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Autore: Terre_del_Nord    01/09/2012    17 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.016 - Il Sangue di Salazar (2)

IV.016


Annabelle Flannery

57, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

    «Sterminare! Sterminare!»
    «Tanto non mi prendi! Tanto non mi prendi! Ahahahah...»

Le risate di Seamus, mio fratello, e di Ryan Mortimer, nipote della nostra governante, filtravano dal piano di sotto, attraverso il corridoio e la porta chiusa, nella silenziosa immobilità della mia cameretta. Guardai la sveglia sul comodino, era mezzogiorno e a breve papà e Patricia sarebbero ritornati dall'appuntamento col dottor Simm: erano passati appena quattro mesi dalla nascita del bambino, era sano e forte, ma la megera aveva sottoposto il povero Matthew a controlli medici pressoché quotidiani, sospettando in lui, giorno dopo giorno, i sintomi di tutte le peggiori malattie infantili esistenti. Mi chiedevo spesso, irriverente, se, finite quelle indicate nell'enciclopedia pediatrica, avrebbe iniziato a inventarsene di nuove o avrebbe ricominciato la lista dall'inizio.
Sospirai: nonostante sforzi, promesse e minacce, non riuscivo ad adattarmi alla mia nuova famiglia.
Era meglio rimettersi a letto e fingere che avessi dormito tutta la mattina, come si era raccomandato il medico, se non volevo finire nei guai, ed io per i guai sembravo aver maturato una certa predisposizione, soprattutto da quando Patricia Matheson era diventata la nuova signora Flannery.
Da quattro anni odiavo la scuola, non sopportavo quelle inutili date ripetute a memoria, le orride divise e la mancanza di fantasia di molti professori, per non parlare di certi bulletti che infestavano la mia classe: per questo, spesso, in passato, avevo inventato fantasiose scuse per evitare di andarci e, a volte, Edna, la nostra governante, mossa a compassione, aveva finto di credermi e mi aveva assecondato. Ora invece, persino quando stavo male sul serio, Patricia sosteneva con mio padre che i miei fossero sempre capricci inaccettabili e che l'unica soluzione, per me, fosse il severo collegio svizzero, dove lei era stata educata «…come si conviene a una raffinata signora dell'alta società».

    «Quando entrereMO in politica, Edmund, la Tua vita sarà sotto gli occhi di tutti. E nonostante la Tua ottima reputazione come giudice, “quello” scandalo sarà il tuo Tallone d’Achille, presso l’opinione pubblica... per questo non puoi più essere troppo indulgente con i Tuoi figli! »

Quella strega glielo ripeteva ogni sera, quando mi credevano a letto ed io invece li spiavo dalle scale: papà, dopo una dura giornata in tribunale, cercava di bersi in pace il suo whisky, seduto davanti al caminetto, in silenzio, Patricia stilava piani di guerra, con fredda determinazione da gerarca nazista.
Da quando c'era lei, mi sentivo fuori posto in famiglia, per questo, dopo appena tre giorni passati in casa, confinata in camera, in quarantena per la varicella, ero così idrofoba che, pur di starle lontana, sarei andata volentieri persino a scuola, a ripetere, come un pappagallo, le stupide canzoncine in francese sul ponte di Avignone e a subire in silenzio, durante la lezione di musica, le frecciatine su mia madre di Claire-ciccia-tettona-Goldwyn, una balenottera capace solo di sparlare di chiunque.
Rabbrividii, forse mi stava di nuovo salendo la febbre, cercai di reprimere il vano desiderio di darmi una grattatina a gambe e spalle, sicura che se non avessi trovato il modo di strofinarmi, sarei impazzita; in realtà, pur insopportabile, per dimostrare a mio padre che Patricia esagerava, mi ero imposta di non lamentarmi mai del prurito, né della puzza mefitica del talco mentolato con cui Edna mi cospargeva tutta, nemmeno fossi un'orata pronta da infornare... Avevo persino provato a prendere la situazione con filosofia e a ridere delle mie disgrazie: quando Edna mi aveva fatto indossare i guanti da forno, fissandoli con il nastro adesivo da pittore, per impedirmi di grattarmi, le avevo fatto venire il mal di testa a furia di raccontarle storie in cui ero un'esploratrice aliena proveniente da un pianeta di cuochi, in cui tutti nascevano con le presine al posto delle mani, o quell'altra, in cui ero una ladra che si era introdotta in un covo di crudeli corsari olandesi per rubarne il tesoro e, fatta prigioniera, ero stata sottoposta alla peggiore tortura esistente, la polvere pizzicherella.
Edna, di solito composta e seriosa quando la signora Flannery era in casa, era scoppiata a ridere, non so se per la ridicolaggine delle storie, o per il mio aspetto; Patricia, al contrario, si era lamentata con mio padre per la mia infantile incapacità di stare con i piedi per terra:

    «Ha quasi tredici anni, Edmund, dovremmo far controllare che non abbia dei deficit intellettivi! »

    «Sterminare! Sterminare!»
    «Non mi prenderai mai!»
    «Questo lo dici tu, microbo! Fuoco!»
    «Fuoco? Non puoi dire fuoco! Devi parlare come un Dalek! Hai perso! E se hai perso, sarò io a tenere il Cacciavite Sonico e fare il Dottore anche la prossima settimana, babbeo! Ahahah!»

Sbuffai, gli schiamazzi di Seamus davanti alla mia camera, a ricordarmi sadicamente che, in clausura com'ero, avrei perso pure la puntata settimanale di Doctor Who, erano odiosi ma comprensibili: con Patricia impegnata fuori casa quasi tutto il giorno, tra shopping, estetista e incontri con le amiche, il sabato era diventato l'unico giorno in cui poteva comportarsi come il bambino di undici anni che era, senza sentirsi minacciare con la storia dell'Accademia Militare per una risata di troppo. Inoltre, mio fratello condivideva con me memoria di ferro e una certa propensione alla vendetta: l'inverno precedente, poco prima che disgrazia Matheson, come in segreto chiamavamo Patricia, diventasse la nostra matrigna, mio fratello aveva avuto una brutta otite, ed io, tremenda, mi ero divertita a terrorizzarlo, dicendogli che in realtà erano orecchioni, che gli sarebbero rimaste gigantesche orecchie da Dumbo, e che per questo, per tutta la vita, avrebbe camminato e gesticolato in modo strano come padre Sullivan, il burroso prete della piccola chiesa cattolica che frequentavamo fin da piccoli, con la nostra nonna paterna.
Mi tolsi la vestaglietta e la ripiegai con cura, rendendomi conto che, dall'arrivo di Patricia, avevamo smesso di andarci, come avevamo smesso tante altre cose, evidentemente, per lei, persino le nostre origini irlandesi erano difetti da nascondere; a volte Seamus, con un'ingenuità tipica dei bambini, mi chiedeva perché quella donna avesse sposato nostro padre, se voleva cambiare tutto di noi, dal nostro modo di vivere e di essere, all'aspetto di papà: quasi non l'avevamo riconosciuto quando si era tagliato la barba, solo perché «...Patricia voleva che avessi un aspetto più giovanile...». Non avevo avuto il coraggio di rispondere a Seamus che a quella donna interessavano i soldi del nonno, anche se erano soldi irlandesi, e peggio ancora, che nostro padre sottoponeva se stesso e tutti noi a quelle umiliazioni continue solo perché, per la sua carriera, gli serviva una moglie dal nome importante con cui riappropriarsi di una facciata di rispettabile normalità. Una volta Edna mi aveva colpito le mani con il cucchiaio di legno, fino a farmi piangere, sentendomi parlare così, diceva che ero ingiusta con nostro padre e troppo piccola per essere così cinica, era lei, però, a essere bugiarda, io ero solo realista: era stata nostra madre a togliermi, da tempo, l'illusione che esistesse l'amore, nel mondo c'erano solo convenienza, egoismo, interesse verso ciò che puoi dare, e non verso ciò che sei.
Sprimacciai il cuscino che avevo sistemato vicino alla finestra, per guardare la neve che volteggiava su Essex Street e i rari passanti che rischiavano a ogni passo di scivolare sul ghiaccio, alcuni appesantiti dalle buste della spesa: nella mia strada non c'era mai troppo movimento, era una via chiusa da un lato e tutta quella neve non migliorava certo le cose. Quella mattina, invece, c'era stata un'insolita vitalità davanti casa nostra, perché i nostri dirimpettai, gli Sherton, avevano ricevuto diverse visite, tutti personaggi che Edna avrebbe bollato come loschi e sospetti. Per primo, dall'arco in fondo alla strada, era apparso un uomo alto, vestito di scuro, un cappotto lungo fino a terra con una specie di cappuccio che gli copriva buona parte del volto; un paio di ore più tardi, proprio quando aveva ripreso a nevicare, era comparso un vecchietto, magro e ingobbito, con un abito strano sotto il mantello, sembrava quasi una vestaglia da femmina; poco dopo, un gruppetto di almeno cinque o sei persone era apparso dal fondo della strada nel momento in cui la nevicata si era fatta così fitta, che sarebbero diventati dei pupazzi di neve, in attesa, immobili sullo zerbino.
Era stato un bene seguire tutto quell'andirivieni, mi ero distratta e non avevo rischiato di addormentarmi: con la febbre, l'oscurità delle tende tirate, il tepore delle coperte, non facevo altro che dormire e risvegliarmi di continuo, di soprassalto, perdendo il senso del tempo. Quando succedeva, quando mi svegliavo di colpo, avevo sempre il cuore in gola, mi sentivo confusa, non ricordavo dove fossi e mi ritrovavo a chiamare la mamma, come da bambina... E subito dopo piangevo, affondando i denti nelle lenzuola, per non farmi sentire, perché la confusione passava e mi ricordavo che ero una stupida che perdeva ancora tempo a soffrire per chi ci aveva abbandonati. Non volevo essere così... debole...
Non ero più una bambina, non ero come mio fratello... presto avrei compiuto tredici anni, avevo pure già baciato un maschio - era solo la guancia di mio cugino Richard e lui stava pure dormendo, ma questo, alle mie amiche non l'avevo detto- e soprattutto il professore di educazione fisica diceva che giocavo a calcio meglio dei maschi, e chissà, magari un giorno, come per Magia, si sarebbe realizzato il mio sogno di essere la prima donna capocannoniere in un campionato misto, e avrei portato sulle spalle il magico dieci dell'Arsenal.
Pensai alla faccia di Patricia e risi: sì, sarebbe svenuta, di sicuro, se fosse accaduta una cosa simile!
Ecco, era a questo che dovevo pensare, non a mia madre, violoncellista della London Symphony Orchestra, che aveva lasciato mio padre, mio fratello e me per fuggire con il suo viscido collega spettinato: a volte in televisione davano uno dei loro concerti, ed io me li trovavo entrambi davanti, lui preso dalla musica, lei che lo guardava adorante, uno sguardo che a noi non aveva rivolto mai…
Le lacrime mi bagnavano la faccia, presi il cuscino e lo lanciai contro la testiera del letto, rabbiosa.
Erano passati quattro anni da quella mattina, da quel misero «Mi dispiace» scritto di fretta, tremante su un foglietto, papà non aveva dovuto nemmeno battersi in tribunale, a lei non interessava nulla della nostra sorte, doveva andare in tournée e soprattutto voleva vivere con quello... senza di noi. Per dimenticare tutto più in fretta, avevamo lasciato il vecchio quartiere, niente più vecchia scuola, vecchi amici, vecchia casa, eravamo venuti a vivere nell'abitazione ereditata dal nonno, dove papà era nato e cresciuto e dove, per fortuna, ci aspettava Edna Mortimer, la governante, una tipa energica, burbera, buffa, ma soprattutto una dea delle torte. Lei, grande e grossa, io, un uccellino spaurito, avevamo passato tanti pomeriggi, altrimenti tristi e rabbiosi, a sperimentare delizie in cucina, con mio fratello assoldato come assaggiatore; Edna, poi, nemmeno si arrabbiava quando combinavamo danni con la farina, ed era giusto così, non era colpa nostra, era lei che, invece di controllarci, passava tutto il tempo alla finestra, col binocolo, a spiare i nostri vicini.
Con l'arrivo di Patricia, anche i giochi in cucina erano stati dichiarati tabù «Manca solo che diventiate due mostriciattoli obesi!» ci ripeteva sempre e ci aveva imposto di passare tutti i nostri momenti liberi sulla tastiera perché da piccoli avevamo iniziato a studiare pianoforte e «A voi serve disciplina e la musica vi è sempre piaciuta, quindi suonate!». Lei forse non sapeva che, da quando quella ci aveva lasciati, non volevamo più sentir parlare del piano, nostro padre invece avrebbe dovuto intuirlo, ma sembrava non gliene importasse niente.

Sentii il rumore della porta di sotto che si apriva e richiudeva, rapida mi guardai attorno per vedere se fosse tutto in ordine o qualcosa potesse tradirmi, a parte la mia faccia accaldata e colpevole.

    «Ora ti prendo e te lo do io il cacciavite... oh... buongiorno, giudice Flannery!»
    «Papà! Papà, diglielo! Ryan Mortimer, tu finirai in gattabuia se non rispetterai le regole! »
    «Naturalmente... E tu, Seamus Edmund Flannery, resterai un mese senza televisione, se ti vedrò ancora una volta correre per le scale con un cacciavite in mano! »
    «Ma papà, non è un cacciavite qualsiasi, è il Cacciavite Sonico ed io sono il Dottore! »
    «Cosa ti dicevo, Edmund? Devi fare qualcosa, quello che guarda in televisione è diseducativo! Pensa se mi fosse caduto addosso con quel coso, mentre entravo con il passeggino di Matthew! Un giorno o l'altro glielo metterà in un occhio o ci ammazzerà per le scale!»

Silenzio, rumore di tacchi nervosi per le scale. Le voci di Seamus e di Ryan Mortimer pigolarono le più sentite scuse a papà, me lo vedevo mentre si sfilava il cappotto con aria severa e lo sistemava sull'appendi-abito, poi rivolgeva loro un sorriso tirato e si tratteneva dall'accarezzare mio fratello, perché Patricia glielo ripeteva sempre: «Mandalo all'accademia, tu non hai tempo per lui e qui ci sono solo donne: vuoi farne un debole?»

    «Niente più oggetti pericolosi e niente più corse per le scale, o niente televisione, questo è l'ultimo avvertimento, siamo intesi? Filate a lavarvi le mani, ora, che pranziamo! »
    «Sempre che zia Edna abbia preparato qualcosa, è stata sempre alla finestra a curiosare!»
    «Ahahaha, è vero... pensa papà, è pure salita in mansarda con il binocolo! »
    «A lavarvi, o niente televisione, intesi? Edna! Edna…»

Avevo seguito tutto il bisticcio con l'orecchio incollato alla porta, poi mi ero infilata sotto le coperte, mi ero sistemata per bene, mentre i ragazzi correvano per le scale e bisticciavano e facevano casino nel bagno di fronte alla mia camera: se avessero ridotto la stanza a un pantano, Edna avrebbe urlato tutto il pomeriggio, non perché fosse un'odiosa snob amante maniacale del pulito, come Patricia, ma perché il bagno dava sul retro, e quando doveva sistemare lì, non poteva tenere d'occhio la strada.
Edna Mortimer, sessant’anni, era, senza rischio di esagerazione, un'impicciona nata: vedova di guerra, senza figli, era stata prima cameriera poi governante nella casa in cui era cresciuto mio padre; da quattro anni vivevo sotto il suo stesso tetto e avevo capito che non si trattava di una bizzarria, ma di una malattia vera, Edna non riusciva a non farsi gli affari degli altri. Da sempre era fissata con i Bauman del numero 26, secondo lei erano nazisti imboscati; delle sorelle Trichet, del 12, sospettava non fossero sorelle ma due dissolute, che vivevano nel peccato di Sodoma e Gomorra: una volta disse pure la parola lesbiche davanti a papà, non sapevo ancora cosa significasse, ma mai avevo visto mio padre più infuriato, le aveva detto che era a rischio di denuncia, le aveva intimato di darsi un contegno, o avrebbe cercato una governante più adatta alla casa di un magistrato. E Edna, soprattutto con l'arrivo di Patricia, si era calmata, o almeno ci aveva provato.
Negli ultimi mesi, però, le cose erano tornate a peggiorare, perché gli Sherton, proprietari della casa di fronte alla nostra, disabitata da oltre dieci anni, avevano deciso di tornare a vivere a Londra e assistere al continuo via vai degli operai e dei proprietari l'aveva fatta uscire di testa: quando eravamo sole, ripeteva che la casa era frequentata da individui bizzarri, che succedevano cose strane, che gli Sherton erano loschi, che forse fingevano di essere scozzesi ma erano come minimo irlandesi attivisti dell'IRA; stavolta, memore della lezione sulle sorelle Trichet, temendo di ritrovarsi senza lavoro, la signora Mortimer però aveva deciso di procurarsi le prove, prima di dire a papà quanto sospettava, e ora andava in giro dalla mattina alla sera con il binocolo al collo e un taccuino in mano, su cui registrava orari e spostamenti e descrizioni dettagliate di chiunque entrasse o uscisse. Papà, vedendola così bardata, fingeva di non accorgersi e faceva cadere il discorso quando Patricia gli sottoponeva il problema, ma quando lo andavo a trovare nel suo studio, spesso lo sentivo borbottare a mezza bocca parole minacciose come psichiatra, neurologia, camicia di forza. Quanto a mio fratello e a me, nonostante i tanti problemi, grazie a Edna e ai suoi misteriosi scozzesi, riuscivamo persino a ridere: a volte sospettavo che lei recitasse la parte della vecchia pazza, proprio per strapparci quei sorrisi.
A dire il vero, c'era anche un dettaglio imbarazzante che rendeva la questione Sherton molto importante, per me: l'estate precedente, un pomeriggio, poco prima dell'inizio della scuola, Patricia era in ospedale per partorire e Seamus ed io ne stavamo approfittando per giocare in tutta libertà nel giardino dietro casa, a un tratto avevo visto passare, nella via interna, un giovane alto, dai capelli un po' più lunghi del normale, castano scuro, e degli insoliti occhi chiari, che facevano pensare al colore della luna. Mi ero fermata a guardarlo, a bocca aperta come una stupida, con il pallone in mano e Seamus che strillava perché avevo smesso di lanciarglielo; il ragazzo aveva ricambiato lo sguardo e mi aveva sorriso, poi con accento scozzese mi aveva detto soltanto «Buona serata, signorina!».
Mi ero ritrovata a scappare lungo la scalinata di casa, ammutolita, Seamus alle costole che strepitava perché voleva il pallone, mentre io mi barricavo in bagno e con orrore osservavo allo specchio la mia immagine, vedendomi per la prima volta con gli occhi impietosi di Patricia: due orecchie rosso fuoco uscivano da sotto il cappellino da baseball, sulla faccia paonazza lampeggiavano atterriti due sbiaditi occhi da allucinata, la bocca era mezza aperta, tenevo stretto uno stupido pallone da calcio, due codini di capelli color paglia mi stavano appiccicati al collo sudaticcio, e i vestiti stropicciati erano inzaccherati almeno quanto le scarpe infangate.

    «Oddio, cosa avrà pensato di me?»

Quel signorina doveva essere stato ironico, visto il mio aspetto, ed io, che di solito sarei stata capace di rispondere a tono, non solo ero rimasta muta come una babbea, anzi un pesce lesso, ma ero pure scappata! Morivo di vergogna ogni volta che ripensavo a quanto ero stata ridicola quel giorno e quando uscivo, pregavo di non incontrarlo più, per paura di altre reazioni imbarazzanti; a mia discolpa, quel giovane, Mirzam Sherton - aveva pure il nome di una stella, e questo mi aveva portato a interessarmi improvvisamente di astronomia-, era così attraente da poter essere scambiato per un divo del cinema, invece era una persona normale quindi non avrei mai avuto una scusa valida per chiedergli una foto da sbaciucchiare!
Di solito non mi comportavo così, come una di quelle ochette stupide che sospiravano e mi divertivo tanto a prendere in giro, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa, anzi, da quando papà aveva detto che i vicini sarebbero tornati a vivere a Londra appena il figlio si fosse sposato, a Natale, pensavo tra me a quanto anche in quest’occasione fossi stata sfortunata.

    «Certo, come se avessi una qualche chance, con uno così! Soprattutto ora, con la varicella! Ti ci vorrebbe la bacchetta magica, non basterebbe neanche una rigenerazione stile "il Dottore"!»

Sospirai, sentii il passo leggero di mio padre sulle scale, mi sistemai il lenzuolo sotto il collo e cercai di assumere una posizione che sembrasse di sonno naturale, poi pensai che papà mi aveva imposto solo di non farmi trovare in piedi, e se mi avesse visto addormentata non si sarebbe fermato nemmeno per darmi un bacio sulla fronte, io invece volevo averlo un po' con me, perciò mi sistemai pancia sotto, con i guanti da forno sotto il mento, approfittandone per grattarmi il collo, gli occhi che nella penombra giocavano a riconoscere la sagoma del barattolo del miele sopra il comodino, le bambole sulla cassapanca, il quaderno pieno di disegni, tenuto a debita distanza perché, secondo Edna, «… fa male forzare gli occhi quando c'è la febbre…», le cuffiette di lana che stavo lavorando ai ferri per Docty, il mio gatto: quando Patricia aveva scoperto di essere incinta, aveva detto a papà che dovevamo liberarcene e lui aveva cercato di convincermi che sarebbe solo andato a vivere in campagna, Docty si sarebbe persino divertito, all’aperto; io, però, non fidandomi della megera, avevo preferito regalarlo a Ryan, così durante la settimana potevo anche andare a giocarci.

Fu allora, mentre pensavo a Docty e papà, dopo aver bussato piano alla porta, era entrato e si era avvicinato con un sorriso, che tutto tremò, sbalzandomi giù dal letto, facendo cadere a terra il barattolo del miele, facendo scivolare sul tappeto mio padre; le finestre si aprirono con un boato e i vetri, ridotti in briciole, mi crollarono addosso, per fortuna ero avvolta nella coperta e non mi ferirono; il freddo e la neve entrarono con un ruggito rabbioso, trascinando via fogli e vestiti, schiaffando le tende contro il soffitto, le lenzuola contro le pareti. Ovunque, attutito, sentivo urlare. Dopo quel breve, improvviso squarcio d'inferno, la stanza smise di tremare: aggrappata al cuscino, spaventata, cercai di sollevarmi e muovermi, ma a terra c'era un tappeto di vetri ed io non avevo la forza di tirarmi su; mio padre si rimise in piedi a stento e mi prese in braccio, mi chiese come stessi, ma dovette ripeterlo più volte, non sentivo nulla, urlai che non ero ferita, all'inizio nemmeno lui riuscì a sentire quello che dicevo. Confuso e spaventato, si girò intorno, cercando di capire che cosa fosse successo, si avvicinò alla finestra, con la neve e il freddo mi resi conto che ora entrava anche un intenso odore di fumo, guardai fuori.
La casa degli Sherton stava bruciando.

    «Papà... cos'è... stato? »
    «Una fuga... di gas... credo... ti porto di là, da me... spero non... Oddio, Matthew... »

Già... nella mia stanza non si poteva restare, ma di là c'era un bambino che rischiava la varicella.

    «La camera degli ospiti... da me porterò Seamus... Edna... e Ryan... devo controllare che stiate tutti bene... che il telefono funzioni... devo… i vigili... l'ambulanza... vedere di persona se c'è qualcosa che posso fare per loro... un po' di metodo... e si risolverà tutto... solo metodo... »
    «E se Edna avesse ragione? Se fossero dei terroristi? Se fosse stata una bomba? »
    «Sono come noi, Annie! Preghiamo piuttosto il Signore che non fossero in casa! »

Ed io pregai che non fossero in casa, anche se sapevo che erano lì, mentre papà mi lasciava nella camera degli ospiti, sola, dopo aver verificato che non fosse danneggiata come la mia... Pregai, però, soprattutto, che quelle persone, quelle come noi, non avessero una famiglia come la mia.


***

Orion Black

74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

    La neve è grigia.

Camminavo, in tranche, e sul mio viso si depositavano fiocchi di neve grigia. Non capivo, non vedevo, l'unica immagine che avevo negli occhi e nella mente era il teschio ghignante in cielo; avanzavo rapido, per quanto si potesse senza rischiare di scivolare sul ghiaccio, in silenzio, il cuore che batteva impazzito nel petto e nella testa, per la fatica e per la paura: quando, al termine delle scale, superai l'arco di Essex Street, compresi. E trattenni a stento tutta la mia disperazione.

    Cenere.

Quella che si depositava su di me, intorno a me, per metri e metri, mista alla neve, era cenere. La cenere di un rogo. Il rogo di quella che, fino a poche ore prima, era stata la dimora londinese degli Sherton. Guardai, confuso, sospeso in un incubo, alla ricerca di un dettaglio che mi rassicurasse, che mi confermasse che fosse solo un sogno spaventoso da cui, presto, mi sarei svegliato. Tutto vano. C'era fuoco, fuoco vero, fuoco che fuoriusciva dal tetto, dallo studio di Alshain, fuoco che dardeggiava in fiamme alte e violente, simili a figure demoniache, avviluppate alle finestre del secondo piano, le camere dei ragazzi; in basso, l'ingresso era annegato in una pesante cappa di fumo nero e la porta, strappata via dai cardini come tutti gli altri infissi, giaceva sul marciapiede di fronte. Intorno, altri edifici erano danneggiati: i detriti, esplosi via dalla casa, avevano sfregiato intonaci, porte e finestre, il vuoto d'aria aveva infranto vetri e trascinato a terra tegole e mattoni di comignoli.

    È tutto vero.

Decine di Babbani, attoniti e infreddoliti, si addensavano nella via stretta, ed io mi avvicinai con molta difficoltà: c'erano i vicini, spaventati, che si lamentavano per la paura provata e per i danni subiti, ma anche curiosi accorsi dalle vie limitrofe, attratti dal fragore dell'esplosione, che ciarlavano di «suicidio», «riscaldamento difettoso», «fuga di gas», termini per me incomprensibili.
A ridosso dell'ingresso, un paio di uomini, alti e minacciosi, le forze dell'ordine babbane, teneva a distanza tutti gli altri, oltre quello che chiamavano «cordone di sicurezza», mentre quattro loro colleghi facevano domande ai presenti; una mezza dozzina di Babbani vestiti di bianco scese da una vettura con una croce rossa sulla fiancata, che arrancò con difficoltà nella neve e tra la gente: un paio di loro si fermarono, le portantine pronte, in mano strumenti simili a quelli dei nostri Guaritori, gli altri iniziarono a curare chi si presentava ferito per una caduta o aveva tagli causati dai vetri. Infine, dietro tutti gli altri, a ridosso della casa, una decina di uomini, vestiti con una strana divisa e con una specie di padella in testa, lavorava instancabile, come una schiera di formiche operose: quattro entravano e uscivano dall'edificio, altri si arrampicavano su due alte scale e reggevano dei grossi tubi collegati a un paio delle loro vetture, sormontate da contenitori voluminosi, simili ai recipienti che usavamo nelle serre di Erbologia, per raccogliere l'acqua piovana. Alshain me l'aveva spiegato una volta, ma io avevo stentato a crederci: senza Magia, i Babbani spegnevano il fuoco con l'acqua, lavoro improbo, spesso letale; e lento, troppo lento, in una casa così grande, in cui potevano essere ancora intrappolati una donna e due bambini, privi di sensi, forse gravemente feriti.

    Salazar, fa che non siano qui, fa che siano riusciti a scappare, fai che... o no, Salazar, no...

Ammutolii, annichilito, le preghiere che diventavano solo un «No» ripetuto infinite volte per esorcizzare l'inesorabile: i quattro pompfieri, scossi dalla tosse e dalla mancanza di ossigeno, i visi anneriti dalla fuliggine, uscirono dal rogo portando qualcosa nascosto sotto un sudario bianco, steso sopra un telo scuro, lo depositarono a terra e fecero no con la testa al collega che dirigeva le operazioni; i guaritori babbani si affiancarono ai pompfieri, prestando loro i necessari soccorsi. Seguii, attento, tutta la scena, stentando a capire, all'inizio, poi quando intravidi una mano, bruciata dal fuoco, penzolare inerte da sotto il lenzuolo, sentii qualcosa stringermi alla gola, fin quasi a soffocare, e gli occhi riempirsi di lacrime.
Mi pentii di aver convinto Warrington a separarci per raggiungere Essex Street ognuno per proprio conto: visto come i Ministeriali mi avevano coinvolto nei fatti di Herrengton, e quanto la Confraternita sembrasse caduta in disgrazia presso Milord, da bravo stolto non avevo reputato saggio presentarmi con un Mago del Nord nel luogo sul quale campeggiava il simbolo di morte del Signore Oscuro; e ora, da solo, non riuscivo a trovare il coraggio per affrontare quei pochi metri.
Eppure dovevo farlo e alla svelta, perché tra la folla c'erano anche numerosi uomini del Ministero: quando i Babbani assistevano a un fenomeno di natura magica, erano subito attivate le squadre degli Obliviatori, per cancellare il ricordo di ciò che avevano visto; questa volta, poi, l'evento era, sicuramente, di matrice oscura, per questo erano scesi in campo anche decine di Aurors. Confondendo le menti dei Babbani, che trovandoseli di fronte li scambiavano per normali agenti delle forze dell'ordine, parte degli Obliviatori e alcuni Aurors, come da prassi, stavano già avvicinando i potenziali spettatori del fenomeno apparso in cielo, a partire dagli abitanti delle vie limitrofe, per proseguire in tutto quel settore della città esposta alla vista del Marchio.
La maggior parte degli uomini di Crouch era invece a Essex Street, attorno a me, e si stava occupando in modo capillare dei residenti chiusi in casa e dei curiosi trovati per strada: bussando a ogni porta o avvicinandosi, con fare distratto, alle spalle di ogni presente, rendevano ogni Babbano docile con un Confundus che ne alterava le percezioni, lo interrogavano, infine lo lasciavano all'Obliviatore che pronunciava l'incantesimo per cancellare ogni segno e ogni ricordo di quegli eventi.
Avanzando circospetto lungo la via, avevo incrociato almeno dieci Babbani già Confusi: dovevo sbrigarmi, individuare le persone che potevano ancora sapere qualcosa e conoscere i fatti, prima che la sola Verità fosse quella raccontata dal Ministero; con cautela, evitando di farmi riconoscere e cercando di non pensare alla feccia che mi accerchiava, raggiunsi il 74 di Essex Street. Quando notai un movimento delle tende, al secondo piano dell'abitazione di fronte, mi chiesi perché gli Aurors non avessero iniziato il loro lavoro dai Flannery, i vicini impiccioni che Alshain prendeva sempre ad esempio di tutti i peggiori difetti babbani: se c'era qualcuno a conoscenza di un dettaglio importante, di certo, viveva là dentro.
Mi guardai attorno, furtivo, mi assicurai di non essere notato e seguito, e mi accostai alla porta, deciso a bussare, ma pregando gli avi di proteggermi dall'infarto che rischiava di cogliermi, appena avessi sfiorato qualcosa appartenente a quella dannata gentaglia.

    «Vi stavamo aspettando, Black!»

A stento riuscii a mascherare un sobbalzo, udendo quella voce sarcastica alle mie spalle, rimasi col pugno a un centimetro dal legno, ingoiai la serie d’improperi poco Black che mi erano già saliti alla gola, e mi voltai, in viso la migliore espressione sprezzante usata per intimorire i miei interlocutori.

    «Vi toglierete mai il vizio di comparire alle spalle dei Maghi per bene, per importunarli?»
    «Perché dovrei? È il modo migliore per carpire la vera natura delle persone, soprattutto quando mentono. Quanto ai vizi, ognuno ha i propri... prendiamo voi, Black: un Mago così discreto e imperturbabile... con l'insana tendenza a condividere i guai della famiglia Sherton...»
    «Primo, come vivo non è affar vostro, Moody, secondo, visti i teatrini che mettete in scena voi del Ministero, cercare informazioni di persona è inevitabile e doveroso! Solo gli stolti ormai credono alle vostre Verità ed IO non sono uno stolto, io vi conosco, sareste capaci di sfruttare eventi drammatici come questo per i vostri ignobili scopi, stavolta, però, non ci riuscirete, sono pronto a impedirvelo: sono implicati dei bambini, i miei figliocci, e sull'onore dei Black, io...»
    «Risparmiatemi la solita solfa sui Black, non sono uno di quei vostri Consiglieri da abbindolare con lusinghe e minacce! Abbiamo appena scagionato Mirzam Sherton, il vostro figlioccio, dalle accuse riguardanti i fatti di Herrengton: i vostri discorsi sulla presunta faziosità, perciò...»
    «Salazar! I miei più sentiti complimenti, Moody! Siete riusciti a scoprire l'ovvio, finalmente! Quanto ci avete messo, due settimane? Tre settimane? Un mese? Nella casa che brucia davanti a noi, stamani c'erano una Strega e due bambini, di un anno l'uno, di pochi mesi l'altra. Se, come spero, nonostante tutto, ci fosse ancora una possibilità di salvezza per loro, voi sareste capaci di sprecarla, con la vostra inettitudine! Ed io non posso accettarlo! Per questo non resterò qui un solo altro istante con voi, a guardarvi buttare via le loro vite! Non senza reagire! Addio!»
    «Voi non andrete da nessuna parte, Black! Sto indagando su degli omicidi per conto del Ministero e voi siete un testimone: se sarete reticente, vi arresterò e sottoporrò a Veritaserum...»
    «Che cosa? Siete impazzito, Moody? Voi state cercando di minacciare ME? IO SONO ORION ARCTURUS BLACK! E VOI, PATETICA NULLITÀ, NON POTETE MINACCIARMI!»
    «Vogliamo scommettere? Nessuno di noi qui ha tempo da perdere dietro alle sceneggiate, perciò, se non volete essere arrestato con l'accusa di complicità, oltre che d’intralcio alla giustizia, vi conviene calmarvi e iniziare a rispondermi! Come avete saputo quanto stava accadendo qui?»
    «Come osate anche solo insinuare che io sia in qualche modo responsabile di...»

Lo fissai con odio, ma mi morsi rapido la lingua: nessuno poteva permettersi di trattarmi così e farla franca, l'avrei volentieri Cruciato, anzi, per il piacere di umiliarlo, fatto sbattere a pulire cessi a Azkaban, a vita. Se mi fossi impuntato, però, Moody avrebbe dato seguito alle sue minacce ed io avrei perso altro tempo prezioso, perché quello che avevo di fronte non era un uomo, ma un mulo testardo che, pur di avere l'ultima parola, non avrebbe badato alle conseguenze delle proprie azioni, propensione certo ereditata da qualche ignobile antenato babbano! L'unica soluzione era fingere di collaborare e liberarmene al più presto. Alla vendetta avrei pensato in seguito, con tutta calma.

    «D'accordo, vi ascolterò... purché vi togliate presto dai… piedi! E ricordate, canaglia, io non dimentico! Abito non lontano da qui, lo sapete, avete infastidito la mia famiglia nemmeno una settimana fa: alla finestra, ho visto quella cosa sopra la città babbana, e... a Londra poche famiglie di Maghi vivono in mezzo alla feccia: su questo lato del fiume, ci siamo solo noi e gli Sherton...»
    «E che cosa sapete dirmi degli spostamenti di Sherton? Dopo essere usciti insieme dal Ministero, più di un'ora fa, dov'è andato? Siete preoccupato per la moglie e i figli, ma non per lui, mi pare di capire...»
    «Sherton si è trattenuto da me ed è uscito da casa mia meno di un'ora fa, a piedi, nonostante la neve: di solito si ferma a comprare fiori per la moglie, perciò... sono meno preoccupato per lui, rispetto ai suoi familiari, perché esiste la possibilità che non sia ancora rientrato a casa...»

Moody ebbe la decenza di non commentare la storia dei fiori e della neve, alzò invece gli occhi verso l'oscuro ghigno che stava disperdendosi tra le nubi, chiamò quel dannato guastafeste di Potter, l'Auror che da qualche settimana, con la sua presenza assidua e le sue deposizioni, era diventato una spina nel fianco per me e i miei amici, gli parlò sottovoce, poi lo congedò e tornò a fissarmi, fosco.

    «Vorrei poter essere altrettanto ottimista, Black... davvero... Seguitemi...»
    «Non se ne parla! Io vi ho risposto e non ho altro da dirvi... Ora pretendo di essere lasciato in pace! I Babbani che vivono in questa casa sono i peggiori impiccioni di Londra, Moody, e visto che non siete il segugio che tutti dicono, altrimenti non perdereste tempo a importunare me, ma sareste là dentro a far loro domande, entrerò io in quella casa... di persona...»
    «Voi? Voi vorreste entrare in una casa babbana e interrogare i proprietari? Andiamo, Black! I Medimaghi curano malati, non rianimano razzisti svenuti! E non preoccupatevi dei Flannery, i miei uomini li hanno già ascoltati, tutti: coppia, tre figli, governante, di quanti risultano al Ministero, mancava solo il gatto. Li hanno anche Obliviati e Confusi, perciò dormiranno fino a domattina.»

Sollevai lo sguardo verso le finestre del secondo piano, dubbioso, ma intenzionato a tenere i miei sospetti per me: se erano stati affatturati e ora dormivano tutti, chi aveva abbassato le tende quando avevo guardato verso la casa? Certo, forse era stato solo il vento, magari c'era un vetro rotto, ma...

    «La donna era spaventata, in preda a una crisi isterica, il marito non ha saputo dirci molto perché sono stati via tutta la mattina; i ragazzi erano in casa, ma impegnati a giocare non hanno guardato fuori... la governante, al contrario, è stata molto loquace «... per tutta la mattina sono arrivate persone…» a cominciare da quello che dalla descrizione dovreste essere voi, Black, «... un uomo strano ma a modo suo elegante, che ho visto spesso entrare in quella casa... poi un vecchio, da solo, poi quattro o cinque persone tutte insieme, tutti uomini...» ha messo l'accento su questo particolare, come se ci fosse qualcosa di losco, di sicuro non vede di buon occhio Sherton «... Erano tutti vestiti di scuro, con pastrani lunghi e cappuccio a coprire la testa, nessuno di loro si era mai visto, a parte i primi due: il vecchio è un eccentrico, ha i capelli bianchi e lunghi, una giacca da camera stravagante, quasi femminile, sotto il mantello... Non ho visto uscire nessuno di loro, perciò, se non sono spariti nel nulla, come per Magia, tra quelle fiamme ci sono molti, troppi morti...»… »

Non commentai la logica della Babbana, né il giudizio di «strano ma elegante» che aveva osato rivolgermi, mi chiesi invece perché, al contrario degli altri, mi avesse riconosciuto, se avevamo tutti il volto coperto dal cappuccio: passando tutto il suo tempo a spiarci, aveva maturato l'abilità di cogliere dettagli importanti? Attraverso le sue descrizioni, avrei potuto dare un nome ai responsabili di quell'orrore? Moody ne sarebbe stato capace, anzi, forse c'era riuscito: mi chiesi che cosa si celasse tra i suoi appunti, quelli che non avrebbe condiviso con me, e perché, al contrario, mi leggesse proprio quelle parti della deposizione. Rabbrividii: pur senza un motivo concreto, ero certo che artefici di quella devastazione fossero, come al solito, mia nipote e suo marito e, di conseguenza, ne fossi indiretta causa io che, tacendo, avevo impedito fosse fatta giustizia, dopo Herrengton.
Moody stava accumulando prove delle mie sciagurate responsabilità e voleva lo sapessi?

    «…«... l'unico che ho visto uscire, poco prima dell'esplosione, è stato il figlio maggiore: non si vedeva da un mese, si è sposato... no, non mi sbaglio, non era suo padre, li so riconoscere...»… »

Moody mantenne insondabile la sua espressione, alla fine richiuse il taccuino su cui aveva trascritto le mie parole e da cui aveva letto gli appunti: avrei fatto di tutto per vedere cos'altro avesse scritto, cosa gli avesse rivelato quella dannata Babbana, perché mi rifiutavo di credere che Mirzam avesse...

    «Ora seguitemi... So che non è un bello spettacolo, soprattutto per chi non è abituato, ma ho bisogno che riconosciate il corpo che i Babbani hanno estratto dalle macerie...»
    «Che cosa? Il corpo? Quale corpo? Io? No io... io non…»

M'impuntai, non volevo seguirlo, ormai tremavo all'idea che la mano carbonizzata che avevo intravisto fosse di Deidra, ma Moody mi afferrò per un braccio senza troppi convenevoli, mi trascinò tra la folla nonostante le mie proteste finché, sulla neve accumulata lungo il marciapiede, dietro uno dei pollizotti sottoposti a Confundus, vidi il telo steso a terra e la figura celata dal sudario; rabbrividii quando notai il dettaglio di un piede o, meglio, del moncherino che ne restava, che sporgeva sulla neve mentre, accanto, dell'altro piede, c'erano solo brandelli anneriti di stivali di pelle di Drago, da cui emergevano croste di pelle nera di fuliggine e carne rosso sangue.
Sospirai, per lo meno, quella cosa non poteva essere Deidra, lei non portava certo stivali simili in casa, ma ripiombai subito nella disperazione più profonda, perché Alshain, invece, vanitoso com'era, possedeva un'intera collezione di stivali di Drago Nero e quella mattina ne indossava proprio un paio.

    «Avvicinatevi... e ditemi se, secondo voi, quest'uomo è chi molti presumono che sia...»

Moody era una sfinge, ma mi parve di cogliere una nota di sfida nel suo sguardo. Io mi chinai, le lacrime agli occhi, e non solo per il fumo acre che continuava a uscire dalla casa, sollevai il lenzuolo, fino al petto, non volevo guardare: se fosse stato Alshain, io... No, non volevo che l'ultimo ricordo del mio amico fraterno fosse quello, se possibile avrei tentato di riconoscerlo dalle vesti, ma ciò che mi trovai davanti era solo un ammasso di ossa annerite coperte da esigui brandelli di toga fumante, troppo poco per riconoscerla come quella indossata quel mattino. Riluttante, dovetti sollevare il sudario fino alla testa, tremando a ogni centimetro che andavo a scoprire, ma nemmeno i lineamenti esistevano più, le ossa erano in parte coperte solo dagli strati più profondi di carne carbonizzata, i capelli erano bruciati, eccetto radi ciuffi che sopravvivevano a chiazze sul cranio scheletrito, più chiari di quelli di Sherton, certo, ma non m'illudevo, il fuoco poteva averne alterato il colore.
Non riuscivo a cogliere alcun dettaglio che confermasse o escludesse che quell'uomo fosse Alshain, persino su ciò che restava del collo era impossibile dire se ci fossero mai state delle Rune.

    «Sherton ha lasciato l'anello del Nord al Ministero, e mi pare che oggi non ne avesse altri...»

Le parole dell'Auror mi distolsero dalla mia prostrazione, inattese dispensatrici di speranza; pregai, frugai e presi la mano sinistra, con delicatezza la sollevai per studiarla: non c'erano anelli, come non ne portava Alshain quando era uscito da Black Manor, ma mettendo a confronto quelle dita annerite con le mie, notai che la mano era stranamente piccola, Sherton era più alto e robusto di me, aveva mani grandi e forti. Presi anche l'altra e l'osservai, scrupoloso: sì, erano piccole rispetto alle mie e quel dettaglio non poteva essere causato dal fuoco; le tre dita centrali della mano destra, inoltre, erano spezzate tra la seconda e la terza falange, come se qualcuno le avesse forzate, ormai irrigidite, per portar via degli anelli.
Era un dettaglio importante, se avessi rivangato nella memoria forse sarei giunto a un nome e a un volto tra i conoscenti di Alshain, ma ero così sconvolto e al tempo stesso euforico, da non riuscire a trasformare quella confusa intuizione in un pensiero lucido e coerente; l'unica certezza era che quel corpo non apparteneva a Sherton. Tutto il resto non aveva importanza.
Sollevato, alzai gli occhi su Moody e negai con la testa, l'emozione m'impediva di parlare.

    «Grazie della conferma, Black, non ci avevo creduto un solo istante... se lo scopo era convincerci che questo fosse Sherton, spezzargli le dita, per di più della mano sbagliata, è stato un errore: durante l'udienza non aveva anelli, non c'era nulla da rubare... Per ottenere informazioni, poi, sarebbe stato più sensato minacciare la famiglia o sottoporlo a Imperius. La resistenza al dolore fisico dei Maghi della Confraternita non è una leggenda, abbiamo scoperto che perfino i metodi più utilizzati ad Azkaban con loro sortiscono scarsi effetti... Questo scempio è servito solo a impedirci la rapida identificazione del corpo... il corpo di un Mangiamorte!»

Moody si chinò accanto a me, prese il braccio del cadavere e lo ruotò piano, per non spezzarlo, con sorpresa vidi che, pur divorato in parte dalle fiamme, il ghignante Marchio dei Mangiamorte era impresso negli strati più profondi della carne e, ormai immobile, sembrava un'orrida bestia velenosa, finalmente morta. Nella mia mente, colto da illuminazione improvvisa, la confusione si diradò, compresi a chi appartenessero quei resti: nemico giurato degli Sherton... ricco collezionista di anelli... Mangiamorte.
Quasi dimenticai di essere dinanzi a un uomo pericoloso come Alastor Moody, persino il sollievo che non fosse Alshain passò in secondo piano, feci fatica a trattenere una risata, grande il tripudio in me, nel vedere morto e divorato dalle fiamme il mio peggior nemico.

    Eri solo questo, un'orrida bestia velenosa... e ora, spero tu ti stia godendo l'inferno, te lo sei meritato tutto, Lestrange!
   
*

    «Allora? Avete perduto la lingua, Black? Avete idea di chi possa essere quest'uomo?»

Mi riscossi, il ghigno di soddisfazione, che avevo celato con difficoltà chinandomi a guardare da vicino il cadavere di Roland Lestrange si trasformò nella solita espressione di disgusto e, rialzandomi, fulminai Moody con una delle mie abituali occhiatacce, cariche di disprezzo.

    «Credete forse che un Mago come me abbia a che fare con gentaglia simile, Moody? Non ho parole! Non conoscete vergogna! Mi avete fatto temere fosse Sherton, quando sapevate già che...»
    «Era un Mangiamorte, e noi non sapevamo se Sherton fosse seguace del Signore Oscuro!»
    «Sherton seguace di... Salazar! Voi non capite niente! Questo sarebbe il vostro modo di indagare? Gettare fango sulle persone per bene? Siete un branco d’inetti e non fate che provarlo!»

Avrei voluto insultarlo ancora, ma le mie parole e le mie minacce erano vuote, la furia che mi era montata dentro, per l'inganno subito, si era dispersa nel sollievo provato: mi ero avvicinato a quella casa con la disperazione nel cuore, ma ora, vedere il corpo di Lestrange, dilaniato dalle fiamme, infondeva in me la confusa speranza che Alshain fosse riuscito a reagire e a fuggire con i suoi cari.

    «Moderate le parole, Black e seguitemi... c'è dell'altro che vorrei mostrarvi... ma non qui...»
    «E dove? In casa? Siete pazzo! Andate pure, io non mi farò bruciare vivo là dentro, per voi!»
    «L'incendio è circoscritto a una stanza del secondo piano, quella di Mirzam Sherton, almeno così crediamo dagli oggetti rinvenuti: il Mangiamorte era lì; tutto il resto è una messinscena...»
    «Come sarebbe una messinscena? Vi avverto, Moody, ne ho abbastanza dei vostri scherzi!»
    «Sapete, vero, che i Mangiamorte gettano incantesimi Antismaterializzazione quando colpiscono? Sherton non aveva con sé l'anello, non poteva chiedere aiuto, e la Metropolvere pare sia scollegata... Siamo in piena Londra, però, e Sherton deve averla pensata per tempo: ha predisposto tutto per simulare lo scoppio di un incendio, contenendone persino gli effetti deleteri...»
    «Che cosa vorreste dire? Che è stato Alshain ad appiccare il fuoco alla casa? Perché? Non ha senso!»
    «Il fuoco è da sempre ciò che più mette in allarme i Babbani: se fossimo in difficoltà e chiedessimo aiuto, potremmo non riceverne, perché molti pensano solo agli affari propri... ma se gridassimo “Al fuoco!” avremmo l'attenzione di tutti. Sherton sapeva che, simulando con la Magia un incendio, avrebbe attirato l'attenzione dei vicini, i soccorsi sarebbero stati immediati e avrebbe costretto gli Obliviatori ad attivarsi subito, per la vistosa violazione del Trattato di Segretezza...»
    «Salazar! L'ho visto approntare negli ultimi mesi nuovi incantesimi difensivi in tutta casa, ma non immaginavo fosse per questo... Ha funzionato? Li avete soccorsi, vero? Dove sono? Sono feriti? Sono al San Mungo? Ditemelo! Me lo dovete, dopo tutto quello che mi avete fatto passare!»

Moody non mi rispose, il suo sguardo si fece duro, profondo, con un cenno si limitò a invitarmi a seguirlo, io sentii il cuore, che aveva appena accelerato il battito, preda della speranza, perdere all'improvviso un paio di colpi, la gola farsi secca, un brivido gelido corrermi lungo tutta la schiena.

    «...Sto indagando su degli omicidi per conto del Ministero...» Moody ha detto “omicidi”... al plurale... c'è qualcun altro, morto, oltre a Lestrange... qualcuno che non vogliono o non possono far uscire dalla casa... per questo vuole che lo segua... perché non hanno messo in salvo nessuno... perché quando sono arrivati non c'era già più nessuno da salvare... perché... Salazar... no... no... non tutti... non tutti... Salazar... no...

Ammutolito, preda di un tremore difficile da controllare, seguii l'Auror come un condannato al patibolo, mi feci largo tra i pompfieri babbani che, superata la finta massa di fuliggine, concentrata magicamente all'ingresso, restavano sulle scale, immobili, lo sguardo vuoto, ottenebrati dal Confundus, per poi rianimarsi e riprendere il loro moto perpetuo, dentro e fuori la casa. Attorno a noi l'aria era respirabile e non c'erano altri focolai d'incendio, ma erano evidenti le tracce della lotta e dell'esplosione, che a quel punto non sapevo più come spiegarmi: i soprammobili dell'ingresso erano stati distrutti dai Reducto e dagli Schiantesimi, il quadro di Ryanna e Tobias era liquefatto, residui del fuoco magico, visibile all'esterno, segnavano le pareti, superando l'altezza di Alshain.
Camminai in silenzio su un tappeto di cenere, vetri, cristalli, porcellane ridotti in pezzi finché, raggiunto il salotto, sulla mia schiena i peli si rizzarono, come da ragazzino, a Hogwarts, quando, a quattordici anni, avevo visto portar via il corpo della giovane uccisa nei bagni. A quei tempi, al pari dei miei parenti, avevo festeggiato la morte di quell'insulsa SangueSporco che, con la sua sola presenza, portava discredito a Hogwarts, le cui porte avrebbero dovuto aprirsi solo per chi, come noi, aveva Sangue Puro nelle vene; ora, però, quello stesso odio era stato riversato persino su un amico fraterno, uno Slytherin, che aveva fatto della Purezza di Sangue un cardine della propria vita.
Mi sentivo male: mi guardavo attorno e vedevo ogni cosa ridotta a un cumulo di macerie, ero così turbato e confuso da voler solo fuggire, fuggire da me stesso, avrei dato ogni cosa, per non pensare, per non vedere, per non ricordare. Per non aver mai aperto gli occhi su quell'orrore.

    Questa è opera del Signore Oscuro?
    L'esplosione è stata causata da Lui?

Non c'erano dubbi: non solo i Mangiamorte, anche Lui era stato lì, in quel salotto che era stato, per tutti noi, la scenografia dei nostri momenti più felici, di tante serate in famiglia, di chiacchiere, di risate di bambini, di musica e vino. Ora quel luogo, così violato e spezzato, non mi apparteneva più, né io gli appartenevo, non avrebbe più contenuto vita e risate, sarebbe stato per sempre solo l'orrido altare sul quale Lord Voldemort aveva sacrificato i miei amici, solo per celebrare la propria potenza. Tremai, spaventato, chiedendomi chi di noi sarebbe stato il prossimo, poi iniziai a girare per la stanza, di nuovo con l'assurda speranza che fosse un incubo e che prima o poi mi sarei svegliato.
Il soffitto, vicino alla portafinestra che dava sul giardino, era in parte crollato, attraverso il solaio lacerato riuscivo a vedere i danni alle stanze dei due piani superiori, un mobile della mansarda pareva sospeso nel vuoto, pronto a caderci addosso, attraverso la voragine che proseguiva anche nel pavimento e, superato il piano interrato, sprofondava nella viva terra; alzando gli occhi, attraverso uno squarcio sul tetto, vidi che ciò che era rimasto del Marchio in cielo, era perfettamente perpendicolare a quello sfacelo. Nella stanza, le pareti erano ricoperte da qualcosa di nero e viscoso, vivido, mai visto prima; tracce di bruciature si espandevano dal camino fino al soffitto e, a pioggia, ricadevano verso il basso; sul divano e sul tavolino, schiantati contro la parete, c'erano evidenti schizzi di sangue; tutti gli oggetti erano ammucchiati contro le pareti, fracassati al suolo, come se fossero stati lanciati dal centro della stanza in tutte le direzioni, i vetri al contrario convergevano nel mezzo del pavimento.
E lì, al centro, un'orrida macchia scura si allargava sul tappeto, informe, come i resti di una pira funeraria: mi avvicinai, ipnotizzato, mi chinai, allungai la mano e la passai per toccare la cenere, ma a parte i vetri, che mi tagliarono, non c'era nulla, la macchia era impressa a fuoco nel tessuto e, come le bruciature sull'arazzo dei Black, aveva bordi ancora caldi e fumanti.
Capii subito che non era stato il fuoco a imprimere quella macchia, ma la Magia, Magia Oscura.

    «Non sappiamo cosa sia, ma l'abbiamo già controllata, Black, lì non c'è traccia di residuo organico; con questo non voglio illudervi: la maggior parte delle vittime dei Mangiamorte sparisce senza lasciar traccia; in alcuni casi, sul luogo delle sparizioni, abbiamo trovato cose che prima non c'erano: alcune vittime sono state trasfigurate in oggetti, dopo essere state uccise, quando l'abbiamo capito, abbiamo usato dei contro-incantesimi e siamo riusciti a recuperarne i resti.»
    «Salazar... ma è atroce, per chi resta, vivere privi di certezze, sospesi tra incubo e speranza!»
    «Perché credete che lo facciano? Non per nascondere prove, uccidere fa parte della loro propaganda! L'incertezza produce il doppio del dolore nei superstiti e loro godono nel veder soffrire le proprie vittime! Per questo vi ho chiesto di seguirmi: se possibile, vorrei evitare che i figli, oltre al lutto, patiscano anche questo inutile stillicidio!»

Mi guardai attorno, fissai quelle macerie, compresi poco alla volta cosa volesse Moody da me, dovevo essere io a indirizzarli verso eventuali oggetti che non appartenessero alla casa; iniziai a fare no con la testa, inorridito: non credevo di esserne capace, a Meissa e Rigel doveva essere risparmiato quel dolore, ma la disperazione che provavo mi rendeva cieco. Sentii il panico salirmi lungo la schiena, gocce di sudore gelido mi bagnarono la faccia, il mio respiro si fece corto: stavo crollando, una voce in testa mi ricordava quanto fossi debole, inetto, come non avessi mai fatto nulla di buono, avevo addirittura dato il mio contribuito a quella strage, negando la verità su mia nipote. E ora avrei fallito di nuovo, non sarei riuscito ad aiutare i miei figliocci, li avrei visti crescere nel dolore, impotente.
Ero disgustato da me stesso ma, invece di reagire, mi lasciai andare alla follia, rifuggendo la verità che avevo attorno, negandola come fanno i bambini.

    «No, non vi credo. Chi mi dice che non sia un complotto? Com'è possibile che un uomo che ha predisposto tutto questo non sia riuscito a scappare? Io credo che voi mentiate, Moody: avete iniziato questa mattina, al Ministero con quelle assurdità sull'anello, per impedire ai Maghi del Nord di comunicare tra loro... era tutto stabilito dall'inizio... La Metropolvere era disattivata: chi può farlo a parte voi del Ministero? Avete spedito Alshain Sherton ad Azkaban, non è così? Comodo dichiararlo morto, ucciso dai Mangiamorte che non lasciano tracce: nessuno farebbe domande, tutti, rassegnati, piangerebbero e non vi chiederebbero conto! Ed io dovrei ufficializzare la cosa? Mai!»
    «Black, voi siete uscito di senno! Guardatevi intorno... guardate il Marchio in cielo...»
    «Pur di salvarsi dai Dissennatori, un Mangiamorte arrestato può averlo evocato per voi, per la vostra messinscena... è così che l'avete chiamata, no? Sherton è abile e astuto, l'ha dimostrato predisponendo tutto questo: c'erano Passaporte, nella casa, le ho viste con i miei occhi, so dove si trovano alcune di esse... non può essere morto così... voglio sapere cosa gli avete fatto!»
    «Black, calmatevi... io capisco... è difficile da accettare... ma... ascoltatemi... Sherton era abile e astuto, vero, ma tante cose potrebbero essere andate storte: forse, quando ha messo piede qui, i suoi familiari erano già morti e, sconvolto, è stato incapace di reagire... oppure è rimasto tagliato fuori dalle Passaporte, in trappola, sappiamo che era in inferiorità numerica... ha attivato gli incantesimi allestiti per chiamare i soccorsi, certo, ma Lui poteva essere già qui... o può essere arrivato prima di noi... Black, guardatevi intorno... aiutatemi a dare conforto a quei ragazzi!»

Non trovai le parole né la forza di replicare, a ogni parola dell'Auror sentivo la vita scivolarmi via dalle dita, perché dentro di me lo sapevo: Moody aveva ragione. Quel maledetto aveva ragione, non aveva senso illudersi, il Marchio che aleggiava sopra la casa e soprattutto il gelo che si respirava tra quelle pareti raccontavano un'unica storia. Una storia da cui era bandita la speranza.

    «Black... ascoltatemi... Stando alla deposizione della Babbana, un uomo che assomiglia a Mirzam Sherton si è allontanato, poco prima del nostro arrivo: crediamo fosse un Mangiamorte, vogliono far ricader sul ragazzo la responsabilità della strage... io prima non vi ho detto...»
    «Salazar... e se non si fosse trattato di un Mangiamorte? Se fosse implicato anche lui?»

Ero sconvolto, se fossi stato in me, non avrei mai pensato un'atrocità simile, ma avevo un macigno sul cuore e nulla aveva più senso: rabbrividii, un'onda di ricordi, gli anni più belli della mia vita, mi sommergeva, mentre la voce di Deidra piangeva “Non puoi pensare questo di mio figlio!”.

    «È ciò che il Dipartimento fingerà di credere, Black: il vostro figlioccio sarà considerato l'unico responsabile della morte dei propri congiunti, e l'unica vittima di cui si siano recuperati i resti, suo padre; in realtà, Mirzam Sherton è stato incastrato fin dall'inizio...»
    «Che cosa? E pur sapendolo, avreste il coraggio di lanciargli un'accusa simile? Vi rendete conto che così i ragazzi cresceranno con l'idea che il fratello maggiore, l'unico familiare che resta loro, sia l'assassino dei genitori? Non c'è già abbastanza orrore in tutta questa storia, Moody?»
    «Il Signore Oscuro vuole Herrengton. Il ragazzo è in fuga con Habarcat per impedirlo; appena saprà che il padre è morto, potrebbe uscire allo scoperto, affrontare il Lord e soccombere. E a questo punto, l'assassino dei vostri amici avrebbe vinto. È questo ciò che volete, Black? »
    «Mirzam Sherton non è un vigliacco! È come suo padre, è nato per guidare la Confraternita! Non sarà un'ignominiosa falsa accusa a tenerlo lontano dai fratelli, non nel momento del bisogno!»
    «È già stato stabilito: al momento della cattura, a causa della grave colpa di cui si è macchiato, Sherton sarà sottoposto al bacio del Dissennatore, alla presenza dei suoi stessi fratelli, e senza un processo... Speriamo che l'idea stessa di un orrore simile, lo faccia desistere dal tornare a casa... se starà alla larga, il Signore Oscuro non prenderà le Terre e tre dei figli del vostro amico saranno in salvo. Questa è l'unica strada, Black, l’unica… quanto ai ragazzi, non corrono rischi: non esiste luogo più sicuro di Hogwarts, finché Dumbledore ne sarà il Preside!»
    «Sì, l'ho visto dai lividi sul volto di mio figlio, quanto è sicura quella scuola! Se vuol costringere Mirzam Sherton alla resa, il Signore Oscuro si scatenerà sui ragazzi, indipendentemente da Dumbledore! E se tutta la vostra tattica si ridurrà a questo, Moody, infangare un innocente, state certo che accadrà ciò che vorreste evitare... Sapete perché? PERCHÉ VOI DEL MINISTERO SIETE SOLO DEGLI INETTI FIGLI DI PUTTANA! »

*

Mi morsi la lingua, ero furioso e disperato, non ero più in grado di mantenere il mio contegno, né, al momento, avevo la lucidità necessaria per essere di qualche aiuto: mi guardai ancora attorno, tornai a fissare la macchia, vidi con la coda dell'occhio Moody allontanarsi, borbottando «Siete sconvolto, Black... vi lascio solo, a riflettere, ne avete bisogno…», concedendomi così un po' d'intimità per salutare gli amici perduti e per iniziare a controllare un po' in giro, appena me la fossi sentita.
Respirando a fatica, mi chinai, portai la mano alle labbra per poi sfiorare quel tappeto in un bacio d'addio, il cuore invaso dalla pietà; non ero mai stato portato per la spiritualità, ma mi ritrovai a recitare a fior di labbra le preghiere che mi aveva insegnato mia madre, interrompendomi più volte, per l'emozione, e ritrovando il filo con molta difficoltà. Rimasi a lungo chino a terra, passando quei minuti eterni a spaziare con gli occhi tutt'intorno, senza vedere la realtà, ma i fantasmi di un mondo perduto, quando, all'improvviso, mi accorsi che forse le mie preghiere erano state ascoltate.
Qualcosa luccicava verdastro sotto un cumulo di vetri, a pochi centimetri dalla macchia, rapido allungai la mano e lo raccolsi, lo riconobbi subito, dalla fascia di oro rosso sul quale era incastonato uno smeraldo; mi si strinse il cuore ancora di più: avevo trovato l'Anello del Nord che Alshain aveva regalato a Deidra, quando la Strega aveva completato il Cammino, solo per amore del marito; lo ruotai nella mano, ne osservai l'interno, vidi le Rune incise, erano antiche e non riuscivo a leggerle, sapevo però che recavano i versi che Alshain le aveva scritto, convincendola della sincerità del suo amore.
Tornai con la memoria a quella lontana mattina radiosa, il sole sorgeva lieve dalle acque, l'aria salmastra permeava la grotta di Salazar, a Herrengton, confondendosi con l'odore della cera fusa e delle piante rituali, bruciate nei bracieri; Deidra, vestita di bianco, era scesa dalla barca e un Mirzam piccolissimo, ritto sulle sue gambette paffute, le era corso incontro, sulla spiaggia, dandole il benvenuto nelle Terre del Nord, sotto lo sguardo orgoglioso di un Alshain mai tanto emozionato.

    Siete qui... dove tutto è iniziato, tutto è finito... i miei migliori amici… uniti per sempre nell'amore e nella morte...

Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ero inerme, completamente vinto; un moto di orgoglio mi fece tremare, un Black non si faceva mai vedere debole, ma quello che stavo vivendo era troppo anche per me, troppo. M’imposi la calma, sospirai, cercai di ricompormi, riuscendoci con molta fatica.
Trovare quell'anello significava mettere da parte ogni speranza, Deidra non se ne separava mai, ma anche se ora mi sentivo svuotato e lasciarmi andare sembrava l'unica possibilità che avessi, dovevo resistere, per Alshain e Deidra, che avevano contato su di me e che non intendevo deludere ancora. Non c'era più nulla che potessi fare per loro, ma per i loro figli sì: sarei partito immediatamente per Hogwarts, ero il padrino dei ragazzi, non avrei lasciato che la verità fosse raccontata loro da un estraneo, né avrei permesso che i fratelli Sherton fossero divisi dalle menzogne che il Ministero avrebbe scaricato su Mirzam.

    Mai.

Quella sarebbe stata la parte più facile, il mio vero intento era trovare il modo di metterli in salvo, sottraendoli all'odio e alla persecuzione del Signore Oscuro: Alshain aveva protetto la carne della mia carne dalla furia assassina della mia famiglia, io avrei fatto altrettanto. Non sapevo ancora come, ma sapevo a chi chiedere aiuto: mi ero arrabbiato moltissimo con lui, quando mi ero reso conto del ruolo che aveva svolto nella bravata di Andromeda, ma se c'era una cosa in cui Alphard Pollux Black, mio cugino e cognato, era un fenomeno, era la capacità di agire di nascosto e di portare sempre a casa il risultato, qualsiasi folle iniziativa si mettesse in testa. Se gli avessi chiesto aiuto per far fuggire i ragazzi, mi avrebbe aiutato con entusiasmo, conoscevo le sue idee anticonformiste, l'avrebbe presa come una causa lodevole e alla fine nessuno avrebbe più capito dove cercarli.
A me sarebbe spettata l'altra parte del piano, convincere i giovani Sherton a desistere dai propositi di vendetta, e quello, la negoziazione, era da sempre il mio campo: sapevo come gestire Mirzam, il pensiero del bene di Sile l'avrebbe portato ad agire con cautela, inoltre era un fiero Mago della Confraternita, avrebbe sentito su di sé il peso del dovere e il primo dovere di uno Sherton era sopravvivere, per la sua famiglia e per la sua gente. Rigel, invece, sebbene mi piacesse addirittura più dei fratelli, sarebbe stato un problema serio, perché era una testa calda, ben peggiore persino del padre alla sua età, e come lui ribelle a ogni imposizione della tradizione. Infine Meissa, di tutti loro la vera incognita: se i sogni di Alshain avevano un fondo di verità, non sarebbe stato semplice sovvertirne il destino, e il repentino mutamento della sorte che, così piccola, stava vivendo, poteva contribuire a influenzarne negativamente l'indole ancora in formazione.
Quanto ai bambini, dovevo scoprire se erano stati uccisi anche loro o se erano stati rapiti proprio per costringere Mirzam ad arrendersi. Tutti i giovani Maghi erano segnati dalla Traccia, sarebbe stato difficile per i rapitori celare a lungo dove fossero nascosti... d'altra parte, Alshain si era servito di certi incantesimi proibiti per celare Margaret al controllo del Ministero, era impossibile che il Lord Oscuro non ne conoscesse di simili e persino di più potenti.
Tanto più che quei bambini erano potenzialmente importanti: uno di loro poteva essere il nuovo erede di Hifrig, e se così fosse stato, il Signore Oscuro non avrebbe avuto remore a plagiarlo per sfruttarne il potere a proprio vantaggio.
Stavo di nuovo sentendo il mio coraggio vacillare, al pensiero di questa nuova, orribile prospettiva, quando qualcosa rimbalzò a terra e risuonò, cristallino, nel silenzio: a poca distanza dai miei piedi vidi una pietrina, simile a un granello di asfalto babbano, lo raccolsi, irritato con la dannata feccia che stava profanando la purezza di quella casa, ma quando stavo per gettarlo fuori dalla finestra, infuriato, lo sentii vibrare tra le dita. Lo guardai...

    Salazar...

Benché annerito e parzialmente opaco, chiaro segno che aveva quasi esaurito la propria Magia, non poteva che essere un piccolo diamante di Javannah, una pietra magica utilizzata per creare potenti Talismani contro malattie e influenze negative, capace di assorbire su di sé “fatture e maledizioni, prima di annerire del tutto e spezzarsi alla morte del Mago che lo possedeva”: la sorpresa mi mozzò il respiro, la mente, rapida, tornò indietro nel tempo, alla festa di presentazione di Wezen, ai miei figli che consegnavano un astuccio agli Sherton, a Walburga che ritirava con me quello stesso astuccio da Yuket... alle settimane passate a studiare i manuali antichi, alla ricerca del dono perfetto.

    Io penso a quale possa essere la sorte di Wezen ed ecco apparire uno dei diamanti che gli ho donato, a confermarmi che il piccolo è vivo… Si tratta di Destino, Fortuna o di Magia? Una Magia di Alshain? Il Signore Oscuro ha salvato entrambi i bambini o ha scoperto che è Wezen, l'erede che cerca? Salazar... ci sarebbe un solo modo per Lord Voldemort di verificare chi dei due...

Con un occhio alla porta, controllai tra i vetri se ci fossero gli altri sei grani del medaglione donato al bambino poi estrassi la bacchetta e li evocai, con un incantesimo non verbale, invano.

    «Era nella mia tasca, Black... e no... in tutto il resto della casa, non ne abbiamo trovati altri…»

Rimasi immobile, colpito e affondato, di nuovo, da quella dannata voce.

    «Ci ha sorpreso trovare quest’oggetto, però, non pare aver sorpreso voi... cosa ne sapete di questi diamanti di Javannah, Black? »
    «Non so di cosa parliate, Moody... »
    «Davvero? Ho mandato Potter da messer Yuket, il folletto-orafo presso il quale si serve la vostra famiglia: la storia di quella pietrina si è intrecciata alla vostra un anno e mezzo fa, dico bene?»
    «Anche se fosse? Non è reato fare doni ai propri figliocci, e fino a prova contraria, quella pietra ha un grande potere, ma non si tratta di Magia Oscura: i diamanti di Javannah funzionano solo se donati e il loro potere è tanto più forte quanto più intenso e sincero è il legame tra le parti.»
    «Certo, ma di solito sono montate su medaglioni, in numero di tre, cinque o sette, non sono incastonati singolarmente negli Anelli del Nord: quali sono gli effetti della loro Magia combinata?»
    «Che cazzo ne so? Io ho regalato un medaglione con sette grani, non so nulla di Anelli del Nord! »
    «E dovrei credervi, Black? »
    «Non me ne frega un accidenti se mi credete o meno, sono stufo di voi! »
    «Alshain Sherton ha ordinato a Yuket di smontare il medaglione e incastonare i sette grani ognuno in un anello: il proprio, quello della moglie e i cinque dei figli... l'ultimo è in lavorazione proprio ora, per la cerimonia delle Rune della bambina. Il diamante che tenete in mano era incastonato nell'anello che vi abbiamo fatto trovare tra i vetri, quello che vi ha pesantemente commosso... di chi è quell'anello, Black? È un po' troppo grande per appartenere a un bambino di quindici mesi... troppo anche per appartenere a una donna... e mi sono fatto portare ora quello di Sherton dal Ministero, eccolo qui... quelli di Meissa e Rigel sono a Hogwarts... resta solo quello di Mirzam Sherton, o mi sbaglio? Ditemi, Black: dove si sta nascondendo il ragazzo? L'ho scagionato e sono sicuro della sua innocenza, ma questo non significa che non abbia molte cose da spiegarci!»
    «Andate al diavolo! Sono stufo dei vostri trucchi, cercate di confondermi e perdete tempo con me, a inseguire fantasmi, quando là fuori ci sono degli assassini che se la ridono di tutti noi!»

Non sapevo di cosa diavolo stesse parlando Moody e nemmeno m'importava delle sue paranoie, non era da me reagire in maniera scomposta, ma ero ormai al limite della sopportazione umana: non capivo cosa c'entrassero i diamanti con l'anello, non sapevo se Sherton li avesse distribuiti tra i suoi cari per proteggere tutta la famiglia, sapevo solo che Mirzam non c'entrava nulla, che quell'anello apparteneva a Deidra, e volevo essere lasciato in pace.
Guardai di nuovo quella verghetta, era vero, era più grande del lecito, come se qualcuno l'avesse ingrandito, ma, per Merlino, era l'anello di Deidra!

    «Per Merlino e tutti i fondatori... Salazar, sì... è così che sono riusciti a entrare! L'anello!»
    «Di cosa state parlando, Black? Dove credete di andare?»
    «Ascoltate... Sherton sapeva di correre rischi lontano da Herrengton, ma il Ministero aveva costretto lui e Deidra a trattenersi a Londra, dopo la morte di Longbottom; allora Alshain ha perfezionato le protezioni della casa, rendendo impossibile l'ingresso agli indesiderati. I Mangiamorte hanno atteso l'occasione del processo per cogliere Deidra da sola con i figli, devono aver saputo della riunione che c'era oggi per Adhara e l'hanno mandata a monte, hanno ingannato o affatturato la Strega, perché si privasse dell'anello e con quello hanno aggirato gli incantesimi di protezione: per questo l'anello è più grande, perché uno di loro è riuscito a indossarlo. Dove avete trovato l'anello? Di sopra con il morto? Forse è per togliergli questo che gli hanno spezzato le dita, ma è stato inutile, perché i diamanti funzionano solo con i legittimi proprietari! Vi dirò di più, mi è stato riferito da Jarvis Warrington che il decano McFiggs è sparito ieri pomeriggio: quel vecchio Mago aveva insegnato a Deidra i misteri del Cammino del Nord, godeva perciò della sua piena fiducia, a lui Deidra avrebbe affidato il suo anello, se gliel'avesse chiesto per un buon motivo. Probabilmente i Mangiamorte l'hanno catturato e Imperiato o forse, l'hanno ucciso per poi assumerne l'identità e introdursi qui: il Mago anziano che la Babbana ha visto entrare dopo di me. Mentre Sherton era con me al Ministero, privato del suo anello, il commando si è introdotto in casa e ha preso in ostaggio Deidra e i bambini. Ritornato a casa, Alshain ha combattuto e disperso gli aggressori, uccidendone uno, poi è fuggito con la famiglia senza usare metodi rintracciabili dal Ministero, visti gli ultimi avvenimenti, non si fida più di voi, come potrebbe? Tutto torna, dobbiamo trovarli! Così avrete finalmente il vostro elenco di delinquenti da arrestare!»
    «E la Strega? I bambini? La Babbana ha visto uscire un solo uomo...»
    «L'anello ammaccato dimostra che Deidra è ferita, forse Alshain ha ordinato agli Elfi di portare Deidra e i bambini direttamente a Herrengton...»
    «E perché non sarebbe dovuto andare con loro? Perché fuggire in strada, invece di usare le Passaporte non registrate di cui nessuno sapeva l'esistenza? E soprattutto perché fingersi Mirzam? Dopo tutta la fatica fatta per scagionarlo, ora su di lui pende addirittura una sentenza di morte! Inoltre, se a uccidere è stato Sherton, chi e perché avrebbe lanciato il Marchio sulla casa?»
    «Non lo so... magari in questo momento Sherton sta facendo ciò che dovreste fare voi: bussare alle porte giuste e spaccare la faccia a certi soggetti che aggrediscono donne e bambini inermi… io vi dico, Moody, che quest’anello appartiene a Deidra Sherton, e se quello è il suo diamante, allora lei è ferita, ma è ancora viva... se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo trovarla... e dobbiamo capire dove sono i bambini: sono una merce preziosa per Milord, con i bambini in suo potere, può ricattare Mirzam, ma soprattutto, uno dei due può essere il famigerato successore di Hifrig... se foste in lui, voi vi privereste di quest'ulteriore fonte di Potere? Non credo... Io so che sono vivi... dobbiamo trovarli!»
    «Pur con delle pecche, questa storia ha un senso, Black... e spiega alcuni aspetti che non comprendevamo... c'è ancora una cosa, però… qualcosa che non vi ho fatto vedere…»

Moody guardò ancora la macchia al centro del tappeto, dal primo momento mi aveva attirato, così come pareva attirasse lui, c'era qualcosa di terribile e al tempo stesso familiare e affascinante, ma non riuscivo a capire cosa fosse; l'Auror puntò il suo legno su una cassapanca accatastata contro il muro, la rimise in piedi, ci salì sopra, guardò il pavimento, ma fece no con la testa.

    «Moody, dannazione, che cosa state facendo? Non c'è tempo per le vostre stronzate!»
    «Specula! Vingardium Leviosa!»

Puntò la bacchetta contro il soffitto, lo stregò così che riflettesse come fosse uno specchio, scese dalla cassapanca e la fece levitare fino alla parete, per avere la vista completamente libera.

    «Depulso!»

Stavolta puntò la bacchetta contro il pavimento, per liberare il tappeto e la macchia da tutti i vetri e qualsiasi altra cosa fosse sopra il tessuto bruciato: iniziai a capire, voleva avere la vista completamente libera, per studiare quella forma in tutta la sua interezza. Al suo posto l'avrei anche ingrandita, così puntai e recitai l’incantesimo, tutto pur di finirla subito...

    «Engorgio...»
    «Bene… ora ditemi, Black, che dannata Magia Oscura è questa? Quando siamo arrivati, questa cosa si alzava ancora a quasi un metro da terra, poi è stata come assorbita dal pavimento...»

Io però non lo ascoltavo più, mi stavo estraniando da ogni cosa fosse intorno a me, gli occhi fissi sul soffitto, attonito, il cuore in tumulto, brividi di gelo lungo la schiena: aveva l'aspetto di una corona di fiamme, rossa e vivida di sangue, e pulsava simile a un cuore estratto dal petto.
L'avevo già vista: trent'anni prima, qualcuno aveva aggredito Alshain Sherton in un bagno di Hogwarts, io l'avevo trovato riverso nell'acqua insanguinata, e quella cosa, impalpabile, sembrava pulsare tutto attorno a lui; nessuno dopo di me aveva visto, perciò mi ero convinto fosse stato frutto solo della mia immaginazione di adolescente. Sul corpo di Sherton non c'era alcuna ferita, ma aveva stentato a lungo a riprendersi, per la quantità smisurata di sangue che aveva perduto, se non l'avessi trovato in tempo, disse il preside Dippet, sarebbe sicuramente morto. Quando mi convocò in infermeria per ringraziarmi, trovai il vecchio Donovan Sherton, allucinato e assente, che si dondolava sulla sedia accanto al figlio; andai a sedermi di fronte a lui, il Mago poggiò le sue mani ossute e piene di Rune sulla mia testa e mi sondò gli occhi con i suoi, parevano mercurio liquido, un mare in tempesta. Con voce flebile, aveva iniziato a cantilenare una nenia in gaelico, ripetendola un'infinità di volte, come fosse una preghiera, quando smise, gli chiesi cosa significasse, ma continuò a ignorarmi; diversi anni più tardi, riuscii a tradurne le parole, per conto mio, probabilmente sbagliando, visto che la mia conoscenza del Gaelico si limitava a formule per far colpo sulle ragazze irlandesi e parolacce e volgarità per azzittire quella peste di Alshain.

Corona di fiamme, grondante di sangue,
Alta nei secoli il Maestro ergerà
Se la Magia l'un contro l'altro
Gli Eredi evocheranno.

All’epoca non avevo capito il significato, ero giovane e non avevo fatto i collegamenti tra le dicerie sull'Erede di Salazar, che aveva causato la morte della SangueSporco, un anno prima, e l'aggressore di Sherton, visto che il mio amico era un Mago purosangue; inoltre, in quella prima fase della nostra amicizia, tra me e Alshain gli argomenti erano i più diversi, ma della Confraternita non parlavamo mai, lui odiava tutto ciò che era una fissazione per suo padre e per suo fratello.
Alla fine avevo accantonato tutta quella storia come una follia del Nord, anche Alshain liquidava spesso, così, ciò che era a cuore a suo padre, e non ne parlai mai con nessun altro, lasciando che tutto giacesse nella memoria, perché ero, da sempre, geloso della mia amicizia con Sherton e non volevo offenderlo introducendo estranei in un mondo che era solo nostro.
Un giorno dell'inverno precedente, però, nel capanno di Amesbury, Alshain si era tolto la camicia di fronte a me e mi aveva mostrato il fianco: un’ampia porzione di carne, nascosta dalla piega del braccio, sembrava marchiata a fuoco, come quella degli animali cui s’imprimono le iniziali del proprietario. Sul suo corpo, decorato dalle linee precise e nere delle Rune, quel rilievo pallido sulla carne quasi non si vedeva ma, da vicino, ricordava due serpi avvinghiate l'un l'altra a formare una specie di cuore pulsante, al centro di una corona fiammeggiante. Alshain aveva detto che da quando il Signore Oscuro cercava in ogni modo di contattarlo, quell'antica piaga, che per decenni non aveva manifestato la propria presenza, sembrava pulsare vivida, togliendogli il sonno ed evocando in lui immagini orribili; aveva cercato nelle pergamene antiche l’incantesimo per liberarsene, scoprendo invece una verità agghiacciante: benché nessuno sapesse più che forma assumesse, esisteva un Marchio con cui l'erede di Salazar si rendeva riconoscibile solo all'erede di Hifrig Sherton, e per la legge di Salazar Slytherin, Sherton doveva rispondere e piegarsi al volere del suo Signore.
Ora ritrovavo quella corona di fronte a me, ormai quasi esaurita, restavano pochi istanti prima che sparisse completamente nel pavimento: Alshain non si sbagliava quando sosteneva che Tom Riddle, colui che l’aveva aggredito da ragazzo, e il Lord Oscuro fossero la stessa persona, davanti a me pulsava la prova, l'Oscuro Signore era l'Erede di Salazar, era il Mago che la Confraternita attendeva da oltre mille anni. Era il Mago cui Alshain Sherton, secondo la tradizione, doveva la sua assoluta e completa fedeltà, il Mago cui avrebbe dovuto consegnare la Fiamma di Habarcat e aprire le porte e la Magia di Herrengton. Alshain e la sua famiglia ne erano solo i custodi, Milord, Lord Voldemort, Tom Riddle o come lo si volesse chiamare, ne era invece il legittimo proprietario, sangue del sangue di Salazar. Chiunque si fosse opposto, chiunque avesse negato questa verità, sarebbe stato un traditore, per la Confraternita, per gli Slytherin, per Salazar stesso. Il Lord aveva infine ricevuto l’investitura che da tanto reclamava davanti ai suoi uomini, dalle mani di Alshain stesso.
Non avevo la forza di chiedermi che cosa ne fosse stato di lui.
Affondai le mani nei capelli e mi lasciai scivolare lungo il muro, fino a terra. Le tempie pulsavano.

    È infine giunto il tempo del sangue... la guerra ha inizio...


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, questo capitolo è la fusione di un breve capitolo bonus dedicato a Annabelle Flannery e della seconda parte di "Il sangue di Salazar".
Meissa descrive i fratelli Flannery la prima mattina che si sveglia a Essex Street, mentre giocano a tirarsi le palle di neve, Mirzam fa più volte cenno alla signora Mortimer, la babbana impicciona della casa di fronte, e infine tutta la famigliola, giudice e gentile consorte al seguito, sono visti da Meissa mentre prendono un taxi per il veglione di San Silvestro. Il loro ruolo nella storia diventerà evidente solo in seguito, ma Orion doveva puntare lo sguardo sul loro lato di Essex Street, quindi dovevo spiegare in anticipo chi aveva di fronte. Per chi conosce la serie Doctor Who, avrete notato i numerosi riferimenti: una puntata di DW fu realmente trasmessa dalla BBC nel pomeriggio del 15 gennaio 1972, come tutti i sabato, quindi me ne sono servita per dare realismo a questi ragazzini babbani. Riguardo alla seconda parte del chap, non ricordo mai se Tom Riddle è nato il 31 dicembre del 25 o del 26: se è del 26, è un anno più giovane di Walburga, ed essendo nato in dicembre, dovrebbe essere andato a scuola nel 1938, quando mancava poco al compimento dei 12 anni... supponendo che Alphard Black sia nato due anni dopo Walburga e due anni prima di Cygnus, è probabile che i due ragazzi siano andati a scuola insieme; Orion, del 1929, è andato a scuola nel 1940 e Alshain, del 1931, nel 1942... queste date servono a fissare gli eventi che sono presenti qui e nel prossimo capitolo. Nel canon si dice che Voldemort aprì la camera durante il 5^ anno, quindi quando Orion faceva il 3^ e Alshain il 1^ ; con Mirtilla e il diario, creò il suo primo Horcrux. Nell'estate del VI-VII anno, dovrebbe aver ucciso il padre e i nonni e creato il secondo Horcrux, l'anello di Gaunt. I diamanti di Javannah, infine, sono un'invenzione buttata lì nel capitolo 3, ma li abbiamo visti anche durante l''intermezzo di Mirzam quando ho raccontato di come Alshain avesse fatto incastonare queste pietre magiche all'interno degli anelli dei suoi familiari. E ora vi saluto, ringrazio chi ha letto, aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, recensito... A presto

Valeria



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