uscito da un sogno. Da lontano arrivava il rumore dell’acqua che scrosciava placida nel suo letto e l’aria trasportava il canto di tanti uccellini.
—Tieni indossa questo.
Edward comparve nella mia visuale, in mano un passamontagna nero.
—Che dovrei farci con questo? —gli chiesi interdetta mentre mi rigiravo quel pezzo di stoffa tra le mani.
—Indossarlo per il sole. La felpa ti protegge le braccia e le mani se indossi questo, sei completamente coperta — terminò la sua arringa soddisfatto di se e io non potei che ridergli in faccia.
—Non è necessario, il cappuccio andrà più bene.
—Ma, il Sole…
—Edward ho vissuto a Phoenix e Jacksonville posso sopravvivere al sole di Forks —replicai divertita e anche felice che lui si fosse preoccupato a tal punto per me. Alzai il cappuccio e uscì dalla penombra. Subito sentì il calore del sole sulla mia testa, sulle braccia e lentamente su tutto il mio corpo. Mi girai sorridente credendo di trovare Edward alle mie spalle ma lui invece era ancora fermo nell’ombra e sembrava esitare.
Lo raggiunsi, presi le sue mani nelle mie e lo spinsi lentamente sotto il sole. Le prime a mostrare il grande segreto fu proprio questa parte del corpo che iniziò a brillare come tanti diamanti. Le braccia erano coperte dal giubbotto ma quando anche il viso uscì dall’ombra,risplendette creando quasi un arcobaleno.
Era lo stesso effetto dell'acqua del mare che rifletteva la luce del sole.
 Rimasi a osservarlo ammaliata mentre ne sfioravo la superficie liscia, quasi marmorea delle sue mani. Le rigiravo nelle mie ammirando i vari giochi di luce che creavano. Memore della reazione che aveva avuto una settimana prima, alzai esitante le mani verso il suo volto e solo al suo cenno di assenso mi feci più sicura.
Con la punta delle dita tracciai il contorno del suo viso, degli zigomi delle sopracciglia e mi allontanai di scatto quando un rumore soffuso.
—Erano delle fusa —chiesi incredula. Edward se ne fosse stato capace sarebbe arrossito e il vederlo in quell’insolita situazione, era sempre stato deciso e fiero come un condottiero in battaglia, mi fece sorridere intenerita.
—Sei incredibile —mormorai tornando a prestare attenzione a una delle sue mani. —Come ha fatto uno come te, e come Alice e gli altri, a interessarsi a una come me? —chiesi amaramente, consapevole della mia inadeguatezza.
—Tu sei tutto tranne che insignificante. Non sai per quanto tempo ti ho attesa —mi rivelò e spalancai gli occhi stupita senza però alzare lo sguardo. Edward fece scivolare via la sua mano dalla mia per chiuderle a coppa attorno al mio viso obbligandomi ad alzare lo sguardo.
—Da quando ti conosco quel pezzo che mi mancava e che non trovavo, ha finalmente preso il suo posto, —e ne parlare accarezzò le mie guance con i pollici. —Sono felice come non credevo di poterlo mai essere. Ora non invidio più i miei fratelli e tutto grazie a te. Bella io… —ed esitò chiudendo gli occhi. Il mio cuore che aveva iniziato ad accelerare il battito in quel momento sembrava voler uscire fuori dal petto. L’emozione era così tanta che le gambe avevano iniziato a tremare, sapevo che sarebbe successo qualcosa che avrebbe maggiormente mischiato le carte in tavola ed io fremevo nell’attesa.
Edward sospirò e poggiò la sua fronte fresca sulla mia. Fresco… era da un po' che non sentivo più il calore del sole sul giaccone e quando di sfuggita mi guardai attorno, con la coda dell’occhio, compresi che eravamo tornati all’ombra. La voce bassa e roca del vampiro catturarono ancora una volta la mia attenzione. Si staccò e poggio le sue labbra fredde e dure contro la mia fronte in un tenero baco affettuoso.
—Desidero così tanto questo momento che ho paura di affrettare le cose… e vedermi allontanato da te —e la sua voce trasmetteva tutta l’angoscia che provava a una eventualità simile. Per me era semplicemente assurdo quello che aveva appena detto.
—Sai che puoi dirmi tutto, insomma dopo che mi hai confessato che sei un vampiro non credo che possa esistere qualcosa di più scioccante —cercai di sdrammatizzare. In parte ci riuscì perché sogghignò aprendo gli occhi. Brillavano, sembravano avere una consistenza liquida. Era troppo bello, mi sentivo una stupida a pensarlo, sembravo una di quelle ragazzine che si lasciavano trasportare dai loro sentimenti per il ragazzo più carino della scuola, come succedeva nei film per adolescenti in voga negli anni novanta, e dovetti darmi della sciocca perché era proprio quello che ero. Un’adolescente innamorata del ragazzo più bello della scuola, che nel mio caso era anche un vampiro.
—Consideri scioccante l’essere corteggiata da un vampiro innamorato?
Il mio cuore aveva ufficialmente smesso di battere, potevano anche dichiararmi morta a causa di un infarto folgorante. Tutto quello che avevo desiderato, si era appena realizzato e mi sembrava di galleggiare tre metri sopra il cielo. Gli piacevo, credevo che non avrei mai sentito quelle parole uscire dalla sua bocca.
Il respiro si faceva sempre più corto mano a mano che lui scendeva sfiorando con le labbra il mio naso, terminando poi la sua discesa a pochi centimetri dalle mie labbra. Respiravo il suo respiro fresco e che sapeva di buono. Potevo essere definita ubriaca tanto ero assuefatta dal suo profumo.
 
In un film avevo sentito che il novanta percento di un bacio lo fa l’uomo e il dieci percento è lasciato alla ragazza, almeno il concetto era quello e in certo senso a pensarci dopo era uniforme alla decisone di Edward.
Non ci pensai due volte e mentre eliminavo le distanze, chiusi gli occhi assaporando il mio primo bacio.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Calma ***


Scusate L'enorme ritardo e buone vacanze!!!


Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

p.s: ho scritto una nuova storia "La musica nel cuore" finita se volete farci uns alto siete ben accette!!! Ecco un piccolo spoiler:

« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa. 
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.



 

 

 

 



 

... Calma ...

 




 

—Edward, ecco non vorrei fare la parte della ragazza che ne approfitta…
Dopo essere tornati dalla radura, Edward era tornato a casa, visto che Charlie era già seduto sul divano a guardare un programma di pesca, ed era tornato solo la sera inoltrata, quando mio padre era già andato a dormire.
—Forza dimmi, sai che puoi chiedermi tutto quello che vuoi —e bloccò sul nascere il mio fiume di parole. Non ero una che chiedeva aiuto agli altri e per questo mi sentivo a disagio ma l’aiuto di Edward avrebbe velocizzato molto le cose e sarebbe stato anche motivo per passare del tempo assieme.
—Ecco… —mi alzai a sedere sul letto facendo cadere le coperte sul mio grembo. Edward al mio fianco fece lo stesso e nell’ombra della notte fui sicura di vedere un sorriso d’incoraggiamento. Mi guardai attorno, l’armadio, la scrivania, la libreria erano mobili molto pesanti per un essere umano al contrario per lui erano nulla; delle piume.
—Vorrei ridipingere la stanza, le pareti in alcuni punti sono rovinate dall’umidità o sono ricoperte da graffi… e mi chiedevo se domani potresti aiutarmi… —chiesi lanciandogli uno sguardo si sottecchi. —Dovresti spostare i mobili, papà non è poi tanto giovane e spesso la schiena gli da problemi quando deve alzare qualcosa di molto pesante mentre per te non sono un problema… è come alzare una matita.
—Certamente che ti aiuto, così potrò anche farmi ufficialmente conoscere da Charlie —raggelai alle sue parole. Non perché non lo volessi, ma che gli avremmo detto?
“Papà, ecco ti ricordi Edward Cullen? È venuto un paio di volte per studiare… bene, è un vampiro ma non morde, o meglio è vegetariano, quindi al massimo evita di invitare Johnny con il suo cane quando lui è nei dintorni. Ed ecco è più o meno il mio ragazzo e mi aiuterà a dipingere camera mia. Ah, e un'altra cosa: saremo da soli”.
Sì, sarebbe stramazzato al suolo stecchito.
Sentì un dito freddo e duro poggiarsi sulla mia fronte e lisciare le rughe della mia fronte corrucciata.
—Che ti frulla in quell’affascinate testolina? —disse facendomi arrossire fino alle punte delle orecchie.
—Come la prenderà Charlie? Non voglio che gli venga un infarto nel sapere che esco con un vampiro.
La suddetta creatura sovrannaturale ridacchiò e con un gesto fluido mi riportò in posizione supina con la schiena poggiata al suo torace. Mi girai e lo abbracciai. L’orecchio era poggiato dove doveva esserci il cuore ma da lì non proveniva alcun suono. Certe volte mi sembrava ancora assurdo che lui fosse un vampiro e qualche volta, come in quella situazione, mi sembrava assurdo e irreale.
—Non gli diremo che sono un vampiro, semplicemente che ho intenzione di frequentarti per molto tempo e per la camera posso chiedere a Emmet di accompagnarmi fino a che tuo padre non andrà da Billy.
Il suo era decisamente un piano migliore, annuì e mi rilassai felice cadendo in poco tempo in un sonno profondo. Di sottofondo la ninna nanna di Edward.
 
Il giorno dopo, ero nervosa, avevo informato papà che era rimasto sorpreso di sapere di Emmet e Edward, ancora di più quando lo avevo informato che avevo iniziato a uscire con il più “giovane” dei fratelli non da amici.
Alla fine del mio discorso, Charlie aveva deciso di posticipare la sua uscita per andare da Billy per la pesca e farmi compagnia fino all’arrivo dei ragazzi. Chissà perché… pensai ironica mentre lo vedevo prendere posto sul divano.
Alle dieci, i fratelli Cullen, come da accordi, si presentarono alla mia porta. Perfetti nonostante indossassero una semplicissima tuta consunta ad arte e in mano gli attrezzi da perfetti imbianchini. Avrei potuto proporre ad Edward di dipingere anche il resto della casa… me lo immaginavo di già con i jeans la maglietta  a maniche corte poi per il caldo si sarebbe tolto la maglietta, come avevo visto fare agli imbianchini che avevano dipinto il salotto della casa a Jacksonville.
Scacciai quei pensieri aprendo maggiormente la porta e salutandoli con un sorriso più innocente possibile.
—Bella, Bella, Bella… finalmente ci hai salvato dalla piaga di Edward, era così deprimente averlo in giro per casa — fu il saluto riservatomi dall’armadio ambulante appena aprì la porta.
—Ciao, Emmet. Sono felice di essere stata utile —dissi trattenendo una risata. —Prego, entrate.
—Ciao, Bella —mi salutò Edward con un bacio sulla fronte e una carezza sulla guancia.
—Ciao —ricambiai lasciandomi andare alle sensazioni che quel semplice gesto mi provocava. Mi ci abituerò mai?
—Emmet, Edward, a quanto pare Bella vi ha coinvolto nei suoi progetti —mio padre fece la sua comparsa sullo stipite della porta in un atteggiamento falsamente amichevole.
—Oh, non si preoccupi Capo Swan, per noi non è un problema.
—Per te di sicuro no —borbottò squadrando i muscoli gonfi di Emmet.
—Emmet, che ne dici di iniziare a portare questa roba in camera di Bella mentre recupero il resto? —disse Edward rivolgendo un rapido sguardo al fratello che annuisce e velocemente sale le scale.
—La camera è la prima a sinistra! —gli urlai dietro. Inutile, avevano un udito perfetto ma mio padre non lo sapeva e sarebbe sembrato strano se avessi usato un tono di voce basso.
 
—Edward, —esordì papà invitando con un dito a seguirlo in salotto, —Bella, mi ha detto che state insieme —e si sedette sul divano. Qualcuno mi sotterri sotto cento metri di terra, per favore, pregai mentre il mio genitore dava il via al momento più imbarazzante della mia vita.
Cercai lo sguardo di papà e quando lo incontrai, piegai il capo in una supplica per evitare quella discussione.
Emmet era già salito, ma certamente stava sentendo tutto, e quello rendeva il tutto ancora più mortificante. Non avrebbe perso tempo per inventarsi qualche battuta o barzelletta su di me e suo fratello.
Immune al mio sguardo, Charlie sorrise e invitò il ragazzo a sedersi sulla poltrona davanti a lui. Sembrava voler ricoprire anche in quel momento le vesti dello sceriffo di Forks. Con un sospiro rassegnato, presi posto accanto a mio padre sperando che il tutto finisse il prima possibile.
Perché i genitori dovevano mettere i figli in quelle situazioni?Mi chiesi mentre guardavo mortificata il ragazzo che, al contrario di me, appariva tranquillo e a suo agio.
Beh, leggeva nel pensiero e quindi poteva prepararsi le risposte, probabilmente già sapeva quello che gli avrebbe chiesto. In ogni caso era a prova di proiettile e quindi papà non poteva fargli nessun graffio.
—Le ho chiesto se avrebbe accettato un mio corteggiamento e lei ha accettato —non tentava minimamente di nascondere la nota di felicità e orgoglio mentre rispondeva a mio padre con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Sembrava volerlo urlare a tutto il mondo ed era disarmante per me. Il mio cuore ormai si era abituato a fare gli straordinari, come sempre, quando ripensavo che quello che stavo vivendo era vero e che Edward era davvero interessato a me. —Spero che per lei non ci siano problemi.
—E hai intenzioni serie con mia figlia? —gli chiese ed io avvampai per l’imbarazzo.
—Papà… —il mio doveva essere un richiamo ma fu più un lamento.
Mi sembrava di essere stata catapultata indietro di cento anni, quando era consuetudine chiedere al padre il permesso di corteggiare la figlia o per chiederle la mano. Ma eravamo nel nuovo millennio perbacco, avrebbe dovuto accettare le mie scelte. Allo stesso tempo avevo il cuore in gola e sudore freddo scendeva lungo la mia fronte nel timore che dicesse di no.
—Molto serie.
Charlie emise un grugnito di approvazione, incrociando le braccia al petto e guardando il ragazzo seduto di fronte a lui con fare severo.
—Molto bene, vedi non fare stupidaggini —disse alla fine. Si alzò e recuperata la giacca, ci augurò buon lavoro.
Edward si era guadagnato il suo beneplacito.
Dissi a Edward di salire pure mentre io rimasi al piano terra giusto per scambiare quattro chiacchiere con papà a quattr’occhi, ora che il pericolo era passato.
— Papà, perché hai fatto quella scenetta? Lo avevi già conosciuto e ti è sempre stato simpatico.
—Sì, ma ora me lo presenti come fidanzato e vuoi stare qui da sola con lui, sei pur sempre mia figlia —borbottò burbero. Alzai gli occhi e sorrisi. Alla fine era un papà che si preoccupava per la sua bambina.
—C’è Emmet e poi Edward è un ragazzo con la testa sulle spalle e un po’… all’antica —dissi dopo un momento di tentennamento per cercare le parole giuste. Alla fine era vero, Edward era un ragazzo del primo novecento, e la morale, l’etichetta, a quei tempi erano molto rigide.
—All’antica… — ripeté scettico.
—Sì, in certe cose è più vecchio di te —dissi sapendo che i due vampiri mi avrebbero sentito. Infatti, arrivò la sonora risata di Emmet.
Più rassicurato, almeno così credevo, se ne andò. Feci un respiro profondo e rientrai salendo velocemente le scale.
Finalmente potevo godermi la mattina con Edward.
—Dov’è Emmet? —gli chiesi. Edward si girò e mi abbagliò con il suo sorriso sghembo.
—L’ho cacciato, non la smetteva di fare le sue solite battute stupide… Forza, mettiamoci al lavoro —disse con entusiasmo e batté le mani tra di loro.
Il letto e l’armadio erano sistemati nel mezzo della stanza ed erano coperti da un grande telo mentre gli altri mobili erano sistemati nel corridoio. Mi stupì ancora una volta di quanto fosse incredibile quello che riuscissero a fare.
—Okay, allora metto i quadri fuori e possiamo iniziare —i quadri? I quadri!
Strabuzzai gli occhi e mi fiondai su di essi prima che lo potesse fare Edward ma avevo scordato che lui si muoveva più velocemente di me e io non avevo fatto nemmeno un passo che lui aveva già in mano tre tele e sfortuna volle, perché, sì, la fortuna e cieca ma la sfortuna ci vede benissimo, che il primo quadro del gruppo ancora poggiato alla parete fosse il ritratto del vampiro.
Lo guardò per un momento prima di poggiare i quadri che aveva in mano contro la parete e prendendo la tela incriminata tra le mani. Lo rimirò ancora per qualche minuto prima di voltarsi verso di me.
—E questo? — mi domandò. Stampato in faccia un sorriso birichino.Imbarazzata, glielo strappai di mano. Me ne ero completamente dimenticata che fosse lì in mezzo e maledì la mia sbadataggine.
—Beh… ecco l’ho fatto l’estate scorsa —balbettai, torturandomi le mani tra di loro. Era stata una paura incontrollata a impedirmi di far vedere il quadro a Edward, non so perché ma credevo che si sarebbe arrabbiato che mi avrebbe urlato contro dopo aver capito quello che c’era dietro a quel ritratto e anche dopo la confessione dei suoi sentimenti per me quel timore non era svanito anzi era raddoppiato, se non triplicato.
—È molto bello ma con un soggetto simile non poteva none esserlo.
Ridacchiai rilassandomi grazie alla sua battuta. Forse non aveva letto quello che c’era dietro a ogni pennellata che mi aveva portato a comprendere quello che provavo per lui. Ne fui sollevata.
—Hai un’alta considerazione di te.
Serafico alzò le spalle e recuperati i quadri, li sistemò fuori dalla porta. Per ultimo prese il suo ritratto, ancora tra le mie mani, e, dopo averlo osservato con uno sguardo che non seppi interpretare, sistemò fuori anche quello.
Poi iniziammo a lavorare.
 
Grazie al suo aiuto riuscì a dipingere tutte e quattro le pareti in tempi brevi e all'una, ero sdraiata sul divano mentre il mio aiutante cucinava per me. Non sapevo cosa aspettarmi, secondo lui tutto quello che mangiavo, aveva un pessimo odore.
—Come fa Esme a cucinare? —urlai per farmi sentire in cucina per poi realizzare che era inutile, in quanto in vampiri avevano un udito più sviluppato dei cani e Edward avrebbe capito anche se avessi sussurrato la frase.
—Anni e anni di esperienza —disse il vampiro facendo il suo ingresso in salotto con il piatto nella mano destra e forchetta e cucchiaio nella sinistra.
—Anche tu hai tanti anni di esperienza? —lo provocai mentre lo osservavo sistemare il piatto davanti a me.
L’aspetto e l’odore erano ottimi, sembrava il piatto di un grande chef, ma volli comunque scherzare.—Devo preoccuparmi?
Edward sfoggiò uno sguardo fintamente offeso e in mondo molto drammatico si portò la mano al petto come a proteggere una ferita profonda.
—Non bravo come Esme ma sono stato un ottimo allievo. Però non chiedermi di cucinare qualcos’altro oltre queste omelette, in quel caso si che dovresti preoccuparti.
—Qualcosa in cui non sei capace! —dissi con finta voce scioccata, per rendere maggiore l’effetto mi portai anche la mano davanti alla bocca spalancata e continuai la mia burla —Non credevo di poter vivere a lungo per vedere questo girono.
Sogghignò e scosse la testa senza smettere di ridere e si sedette vicino a me poggiando un braccio sullo schienale dietro di me e l’altro sul bracciolo.
—Abbiamo mangiato pane e simpatia questa mattina? —e con il braccio poggiato dietro di me miprese per le spalle e mi obbligò ad avvicinarmi a lui, gli ero quasi spiaccicata addosso, e mi baciò lasciandomi basita per la naturalezza del suo gesto.
—Che c’è? —mi chiese spaesato dal mio sguardo vacuo. Sorrisi e mi ripresi.
—No, è che è strano, credo di dovermi abituare — giustificai il mio comportamento. Lui ricambiò il mio sorriso e sistemò una ciocca, sfuggita alla mia coda, dietro l’orecchiosenza perdere l’occasione di sfiorarmi la guancia in una leggera carezza. Il contatto fisico sembrava importante per lui. Come se volesse accentarsi che io fossi realmente lì con lui.
—Quando vuoi, io sono qui —disse facendomi arrossire. Accennai un timido sorriso e portai tutta la mia attenzione sul piatto davanti a me.
—Bella, non voglio che tu ti senta a disagio —disse con tono sommesso. Scossi la testa e tornai a guardarlo.
—No, te l’ho detto, mi ci devo abituare ma non mi ha dato fastidio. Assolutamente.
—Okay —disse con tono sollevato, —forza assaggia e dimmi com’è. Esme ha impiegato una notte intera per insegnarmi a prepararla.
Tagliai un pezzetto e la assaggiai per poi mostrare tutto il mio entusiasmo al cuoco. 
—Davvero, buono. Sarà l’unica cosa che sai fare ma è ottima.
Chinò il capo in un piccolo inchino e poggiò la testa sul palmo della mano mettendosi a fissarmi.
—Ho qualcosa in faccia? —chiesi passandomi la mano sul viso alla ricerca di qualche pezzetto di frittata o pomodoro.
—No, perché?
—Mi fissi.
—Mi piace guardarti mentre mangi —rispose alzando le spalle.Ridacchiai chiedendomi se non avesse perso qualche rotella durante la sua vita secolare. A nessuno piace guardare qualcuno mentre mangia. Si fanno tante di quelle facce buffe e imbarazzanti...
—Non farlo. È imbarazzante —lo supplicai.
—Perché?
—Perché? Sembro una mucca che rumina quando mangio —spiegai come se fosse la cosa più logica del mondo. Per contro lui si mise a ridere di gusto, come se avessi appena detto la barzelletta più spassosa del secolo.
—Allora per me sei la mucca più bella di tutte.
Ripagai la sua affermazione con un piccolo sorriso e il viso arrossato.
—Sembri un cucciolo quando mangi tutto da una parte e ti si gonfia la guancia e sorridi soddisfatta perché ti piace.
—Voi invece come vi procurate il cibo? —chiesi per spostare l’attenzione dalla discussione sul mio modo di mangiare al loro. Non glielo avevo mai chiesto in quella settimana, dovevo prima assimilare per bene la novità della sua natura. Certe volte avevo ancora la sensazione che fosse tutto un sogno, un frutto della mia mente.
—Cacciamo dove c’è più sovrappopolazione di animali, durante i periodi in cui c’è il sole qui a Forks cogliamo l’occasione per spostarci di più e cacciare qualcosa di diverso da cervi o altri erbivori che popolano questa zona… —un lamento fuoriuscì dalla mia bocca nel sapere che piccoli Bambi erano il loro pranzo ma era meglio loro che un essere umano.
M’immaginai Charlie tra le braccia di Rosalie mentre questa si cibava di lui prosciugandolo, o Angela e Ben, e anche se con un po' di sensi di colpa nel pensare ciò fui felice che al loro posto ci fossero conigli, cervi e volpi.
—Ma come fate? A cacciare intendo. Come fanno i cacciatori? —domandai nella mia beata innocenza. Edward ridacchiò mostrando i suoi denti bianchi e con uno scatto aprì e chiuse la bocca, come a mordere qualcosa d’immaginario, e facendoli battere tra loro provocando un suono sordo.
—Usate i denti? —ero sorpresa ma effettivamente i suoi denti sembravano affilati come rasoi e forti come una morsa. Forse erano anche meglio dei fucili.
—Hai mai visto documentari su come cacciano i leoni o tigri?
Annuì ricordando i tanti documentari visti a scuola durante l’ora di scienze. Il leone acquattato tra l’erba alta e beige, come il suo mantello, aspettava il momento di colpire l’elemento debole del branco che aveva puntato e dopo essersi lanciato all’inseguimento, l’afferrava per la gola fino a che questa non moriva.
—Il nostro modo di cacciare è molto simile —mi spiegò ma evitai di immaginarmi la famiglia Cullen in quello scenario e continuai ad approfondire la mia conoscenza del suo stile di vita. Prima o poi avrei anche dovuto chiedergli degli altri vampiri. La prima tra tutte era: quante possibilità c’erano che qualcuno di quelli non vegetariani arrivasse a Forks e si cibasse di esseri umani lasciando cadaveri dissanguati in giro per il piccolo paese?
—Cosa ti piace cacciare?
—Puma, —e i suoi occhi s’illuminarono, —sono i miei preferiti, ma non posso cacciare solo quelli così mi accontento il più delle volte di cervi o altri erbivori. Emmet invece si diverte a cacciare orsi, specialmente appena svegliati dal letargo.
—Perché non usate le banche del sangue? Voglio dire ora avete la possibilità di usufruire di sangue umano senza uccidere, perché dopo questa scoperta non siete tornati alla dieta originaria?
—È vero ma poi sarebbe difficile resistere se qualcuno si tagliasse un dito davanti a me, ma soprattutto il sangue animale ci ha reso più uniti. Noi vampiri ci muoviamo in gruppi piccoli e spesso viaggiamo in solitaria, gruppi grandi come la mia famiglia o quella dei Denali sono rari, e in più il nostro stile di vita ci ha permesso di essere più civili di vivere in mezzo alla gente senza troppi pericoli.
—Capisco… —dissi. Ero arrivata a paragonare il sangue alla droga. Quando se ne fa uso, se ne diventa dipendenti e non si riesce a resistere alla tentazione di prenderne una dose.
Guardai l’orologio, che segnava le due e trenta. Era ora di tornare al lavoro.
—Beh che ne dici di continuare questa discussione mentre finiamo la camera?
—Certo, ormai la vernice dovrebbe essere asciutta —accettò alzandosi per primo e portando quello che restava del mio pasto in cucina. Lo seguì osservandolo mentre, come se fosse a casa sua, lavava, asciugava e sistemava i piatti al loro posto. Mi dissi che era proprio da sposare, insomma quale ragazzo pulisce a casa di qualcun altro?
Non ci mise molto a sistemare tutto, assieme salimmo le scale e ci prendemmo qualche secondo per ammirare il nostro lavoro.
Le pareti erano di un azzurrino chiaro che non affaticava l’occhio, sul soffitto spiccava lo spazio libero, dove avrei dipinto il sole, e nella parte verso la finestra l’azzurro sfumava in un blu notte su cui faceva capolino qualche stella. Alla fine ero certa che sarebbe uscito un bel lavoro.
—Bene, prima prepariamo i colori e poi mi aiuti, ovviamente ti occuperai solo di stendere il giallo, non so quanto ti sei dedicato all’arte in questo secolo… —non volevo peccare di superbia ma Edward, a parte le sue doti da pianista, non mi era mai sembrato un tipo artistico, lo vedevo come scienziato, fisico, medico ma per quello che riguardava la pittura, scultura,… ecco erano due mondi separati che non si sarebbero mai incontrati ed infatti la sua risposta mi confermò i miei sospetti.
—Ho passato un periodo negli anni cinquanta e sessanta ma poi ho lasciato. Semplicemente non era il mio campo.
Così ci mettemmo al lavoro.
—Se ti sfidassi a mangiare la tempera? La mangeresti? —gli domandai girando il capo verso di lui. Stavo preparando i colori per dipingere il sole, non avevo ancora trovato la giusta tonalità di arancio e quella domanda mi sorse spontanea dopo che mi aveva confessato che spesso si era trovato nella situazione di mangiare per salvare le apparenze ma che per lui era stata un’esperienza traumatizzante.
Edward volse il capo verso di me, qualche goccia di colore colorava le sue guance pallide, e delle mani era meglio non parlarne, ma fortunatamente sulla parete non c’erano macchie.
Saltò giù dalla scala e si sedette al mio fianco.
—Non mi farebbe nulla —rispose per poi inzuppare il pennello nella tempera gialla e compiendo il gesto di portarselo alla bocca.
—No! Fermo —urlai bloccando il suo braccio a mezz’aria. Mi guardò spaesato e mi sorrise per rincuorarmi.
—Bella, davvero non mi faccio nulla. Avrò solo i denti gialli al massimo —disse trattenendo le risate.
—Non fa nulla, non mangiarla lo stesso —borbottai recuperando il pennello per rimetterlo nel suo vasetto.
—Se ti fa sentire meglio… tonando alla tua stanza, vuoi che ti faccia il giallo del sole? Così ci portiamo avanti —propose alzandosi.
Guardai i colori su cui stavo lavorando e il soffitto, non volevo che il colore si asciugasse troppo ma l’arancio che avevo fatto mi piaceva.
—Okay, tanto ormai i colori sono pronti. Ti do una mano.
Era divertente e, tra risate e pennellate, sul vestito dell’altro a tradimento, alla fine sembravamo due che avevano partecipato a una partita di paintball, alle sei del pomeriggio avevo finito gli ultimi ritocchi.
—Allora che te ne pare? —chiesi al mio aiutante con voce soddisfatta.
Edward alzò lo sguardo poggiando le mani sui fianchi e girò su se stesso analizzando ogni punto.
Abbassò lo sguardo e mi abbagliò con il suo sorriso sghembo.
—Bellissimo.
Lo abbracciai di slancio e senza pensarci lo baciai sulla bocca. Non ci mise molto a ricambiare, felice della mia iniziativa.
Quando mi staccai, sorrisi imbarazzata ma felice.
—Te l'ho detto che era questione di farci l'abitudine.
Accentuò il sorriso e si chinò a baciarmi ancora con maggiore intensità allacciai le braccia attorno al suo collo, sentivo le gambe molli e avevo bisogno di appoggiarmi a lui per non finire a terra.
—Bells, sono a casa! —la voce di papà arrivò chiara e forte.
Mi staccai subito, gli occhi sbarrati e terrorizzata. Il vampiro sembrava spaesato ma poi scosse la testa e sorrise dolcemente.
—Che mi fai, Bella? —domandò retorico lasciandomi interdetta.
 Si allontanò e incominciò a raccogliere i vari secchi. Mi schiarì la gola e mi diedi una sistemata ai capelli prima di chiamare mio padre.
—Papà, siamo in camera! Vieni a vedere —urlai prima di rendermi conto che c’era un piccolo problema.
—O mamma! Emmet non c’è! A papà verrà un infarto —sibilai guardandomi attorno alla ricerca di una soluzione. Papà se ne era andato credendo che saremmo rimasti tutti e tre a lavorare e se avesse scoperto che Edward ed io avevamo passato un’intera giornata da soli mi avrebbe impedito di vederlo senza la sua supervisione!
Avrei potuto dire che se ne era appena andato per un’emergenza a casa o una commissione improvvisa,…
—Qualcuno mi ha chiamato? —sobbalzai voltandomi verso la finestra da cui stava entrando il fratello di Edward. Quando si dice: “Parli del diavolo, spuntano le corna”.
—Come… lascia stare —iniziai a dire ma i passi di papà sulle scale scacciarono ogni domanda sul suo tempismo impeccabile. —Ciao, papà. Che te ne pare?
Charlie fece il suo ingresso con i pollici infilati nella cintura e la pistola ancora nella fondina. Entrò a passo cadenzato, guardandosi attentamente attorno, salutando i fratelli Cullen con un cenno del capo. Si fermò al centro della stanza e dopo una veloce occhiata diede il suo verdetto.
—Bello, hai fatto il sole sul soffitto.
—Già. Grazie a Emmet e Edward sono riuscita a finire tutto —si soprattutto grazie a Emmet, mi dissi sarcastica. Lanciai uno sguardo complice al più giovane dei Cullen che venne prontamente ricambiato e tornai a guardare mio padre.
—Ma questa notte dove dormi? La vernice ci metterà un po' ad asciugarsi —commentò portandosi una mano sul mento —starai in camera mia, io dormirò sul divano letto.
—Sarebbe l’occasione per fare quel pigiama party saltato —intervenne Edward facendo scattare la testa di papà verso la sua direzione. —Quando siete andati a Jacksonville per il compleanno della sua ex moglie, Alice aveva invitato Bella a casa nostra per un pigiama party.
Al nominare Jacksonville Charlie strabuzzò gli occhi per poi riprendere il suo controllo di sempre.
—Sì, anche Rose non vede l’ora —scoccai un’occhiata storta nella direzione dell’energumeno. Da quando Rosalie era eccitata all’idea di vedermi gironzolare per casa sua?
—Poi avrebbero casa tutta per loro io e miei fratelli siamo invitati a casa di amici a Seattle —continuò Emmet. Aggrottai le sopracciglia, presa in contropiede. Edward non mi aveva accennato nulla quel giorno, gli lanciai uno sguardo interrogativo ma lui si limitò a farmi l’occhiolino. C’era qualcosa sotto me lo sentivo e mentalmente mi appuntai di indagare più a fondo appena fossimo rimasti soli.
—Sì, Bella me lo aveva detto —borbottò —Ci saranno solo le ragazze a casa?
—Mamma e papà rimangono, si sono già organizzati per lasciare alle ragazze la loro privacy —spiegò Emmet. Guardai Edward ma lui sorrideva senza lasciarmi capire cosa avesse in mente. In quel momento avrei tanto voluto poter leggere la mente come lui.
Non dovetti scrutare lo sguardo di mio padre alla ricerca di una riposta, quando il mio vampiro sfoggiò il suo sorriso sghembo, capì che papà era favorevole.
—Sì, perché no? Se per Bella va bene, io non ho problemi —e detto ciò tre paia di occhi mi fissarono, in attesa della mia risposta.
—Certo, sarà bello passare una serata con Alice e Rose —e sperai che il tentennamento che avevo avuto nel dire il nome della vampira bionda fosse passato inosservato. Ero nervosa all’idea di passare una nottata con lei e dispiaciuta del fatto che Edward non ci sarebbe stato, non volevo mettere fine a quella nostra giornata ma l’idea di passare un po' di tempo con Alice non mi dispiaceva e forse quella si sarebbe rivelata l’occasione per farmi conoscere da Rose e mostrarle che di me si può fidare, che non farei nulla alla sua famiglia.
—Perfetto, allora chiamo a casa —disse Emmet estraendo il cellulare.
 
Infilai il pigiama per ultimo e ripassai mentalmente tutto quello che avevo preso, per essere sicura di avere tutto e poi chiusi lo zaino. Recuperai il cellulare e scesi le scale. Passai davanti al salotto e vidi mio padre placidamente spaparanzato sulla poltrona con una birra in mano. La voglia di uscire scemò, mi sentivo in colpa a lasciarlo da solo. Poggiai lo zaino vicino all’ultimo gradino e lo raggiunsi.
Charlie alzò lo sguardo e sorrise.
—Sicuro che posso andare? Tu rimarrai da solo…
—No, vai pure. Ti divertirai di più con le ragazze che con me. Oltretutto questa sera c’è la partita e viene anche Billy, ti annoieresti con due vecchietti come noi — e sogghignò bevendo un sorso di birra.
Billy…il pensiero del padre di Jake mi ricordò quello che mi aveva confidato Edward. I Quileutte erano davvero dei lupi mannari. Tutte quelle loro leggende di discendere da essi erano vere. Dovevo lasciare papà da solo?
Quella sera non ci sarebbe stata la luna piena e quindi Billy non si sarebbe trasformato e poi loro due erano grandi amici. L’indiano non avrebbe fatto nulla a mio padre ne ero certa.
I lupi e i vampiri in tutto quello che avevo letto erano definiti come nemici naturali e quello spiegava il comportamento dell’indiano ogni volta che vedeva Edward o solo quando si nominavano i Cullen. Che avrei fatto quando lo avrei rivisto?
Il campanello suonò in quel momento. Sorrisi credendo che fosse Alice alla porta e corsi ad aprire ma il sorriso mi morì sulle labbra quando per primo vidi Jake dietro alla carrozzina del padre.
—Billy, Jake, ciao —li salutai dopo essermi ripresa.
—Sembra che tu stessi aspettando qualcun altro.
Billy parlò per primo con quel suo tono allegro e gioviale. Accennai un sorriso e li feci passare.
—Sì, una mia amica del liceo mi ha invitato a casa sua a dormire.
—Non rimani? —mi chiese Jacob con un tono che non nascondeva la delusione.
Negai con il capo e li accompagnai in salotto, dove vennero accolti da un Charlie entusiasta. Si alzò di scatto dalla poltrona e raggiunse l’amico per dare il via al loro strano rito di saluto. Cose da uomini, mi dissi trattenendo un sorriso.
—Che ci fanno loro qui? —sibilò Jacob di punto in bianco. Subito dopo qualcuno bussò alla porta e non ci misi molto a capire a chi si riferisse. Quando aprì la porta Alice sorrideva e saltellava e non ebbi nemmeno il tempo di dire “ciao” che aveva iniziato a elencare le attività che avremmo fatto. Charlie arrivò poco dopo, richiamato dalle sue grida e urletti di gioia.
Fui veloce a congedarmi, non mi erano sfuggite le occhiatacce di Jacob e del padre ma non dissero nulla, forse memori della sfuriata di papà dopo la discussione tra Edward e Jake che per poco non era sfociata in una rissa tra due esseri sopranaturali.
—Bene, è andato tutto bene —squittì la vampira quando entrammo in macchina. —Jasper ormai dovrebbe fidarsi un po' più di me e delle mie percezioni.
—Che vuoi dire?
—Non potevamo vederti perché c’erano i licantropi, ma ero certa che non sarebbe successo nulla. Non avrebbe alzato un dito davanti al capo Swan. Non ci sarebbe servita tutta questa scorta.
—Che scorta? —chiesi guardandomi attorno. Alice dondolò la testa a destra e a sinistra tra il divertito e lo scocciato.
—Il tuo principe azzurro e il mio non mi hanno mollato per un secondo da quando sono uscita da casa e ora riesci a vederli. O forse no… —no, direi di no, pensai mentre assottigliai lo sguardo alla ricerca di un profilo umano. —I tuoi riflessi sono troppo lenti, ora…—spiegò calma e sibillina, tenendo lo sguardo fisso nella macchia verde del bosco che costeggiava la strada. Salutò qualcuno e poi tornò a fissare la strada.
Quando parcheggiò la macchina, all’interno del garage, non ebbi il tempo di aprire la portiera che qualcun altro lo fece per me.
—Ciao —mi salutò Edward porgendomi la mano e aiutandomi a scendere. Si chinò verso di me baciandomi lentamente sulle labbra, come se mi volesse assaporare. Baciarlo era un’esperienza unica.
—Ciao, Edward —lo salutai quando ci staccammo.
—Hai visto che è sana e salva? —s’intromise la voce di Alice, catturando la nostra attenzione. Sorrideva furba e mi guardò con fare malizioso, proprio quando Jasper fece la sua comparsa al suo fianco, stringendola a se. —È una prerogativa dei maschi Cullen essere troppo protettivi con le proprie compagne —mi rivelò facendomi arrossire fino alle punte dei capelli. Jasper li riservò un’occhiata che doveva essere di rimprovero ma che in realtà sembrava quella di un padre che nonostante la marachella della figlia vorrebbe solo coccolarla.
—Ci vediamo su —disse la vampira prima di sparire nel nulla assieme al marito. Già, marito, quando me lo aveva detto ero rimasta senza parole.
—Forza, vieni —m’incitò Edward prendendo dalle mie mani lo zaino.
—Ma voi non dovevate andare via? —domandai ricordandomi solo in quel momento che non dovevano esserci quella sera.
—Diciamo che era una piccola bugia —confessò con tono fintamente dispiaciuto e avvicinando il pollice e l’indice per supportare la sua tesi di una bugia bianca. Scossi la testa divertita e felice per l’inatteso cambio di programma. Non avrei dovuto salutarli di lì a poco, sarebbe rimasto e la cosa mi mandava al settimo cielo e mi rassicurava. Se Rose avesse deciso di fare uno strappo alle regole di famiglia, lui avrebbe dato una mano ad Alice per proteggermi. Non che la bionda avesse mai manifestato il desiderio di attaccarsi alla mia giugulare ma non ero mai rimasta da sola con lei, c’era sempre qualcuno che la teneva sotto controllo mentre quella sera non ci sarebbe stato Edward.
Mi prese la mano e mi sospinse verso la porta che permetteva di arrivare al salotto dopo una piccola rampa di scale.
—Volevo passare una serata solo con te, sarebbe stata la perfetta fine di una perfetta giornata ma Alice non vuole perdere l’occasione di un vero pigiama party quindi preparati a fare da cavia per tutta la serie di prodotti di bellezza che ha comprato. Ha sempre voluto usarli.
Mi bloccai sul gradino e per poco non caddi in avanti a causa della spinta del vampiro che ignaro continuava a salire le scale.
Solo grazie ai riflessi di Edward ciò non accadde.
—Tutto bene? —mi domandò premuroso.
—No, —dissi con ironia —in pratica mi stai dicendo che tua sorella vuole usarmi come valvola di sfogo di cinquanta anni di cure del corpo negate! Certo che va bene! Ho solo paura!
Beffandosi di me, sghignazzò divertito dalle mie sfortune.
—Le ho fatto promettere di andare per gradi.
Gradi? Alice non sapeva cosa volesse dire andare per gradi! Lei andava direttamente in quinta e non sapeva cosa voleva dire rallentare.
—E tu le hai creduto? —il mio scetticismo si tagliava a fette.
—Le do fiducia? —rispose facendo suonare la frase più come una domanda che una risposta e condì il tutto un sorrisetto esitante che voleva essere rassicurante. Sospirai e lo incitai ad andare avanti, non avrei potuto fare molto ormai, solo pregare che si sarebbe trattenuta come aveva promesso.
 
Quella sera scoprì la maschera dei capelli, davvero non sapevo che esistesse, conoscevo quelle per il viso ma che anche i capelli ne avesserobisogno, quello non lo sapevo. Poi il balsamo, lacche, spray e una serie di prodotti dai nomi francesi che non avevo afferrato. Anche il mio viso scoprì una serie quasi infinita di prodotti, liquidi, creme, cose dalla consistenza sabbiosa.
La mia amica sembrava una bambina in un negozio di giocattoli.
Non avevo il cuore di fermarla, era così raggiante e non la smetteva di dire quanto fossefelice e non volevo rovinarle la serata, il colpo definitivo lo aveva assestato quando mi aveva detto che lei non ricordava nulla della sua vita da umana e in quel modo voleva riscoprire quelle esperienze dimenticate.
Lì non ce l’avevo fatta a dirle basta.
Per me voleva solo dire di sopportare qualche prodotto un po' troppo profumato o una maschera di argilla.
Alice era appena scesa in cucina a recuperare qualcosa da mangiare, ovviamente per me, quando la bionda mi rivolse direttamente, per la prima volta, la parola.
—Alice, si sta divertendo molto. Grazie —il ringraziamento di Rosalie mi aveva lasciata scioccata e piacevolmente stupita. Dovevo interpretarlo come un primo passo verso una nuova amicizia?
Quando avevo fatto il mio ingresso in salotto, mentre i signori Cullen ed Emmet mi avevano salutato calorosamente, la bionda si era limitata a un saluto più freddo e distaccato che sembrava un contentino per i suoi famigliari ma quando Alice ci aveva trascinate entrambe al piano superiore dopo un iniziale atteggiamento glaciale si era sciolta, avrei giurato di aver visto un sorriso in un paio di occasioni.
—Rose… —iniziai, volevo dirle che mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio, diventarle amica e creare un rapporto come quello che si era creato con Alice, ma lei mi bloccò. In un angolo del mio cuore sperai che volesse essere lei a fare il primo passo ma le sue parole stroncarono sul nascere quella speranza.
—Non credere che questo significhi qualcosa per me. Ritengo ancora che tu sia una fonte di guai per la mia famiglia —no, decisamente non voleva porgermi un ramoscello d’ulivo.
Un bussare leggero alla porta mi sollevò dall’arduo compito di risponderle. Non avrei saputo che dire o fare. Il tono con cui lo aveva detto, anche se non era cattivo, era duro e mi fece tremare dalla testa ai piedi.
—Sera, signorine. Bella, sei ancora viva?
La testa di Emmet fece capolino dalla porta semiaperta della stanza di Alice. Lui e i suoi fratelli erano andati a caccia assieme ai genitori, lasciandoci così casa libera. Fortunatamente erano tornati e mentalmente, proprio quando fece il suo ingresso anche Edward, ringraziai il loro tempismo perfetto.
Ricambiai il saluto e chiesi se la caccia fosse andata bene.
—Abbastanza bene, ma non chiedermi altro. Il signorino non vuole che entri nei dettagli —e indicò con il pollice il fratello alle sue spalle che lo sorpassò spingendolo scherzosamente con la spalla.
Mi ero sempre chiesta cosa volesse dire avere un fratello e vedere i Cullen mi aveva fatto capire cosa volesse dire e li invidiavo. Si prendevano in giro, scherzavano, spalleggiavano prima per quello poi quell’altro fratello o sorella. C’era una complicità che invidiavo e mi sarebbe piaciuto farne parte.
—Ti sei divertita? —mi chiese Edward raggiungendomi. Annuì con vigore e mi alzai per abbracciarlo e schioccargli un bacio sulle labbra. Quel semplice gesto sembrava mandarlo in visibilio ogni volta come se per lui fosse un onore avere le mie attenzioni.
Solo che lui non riusciva a capire che la più fortunata tra i due ero io.
—È stato molto divertente. Tu, invece?
—Sì, moltissimo, soprattutto a battere qualcuno —disse alzando la voce e lanciando un’occhiata scherzosa verso Emmet. L’interessato lo fulminò con lo sguardo, assottigliando gli occhi. Uno sguardo che doveva essere minaccioso ma che in realtà sembrava quello di un bambino pronto per la sua ennesima marachella.
—Vedrai la prossima volta ti straccerò e Bella vedrà che mezza cartuccia si ritrova come compagno... —il vampiro era un tipo molto competitivo e non amava essere battuto e Edward sembrava divertirsi a vederlo in quello stato.
—Sogna, Emmet. Piuttosto è Rose che dovrebbe aprire gli occhi. Forza, Bella, vieni, vediamo se il perdente riesce  a concludere qualcosa questa sera… —e dal tono malizioso e il sorrisetto sornione che gli aveva increspato le labbra potevo immaginare a cosa si riferisse.
Edward non aspettò una risposta, mi prese per mano e mi fece uscire dalla camera di Alice. Quando chiuse la porta dietro di se nel silenzio della casa proruppe la risata di Emmet.
— Chi sei tu e che fine ha fatto il mio fratellino noioso?— continuò il vampiro uscendo anche luidalla stanza. Dietro venne subito Rose che sorrideva divertita dalla scenetta dei due ma, appena incontrò i miei occhi, quel brio sparì per essere sostituito da uno sguardo neutrale. Sarei mai riuscita a farmi accettare da lei?
—Vieni, Bella. Alice mi ha accordato il permesso di farti vedere dove dormirai questa notte —la voce di Edward arrivò soffice al mio orecchio. Una sua mano corse alla mia vita, stringendomi un abbraccio protettivo.
Voltai lo sguardo sorridendogli mesta poi tornai a guardare la bionda ma questa era sparita, così come il suo compagno.
La mia visuale venne oscurata dal corpo del vampiro alzò le mani chiudendole a coppa attorno al mio viso e, con una leggera pressione, mi obbligò ad alzarlo verso di lui. Gli occhi dorati sembravano risplendere di luce propria ma le strinature nere che facevano capolino qua e la, lasciavano trasparire la sua preoccupazione.
Non potevo leggere nella mente delle persone come faceva lui, così per capire quello che pensava mi ero lasciata guidare dai suoi occhi, imparando a leggervi le sue emozioni e pensieri.
—Non dare troppo peso a quello che dice o fa Rose. È solo preoccupata.
Sapeva come mi facesse rimanere male il comportamento di sua sorella e per quanto anche lui ci rimanesse male, cercava sempre di giustificarla e non perdeva occasione per farci avvicinare. Ero arrivata alla conclusione che dietro l’astio della donna ci fosse qualcosa di serio e forse comprendendolo avrei potuto fare passi avanti e capire dove sbagliassi con lei.
—Perché Rosalie ritiene che io sia una minaccia per voi? Teme che lo dica a qualcuno? —domandai senza nascondere l’incredulità per quella possibilità —Io non lo farei mai —affermai con enfasi. Non volevo vederli andare via o essere preda di fanatici ma anche se avessi detto qualcosa, nessuno mi avrebbe creduto. Charlie e mia madre mi avrebbero comprato un biglietto di sola andata per un centro psichiatrico.
—Non è per quello, o meglio non solo per quello.
Sospirò come a volersi liberare da un peso troppo grande per lui. Nei suoi occhi c'era una tempesta, era combattuto se dirmi la verità o continuare a tacere. Che poteva esserci di così grave?
Alla fine sospirò e si arrese.
—Vieni, credo sia ora di farti vedere qualcosa —e poggiò una mano dietro alla mia schiena. Un invito a proseguire.
Mi portò nello studio di suo padre. Non ero mai stata in quella stanza e rimasi un po' delusa dovetti ammettere, era un normale studio di un medico non di un medico vampiro di trecento e più anni.
Un’imponente poltrona di pelle nera dietro a una massiccia scrivania di legno, dietro una grande vetrata che dava sull’immenso bosco dietro casa Cullen mentre le pareti laterali erano completamente nascoste dietro a una serie di massicci scaffali traboccanti di libri di tutte le dimensioni e i dorsi consunti mostravano la loro vera età. Forse, alcuni era vecchi quanto Carlisle stesso, pensai mentre sfioravo con riverenza i dorsi di alcuni di essi e ne leggevo i titoli. Trattati in latino, tedesco, francese, italiano. Nemmeno il più grande studioso del mondo poteva vantare una così grande e variegata raccolta.
Edward, però, m’invitò a prestare attenzione alla parete alle mie spalle, quella da cui eravamo entrati. Spalancai la bocca, mostrando tutto il mio stupore.
Era piena di quadri di ogni dimensione e dalle cornici più variegate. Sembrava la collezione di un museo, solitamente però, loro compravano secondo un criterio particolare, cercavano di creare un filo conduttore per dare significato alle proprie collezioni ma, in quell’insieme di opere, dai colori smaglianti, cupi e ombrosi, non riuscivo a orientarmi.
Edward mi guidò all’inizio della parete sulla sinistra di fronte a un quadro a olio di piccole dimensioni. Certo era che se Edward non me lo avesse mostrato io non lo avrei nemmeno notato rispetto ai suoi fratelli più grandi e vivaci.
Era cupo, un fiume strisciava sinuoso sullo sfondo mentre davanti una città fatta di viuzze e case dai tetti spioventi mostrava una Londra di tanto tempo fa.
—La Londra della giovinezza di Carlisle.
—Woo… —fu quello che riuscì a dire. Per me era assurdo immaginare il Carlisle che conoscevo, camminare per quelle strade scure e tra quelle abitazioni di legno e pietra. Il cielo cupo sembrava voler cadere sulla testa degli abitanti tanto le nuvole erano pesanti.
—Tutta questa parete rappresenta la sua storia e anche la mia, quella di Esme e dei miei fratelli —continuò, illustrandomi uno a uno ogni singolo quadro.
Io ascoltavo ammaliata, affamata di ogni parola che usciva dalle sue labbra. Con soli tre metri di parete fui trasportata indietro nel tempo in una storia che più che mai sentì vicina. Potevo quasi sentire i rumori, gli odori, le voci e la gente di cui mi parlava. Potevo quasi toccarle.
In fine, Edward si fermò davanti a un quadro, il più grande di tutti, era un tripudio di colori, l’oro era ovunque e mostrava l’altissimo livello del committente.
Rappresentava l'interno di un grande atrio classicheggiante, colonne corinzie. In primo piano quattro figure bellissime dietro le quali c’erano tre alti seggi finemente decorati. Erano degli dei nel loro momento di massima gloria.
Quando mi avvicinai e osservai meglio, rimasi a bocca aperta nel riconoscere nella figura leggermente in disparte, rispetto al trio compatto, qualcuno che conoscevo bene.
—Sì, è Carlisle —l'affermazione di Edward fece volatilizzare i pochi dubbi che mi erano sorti. —Quelli al suo fianco sono i Volturi. Possiamo definirli come nostri sovrani. È per loro che Rosalie è preoccupata.
I Volturi…
Inconsciamente rabbrividì nel pronunciare il loro nome. Nei loro occhi c’era un qualcosa di terrificante e la consapevolezza di ciò che erano e di ciò che potevano fare.
—I Volturi si preoccupano che la nostra società rimanga nascosta ai vostri occhi. Chi trasgredisce è praticamente condannato.
Tremai letteralmente di paura alla sua rivelazione e il cuore schizzò alle stelle. Come potevo avercela con la bionda sapendo quello che la famiglia rischiava? Avrei fatto come lei per proteggere i miei cari.
Non volevo che finissero nei guai per colpa mia.
Edward dovette leggere tutto quello sul mio viso perché si affrettò ad aggiungere, cercando di tranquillizzarmi:
—Non ti devi preoccupare è impossibile che vengano qui. Non diamo nell'occhio e tu sei più che affidabile e loro non si muovono da Volterra senza una minaccia concreta.
—Volterra? —biascicai.
—Sì, è in Toscana. Agiscono solo quando c'è qualche vampiro che sta lasciando un po’ troppe tracce su di noi. Non ti devi preoccupare. Ho tutto sotto controllo —ribadì, —e Alice li tiene costantemente sott’occhio.
Appariva così deciso e sicuro di se che riuscì a tranquillizzarmi e il fatto che Alice potesse vedere il futuro mi dava la speranza che tutto sarebbe andato bene.
—Edward, vero che se dovesse succedere qualcosa me lo dirai? —dissi pregandolo con lo sguardo.
—Certo, ma come ti ho detto, non corriamo nessun pericolo.
Lo abbracciai, poggiando la guancia sul suo petto mentre con lo sguardo non perdevo di vista il grande quadro. Dopo le mie insistenze Edward prese a raccontarmi la storia di quella famiglia reale che si occupava di far rispettare le leggi in tutto il mondo. 
—E loro seguono il vostro stile di vita? —domandai poggiando il mento sul suo sterno e alzando lo sguardo verso il suo viso. Il vampiro, fissando assorto il quadro, rispose con voce dura:
—No, preferiscono la vecchia maniera. Quando Carlisle era alla loro corte, hanno cercato di convincerlo a rinunciare al suo stile come lui ha tentato di convertirli al suo —poi abbassò lo sguardo addolcendo i lineamenti e mi lasciò un veloce bacio a fior di labbra e m’invitò a voltare le spalle al quadro e a tutto quello che rappresentava. —Purtroppo e fortunatamente nessuno ha raggiunto il proprio obiettivo. Io e gli altri non saremmo qui altrimenti.
—Grazie al cielo aggiungerei. Non riuscirei a immaginarvi mentre attaccate un essere umano o peggio, non avreste mai incontrato Carlisle e così non vi avrei conosciuto ed io non avrei mai saputo nulla di te —mormorai con tono basso, realizzando che, se non fosse stato per Carlisle, lui sarebbe morto in un misero letto di ospedale senza nessuno a piangere per la sua perdita.
—Ora basta discorsi su vampiri, caccia e tutto il resto… è mezzanotte passata e gli umani devono andare a letto —non riuscì a non liberare una piccola risata nel sentire il suo tono da padre severo ma mi zittì quando si fermò davanti alla sua camera. Mi ero domandata, dove avrei dormito, certo la casa era grande ma le stanze erano tutte occupate ma non avrei mai immaginato di stare in quella di Edward.
Se mio padre ne fosse venuto a conoscenza, gli sarebbe venuto un infarto.
Aprì la porta e rimasi spaesata quando al posto del divano nero in pelle, vidi un grande letto in ferro battuto, con la testiera fatta da decorazione floreale, e il copriletto era di un blu mare che sfiorava il pavimento.
Semplice, per non stonare con il resto dell’arredamento ma con quel tocco romantico che mi piaceva tanto.
—Non credo che ti sarebbe piaciuto fare il terzo incomodo così ho dato una risistemata alla stanza.
Lo guadai aspettando un suo cenno per entrare e dopo che me lo diede, raggiunsi il letto e mi sedetti. Saltellai ed era così morbido che mi sembrava di sprofondarci dentro.
—Adoro il letto matrimoniale —dissi lasciandomi cadere all’indietro. Ne avevo sempre desiderato uno e quando avevo deciso di trasferirmi a Forks avevo accarezzato l’idea di prenderne uno ma mio padre aveva distrutto i miei sogni dicendo che la stanza era troppo piccola.
—Ti piace?
—Molto, ma non dovevi preoccuparti tanto, il divano andava benissimo —dissi issandomi sui gomiti per guardarlo.
Edward si esibì in una smorfia di disappunto. — E farti dormire sul divano?Il letto più comodo per certe cose — affermò criptico. Non feci in tempo a chiedergli cosa intendesse che mi ritrovai sdraiata al centro del letto con lui che mi sormontava. Era bellissimo.
Era la frase che si ripeteva incessantemente nella mia mente mentre scivolavo con lo sguardo sul suo viso illuminato dalla tenue luce della stanza.
Un brivido di eccitazione mi scese lungo la colonna vertebrale mentre un sorriso seducente e anche un po' malandrino gli piegava le labbra, conscio di quello che aveva provocato in me, e per una volta decisi di essere io l’audace, di accantonare per un momento l’imbarazzo della situazione e dedicarmi a un’operazione che avevo scoperto piacermi più del lecito.
Il vampiro si appoggiò maggiormente contro il mio corpo, ormai non c’era nemmeno un millimetro libero per far passare un filo tra di noi ma non pesava su di me. Le sue braccia erano piegate ai lati della mia testa, una gamba era tra le mie mentre l’altra, all’esterno, mi sfiorava il ginocchio.
Io ero libera di agire come volevo e le mie mani non ci misero molto a raggiungere il suo collo e poi finire tra i suoi capelli, spingendo il suo viso ancora più contro il mio. Le gambe si arpionarono alla sua imprigionandola in una presa ferrea.
Baciarlo era come salire su una di quelle torri, diffuse in tutti i parchi divertimenti, che salivano lentamente facendoti crescere l’eccitazione nell’attesa del momento in cui, una volta in cima, ti fanno cadere a ruota libera, infondendoti una carica di adrenalina che ti fa sentire onnipotente. Era così che mi sentivo e mi piaceva così che potevo essere definita una tossicodipendente dai suoi baci. Nemmeno la droga più potente poteva provocarmi una reazione simile.
Quando ci staccammo, aveva una strana luce negli occhi. Lo stesso sguardo che leggevo in quello dei suoi fratelli e sorelle quando guardavano il rispettivo compagno.
Desiderio, passione, amore, era ebbro di felicità. Era il tipico sguardo ebete di chi è innamorato. Era dunque il riflesso del mio e mi sentivo così orgogliosa di essere l’oggetto di tale sentimento che per un momento mi sentì inadeguata, impreparata al mondo che mi si stava aprendo davanti.
Con quante vampire e donne umane ha sviluppato e si era migliorato?  Quel pensiero su cui avevo accuratamente evitato di soffermarmi, emerse prorompente, come uno tsunami che si infrangeva sulla spiaggia distruggendo tutto quello che incontrava, facendomi perdere la mia sicurezza e facendo riemergere la Bella adolescente, timida e insicura.
Lui poteva definirsi un esperto con i suoi cento anni di esperienza sulle spalle, io ero ancora a rudimenti, anzi nemmeno a quelli giacché il primo bacio lo avevo dato a lui.
—Che c’è? —soffiò sulle mie labbra. Chiusi gli occhi cercando di scacciare quei timori con tutte le mie forze. Era un momento bellissimo e non volevo rovinarlo dalla paura di non essere adeguata.
Così negai con il capo ma quando riaprì gli occhi, capì subito che lui non mi aveva creduto.
—Bella? —infatti il suo richiamo non si fece attendere.
—Mi chiedevo ecco… con quante vampire o umane hai intrecciato rapporti come questo o più… intimi —biascicai imbarazzata fino alle punte dei capelli, soprattutto per l’ultima parte. Rimase in un primo momento spiazzato guardandomi con le sopracciglia agrottate.
—Perché questa domanda? —mi chiese dopo un attimo d’incertezza che mi fece presagire il peggio. Erano state così tante? Pensai mentre iniziavo a scavarmi una fossa da sola.
Edward scivolò al mio fianco ma non perse mai il contatto visivo e fisico. Schioccò le dita e le luci si spensero come per magia. Lo stupore però venne subito surclassato dal suo tentativo di sviare il discorso.
—Non si risponde con un’altra domanda —insistetti, iniziando a convincermi di essere una persona che amava il masochismo. Perché solo una masochista s’interessava alle precedenti fidanzate del suo ragazzo vampiro centenario.
—Solo una —confessò lasciandomi piacevolmente stupita. Una in cento anni? Le campane suonavano a festa nella mia mente, anche se una parte di me era incredula. Una buon parte di me.
—Solo una? —e lui annuì sorridendo —una seria e altre da una notte e via o solo una, una? —masochista, masochista, masochista, masochista, masochista, masochista. Mi ripetevo nella mente.
—Una, una. È durata un anno e non ci ho messo molto a capire che non era lei. Che non eri tu —aggiunse con un tono basso e intriso di dolcezza. Non resisetti e lo baciai. Un bacio che voleva essere un ringraziamento, che voleva dirgli che lo stesso era per me, nessuno sarebbe stato come lui, e che significava tutta la felicità che sentivo in quel momento.
—Ora mi dici il perché della domanda? —mi chiese per poi invitarmi ad andare sotto le coperte. Ubbidiente eseguì l’ordine, la stanchezza stava iniziando a farsi sentire.
—Beh ecco… Non so bene come comportarmi. Sono inesperta in certe cose... — gli confessai mentre lui mi stringeva in un abbraccio che sembrava volermi fondere con il suo corpo facendoci diventare una cosa sola. 
—Credimi la cosa non può rendermi più felice, —mi confessò in un orecchio. Lo baciò fecendomi ridacchiare per il solletico e poi scese, seguendo il profilo della mascella fino ad arrivare alle labbra, depositando un leggero bacio. Ci ritrovammo occhi negli occhi, i suoi erano di un profondo nero che sembrava un mare in tempesta. Sapevo che ne avrei dovuto avere paura ma non la provavo. Al contrario sembravo una piccola falena attirata dalla luce di una lampadina. Anche se sa di firmare la sua condanna continuava il suo volo imperterrita, smaniosa di raggiungere quella fonte di luce.
—Non sai quanto mi riempie di gioia essere colui che ti insegnerà tutto —affermò calcando con enfasi l’ultima parola.
Avvampai nel comprendere che con quel tutto intendesse proprio tutto.
 
Le settimane che seguirono e furono le più belle della mia vita.
Forks era la solita cittadina tranquilla e pacifica. I Cullen mantenevano il loro profilo basso e nessuno veniva a disturbarli, soprattutto un certo gruppo di vampiri italiani.
Ero le sei di sera ed ero ancora a casa di Edward, come ormai succedeva ogni pomeriggio dall’inizio delle vacanze invernali. Stavamo imparando a giocare a sacchi, o meglio il vampiro cercava di insegnarmi a giocare, io cercavo di fare del mio meglio, quando Carlisle tornò dall’ospedale visibilmente preoccupato.
Dei rumori di freni sul vialetto ci avvisarono dell’arrivo di un componente della famiglia e a giudicare dall’ora poteva solo essere Carlisle di ritorno dal suo turno. Solitamente entrava tutto sorridente, poggiava la valigetta vicino all’ingresso e si fermava a chiacchierare ma quel giorno il suo sguardo aveva perso la sua luce allegra. Sembrava teso e preoccupato.
—Papà, che succede? —chiese Edward con tono duro. A velocità umana il ragazzo si avvicinò al padre. Come chiamata fece la sua comparsa anche Esme.
Carlisle fece spostare lo sguardo da suo figlio a me, incerto. La mia presenza sembrava frenarlo ma uno sguardo di Edward e una carezza della moglie, gli sciolsero la lingua.
—È stato trovato un uomo morto giù alla riserva di La Push —mi avvicinai anch’io appena venne nominata la riserva degli indiani.
—Chi è? —chiesi temendo che fosse qualcuno che conoscevo.
—L’agente Chanson —i miei timori furono confermati.
—Johnny… —mormorai scioccata. Era un vecchio amico di papà che qualche volta veniva a bere una birra a casa nostra assieme al suo cane.
—Secondo la polizia è stato sbranato da un animale.
—Ma? —lo incalzò il figlio.
—Non credo che sia stato un animale — a grandi linee ci spiegò lo stato in cui era, senza entrare in troppi particolari ma abbastanza per farmi comprendere che non era stato ne un animale ne un essere umano a ridurre lo sventurato in quello stato bensì uno di loro. C’era un vampiro in città e non era vegetariano.
—Uno di noi? —ringhiò Edward con rabbia. Carlisle annuì serio.
—Emmet e Jasper stanno già perlustrando il bosco —lo informò —Alice e Rose li stanno aiutando.
—Li raggiungo —tuonò Edward duro con già un piede oltre la porta.
—Cosa? No! —urlai bloccando la sua mano a mezz’aria.
—Non preoccuparti, Bella, andrà tutto bene —cercò di tranquillizzarmi ritornando al mio fianco. Prese il mio viso tra le mani e mi obbligò a guardarlo fisso negli occhi.
—Potrebbe essere ancora in giro… —mormorai ignorando le sue parole. Se lo avesse trovato e Edward avesse avuto la peggio? No, non potevo sopportarlo. —Se ti attaccasse… —la voce mi morì in gola, non riuscivo ad accettarlo. Mi sentivo un’egoista ma non me ne importava. Gli altri potevano andare a seguire questo nomade ma lui no. Non poteva!
Perché quel vampiro aveva deciso di venire a Forks? Fino allora avevamo vissuto benissimo, senza minacce. Perché con tutti i posti nel mondo era passato di li?
—Esme… le faresti compagnia? — chiese alla madre, senza togliere gli occhi da me. M’irrigidì e mi aggrappai alle sue braccia con tutta la forza che avevo.
 
Una lieve carezza sulla guancia mi ridestò dal mio torpore. Alla fine ero crollata addormentata ma il sonno era stato inquieto. Nel dormiveglia il mio subconscio non faceva altro che proiettare scene in cui Edward, Alice o uno degli altri venivano fatti a pezzi o bruciati dal vampiro.
Mugugnai e lentamente mi girai su me stessa, stropicciandomi gli occhi come se fossi una bambina mentre una risata argentina arrivò alle mie orecchie. Spalancai gli occhi e senza pensarci due volte mi fiondai contro il suo petto. Non senza farmi un po' male per il colpo ma quello passò in secondo piano. Edward mi avvolse tra le sue braccia, trasmettendomi quel fuoco freddo ormai familiare, e lo sentì sorrisi tra i miei capelli.
—Ben tornato —mugugnai, strofinando il viso contro il suo petto.
Non era servito a nulla trattenerlo, era stato inamovibile. Doveva accertarsi che il vampiro se ne andasse. “Non ci impiegherò molto, sarò di ritorno ancora prima che tu ti accorga della mia assenza” aveva detto prima di sfrecciare fuori dalla porta, solo che ci aveva messo più del previsto e con la scusa dell’ennesimo pigiama party con Alice e Rose ero rimasta a casa Cullen, in trepida attesa del loro ritorno.
Così, dopo una veloce cena mi ero rintanata in camera di Edward, anche mia quando mi fermavo per la notte, dove troneggiava ancora il letto che aveva preso per me e mi ci sdraiai. Stare in quella camera mi faceva sentire meno la sua mancanza e alleviava i miei timori. Il suo profumo saturava l’aria e avevo l’impressione che fosse lì, sdraiato vicino a me a canticchiarmi una delle sue composizioni.
Nell’attesa del suo ritorno, i miei pensieri non avevano fatto altro che vagare attorno a quel misterioso vampiro. Aveva ucciso un essere umano e più di una volta mi ero ritrovata a pregare di non doverlo mai incontrare.
Solo in quel momento avevo compreso che stare con i Cullen aveva limato la mia percezione sulla loro razza.Loro erano gentili, simpatici e sembravano esseri umani a tutti gli effetti ma quell’episodio mi aveva messo di fronte alla realtà.
Non tutti erano come i miei amici e anche se Edward mi aveva messo in guardia più e più volte i suoi discorsi erano rimasti una serie diparole astratte nella mia mente. Ora quelle parole avevano un volto, quello di Johnny. Un signore dallo sguardo gentile e dedito al suo dovere, che amava passeggiarecon il suo cane indipendentemente dalla pioggia o dalla neve.
—Scusa se ho fatto tardi — mormorò prima di baciarmi la fronte.
—Avete scoperto qualcosa? —gli chiesi staccandomi da lui per arrivare subito al punto.
In risposta Edward mi strinse più a se e nascose il viso tra i miei capelli, aspirando con forza.
—È così grave? —chiesi timorosa.
—No, le sue tracce si dirigono verso il Canada —mi rivelò e le sue parole ebbero il potere di sollevare dal mio petto quel peso che lo opprimeva. —Se n’è andato.
Non era più a Forks, papà e tutti i miei amici potevano continuare le loro vite, ignari del pericolo che li aveva sfiorati. Però era scappato e quello voleva dire che avrebbe ancora ucciso o che sarebbe potuto tornare lì.
—Quindi non avete dovuto combattere?
—No, se n’è andato, non c’è nessun pericolo. Ora dormi che sei uno straccio.
Io però avevo ancora delle domande da fare. Nell’attesa non mi ero solo preoccupata per Edward e i Cullen ma anche per Jake e quelli della riserva. —E i Quilutte?
—Anche loro l’hanno inseguito ma ne hanno perso le tracce lungo la costa. Carlisle ha chiesto loro una collaborazione ma non sono stati felici della nostra proposta —certo, per loro anche i Cullen erano nemici, alla stregua del vampiro che aveva ucciso Johnny. —Mio padre ci sta ancora parlando.
—Se c’è qualcuno che può fare qualcosa è lui — come si poteva negare qualcosa a Carlisle. Nemmeno un umano aveva più umanità di lui.
—Sì, hai ragione ma ora dormi —mormorò e come ipnotizzata scivolai distesa sul letto, abbracciati, e finalmente, consapevole che era al mio fianco, Morfeo mi accompagnò in un sonno tranquillo e senza sogni.
 
 I funerali si svolsero tre giorni dopo. Tutta la comunità partecipò alle esequie del poliziotto. Johnny era conosciuto da tutti e tutti gli volevano bene. C'era anche il suo cane, accucciato vicino a quelli che dovevano essere i figli del defunto, si erano trasferiti anni addietro e i rapporti con il genitore, stando alle voci che giravano, non erano molto buoni.
Fu una cerimonia semplice e veloce, poi gli amici più stretti e i suoi colleghi si spostarono a casa sua per il tradizionale buffet e solo in tarda serata io e mio padre tornammo a casa, dove mi stava aspettando Edward.
Eravamo affacciati alla finestra, osservavo il buio fuori da essa e rabbrividì, immaginando due occhi rossi che mi scrutavano con insistenza.
— Papà sta già organizzando delle battute di caccia, crede che siano lupi... — temevo che, indagando, sarebbe arrivato a scoprire la verità.
— Non troverà nulla, la pioggia ha cancellato ogni possibile traccia — mi rassicurò il vampiro cercando di rasserenarmi.
— Johnny e papà erano molto amici, è stato un brutto colpo per lui — mormorai voltandomi e guardando il soffitto dove il sole che avevo dipinto sembrava farsi beffe della notte fuori dalla finestra.
— Lo so, ma il genere umano ha imparato a convivere con la morte vedrai che lo supererà — un’amara verità ma pur sempre una verità.
Poeti e pittori avevano raccontato chi celebrato, chi piangendo la caducità della vita, tuttavia, nonostante le tante parole spese, nulla era cambiato nei secoli e a noi, nonostante il dolore, toccava imparare ad andare avanti ricordando chi non era più con noi ma senza mai voltarsi indietro.
Quella notte mi coricai con la speranza di non dover più vedere un amico morto per colpa di un vampiro. Quel nomade aveva incontrato sia i Cullen che i Quileutte e certamente non avrebbe osato tornare.
Ancora non sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.

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Capitolo 8
*** ... Tempesta ... ***


Eccomi!! Come promesso ecco il nuovo capito. Dal titolo potete già capire che qualcosa si avvicina e nel prossimo scoppiera un bel tempaccio.
Grazie a tutti quelli che nonostante i miei ritardi cronici mi seguono con intraprendenza Grazie a ognuna di voi in particolare alla due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo.
Vi ricordo la mia pagina FB per spolier, informazioni e tutto quello che vi serve.

Buona lettura!


 


 

... Tempesta ...




— Bella, non puoi andare — protestò. Non mi stupì per nulla della sua reazione. Me lo aspettavo.
Due giorni dopo il funerale, Billy aveva chiamato Charlie per invitarci a cena a casa sua assieme a Harry, sua moglie e altri loro amici. Volevano distrarlo e fargli passare uan serata in allegria e non ci avevo pensato due volte ad accettare solo che in quel momento non avevo pensato a quello che avrebbe potuto dire il mio ragazzo.
— Edward, non posso non andare. Sono amici di famiglia e sarà solo una cena.
— Ci saranno anche i licantropi, sono instabili. Rischi di farti del male! — obiettò come se le sue reticenze fossero giuste e legittime.
— Tu sei un vampiro ma non mi hai mai fatto male. Nemmeno loro lo faranno, come hai detto tu: proteggono gli umani.
Rimase zitto, non sapendo come controbattere, visto che avevo usato le sue stesse parole, ma non sembrava intenzionato ad arrendersi e così quando aprì la bocca per parlare, lo bloccai con un gesto fermo della mano.
— Un vampiro ha ucciso uno degli amici di mio padre, il quale è alquanto scosso dalla perdita e quello di cui ha bisogno è avere me e i suoi amici vicini. Andrò a quella cena, terrò il cellulare acceso tutto il tempo, potrai chiamarmi quando vorrai, ti manderò messaggi ogni ora se ti può tranquillizzare, ma io andrò a quella cena — dissi con un tono che non ammetteva repliche.
Amavo quel suo desiderio di proteggermi da tutto e da tutti, era romantico e mi dimostrava che lui teneva a me ma non volevo vivere sotto una campana di vetro.
Gli porsi la mano come se stessimo sigillando un contratto: — Affare fatto?
Sorrise sghembo dopo aver scosso la testa, strinse la mia mano sancendo il nostro accordo.
Con una spinta mi attirò a se chiudendomi nel suo abbraccio. Mi sentivo piccola, lì stretta al suo corpo, ma anche protetta.
— Non voglio che tu corra rischi inutili, già stare con me è pericoloso, chiamami egoista ma ti amo e non voglio rinunciare a te. 
Cinsi il suo collo con le mani e alzandomi sulle punte gli lascia un bacio sulla mandibola - certe volte maledivo il mio povero metro e sessantacinque - e poggiando il capo sul suo sterno, dissi:
— Amo questo tuo essere egoista ma non correrò nessun rischio. Ci sarà Charlie con me e saremo in casa. Fidati.
— Io mi fido — mormorò tra i miei capelli e rafforzando la presa attorno alla mia vita e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai stesa sul letto sotto di lui, intrattenendoci con silenziosi discorsi molto piacevoli.
 
Dal giorno dell’aggressione ero terrorizzata dall’idea che il vampiro potesse tornare, se non lui qualcun altro, e fare del male ai Cullen ma soprattutto a Edward. Temevo che potessero portarmelo via. Che avrei fatto io? Non lo avrei sopportato. Lo avrei seguito ovunque come Giulietta seguì il suo Romeo. Ciò che la vita aveva diviso la morte aveva riunito.
 
Casa Black quella sera era molto affollata, gli unici che conoscevo erano la famiglia Clearwater: Harry, Sue, la moglie, e i due figli, Leah e Seth. Da quello che mi aveva detto Charlie, dovevano avere qualche anno in meno di me ma a giudicarli dalla loro stazza e altezza sembravano più degli studenti universitari. Jacob, mi corse incontro e mi abbracciò sollevandomi a più di un metro da terra.
— Credevo che il succiasangue ti avrebbe rinchiuso nella sua bara e non ti avrebbe lasciato venire. Ero già pronto a correre in tuo soccorso — disse una volta che mi fece tornare a terra.
— Non sono sua prigioniera — mormorai a bassa voce e guardando preoccupata Harry a pochi metri da noi. Poi i vampiri non usavano le bare…
— Non preoccuparti, Harry e Billy sanno tutto — mi tranquillizzò con un’alzata di spalle.
Il primo, accortosi del mio sguardo si girò e sorrise affabile per poi invitare mio padre a entrare adducendo come scusa la partita dei Noxs che si sarebbe giocata quella sera.
— Ehi! Tu sei la ragazza vampiro.
Seth avanzò verso di noi sovrastandomi con la sua stazza. Era un adolescente ma se si fosse presentato a un pub nessuno gli avrebbe chiesto la carta d’identità.
— Ciao, Seth. Perché sarei una ragazza vampiro?
— Non stai con uno dei Cullen? — domandò con meno sicurezza di prima.
— Sì — mormorai con un mezzo sorriso. Ero diventata la ragazza vampiro… Mi piaceva quel nomignolo.
— Forte, non ci credevo quando Jake ci aveva detto che te la facevi con un vampiro. Non hai paura? Insomma quelle zanne e la pelle fredda e la loro puzza — mi domandò accompagnando con una smorfia l’ultima parte.
— Puzza? — chiesi. I Cullen non puzzavano, al contrario avevano quel gradevole odore leggermente dolciastro che attirava la gente come la luce fa con le falene. Favoriva la caccia per quello che mi aveva detto Edward.
— Lascia perdere, Seth. Quella è troppo stupida per capire — fu il commento poco gentile di Leah, sua sorella. Non avevamo mai interagito più di tanto quelle volte che mi recavo alla riserva. Mi aveva preso in antipatia da subito.
— Non badarci, è acida di suo, soprattutto quando è in quel periodo del mese — mi sussurrò Seth, facendomiridere.Nascosi dietro un accenno di tosse il mio divertimento.La sorella però non sembrava aver apprezzato. Gli riservò un’occhiata da “facciamo i conti a casa” e a grandi falcate entrò in casa, nello stesso momento in cui usciva Charlie per incitarci a entrare.
 
Stavamo per sederci a tavola quando il mio cellulare vibrò un paio di volte avvisandomi dell’arrivo di un messaggio.
Mi manchi, dimmi che posso venire a prenderti ed io arrivo subito. Edward.
Sorrisi, le mie dita erano già pronte sulla tastiera per dirgli di arrivare subito ma ricordai il motivo per cui ero lì e gli scrissi che andava tutto bene e che sarei tornata a casa con mio padre e di stare tranquillo.
— Bells, vuoi le patate? — mi chiese la voce profonda di Jake.
— Sì, grazie.
Misi il cellulare in tasca e presi la ciotola dalle mani dal ragazzo.
Era incredibile quanto riuscissero a mangiare lui e i suoi amici. Sia io che Charlie li guardavamo a bocca aperta, stupiti. Gli altri indiani, al contrario, non battevano ciglio, abituati alla quantità di cibo che potevano ingurgitare.
Una volta terminato, iniziai a sparecchiare, ignorando le proteste di Sue sul fatto che fossi un’ospite e con una decina di piatti in mano mi avviai verso la cucina, lo sguardo fisso a terra per non inciampare.
Fu quando posai i piatti nel lavandino che il cellulare squillò. Edwardmi stava chiamando.Risposi subito.
— Edward, sto bene... — dissi con una nota divertita nella voce. Non potei andare oltre poiché una voce forte e leggermente infastidita mi fece sobbalzare.
— Cos’è si vuole accertare che il guinzaglio sia ben stretto? — Mi girai riservando al nuovo arrivato uno sguardo di rimprovero.
— Jake…— lo rimproverai per poi tornare a parlare con Edward. — Scusa, ti chiamo io più tardi — e senza aspettare una sua risposta riagganciai. Infilai il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e rimproverai il mio amico con lo sguardo.
— Che c’è?— disse impettito — È vero, quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa senza la sua supervisione? Ogni volta che parlo con Charlie, mi dice che sei in giro con lui o con le sue sorelle.
— Ci sono stati un po' di problemi ultimamente — borbottai ripensando all’episodio di Johnny.
— Ho cercato di avvertirti, di farti stare fuori da tutto questo… — mormorò come se stesse rimproverando se stesso per non esserci riuscito.
— Dracula — dissi annuendo mesta.— Già, — sospirai per poi avvicinarmi al giovane quileutte. Alzai lo sguardo per guardarlo dritto in faccia e dissi: — Ti ringrazio ma non sarebbe cambiato nulla.
Il mio amico scosse la testa e mi guardò triste. Lentamente alzò una mano e mi sfiorò la guancia destra.
— Sei caldissimo. Sei una stufa ambulante — dissi prendendolo in giro. Jacob sghignazzò e dopo essersi allontanato, infilò la mano nella tasca dei pantaloni.
— Quando ti stancherai del freddo, sai a chi rivolgerti — commentò con una alzata di spalle.Imbarazzata, alzai lo sguardo nel suo sbarazzino e tornai al lavandino con la pila di piatti da lavare.
— Fratello, noi andiamo — esordì la voce allegra di Seth. Poco dopo la sua testa spuntò sulla soglia della cucina.
— Ciao, Seth. Buona notte.
— Ciao, Bella. Magari andassi a dormire. Sarà una notte lunga questa.
— Arrivo subito — rispose Jacob sparendo dietro lo spigolo della porta.  
— Bella ma che fai? Sei un’ospite — Sue fece il suo ingresso in cucina pochi secondi dopo l’uscita del mio amico. Scrollai le spalle e continuai il mio lavoro.
— Non è un problema... e poi anche tu sei un’ospite.
— Io lavo e tu asciughi, okay? —. Annuì e le lasciai il posto, — allora, come vanno le cose a casa?
— Bene, papà si sta riprendendo… — Sue mi passò un piatto, lo asciugai e lo sistemai sul tavolo.
— E la scuola, ragazzi?
Non sapevo che rispondere. Quanto sapeva dei Cullen? Suo marito gli aveva detto qualcosa?
— Beh ecco, la scuola va alla grande… ragazzi, sto uscendo con un mio compagno di scuola Edward Cullen…
— Oh, sì, me l’ha accennato Charlie… sono contenta di sapere che va tutto bene. Ricordo che Billy e mio marito non l’hanno presa bene — sghignazzò al ricordo di qualche episodio — ma è dura mettere un po' di sale in zucca a due vecchi testardi e cocciuti.
Mi limitai ad annuire e costatai che la donna non sapeva nulla della vera natura dei Cullen.
Finimmo di pulire chiacchierando del più e del meno fino a che Jake, rispuntando dal nulla, non m’invitò a fare una passeggiata sulla spiaggia. Accettai non prima di mandare un messaggio al mio vampiro per tranquillizzarlo, anche se ero arrivata un po' tardi. Era già al confine a fare avanti e indietro con Jasper ed Emmet al suo fianco, pronto a intervenire.
Dovetti chiamarlo per convincerlo a tornare a casa senza fare colpi di testa. Jake mi lasciò il mio spazio lasciandomi all’inizio della spiaggia, mentre lui si avviò verso il bagnasciuga. Anche se non fu un’impresa facile, ci impiegai una buona decina di minuti, riuscì a convincere il vampiro.
Terminata la chiamata, raggiunsi il mio amico e fianco a fianco rimanemmo in silenzio a osservare l’incresparsi delle onde fino a che non ruppi il silenzio.
— Quindi sei un licantropo…
— Già… con peli, zanne e tutto il resto —aggiunse facendo ridere entrambi.
— Anche la luna piena?
— No, — ridacchiò, scuotendo la testa — quando vogliamo, ci possiamo trasformare.
— Quindi non sei come uno di quelli di Teen Wolf?
Giusto quell’autunno era iniziata una serie televisiva che aveva come protagonisti lupi mannari e cacciatori. Il ragazzo fece una smorfia di disgusto molto buffa e disse:
— The vampire diares ti è servito per capire i vampiri?
— No, sono tutte stupidaggini.
— Ecco, anche quella serie da quattro soldi è una cazzata.
Risi di gusto per il modo in cui lo aveva detto e per la smorfia disgustata che gli aveva deformato il viso. Sembrava uno dei bambini, cui facevo la baby sitter, quando cercavo di fargli mangiare le verdure.
— Quando Seth ha detto: “Sarà una notte lunga” che voleva dire?
— Nulla, semplicemente che facciamo delle ronde nella zona. Sai per proteggere la riserva…
Un brivido di paura corse lungo la mia spina dorsale. — Quando… quando hanno preso Johnny, eravate di ronda?
Lui annuì cercando di nascondere la rabbia. — Eravamo quasi riusciti a prenderlo ma c’è sfuggito.
Rabbrividì di fronte a quella rivelazione. Come faceva a non provare paura? Mentre mi descriveva quello che era successo quando il branco aveva intercettato la sua scia.
Mi chiesi come facessero ad affrontare tutto ciò a sangue freddo come potevano dare loro la caccia quando i vampiri erano duri come la roccia e veloci come il lampo e chissà che cos’altro erano in grado di fare mentre Jake e i suoi amici erano si degli energumeni ma comunque umani.
— Qualcuno è rimasto ferito?
— No, — e i suoi occhi si accendono di rabbia — non sai quanto mi sarebbe piaciuto averlo a portata di zanne — ringhiò tremando dalla testa ai piedi.
— I vampiri sono pericolosi — dissi e lui scoppiò inaspettatamente a ridere. — Jake, sono seria.
— Bells, noi siamo nati per combatterli. Non è così semplice metterci fuori gioco — se lo avessi insultato, non mi avrebbe guardato con lo stesso risentimento. Il ragazzo, poteva dire ciò che voleva ma la preoccupazione non mi abbandonava.
— Piuttosto tu, non hai paura a stare con loro? — mi chiese fermandosi di punto in bianco. Lo imito e lo guardo tranquilla.
— Un po’ di Rosalie ma, in fondo in fondo, non è cattiva — la difesi. — I Cullen non sono pericolosi, Jake. Carlisle salva la gente in ospedale ed Esme è la persona più buona e dolce del mondo. Alice, Emmet, Edward, Jasper e anche Rosalie sono più umani che vampiri.
Jacob sospirò e si sedette sul un grande tronco bianco, trasportato dal mare sulla spiaggia chissà quanto tempo prima, e picchiettando sulla sua corteccia, m’invitò a prendere posto accanto a lui.
— Non mi piace saperti con loro, Bells. Nemmeno tuo padre lo vorrebbe se sapesse quello che sono.
— Se per questo, non vorrebbe nemmeno te, attorno a sua figlia — risposi leggermente infastidita da quella mania di decidere con chi potessi o non potessi uscire che avevano sia lui che il mio ragazzo.
— Io sono umano, Bella. Il mio cuore batte, mi stanco, mangio cibo. Io, sono, umano. Loro sono contro natura.
— Puoi dire quello che vuoi. Io non cambierò idea. Se non ti sta bene, basta dirlo che non vuoi più essermi amico. Ci rimarrò male, perché ti voglio bene, ma me ne farò una ragione.
— No, Bells…
— Bella! Forza, andiamo! — la voce di mio padre bloccò la spiegazione del licantropo. — È tardi e domani devo svegliarmi prima dell’alba.
— Devo andare. Notte, Jake — e lo abbracciai o almeno ci provai.
— Bells, ti voglio bene e non voglio rinunciare alla tua amicizia ma fai attenzione e chiamami se dovessi sospettare qualcosa su di loro.
Alzai gli occhi al cielo esasperata. Probabilmente sarebbe sempre stato così tra loro. Erano nemici per natura dopotutto ma almeno entrambi avevano abbassato le asce da guerra.
 
Qualche giorno dopo papà m’informò dell’arrivo del sostituto di Johnny e della sua idea di organizzargli una festa di benvenuto.
L’arrivo del nuovo agente rendeva, per mio padre, la morte del suo vecchio collega come qualcosa di ufficiale, ancora di più del funerale, ma per mia somma gioia sembrava riprendersi bene.
— Bella, lui è Jordan, è il figlio di McKinley, il nuovo agente.
Papà mi presentò un ragazzo chesi guardava attorno annoiato e anche infastidito. Probabilmente non aveva accolto con gioia il trasferimento. Era abbigliato di nero, borchie e chiodini, facevano bella mostra di se sui pantaloni e sulla cintura.
— Piacere di conoscerti — dissi porgendo la mano che lui strinse dopo averla osservata per qualche secondo.
Non sembrava entusiasta di partecipare alla festa di benvenuto di suo padre.
— Bella si è trasferita qui da Jacksonville questa estate — continuò imperterrito Charlie cercando di coinvolgerlo nella discussione. Jordan, lo avevo intravisto il giorno che era venuto a iscriversi al liceo accompagnato da suo padre. Il suo sguardo era sempre lo stesso.
— Hai piantato spiaggia e sole per finire in questo buco? — chiese scettico e schifato. Al che non riuscì a trattenere le risate. Solo che mio padre e quello del ragazzo non la pensavano come me.
— Jordan — lo richiamò il padre severo. — Scusatelo, non ha mai imparato a contare fino a dieci prima di parlare.
— Sono sicura che dopo il primo impatto ti troverai bene. Non è cosi male, qui — cercai di rassicurarlo.
— Beh… visto che andrete alla stessa scuola, Bella, potrebbe aiutarti nei primi giorni — propose mio padre. Jordan non sembrò prenderla bene poiché fece una smorfia infastidita.
Non ero una persona che giudicava qualcuno al primo incontro ma Jordan, quel ragazzo stava dando mostra del peggio di se. Dall’inizio si era mostrato scorbutico, quasi maleducato, e per quanto potessi capirlo, mi dava fastidio vedere come rispondeva alle buone intenzioni di mio padre e degli altri e la proposta che gli aveva fatto Charlie non andava nemmeno a me a genio.
— Oh... Edward, vieni, forza — al richiamo di mio padre volsi la testa di scatto verso l'ingresso della stazione di polizia con un sorriso a trentadue denti.
Il mio ragazzo stava facendo l'ingresso proprio in quel momento.
— Scusatemi — liquidai i miei ospiti con un sorriso di scuse e lo raggiunsi. Edward non staccò gli occhi da me mentre avanzavo a passo di carica verso di lui.
— Ehi... Lo sai che non eri obbligato.
— Lo so, ma ogni attimo senza di te mi sembra sprecato — mi confessò con tanta sincerità da travolgermi con una valanga. Si chinò e mi baciò, fu così veloce che per un attimo avevo pensato di essermelo immaginato. È possibile innamorarsi ogni secondo di più della persona che si ama? Perché era quello che mi stava succedendo.
Lo presi sotto braccio e mi voltai a guardare il piccolo gruppo che avevo lasciato.
— Posso essere felice del fatto che finalmente c’è qualcun altro sotto i riflettori dei pettegolezzi di Foks? O sono una cattiva persona?
A quanto pareva la legge dei due anni si era rivelata fasulla. Nemmeno sei mesi e c’era già un nuovo ragazzo. Beh, diciamo che il corso degli eventi aveva reso possibile tutto ciò ma l’importante era che “la figlia al prodiga dello sceriffo Swan” non era più il pettegolezzo del giorno.
— L’hanno già assalito?
Lanciò uno sguardo di traverso al ragazzo e sogghignò. Jordan sbuffava come un treno a vapore e si guardava attorno annoiato e scocciato.
— Vedrai che la smetteranno presto — mi rassicurò Edward, cingendomi le spalle. — E non ti deve nemmeno passare per l’anticamera del cervello di essere una cattiva persona.
Insieme raggiungemmo gli altri e come me cercò di interagire con il ragazzo ma il nuovo arrivato sembrava voler ignorare anche quell’ennesimo tentativo. Non ci mise molto ad andarsene in un angolo ad ascoltare musica. Edward però doveva averlo colpito in qualche modo perché non smetteva di lanciargli occhiate furtive.
—Dovete perdonarlo, non ha preso bene il trasferimento e tutto il resto —ci disse il padre con sguardo amareggiato. —Questo ultimo periodo non è stato facile, la morte di sua madre, poi questo,…
—Non deve giustificarlo —lo bloccai poggiando una mano sul suo braccio, quella notizia mi aveva spiazzato e mi sentì in colpa per i pensieri che avevo fatto poco prima, —mi spiace molto per la vostra perdita e se la può fare stare meglio, cercherò di aiutarlo a integrarsi a farsi nuovi amici.
—Grazie, Isabella. Sei una brava ragazza —mi ringraziò riconoscente.
 
L'inizio della nuova settimana vide l'ingresso ufficiale di Jordan. Erano in molti ad avvicinarlo e tra le ragazze erano già iniziati i pettegolezzi e commenti sul nuovo arrivato, soprattutto nei bagni c’è un grande fermento.
Cercando di mantenere fede alla promessa fatta al padre, cercai di aiutare Jordan per quello che lui mi permetteva. Presto fece amicizia con un gruppo di ragazzi del suo anno, era più piccolo di me di un anno, ed io non m’intromisi più nelle sue faccende. Se fossero veramente suoi amici o fosse solo un modo per non avermi più attorno non lo seppi mai.
Presto, il mio interesse per Jordan sfumò in qualcosa che si era infilato con prepotenza dentro di me.  Era giorni che mi sentivo a disagio, ero nervosa e avevo come il presentimento che qualcosa di pericoloso stava incombendo su di noi come una spada di Damocle.
Sorridevo e continuavo a vivere le mie giornate cercando di nascondere quel disagio ai miei cari, soprattutto al mio ragazzo che con la scusa di non riuscire a entrare nella mia mente non perdeva nemmeno una microespressione del mio viso o gesto. A contrastare quella mia sensazione c’erano gli atteggiamenti tranquilli di Edward, Alice, Jasper ed Emmet, tranne Rose, ma lei era un caso a parte. Forse ero io che leggevo segni che non c’erano, mi stavo preoccupando per nulla, le parole di Edward sui Volturi e l’episodio del nomade, mi dovevano aver suggestionato più di quanto avessi immaginato.
 
— Insomma è una cosa che ha dell’incredibile! — proruppi felicemente scioccata. Edward scoppiò a ridere e credetti anche di aver sentito un “sei troppo assurda” ma non ci feci caso. Insomma Rosalie Hale in Cullen mi aveva accettato! Era un giorno da segnare sul calendario. Avevamo parlato tranquillamente, mi aveva anche dato dei consigli su come sistemare i miei capelli, se Alice era fissata con i vestiti, Rose lo era con le acconciature, e aveva fatto anche delle battute divertenti. Finalmente mi sentivo completamente accettata.
Era ormai gennaio, Forks era un’infinita distesa di neve bianca e soprattutto fredda. Stavamo tornando dalla radura dietro la casa dei Cullen. Dietro in senso relativo perché Edward aveva guidato per venti minuti buoni e poi era sfrecciato in mezzo alla vegetazione con me aggrappata alle sue spalle fino a un gigantesco spiazzo che usavano per giocare a baseball. Una notizia di per se scioccante. Insomma bisognava riscrivere tutto quello che era stato detto sui vampiri. Dove si legge che i vampiri centenari vanno al liceo, giocano a baseball o passano pomeriggi davanti alla Wii?
La neve aveva ricoperto tutto con il suo manto e non si capiva dove finisse la terra e dove iniziasse il cielo.
Tenevo le mani davanti al bocchettoni del riscaldamento della macchina di Edward per cercare di riscaldarmi. Rose, aveva avuto la brutta idea di iniziare una battaglia di neve contro Emmet, cui si era aggiunta Alice, suo marito, il mio ragazzo e il resto della famiglia.
Il risultato fu che io mi ritrovai in un angolo a vedere la neve alzarsi da sola, i vampiri andavano troppo veloci perché io li vedessi, fino a che Edward, ebbe la brillante idea di raccogliere un mucchio di neve e buttarmela in testa. Quella era scivolata lungo la mia schiena, gelandomi fino al midollo, e a rincarare la dose era arrivato Emmet che presami in braccio si era buttato in una montagna di neve. Lì per lì, contagiata dall’entusiasmo quasi infantile del ragazzo, avevo riso ma presto mi ero ritrovata a battere i denti per il freddo. Non c’era nemmeno un millimetro di stoffa asciutto.
Tremai ancora ricordando la sensazione della neve che scendeva lungo la mia schiena.
—Bella sicura di stare bene? Le tue labbra sono viola —disse apprensivo. Lasciò il cambio forse per stringere le mie mani nella sua ma si fermò a mezz’aria e tornò indietro. La sua pelle era forse fredda quanto la neve e non mi avrebbe giovato.
Non lo avrei mai ammesso ad alta voce con il mio ragazzo ma dovetti ammettere, almeno con me stessa, che un po' mi dispiaceva non poter compiere quei gesti che le coppie normali fanno: prendere la mano dell’altro per sfregarla nelle proprie e riscaldarla, abbracciarsi mentre si passeggia sul marciapiede pieno di neve per cercare calore nell’altro e cose così. La temperatura di Edward era troppo bassa per poter fare qualcuna di queste cose. Non gliene facevo una colpa e il mio affetto non diminuiva.
—Sto bene, davvero. A casa mi faccio una bella doccia calda e passerà tutto —gli assicurai.
—Forse è meglio se ti lascio riposare al caldo questa notte —mormorò lanciandomi una veloce occhiata prima di tornare a guardare la strada.
—No! Non provarci nemmeno, tu questa sera resti — gli ordinai facendolo ridere di gusto. Era più forte di me, non so cosa mi aveva fatto ma ero assuefatta dalla sua presenza. Se fosse stato per me lo avrei chiuso in casa mia e non lo avrei più lasciato libero.
—Fai come se non avessi detto nulla. Che film vuoi vedere questa sera?
Rimasi a pensarci per un po’ prima di ricordarmi del film che mi aveva prestato Angela.
—Potremmo vedere The Words. Angela è stata così insistente che mi ha messo curiosità.
—Andata —accettò abbagliandomi con il suo caratteristico sorriso.
Charlie cenò dai Clearwather quella sera così, Edward ed io, avevamo casa libera. Nessun genitore che potrebbe arrivare da un momento all’altro mentre tu e il tuo ragazzo siete occupati a intrattenervi a vicenda, nessun timore di fare troppo rumore. Era il paradiso degli adolescenti.
Ovviamente mio padre non sapeva che il ragazzo mi avrebbe fatto compagnia sdraiato al mio fianco sul letto.
Purtroppo però, tutti i piani crollarono come castelli di carta in baia del vento. Nemmeno il tempo di entrare in casa che i primi segni dell’influenza iniziarono a farsi sentire e quando m’infilai nel letto, il termometro segnava trentotto gradi.
 
Passò un altro mese da quella sera, eravamo a febbraio ed era il girono di San Valentino. Avevo rovistato nell’armadio per cercare qualcosa di carino da mettere e mi ero accorta che qualcosa non andava.
Recuperai il telefono e con la chiamata rapida contattai il mio ragazzo. Rispose al primo squillo come sempre.
—Ciao, amore. Pronta per questa sera? —mi chiese entusiasta. Aveva organizzato qualcosa ma non voleva dirmi nulla e la mia curiosità era alle stelle. Però in quel momento lo avevo chiamato per un altro motivo e arrivai dritta al punto.
—Edward, potresti dire a tua sorella di smetterla di farmi sparire le magliette che non le piacciono? Quella rossa era una delle mie preferite — borbottai leggermente irritata dall'iniziativa della piccola vampira. Non poteva continuare così, ci tenevo a quella maglietta, era il regalo che nonna Swan mi aveva fatto l’anno prima che morisse.
—Alice dice di non aver preso nulla —rispose dopo un attimo di silenzio. Alzai un sopracciglio, palese segno di quanto io credessi alle sue parole. Alice era una brava ragazza ma con il fatto di vedere il futuro ficcava il naso dappertutto e se a volte avevo anche pensato che fosse gentile da parte sua, la maggior parte delle volte avrei preferito che ne stesse fuori. Per esempio fuori dal mio armadio! Era la decima maglietta che spariva!
— No, Bella, davvero io non ho preso nulla —fu Alice a rispondere. Sembrava così sincera ma io avevo già controllato in lavanderia, nei cassetti miei e anche di mio padre per sicurezza. Forse oltre ai vampiri e ai lupi mannari c'erano anche i fantasmi o folletti... Esistevano anche i Puffi?
— Beh, ma non può essere sparita nel nulla…
— Non hai dato dei vestiti a Padre Webber per la “Domenica della carità”?
— Sì, ma è impossibile che abbia messo quella maglietta tra la roba da dargli.
Ricordavo di aver fatto un grande scatolone con vestiti vecchi di Charlie e qualche mio vecchio vestito che mi ero portata dietro da Jacksonville, ma non avrei mai dato via quella maglietta…
— Forse era in mezzo ai vestiti e non te ne sei accorta — propose Edward, riprendendo il telefono, e non potevo dargli torto era un’ipotesi plausibile. Possibile che ero stata così disattenta?
— Deve essere così — ammisi dispiaciuta di averla persa.
— Bene, allora preparati che tra un’ora sarò da te — disse entusiasta. Ridacchiai e dopo un rapido saluto mi preparai. Dire che ero eccitata era poco. Era il mio primo San Valentino con un ragazzo, ma non uno qualunque, con Edward, e non stavo nella pelle.
La mia testa era piena di possibili scenari. Il vampiro era una persona che amava fare le cose in grande e non lasciare nulla al caso. In un momento di pazzia mi ero immaginata su un aereo privato vero Parigi per cenare alla Torre Eiffel. Avevo riso di me stessa e ringraziai che Edward non potesse leggermi nella mente.
Puntuale come un orologio svizzero, il mio ragazzo suonò alla mia porta, fu mio padre ad aprirgli visto che io stavo finendo di prepararmi. Quando scesi, i due stavano commentando una partita di baseball. Charlie aveva preso bene la mia storia con il ragazzo, Edward mi aveva detto che era felice che io uscissi con qualcuno con la testa sulle spalle, responsabile e diligente. Certo non lo avrebbe mai ammesso perché trovata divertente intimidire il vampiro ed era sempre un padre che vedeva sua figlia come quella bambina di cinque anni che faceva le torte di fango sulla spiaggia di La Push.
Edward si alzò appena mi vide, in mano un enorme mazzo di rose e margherite tutto per me. Lo ringraziai e sistemai il mazzo dentro un vaso. Al ritorno lo avrei messo in camera mia, sul comodino.
— Sei bellissima — mormorò al mio orecchio prima di baciarmi la guancia. Nulla di più davanti allo sceriffo.
— Anche tu non sei male — mormorai. Indossava un completo nero non troppo elegante e una camicia bianca con i primi due bottoni slacciati. Molto sexy…
 
— Curiosa? — mi chiese con il suo solito sorriso sghembo quando entrammo in macchina.
— Da morire. Sicuro di non volermi dare qualche indizio? — chiesi sporgendomi verso di lui. Eravamo naso contro naso. Edward ridacchiò e lo strofinò tra loro prima di lasciare un leggero bacio sulle labbra si allontanò per iniziare le manovre per la retromarcia.
— Non ti dirò nulla, piccola tentatrice.
Sogghignai, tornando composta al mio posto.
— Non è giusto, però. Tu mi freghi sempre — dissi senza risentimento, semplicemente esponevo un dato di fatto.
Edward prese la mia mano e la portò alla bocca baciandone il dorso.
— Oh… credimi, Bella, tu non sai quello che mi fai… solo che io sono più bravo a controllarmi.
— Ma che modestia — commentai sarcastica. Edward si unì alla mia risata e portò le nostre mani sul cambio. Rimanemmo così per tutto il resto del viaggio.
Parcheggiò nello spiazzo riservato ai clienti della “Bella Italia”, uno dei più romantici, e costosi, ristoranti sul lungomare di Port Angeles.
— Questa sera, volevo fare qualcosa di diverso e carino.
— Grazie — bisbigliai per poi baciarlo per bene. Il resto del mondo poteva sparire sotto l’effetto di una tempesta di meteoriti ed io non me ne sarei nemmeno accorta. In fondo, con lui era sempre così. Ero trasportata in un altro mondo, dove niente e nessuno ci avrebbe potuto fare del male.
Come un perfetto gentiluomo mi aprì la porta e mi fece entrare. Aveva prenotato sulla terrazza coperta da cui si aveva una bellissima visuale sul mare. Dire che fu una serata perfetta era diminutivo e come tutte le cose belle finì troppo presto. Alle undici in punto, sotto ordine di mio padre, ero davanti alla porta di casa mia a salutare il mio ragazzo con un veloce bacio stampo. Mio padre, era fermo vicino alla finestra del salotto che dava sulla strada che ci osservava con occhio vigile credendosi invisibile.
 
Tutto filava liscio. Le lezioni erano sempre noiose, test e corse senza senso attorno alla palestra, scandivano le mie giornate scolastiche. I compagni erano sempre i soliti chiacchieroni, i più erano interessati al ballo di fine anno che si stava avvicinando. Per me, non era mai stato quel grande problema. Nessuna crisi isterica per la scelta del vestito, l’acconciatura e tutto il resto, c’ero andata solo il primo anno, sotto insistenza di Claudia poi avevo preferito non replicare l’esperienza… quell’anno, però, era diverso.
— Allora… il ballo si sta avvicinando, eh? — disse il mio fidanzato dopo l’ennesimo commento di una ragazza sulla sua indecisione sul vestito.
— Già, tu a quanti sei stato? Ho paura a immaginarti a un ballo degli anni settanta.
Edward sghignazzò e negò col capo.
— Ho partecipato solo a un paio, sai essere da solo non era il massimo. Dovresti chiedere ad Alice e Rose. Non se ne perdono uno.
Non c’era da stupirsi…
— Tu invece? Com’erano i balli in Florida?
— Ci sono andata solo il primo anno, Claudia mi ci ha obbligato.
— Solo una volta? Com’è possibile che nessuno ti abbia invitato? — era scioccato.
— Diciamo che Fred e Gabe avevano reso quell’esperienza… non proprio come la immaginavo — era umiliante rendersi conto di quanto quei due avessero condizionato la mia vita. Avevo rinunciato a un sacco di esperienze per colpa loro.
Sentì il corpo di Edward irrigidirsi ai nomi dei miei due aguzzini, potevo immaginare quello che pensava. Lui era sempre stato riservato sull’argomento ma Alice mi aveva confidato che non aveva preso bene ciò che era successo in estate e prima del processo. Jasper aveva dovuto dare il massimo per calmarlo.
— Però, — esclamai con rinnovato entusiasmo, — ora è tutto passato… magari se qualcuno m’invitasse, potrei anche prendere in considerazione di andarci. Sono pessima nel ballo ma non si è obbligati a stare tutto il tempo sulla pista, no?
Edward sorrise sghembo e si piazzò davanti a me, prese la mia mano e con un leggero inchino mi chiese:
— Allora, Miss Swan, mi concede l’onore di accompagnarla al ballo di fine anno?
Risi, mi sembrava di essere stata trasportata indietro nel tempo. Stetti al gioco e come avevo visto fare in molti film ispirati ai libri di Jane Austen, accennai un inchino e risposi al mio cavaliere.
— Con molto piacere, Mr. Cullen.
Nella mia vita regnava la normalità, vampiri e licantropi a parte.
 
Ero al supermercato, spingevo il carrello lungo il corridoio delle bevande, svogliata. Erano le sei e trenta passate. Di solito non andavo così tardi a fare la spesa ma quel giorno ero dovuta rimanere a scuola per terminare delle ricerche per dei progetti scolastici, solo una volta a casa mi ero ricordata della spesa. Forks era un paesino piccolo e a quell’ora tutti erano rintanati nelle proprie case.
—Mmmm... Succo ai frutti rossi. Sembra quasi sangue...
Rabbrividì e mi voltai di scatto, allontanandomi di qualche passo. Era come se la mia mente avesse capito cosa stava succedendo prima che il mio “io cosciente” ne avesse consapevolezza.
Mi trovai di fronte a un uomo sulla trentina, indossava degli abiti trasandati, aveva capelli biondo cenere. Poteva essere un barbone alla ricerca di un posto caldo e un po' di cibo. Poteva essere un barbone… se non fosse stato per quel paio di occhi rossi che mi fissavano con una minacciosa luce sadica.
— Abbastanza inquietante non trova? — mormorai cercando di nascondere l’inclinazione della mia voce. Che stavo facendo? Parlavo con un vampiro che non era vegetariano? Ci tenevo tanto a diventare il suo pasto?
L’uomo alzò le spalle come se non fosse importante. — No, il sangue è vita…
Ero nervosa, agitata e parlare, distrarlo mi sembrava la mossa migliore per guadagnare tempo e arrivare alla cassa e quindi a testimoni.
Posai la bottiglia e spinsi il carrello lungo il corridoio, avanzando il più velocemente possibile mentre la paura mi attanagliava come un’edera opprimente. Perché mi ero infilata nell’ultima e, di conseguenza, più lontana sezione del supermercato?
Frugai nella tasca della giacca e appena trovai il cellulare schiacciai il numero rapido. Se mi avesse visto chiamare qualcuno mi avrebbe lasciato in pace, no? C’era un testimone.
Bella? Ciao, hai finito di fare la spesa?” la voce tranquilla e allegra di Edward mi rispose dall’altro capo del filo.
— Chiami il tuo fidanzatino per i rinforzi? Sai che non arriverebbero in tempo…
Urlai per la paura.
No, quella parola non esprimeva appieno quello che provavo. Ero terrorizzata a morte. Il vampiro mi era arrivato alle spalle e aveva sibilato quelle parole vicino al ricevitore senza che io mi accorgessi di nulla.
“Bella!”fu il ringhiò di Edward prima di riattaccare.
— È inutile che i tuoi amici mi cerchino, insomma mi sono dietro da mesi… ma io ti osservo e non ti proteggano da me. Io sono ovunque — sentenziò per poi volatilizzarsi nel nulla. Lasciandosi dietro il ricordo di un sorriso diabolico.
— Bella?! Bella, Bella, amore? Ti prego di qualcosa? — la voce di Edward s’infilò nella nebbia che aveva circondato la mia mentre, facendomi riemergere lentamente alla realtà. E mano a mano che riprendevo coscienza con il mondo mi rendevo conto che Edward mi scuoteva sempre con maggiore forza e preoccupazione.
— Ed… era qui, davanti a me. Ha detto che lui è ovunque, voi lo cercate ma lui è qui — bisbigliai mentre sentivo il mio cuore martellarmi nella cassa toracica a ritmo serrato. Tumtumtutmtumtutmtutm…
Rimbombava nelle mie orecchie sovrastando qualsiasi altro suono.
— Che non mi proteggerete da lui. Edward, — e finalmente mossi la mia mano che si strinse con forza al suo braccio — Edward, che significa? — la mia voce era una supplica. Avevo bisogno di sapere, capire.
— Bella, non qui. Ti devo portare fuori. Ti porto a casa — mormorò prendendo il mio viso tra le mani. Cercai di muovere il capo in senso di diniego ma la presa ferrea di lui me lo impedì.
— No, dimmi che succede — lo pregai, ancora.
— A casa, ti dirò tutto a casa, ma ora andiamocene.
Eravamo occhi negli occhi. Nei suoi potevo leggervi: preoccupazione, paura, dubbio, angoscia, ansia. Forse ero solo io che vedevo nei suoi occhi quello che dovevano riflettere i miei.
Non feci più resistenza, Edward mi cinse le spalle con un braccio e mi portò fuori.  Non mi ero nemmeno accorta che avevamo lasciato il carrello della spesa dentro. Avrei dovuto tornare indietro o inventarmi qualcosa con quel che avevamo a casa.
— Dammi il telefono — disse con tono duro rompendo il silenzio che regnava sovrano nell’aria. Sapevo che non era arrabbiato con me ma ne rimasi intimorita lo stesso. Lui parve accorgersene perché addolcì lo sguardo e il tono. Accarezzò la mia guancia e mi lasciai andare contro di lui.
— Scusa, Bella, ma il sapere che lui ti si è avvicinato tanto a te mi manda in bestia.
Annuì e gli diedi il mio cellulare.
— Dov’è il tuo telefono? — gli chiesi guardando l’intreccio del suo maglione.
— L’ho distrutto.
In un altro momento avrei riso ma in quella circostanza nella mia mente non c’era altro che quegli occhi rossi che mi guardavano come la miglior portata della cena.
 
Edward parò al telefono per pochi secondi, era troppo veloce perché io lo capissi. Quando riattaccò tenne il cellulare nella mano destra e mi plasmò contro il suo corpo, sembrava volerci far diventare una cosa sola.
Un colpo di metallo mi fece sussultare e mi aggrappai a Edward. Nella mia mente il vampiro non se ne era andato era ancora lì ad aspettare nell’ombra per attaccarci. Il mio ragazzo cercò di rassicurarmi, non capivo quello che mi diceva ma il solo sentire il suono della sua voce, pacato e familiare, mi fece calmare, e, a mano a mano, allentai la presa su di lui.
Una macchina entrò nel parcheggio e sbattei più volte le palpebre quando la luce potente dei fari mi abbagliò. Una gigantesca Jeep si fermò davanti a noi. Sul sedile del passeggero sedeva Alice che sembrava seduta su un sedile ricoperto di chiodi appuntiti, tanto si muoveva da una parte all’altra, mentre si guardava attorno agitata. Alla guida c’era Emmet, aveva lo sguardo duro e vigile. Sembrava un animale pronto a scattare contro la sua preda al momento opportuno.
Edward aprì la portiera e m’issò a peso sul sedile posteriore per poi prendere posto al mio fianco.
— Andiamo — disse autoritario a suo fratello.
Emmet annuì guardandolo dallo specchietto retrovisore, e la macchina si mise in moto nel silenzio più assoluto.
— Andrà tutto bene — mi mormorò all’orecchio prima di posare un bacio sul mio capo. — Andrà tutto bene — ripeté mentre i singhiozzi ripresero a prendere possesso del mio corpo senza poter fare nulla per fermarli. Rafforzò la sua presa e quella fu l’unica cosa che percepì.
Mi addormentai, forse l’adrenalina aveva smesso di pompare nelle mie vene lasciandomi stremata e in balia dello shock. L’aggressione di Fred e Gabe era nulla in confronto a quell’incontro. Con loro avevo avuto paura, ero stata la loro vittima per anni ma quella sera avevo provato il terrore puro, che ti scorre nelle vene lentamente come un veleno mortale e ti paralizza senza poter fare nulla per contrastarlo. Ti sommerge come una valanga e sai che nessun soccorritore potrà arrivare in tuo aiuto.
 
Quando mi ripresi, ero distesa sul letto che Edward aveva fatto sistemare nella sua camera solo per me.
Era buio, notte, Edward come gli altri vampiri non teneva molto conto il tempo e quindi non potevo sapere per quanto avessi dormito.
Stancamente mi passai una mano sul viso e dopo il primo attimo di pace, le immagini del supermercato tornarono a mitragliare la mia mente e con essi tornò anche quella spiacevole sensazione d’impotenza e terrore.
Terrore… avevo pensato spesso a quell’emozione.
Mi misi a sedere sul letto, poggiando la schiena contro la testiera. Scossi la testa e ingoiai la paura per ragionare razionalmente. Stando a quello che aveva detto quel vampiro, lui era lì per me e mi aveva spiato. Che voleva da me? Che avevo fatto per diventare il suo obiettivo? Tante domande e nessuna risposta e quelli che potevano darmele, non ero certa me le avrebbero date tanto facilmente.
Un leggero bussare alla porta attirò la mia attenzione. Edward fece il suo ingresso con in mano un piccolo vassoio. Accese la luce che mi accecò e dovetti chiudere gli occhi. Ci misi un paio di minuti ad abituarmi e quando finalmente potei guardare il vampiro in faccia, questo aveva poggiato il vassoio sul comodino alla mia destra.  
— È poco da gentiluomo far dormire la propria ragazza nella propria stanza. Certe cose non dovevano succedere solo dopo il matrimonio ai tuoi tempi? — dissi cercando di sdrammatizzare la situazione con quella pessima battuta.
Esibì un sorriso amaro e si sedette al bordo del letto cercando di stare il più lontano possibile da me. Perché lo faceva? Avevo bisogno di lui per superare il tutto. Soprattutto avevo bisogno di risposte.
— Non ti sei mai lamentata durante i vari pigiama party di Alice.
Sembrava stanco, come uno che non dorme da giorni, ed era ridicolo per un vampiro che per sua natura non si poteva affaticare.
Mi schiarì la gola e mi sistemai meglio sul letto. —Allora… ora puoi spiegarmi?
Un altro sorriso amaro. —Non puoi passarci sopra e lasciare fare a noi? È per la tua sicurezza, lo sai che è l’unica cosa che m’interessa.
—Lo so, ciò non toglie che io voglio sapere —affermai decisa. — Ha detto che mi ha spiato, che mi ha seguito. Vuol dire che ha seguito anche Charlie? Anche mio padre è in pericolo? —domandai con l’ansia che saliva e che rendeva la mia voce stridula.
Edward prese le mie mani tra le sue e le strinse. —No, c'è sempre stato qualcuno a controllarlo.
Non riuscì a fermare la risata amara che seguì alla sua affermazione.
— Se non vi siete nemmeno accorti che seguiva me? È la perfetta parodia di un film di spionaggio. Il poliziotto che è spiato dalla spia che dovrebbe spiare.
Edward chinò il capo sotto il peso di quelle parole.
— È tutta colpa mia... — mormorò. Scossi la testa e lo abbracciai ma non ricambiò. — A volte penso che la tua vita sarebbe migliore senza la mia malsana presenza.
— Non dire stupidaggini — tuonai rafforzando la mia presa su di lui. — Sei la cosa più bella che mi sia capitata. Per ogni cosa c’è un prezzo e per avere te, sono disposta a pagare questo prezzo.
Si staccò da me e con amore mi accarezzò la guancia destra.
—Nemmeno se ti chiedo per favore e di fidarti di me?
La fievole speranza che aveva accompagnato quella domanda sparì appena negai con il capo.
Mi scrutò cercando di trovare qualche incrinatura nella mia facciata di sicurezza. Sapevo che c’erano ma stavo cercando di ingoiarle, di nasconderle nel profondo. Mi ero fatta una promessa: non sarei mai più stata vittima di bulli o altro, avrei affrontato tutto quello che mi sarebbe parato davanti con coraggio e a testa alta. Rischiavo di cadere? Mi sarei rialzata e se fossi caduta ancora, mi sarei tirata in piedi tutte le volte.
Edward dovette comprendere quei miei pensieri si alzò e dandomi le spalle si mise a osservare fuori dalla grande vetrata. Era ancora convinto di aver ragione lui…
—Non nego che ero terrorizzata a morte e lo sono tutt’ora —gli confessai mentre il mio corpo era percosso da un altro brivido al ricordo di quegli occhi rossi e quel sorriso sadico, — ma io voglio sapere —,scandì lentamente, —  posso affrontare tutto questo… lo so che sono umana, —mi affrettai ad aggiungere dopo un’occhiata eloquente di Edward. —E non sono così stupida da fare qualcosa di avventato come andarlo a cercare.
Allungai il braccio destro e distesi la mano in modo che la afferrasse. Edward fece un passo avanti per poi tornare indietro prima di decidersi a venire verso di me. Prese la mano e sedendosi al mio fianco, la strinse tra le sue, strofinandola per farmi calore. M’inginocchiai al suo fianco, lui girò il capo quel che bastava per guardarmi, e poggiai la fronte contro la sua.
—Mi hai promesso di essere onesto se fosse successo qualcosa del genere —continuai, decisa a conoscere la verità. Con la mano libera gli accarezzai la guancia liscia. Emise un sospiro e simultaneamente avvicinammo le nostre labbra fino a farle scontrare. Sembrava un combattimento tra due avversari. Io che lo supplicavo per sapere la verità, lui che sfogava la sua frustrazione di fronte alla mia insistenza ma comunque deciso a tenermi all’oscuro per proteggermi.
“Dimmi ciò che è successo”.
“Ti proteggerò io, non chiedermi più nulla”.
“Non tenermi all’oscuro”.
“È per proteggerti".
“Ti prego…Edward”.
—Alice non ha visto nulla, come se avesse cercato di rimandare il più possibile la sua decisione e quando l’ha presa era tardi, —disse, — io ero a caccia quando mi hai chiamato. Ho fatto il prima possibile. Eri terrorizzata, tremavi come una foglia e non mi vedevi… —la sua voce si era fatta via via più bassa. Era un sibilo misto tra rabbia e preoccupazione.
— Lo voglio fare a pezzi e bruciarlo con le mie mani —disse tornando rabbioso. Lo abbracciai, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, baciandolo.Ricambiò la stretta e mi fece scivolare sulle sue gambe.
—Sto bene —mormorai. Sogghignò e lo sentì scuotere il capo.
—Non dire sciocchezze, non stai bene.
—Okay…dire che sto bene è un parolone. Sono intera e fortunatamente il suo voleva essere solo un avvertimento. C’è altro?
Avevo bisogno di sapere per non fare degli stupidi errori senza saperlo ma soprattutto è la mia vita, di mio padre, dei miei amici.
—Ti ho detto tutto. Organizzeremo delle ronde, abbiamo chiesto ai Quileutte di aiutarci.
Sbarrai gli occhi preoccupata. Certo il vampiro biondo era da solo ma non mi sarei mai perdonata se qualcuno si sarebbe fatto male per proteggermi.
—Tu e Charlie non dovrete preoccuparvi di nulla —mi rassicurò. Era sicuro ma il fatto che non mi guardava negli occhi mentre me lo diceva, era un segnale che qualcosa non andava.
—Ma…
—Cosa, ma? —chiese, guardandomi negli occhi solo per pochi secondi. Sì, c’era decisamente un ma…
—C’è un ma… lo sento.
Posai i palmi sulle sue guance e lo girai verso di me. Dopo una leggera resistenza si arrese.
—Questo vampiro è già stato qui —mi rivelò cauto.
—Come? Quando? Perché? — chiesi in sequenza.Quella era l’ultima cosa che mi aspettavo di sentire.
—Era passato un mese dal tuo arrivo quando hai avuto la fantastica idea di farti una passeggiata nel bosco.
Lo ricordavo perfettamente ma soprattutto quello strano sogno con quella chioma rossa come il sangue sempre sullo sfondo.
—Mi ricordo, mi era anche sembrato di sentire dei ringhi ma quando papà ha ordinato delle battute di caccia nel bosco, non hanno trovato nulla.
—Perché lui cercava tracce di animali, ma erano dei vampiri —mi rivelò, —erano due, una femmina e un maschio. Se ne stavano andando quando ti hanno incontrato. Diciamo che sei una che attira la sfortuna.
Avrei dovuto offendermi ma glielo concessi…
—Quindi… sono due.
Scosse la testa. —No, solo il maschio.
—La femmina?
—È morta. Ce ne siamo occupati in quell’occasione —aggiunse dopo il mio sguardo stranito. —Non chiederò scusa per questo —affermò con fare duro, —tu non hai ascoltato i loro pensieri e quello che lei ti voleva fare… lo rifarei altre mille volte se vuol dire tenerti in vita.
—Ti amo, Edward.
Una persona normale si sarebbe messa a tremare come una foglia, terrorizzata dalle confessioni omicide del proprio ragazzo. Ma io non ero una persona normale.
—Ti amo anch’io.
—Perché mi ha preso come obbiettivo?
—Eri nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se ne stavano andando quando hanno incontrato la tua scia. Un cambio di vento li ha portati fino a te. Io poi ho peggiorato la situazione attaccandoli. Ma che potevo fare? Eri in pericolo! —nella sua voce potevo sentire il panico e la rabbia che lo percorrevano. —Quando è scappato, non ho fatto caso ai suoi pensieri, tu eri la priorità ma il fatto che sia tornato mi fa supporre che voglia vendicarsi.
—Perché su di me? —io ero un’insulsa umana non ero un pericolo per loro.
—La rossa era la sua compagna e lui ha capito che tu sei la mia.
—Occhio per occhio, dente per dente —dedussi. Lui annuì.
Sospirai mesta e poggiai la testa sulla sua spalla sconfortata. —Rosalie ora mi odierà. Tutti i suoi timori si sono avverati. Ho messo la famiglia in pericolo.
Era incredibile che la vampira non si fosse già avventata contro di me.
— È solo preoccupata.
—O per favore… —sbuffai, —non indorarmi la pillola. Mi odierà a morte —mi lagnai. Paradossalmente avevo più paura di Rosalie che del vampiro biondo. Avevo impiegato mesi per entrare nelle sue grazie e l’arrivo del vampiro aveva rovinato tutto. Edward lo aveva detto, mi avrebbe protetto e gli altri non lo avrebbero lasciato da solo, era certo.
—Andrà tutto bene, Bella. Rose ha imparato a conoscerti.
—E Carlisle, Esme e gli altri? È colpa mia.
Ero convinta di meritarmi il loro rancore. Li avevo messi in pericolo ma ero anche disposta a supplicare il loro perdono per non perderli.
—Non è colpa tua, okay? Non è colpa di nessuno.
—Non ve ne andrete? —mi aveva detto che più di una volta si erano trovati a lasciare una città perché rischiavano di essere scoperti.
—No, perché dovremmo andarcene ora? Tu e Charlie avete bisogno di protezione.
—Se i Volturi lo venissero a sapere, voi sareste in pericolo…
— I Volturi non sapranno mai nulla, non si muovo se non c’è una concreta minacciaper la nostra specie. Nemmeno James, il vampiro, —specificò —ha interesse nell’attirare su di se la loro attenzione.
Quella sera prima di addormentarmi continuai a ripetermi come un mantra che sarebbe andato tutto bene. Edward e i Cullen ce l’avrebbero fatta e tutto sarebbe tornato alla normalità. Se ci si crede per davvero si è già a metà dell’opera, no?
 
Alla fine risultò che avevo ragione io.
Rosalie aveva ripreso quel suo fare accusatorio e minaccioso dei primi tempi. L’unica consolazione, se così si poteva dire, era che anche Edward riceveva lo stesso sguardo e qualche volta anche Alice.
Nei giorni seguenti, Edward, non mollò il mio fianco per nessuna ragione, anche andare semplicemente in bagno, era diventato un problema. Capivo i suoi motivi e non mi ribellavo, anche se più di una volta mi ero trovata a un bivio. Urlargli contro di lasciarmi in pace almeno per cinque minuti o abbracciarlo e ringraziarlo di essere lì con me.
Anche i titoli dei giornali non facevano altro che aumentare la mia inquietudine. Come quello, che lessi una settimana dopo l’episodio del supermercato, del “Seattle Times”.
 
“La scia di omicidi si diffonde, nessuna pista per la polizia”
 
Episodi che non avevano nulla a che fare con il mondo soprannaturale, nella mia mente si collegavano a esso come se il mio cervello volesse fare di tutto per non farmi stare tranquilla.
 
Anche di notte qualcuno vegliava sul mio sonno. Edward in camera mia e fuori, soggetti alle intemperie di Forks, si alternavano i suoi fratelli e i Quileutte.
Nemmeno gli indiani amavano l’idea di un vampiro nomade per le strade del paese a pochi passi dalla riserva.
Ogni notte poi era accompagnata da un sogno o forse dovrei dire un ricordo che la mia mente mi ripresentava spesso.
Ero sdraiata sul tronco ricoperto di muschio, e tutto attorno a me era verde e marrone fino a che una macchia rossa prese il sopravvento gelandomi il sangue nelle vene. Sentivo qualcosa avvicinarsi e proprio quando questa era vicina a me, e girandomi avrei potuto scoprire cos’era, mi svegliavo con il fiato corto.
Una notte però riuscì a vederlo. Era il vampiro del supermercato che, dopo avermi sorriso, una smorfia che aveva trasformato la sua faccia in quella di un demone, spalancò la bocca mostrandomi un paio di canini affilati. Proprio quando stava per mordermi, mi svegliai.
—Bella, per favore dimmi che hai?
La voce di Edward era bassa ma mi fece sussultare come se mi avesse urlato nell’orecchio.
—Era solo un incubo… Non è nulla —minimizzai. Nonostante fosse solo un incubo, il mio cuore batteva come se fosse impazzito e il respiro era spezzato. Dall’occhiata di Edward, compresi che non credeva a quello che gli avevo detto.
—Stai tremando di paura —disse abbracciandomi e riportandomi in posizione supina. —Andrà tutto bene. Non ti si avvicinerà più a te, né a Charlie o ad altri umani —mi promise ed io mi fidai, dovevo fidarmi.
I giorni si susseguirono ma non succedeva nulla. Ero una sciocca a credere che se ne fosse andato? O più probabilmente era la quiete prima della tempesta?
Erano passati cinque giorni da quella notte quando Alice ci sciolse ogni dubbio.
James avrebbe attaccato appena la neve avrebbe attecchito a terra e il che voleva dire entro due settimane, sarei morta o sarei stata finalmente libera.
Pensa positivo Bella!
°  °  °  °
 
Come ogni giorno, all’ora di pranzo mi ritrovai seduta con i Cullen, come succedeva ormai da mesi, e mi persi a osservare la gente che viveva la loro normalità, ignari della spada di Damocle che pendeva sulle loro teste, ma potevano stare sicuri. Sette vampiri e altrettanti lupi vegliavano su di loro.
Al momento non diedi peso a quel pensiero ma una volta tornata a casa, una domanda si fece largo nella mia mente. Perché tutto questo movimento per un vampiro? I Cullen ce l’avrebbero fatta anche da soli. Erano sette vampiri contro uno, erano numericamente superiori. Il sospetto che Edward mi stesse nascondendo qualcosa divenne sempre più forte.
Sette vampiri e altrettanti lupi per un solo vampiro?
Come dei flash, i titoli delle prime pagine dei giornali locali mi balzarono davanti agli occhi. Omicidi seriali, senza un apparente collegamento tra loro, sparizioni inspiegabili di studenti universitari, lavoratori notturni e di baristi.
—È tutto collegato —bisbigliai. Mi sentivo una stupida ad averlo capito così tardi. Perché tutto questo trambusto per un solo vampiro? Ce ne dovevano essere altri, quanti? Tanti da minacciare Forks? Charlie?
Perché Edward mi ha tenuto all’oscuro di ciò? Aveva promesso di essere onesto con me! E Jake? Anche lui sapeva e non mi aveva detto nulla?
Presi il cellulare e lo chiamai. Era a caccia, fuori a proteggermi doveva esserci Leah e non potevo chiedere a lei di mettermi in contatto con i Cullen. Ci odiava.
Ovviamente non mi aspettavo che rispondesse e non mi stupì di sentir partire la segreteria.
—Edward Cullen, sei nei guai, grossi guai —scandì enfatizzando le parole “grossi” e “guai” —i grizli ti sembreranno animali domestici, in confronto a quello che ti aspetta qui. —Chiusi la chiamata senza nemmeno salutarlo o dirgli “ti amo” come facevo sempre. A quel punto non rimaneva che aspettare.
E aspettai fino a sera.
Edward si presentò alle otto quando Charlie era ancora in salotto a guardare la televisione. Furbo…
Per una volta però, la fortuna era dalla mia. Papà venne chiamato in centrale e se ne andò un ora dopo l’arrivo del vampiro.
—Perché avete messo in mezzo anche i licantropi? James non avrebbe scampo contro voi sette. Tu leggi nel pensiero, Alice vede nel futuro e Jasper potrebbe stordirlo con il suo potere —lo aggredì appena mio padre accese la macchina. Non era mia intenzione urlargli contro ma non ressi tutta la pressione dello tsunami di pensieri che affollavano la mia mente e li lasciai uscire come l’onda nel porto.
Edward non batté ciglio, probabilmente si aspettava questo mio scatto e non perse tempo a parlare. —Ti ricordi quando a San Valentino non trovavi più la tua camicia?
Annuì, anche se non capivo cosa centrasse con l’imminente attacco di James. La cosa mi stava irritando, volevo delle risposte e lui sta tergiversando su stupidaggini.
—Non è stata Alice e non l’hai messa nel mucchio delle cose da dare in beneficenza.
—Stai dicendo che James è entrato in camera mia per rubarmi i vestiti? —Era ridicolo. Che diavolo ci faceva in vampiro con dei vestiti da donna?
—Non lui ma un altro vampiro sì. Quando siamo usciti, Alice e Jasper sono venuti a sentire la scia per rintracciarlo.
—Ma non l’hanno trovato —dedussi dal tono deluso e arrabbiato. Lui scosse la testa e mi spiegò che avevano perso le tracce poco fuori da Forks quando era salito su una macchina.
Un vampiro era stato nella mia stanza? Perché?
—Avevate detto che James era da solo —mormorai. Non ci stavo capendo più nulla. Ero decisa ad avere delle risposte ma il mio ragazzo con le sue affermazioni non faceva che crearne delle altre.
Edward rimase in silenzio e sempre senza dire una parola si diresse in salotto, con me alle calcagna, dove recuperò il giornale del giorno. Lo aprì, sfogliandolo fino ad arrivare alla pagina che gli interessava e me lo porse.
Un altro articolo sulle misteriose morti che si stavano susseguendo a Seattle. Nell’ultimo periodo si erano fatti più radi e avevano perso importanza. Non facevano più notizia e pure io me ne ero quasi dimenticata.
— È opera di un vampiro? Pensate sia James?
Edward annuì. —Non volevamo farti preoccupare più del necessario.
— Ma sono morti, come possono essere una minaccia?
— No, i corpi non sono mai stati trovati, almeno non tutti. Alcuni sono stati trasformati.
Sbarrai gli occhi scioccata. Era una svolta che non mi aspettavo. Quello cambiava le carte in tavola e tutte le mie sicurezze vacillarono. Dovevo sedermi o le mie gambe non mi avrebbero retto.
Mi sedetti e il vampiro prese posto al mio fianco e continuò a parlare.
— I neonati, sono particolari, sono molto più forti di vampiri come me o gli altri, ci sono molto teorie sul perché di ciò ma al momento non sono rilevanti… un neonato è più forte, più veloce di noi e non potevamo affrontarli da soli. Dobbiamo assolutamente fermarli o rischiamo l’intervento dei volturi. Come ad Atlanta qualche anno fa.
— Quanti sono?
— Erano venti una settimana fa ma sono già diminuiti a diciassette e prima che arrivino, saranno ancora meno. Sono instabili e irascibili, James fa fatica a controllarli da solo e loro si attaccano a vicenda.
Diciassette vampiri neonati, più il loro creatore, stavano venendo a Forks. Non ce l’avrebbero fatta! Sarebbero morti tutti!
Le mie orecchie si tapparono e la voce di Edward si fece più bassa e lontana.
— Bella calmati, respira lentamente — mi disse mettendosi di fronte a me, una mano sulla mia guancia e l’altra stretta nella sua sul suo petto che si alzava e abbassava esagerando il gesto della respirazione.
Ansimavo, stavo avendo un vero e proprio attacco di panico. Una piccola parte della mia mente constatò che era da tanto che non ne avevo uno, mentre quella più grande continuava a ripetermi che diciotto vampiri stavano venendo a Forks, come un disco rotto e più le intimavo di smetterla più lei lo ripeteva sempre più velocemente.
— Respira con me, Bella.
Con non poca fatica mi calmai e la voce smise di assillarmi. Presi un profondo respiro e cercai di sorridergli anche se quello che feci, fu più una smorfia poco rassicurante.
—Che facciamo?
—Tu non fai nulla. Faremo tutto noi e nessun umano si farà male te lo giuro —nessun umano si farà male… e loro? Qualcuno sarebbe potuto morire!
Il mio cervello iniziò a lavorare velocemente fino a che non produsse un’idea.
—Hai detto che sono neonati e che questi sono più forti…Potrei darvi io una mano —gli proposi.
— Bella, lo apprezzo questo tuo voler aiutare ma sei umana — disse con il tono che un padre userebbe con la figlia che non voleva dare retta a quello che le veniva detto. Poi il dubbio si insinuò nelle sue membra quando intuì dove volessi arrivare ma lo considerasse troppo assurdo per essere vero e con un tono quasi funebre mi chiese: — Che stai proponendo?
— Trasformami.
Avrei potuto aiutarli e non me ne sarei dovuta rimanere in disparate. Poi avremmo anticipato qualcosa che era inevitabile. Se volevo condividere la mia vita con Edward, avrei dovuto affrontare la trasformazione. Era così scontato che rimasi male quando il vampiro mi guardò come se avessi detto la peggiore delle eresie.
— Non puoi dire sul serio.
Sembrava sinceramente scioccato all'idea.
— Voglio stare con te e non posso se sono umana.
— Non pensavo che stessi pensando alla trasformazione.
— Non vuoi?
— Io... — esitò, — sì che lo voglio. Bella ti ho aspettato per cento anni! Non voglio perderti ora che ti ho trovato ma sei giovane che ne sai di quello che vorrai tra due tre o cinque anni? Non voglio che tu ti penta e sia infelice. Non c’è ritorno da quello che mi stai chiedendo.
Presi il suo viso tra le mie mani e lo guardai decisa. — Ti amo e non riesco a immaginare una vita lontana da te. Può sembrare una frase fatta di una ragazzina che ancora non ha visto nulla dalla vita, ma è quello che sento.
Ero convinta di poter ancora fare tutto quello che volevo una volta trasformata.
— Dovrai imparare a gestire la sete e non potrai più vedere Charlie o Reneé.
A quello non lo avevo previsto, ci voleva tempo per adattarsi alla nuova natura, come avrei giustificato le mie assenze e la mia impossibilità di andare in Florida?
Dovette leggere il mio tentennamento nei miei occhi perché mi baciò la fronte e mi strinse a se come a volermi proteggere da me stessa.
— C'è tempo per questo. Non pensarci, quando tutto sarà finito, ne riparleremo con calma.
 

°  °  °  °

 
—Perché non posso venire? —gli chiesi mettendo su un broncio che poteva ricordare più una bambina di cinque anni che una alla soglia della maturità. Edward alzò gli occhi al cielo e probabilmente si era già pentito di avermi detto i piani della serata.
—È pericoloso.
—Sono io l’obbiettivo, devo imparare anche io a difendermi —continuai, decisa ad andare con lui. Edward inarcò con eleganza il sopracciglio e poi si acquattò in posizione di attacco. Indietreggiai cercando di capire cosa avesse in mente, e mentre ci pensavo, mi ritrovai a guardare il soffitto sdraiata sul mio letto a guardare la faccia di Edward che incombeva dall’alto su di me.
—Potrei insegnarti tutte le tecniche di difesa che conosco, ma non potrai nulla contro un vampiro.
Assottigliai lo sguardo e cercai di divincolarmi. Ci riuscì solo perché lui me lo permise. Mi misi seduta e guardai il pavimento.
—Lo so questo… So che James mi ucciderebbe, solo che mi aiuta credere di fare qualcosa, mi fa sentire più sicura.
Lo sentì sospirare rassegnato. Si mosse e si sedette al mio fianco.
—Alle dieci verrò a prenderti.
Sorrisi entusiasta. Quella, forse, era la prima volta che riuscivo a convincere il mio vampiro. Mi sentì piena di energia. Gli schioccai un bacio a fior di labbra e lo trascinai ancora sul letto con me aggrappata ai suoi fianchi.
—Dovrai dire a tuo padre che non stai bene e che vai a letto prima.
—No, verrebbe a controllare. Gli dirò che ho un’interrogazione domani e voglio riposarmi o ancora meglio, che ho il solito problema mensile. Funziona sempre.
Il ragazzo mi guardò stranito. —Il solito problema mensile?
Aveva più di cento anni non dovrebbe sapere che cosa fossero “le solite cose mensili” di una donna? Aveva anche studiato medicina!
—Le mestruazioni…
—Oh… —disse aprendo la bocca in una grande “o”. Sembrava imbarazzato.
—T’imbarazza se ne parlo?
—No, non… è che è una cosa da donne, insomma è una cosa vostra… mi hai preso un po’ in contropiede… certo, certo, ridi pure.
Fece il finto offeso mentre io crollavo sul letto per le troppe risate ma presto, anche lui si unì a me.
 
All’ora concordata ero vestita con una vecchia tuta nera, indossavo delle scarpe nere, un berretto nero e avevo in mano il piumino sempre dello stesso colore dei miei indumenti. Sembravo la protagonista di quei film sullo spionaggio, mancavano le due righe nere sotto gli occhi ed ero a posto.
—Non prenderemo parte a un’operazione segreta, lo sai questo vero? —mi schernì divertito mentre sistemavo l’ammasso di coperte che avevo infilato sotto il piumone per dargli la parvenza di un corpo. Speriamo che papà sia abbastanza assonnato e un poco brillo per non accorgersi del trucco, pensai mentre ammiravo il mio capolavoro. Se avessi avuto più tempo, avrei fatto qualcosa di meglio.
—Beh… in un certo senso sì…
Ridacchiò mentre usciva dalla finestra e mi tendeva la mano.
— Certo, muoviamoci allora che giù ho gli occhiali a infrarossi per vedere di notte e tanti altri gadget che farebbero invidia a quelli della CIA.
Sorvolai sul suo sarcasmo e mi aggrappai a lui per poi chiudere gli occhi e prepararmi al viaggio.
 
L’allenamento, come lo aveva chiamato Edward, si tenne in una radura a nord di Forks e non molto lontana dalla riserva dei nativi.
Quando arrivammo, i Cullen erano schierati, ognuno con il proprio compagno, non lontano dall’inizio della foresta, lo sguardo fisso tra il fogliame, sembravano guardare qualcuno o qualcosa. Lanciai un’occhiata quando li raggiungemmo, ma non vidi nulla.
— Ci sono tutti — mormorò Edward scrutando attentamente le ombre. Stavo per chiedergli di chi parlasse quando lo scricchiolio di rami secchi e foglie mi avvisò che stava arrivando qualcuno. In poco tempo emersero dalla foresta le teste di quattro lupi, Sam Uley in forma umana,seguiti da altri quattro. Tutti in posizione di guardia. Quello che però più mi colpì fu la loro stazza. Erano enormi, assomigliavano più a degli orsi.
— Ben arrivati — proruppe Jasper inaspettatamente. Mi sarei aspettato che prendesse la parola Carlisle.
— Siamo qui per proteggere la nostra gente.
I lupi, a sostegno delle parole del ragazzo, ringhiarono all’unisono in approvazione. Fu in quel momento che incrociai lo sguardo di un lupo rossiccio che al posto di guardare gli altri come a volerli sbranare con lo sguardo, fissava me. Poi fece qualcosa d’inatteso. Sbattei le palpebre un paio di volete, il lupo pareva divertito e la cosa lo spinse a rifarlo. Avevo le trabecole o il lupo mi aveva appena fatto l’occhiolino?
—Bella, vai a sederti con Esme, ora inizieremo —disse Edward riportandomi alla realtà.
Esme poggiò una mano sulle mie spalle e non opposi resistenza quando mi spinse verso il punto indicato dal mio ragazzo.
Raggiungemmo un gruppo di rocce che uscivano dal terreno e mi sedetti.
Cullen e Quileutte avevano deposto l’ascia di guerra per affrontare un nemico comune e, nonostante si accentrassero in due gruppi ben distinti, non sembravano avere intenzioni bellicose. Non potei non sentirmi in colpa per tutto quello che avrebbero dovuto affrontare. Il vampiro biondo cercava me, io, anche se inconsapevolmente lo avevo portato qui a Forks mettendo in pericolo tutti.
I primi a farsi avanti furono Jasper ed Emmet.
—Abbiamo motivo di credere che con James ci siano dei neonati…
Mi accigliai quando nominò i neonati. Chi erano? Jasper non intendeva di certo dei bambini…
—Vi mostrerò come uno di loro attacca… sono istintivi, non hanno strategia. Prediligono gli attacchi diretti.
I due vampiri si misero in posizione sotto lo sguardo vigile di tutti, Cullen compresi, e in un lampo sparirono dalla mai vista per ricomparire all’improvviso dopo pochi secondi. Emmet a terra con Jasper che troneggiava su di lui e i canini sulla gola del fratello.
—Capito? —chiese il biondo ai lupi. Questi annuirono e si scambiarono diverse occhiate.
La serata passò così, i vampiri si alternavano nelle dimostrazioni di lotta e quando i Quileutte dovevano porre domande, Edward fungeva da intermediario.
Anche Esme fece la sua parte e fu proprio quando ero seduta sola a guardarli che il lupo rossiccio, quello dell’occhiolino, spuntò al mio fianco.
—Mmm… ciao? —doveva essere un saluto ma fu più una domanda. Come ci si rivolgeva a un licantropo?
Il lupo fece quello che mi sembrò una risata e si sedette al mio fianco scodinzolando. Non passò molto tempo che iniziò a picchiettarmi con il muso sul braccio.
—Che c’è? —gli chiesi. Lui continuò a picchiettare e ridacchiare. —Lo trovi divertente?
Ridacchiò più forte e colpì il terreno con la coda. Sembrava sbellicarsi dalle risate. Lo guardai con disappunto, non mi piaceva affatto. Era irritante come solo Jake, nella sua fase adolescenziale acuta, riusciva ad essere. Subito che ebbi fatto quel pensiero una lampadina si accese sopra la mia testa.
—Jacob Black?
Il lupo annuì con forza e mi leccò metà faccia.
— Oh… che schifo, Jake!Ma quando crescerai —non c’era traccia di rimprovero nella mia voce. Ero divertita, ora che sapevo chi si nascondeva dietro tutto quel pelo rosso e quel naso umido.
—Vedo che la mia presenza non è necessaria.
La voce di Edward arrivò inaspettata. Era alle mie spalle e senza pensarci mi girai quel tanto che bastava per allungare un braccio e invitarlo a sedersi al mio fianco.
Jake fece quello che sembrò uno sbuffo e poi poggiò il suo enorme capo sulla mia coscia. Fu come se un calorifero mi fosse poggiato sopra.
—Non farci troppo l’abitudine Jacob Black —borbottò il vampiro, palesemente infastidito dalle libertà che il lupo si era preso con me. La gelosia che mostrava, mi fece gongolare interiormente.
Jake alzò la testa e il caldo che mi aveva avvolto si affievolì.
—No, non temo nessuna competizione perché non c’è competizione —continuò.
In quel momento la mia testa doveva essere un enorme punto interrogativo. In qualche modo c’entravo ma non sapevo come, o meglio qualche sospetto lo avevo, ma non mi sembrava il caso. Non in quel momento.
—Ragazzi… —li richiamai con un’occhiata di rimprovero.
—Sono venuto a prenderti, abbiamo quasi finito. Gli altri possono fare a meno di me— disse Edward.
—Di già? —dissi sorpresa.
—Siamo qui da tre ore… e tu sei stanca.
Volevo rimanere ancora ma aveva ragione. Ero stanca e con la velocità con cui si muovevano, non avevo visto nulla.
—Va bene. Ciao, Jake. Vedi di fare il bravo.
 
Il vampiro mi prese in braccio e un lampo, letteralmente, tornammo alla macchina e lì mi addormentai. A quanto pare ero più stanca di quello che credevo.
Mi risvegliai solo quando sentì qualcosa di fresco sulla fronte e poi un qualcosa di caldo che mi avvolgeva.
—Mmmm… —non era proprio quello che volevo dire ma in quel momento le mie corde vocali non volevano collaborare. Per un attimo non ricordai dove fossi e con chi, ma ci pensò la risata cristallina di sottofondo a ricordarmelo.
—Ed… —farfugliai con la voce impastata. Per la prima volta me la presi con il mio cervello che non permetteva al mio ragazzo di leggermi la mente e risparmiarmi di parlare.
—Dormi, angelo mio —non dovette ripetermelo due volte.
 
 
 

 

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