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Autore: _hush    03/02/2013    7 recensioni
« Non so se è una storia da raccontare, in verità.
Non posso nemmeno dirvi con precisione il motivo per cui lo faccio.
Non posso dirvi se sia una storia d'amore felice, né so nemmeno se sia completamente una storia d'amore.
E' una storia. »
Dal capitolo sedici.
Lo abbandonai sul comodino e mi sdraiai, cercando di districare le coperte da buttarmi addosso. Dopo esserci riuscita, affondai la guancia nel cuscino, fissando il solitario scattare dei minuti della sveglia.
Mezzanotte meno tre.
Mezzanotte meno due.
Mezzanotte meno uno.
Il cellulare squillò.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Soundtrack: Youth, Daughter (http://www.youtube.com/watch?v=VEpMj-tqixs)





16.  Memory





Shadows settle on the place that you left./Our minds are troubled by the emptiness./Destroy the middle, it’s a waste of time/from the perfect start to the finish line./And if you’re still breathing, you’re the lucky ones/’cause most of us are heaving through corrupted lungs.
Le ombre rimangono nel luogo che hai lasciato.
Perdi un’ombra ogni volta che te vai, non credi anche tu?
 
Uscii dall’aula fredda, tirando sgarbatamente su con il naso. Mi riaggiustai i capelli che persistevano nel venire davanti a coprirmi il viso e mi diressi verso la mensa, a passi lenti e svogliati. Avremmo fatto le solite conversazioni di sempre, con le persone di sempre. Persone che diventavano di giorno in giorno più simili quelle che avevo abbandonato senza un saluto a Milano.
Raggiunsi il tavolo abbastanza affollato,dove già Poppy, James ed Hannah erano seduti, facendomi strada tra la massa di studenti. Presi posto di fianco a James, lasciandogli un sorriso distratto.
Iniziai a sistemare il cibo sul vassoio con una certa meticolosità, in modo che non mi desse fastidio. Aprendo la bottiglietta d’acqua, presi a mordicchiarmi il labbro inferiore. Lo sentivo ancora bruciare. D’improvviso, mi sembrò di provare di nuovo la sensazione delle sue mani, così calde, sulla pelle scoperta dei fianchi, sul collo e sul viso; dei suoi capelli morbidi, del suo respiro; dei suoi occhi verdi incredibilmente limpidi. Cristallini, che non riuscivano a mentire, come il suo sorriso, come lui.
«Belle, torna a terra». La voce di Poppy mi distrasse dalla mia distrazione, con una nota maliziosa che forse mi immaginai.
«No».
La vidi sporgersi sul tavolo con la coda dell’occhio, agitata per una sua qualche motivazione recondita. Mi schiaffeggiò una mano e poi la afferrò con una certa violenza, portandola verso quella abbronzata di una ragazza che, a quanto pareva, era seduta di fronte a me e che prima non avevo notato.
Era più piccola di noi, quasi sicuramente. Lo si poteva capire dai suoi tratti ispanici più morbidi, ancora vagamente infantili. Aveva vestiti semplici ma curati, una passata di rosso sulle labbra e occhi neri ben truccati, incorniciati da sopracciglia dritte e scure come i lunghi capelli lisci. Quasi tutto in lei sembrava costruito per sembrare più grande di quanto fosse in realtà, ma la ragazza, evidentemente, non capiva che sarebbe stato sufficiente solo il suo sguardo a lasciar intendere che dentro, lei era vecchia e stanca come noi.
O, almeno, come me.
Strinse la mia mano fredda con un’ossimorica forza spossata. «Clara, piacere». Quasi istintivamente le regalai un sorriso largo.
 
Da un po’ tentavo di concentrarmi sul libro di una materia che non mi interessava affatto. Stava lì, aperto sul pavimento in legno scuro della mia camera, cercando di confondersi tra gli altri fogli e tomi sparpagliati in un sensato disordine, e fallendo poveramente.
Presi a chiedermi per quale motivo non avrei potuto mollare tutto in quell’esatto instante e andarmene via. Poi, il motivo chiamò al cellulare.
«Ciao, mamma».
La cornetta già gracchiava fastidiosamente. «Isabella! Finalmente mi rispondi, avresti potuto considerarmi anche prima».  Risentire la voce di mia madre dopo più di due mesi mi fece lo strano effetto di riportare a galla vari flashback della mia vita che avrei gradito non vedere più.
Inspirai, cercando di non sbatterle la chiamata in faccia. «E’ la prima volta che chiami. Per favore». Soffocai gli insulti che mi nascevano spontanei.
Ci fu un momento di silenzio, nel quale probabilmente stava cercando un’altra cazzata da inventarsi. «Ah, davvero?» buttò lì distrattamente. «Potevi chiamare anche tu».
«Sono stata molto occupata». Il senso di irritazione cresceva di secondo in secondo. Afferrai con rabbia il pacchetto di sigarette e feci le scale a passi pesanti, per uscire in giardino. Passando dalla sala, mi resi conto di quanto fosse bianca e fredda.
«Brava, stai studiando …» rispose lei, già persa nel fare qualcosa di differente dal prestarmi attenzione. «Come va per il resto, cara?»
Emisi un verso sarcastico. Aprii la finestra dalla maniglia gelata e andai fuori, nella luce tiepida e confortevole del pomeriggio. «Bene. Qui sono molto felice». Mi stropicciai gli occhi stanchi, tirando di nuovo su col naso.
Mi accesi una sigaretta.
«Oh, come sono contenta!» ridacchiò. Sentii che aveva iniziato a trafficare con dei bicchieri. «E dimmi un po’, ti sei rifatta il ragazzo?» Il tintinnio proseguì.
Istintivamente, guardai a destra, verso quella siepe che mi separava da Harry. Il mio sguardo scivolò sul buco che ancora nessuno aveva riparato. Le labbra mi bruciarono ancora e mi ritrovai in una giornata di sole a fissare per la prima volta quei troppo limpidi occhi verdi, ridendo.
Le labbra mi bruciarono ancora e mi ritrovai sul suo divano a guardare confusa la tua testa assopita sul mio grembo, frenando la tentazione forte, troppo, di toccarlo.
Le labbra mi bruciarono ancora e mi ritrovai a fissare le stelle.
«No».
Mia madre finì di buttar giù il bicchiere d’alcol che si era preparata. «Non ti preoccupare, cara. Sei così bella, qualcuno si innamorerà di te …» lei continuò a parlare, ma le sue frasi si dissolsero in una nuvola di fumo aromatizzato alla vaniglia.
 
 
We are the reckless/we are the wild youth/chasing visions of our futures/one day we’ll reveal the truth/that one will die before he gets here./ And if you’re still bleeding you’re the lucky ones/’cause most of our feelings, they are dead and they are gone.
 
Era quasi mezzanotte.
Fissavo con sguardo vacuo la tela appoggiata sul pavimento, davanti a me. Toccai quella macchia di colore ad olio lì accanto e che non sarebbe mai venuta via.
Posai di nuovo gli occhi sulla tela, dove spiccavano solo i primi tratti di matita. La coprii comunque con un vecchio lenzuolo e mi allontanai. Andai verso il letto, cercando la maglietta che usavo come pigiama fra le coperte ammucchiate, e mi cambiai velocemente.
Rimasi seduta per qualche secondo sul letto, nella camera illuminata solo dal lampione al di là della finestra, nella strada deserta. Presi in mano il cellulare gettato vicino a me e lo guardai ancora, aspettando un messaggio che non sarebbe arrivato.
Dopo cena, Poppy aveva chiamato. Era così curiosa di sapere cosa fosse successo il giorno prima, curiosa di sapere cosa ne pensavo, come mi sentivo, quali intenzioni io e lui avessimo. Ed io mi ero sentita così oppressa da quelle domande, perché non sapevo cosa rispondere, perché non avevo una risposta vera a nessuno di quei punti interrogativi, e mi sentivo oppressa da Poppy e dalla sua preoccupazione assidua che era però una delle poche cose ancora certe e che mi stavano salvando.
Guardai profondamente male quell’ammasso di chip e fili la cui unica colpa era quella di essere stato acquistato da me.
Lo abbandonai sul comodino e mi sdraiai, cercando di districare le coperte da buttarmi addosso. Dopo esserci riuscita, affondai la guancia nel cuscino, fissando il solitario scattare dei minuti della sveglia.
Mezzanotte meno tre.
Mezzanotte meno due.
Mezzanotte meno uno.
Il cellulare squillò.
Lo guardai sorpresa, e risposi solo dopo un po’.
«Harry?».
«Affacciati». Di nuovo, come sempre, aveva il sorriso nella voce roca.
Mi alzai a sedere e guardai fuori dalla finestra, da dove arrivava la luce riflessa sulle mie gambe pallide. Gattonai sul letto fino a che non raggiunsi il bordo più vicino alla finestra.  Scesi lentamente e guardai giù.
E di sotto, in mezzo all’asfalto nero, c’era Harry, in pantaloni del pigiama e vecchio maglione. «Vieni giù!» gridò, senza importarsene del fatto che magari fosse strano, o che poteva svegliare qualcuno. Sembrava che il mondo fosse vuoto, immobile, e fossimo vivi solo noi due.
Sbattei un paio di volte le palpebre, poi mi allontanai di scatto, afferrai un maglione e scesi di sotto, cercando quasi freneticamente un paio di scarpe e la borsa. Buttai tutto all’aria, e mentre stavo per uscire tirandomi dietro la porta, mi resi conto che ero stanca e anche assonnata, e che quello che stavo facendo non aveva senso; non solo in quel momento, ma tutta la relazione con Harry non ne aveva, neanche un briciolo: non aveva un progetto, una direzione, non aveva mai avuto un inizio determinato né –sapevo- avrebbe mai avuto una vera fine. E forse era questo, e lì lo ammisi per la prima volta, che rendeva lui e la nostra relazione diversi da tutto quello che avevo vissuto. Diversi: non so dire se significasse migliori.
Allora lì, ancora sulla soglia della mia casa, mi fermai un attimo, mi sistemai i capelli e misi a posto la borsa. Poi chiusi la porta alle mie spalle e guardai Harry in quella strada che mi ricordava un mucchio di cose, gli sorrisi come fece lui e gli corsi incontro, accompagnata dall’eco di passi sull’asfalto e dalla mia risata.
 
Eravamo in un piccolo parco per bambini.
Si vedeva poco, perché i lampioni erano lontani; ma distinguevo benissimo la figura di Harry che si dondolava sull’altalena di fianco alla mia.
Iniziai ad arrotolarmi su me stessa, cercando di non incastrare le dita nella catena d’acciaio. Quando raggiunsi il limite, mi lasciai andare con un grido, mentre tutto intorno girava troppo veloce. Harry rise, e quando mi fermai si spostò verso di me e mi prese le mani, facendomi alzare e tirandomi verso di lui. Mi sedetti sulle sue gambe e mi diede un bacio. Sorrisi sulle sue labbra e mi alzai.
Presi fuori dalla borsa una macchina fotografica usa e getta e gli scattai un paio di foto, illuminando il parchetto con il flash.
«Giochiamo a nascondino?» chiese, con una nota così poco innocente da stonare nell’ambiente in cui eravamo.
Sollevai le spalle, fissandolo negli occhi. «Tanto hai già vinto». Gli sorrisi. «Conta fino a venti» gli suggerii. Mi avvicinai per chiudergli gli occhi, poi mi allontanai e iniziai a correre ridendo.















N.d.A.
Bè, buonasera.
Dunque, finalmente questo capitolo è arrivato e io non ho proprio niente da dire. Insomma, non so nemmeno se mi piaccia. 
E' decisamente strano. Comunque, mi rendo conto che è dallo scorso capitolo che non succede niente di particolarmente interessante, ma ho voluto lasciare appunto un momento di "break" tranquillo -più o meno- prima dei prossimi, che saranno una simpatica escalation di depressione.
Vi avevo già detto che infatti presto sarebbe accaduta una cosa grossa e sarà così, ma per il resto sto zitta. Vi dico solo che è dallo scorso capitolo che ogni tanto vi lascio degli indizi nella storia.
Per la faccenda degli aggiornamenti, mi sono organizzata e ho deciso che pubblicherò ogni due settimane, nel weekend. E se vedete che non lo faccio venite a sgridarmi.
Per il resto non ho nulla da dire, se non che ringrazio tutti quelli che mi recensiscono o che solo la leggono (siamo a 3500 visite per il primo capitolo, unbelivable). Mi date una sicurezza incredibile. Grazie davvero.

_hush EDIT: perché non siete venute a dirmi qualcosaaaAAAA DAMN






24 marzo 2012, nuova collana di James -di cui era molto orgoglioso. Scattata da Belle.










 

  
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