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Autore: Jessica Fletcher    11/05/2013    3 recensioni
E allora aveva deciso di fare finta di niente, di indurire il proprio cuore, di renderlo di ghiaccio, di chiudere con l'amore ed i sentimenti e di dedicarsi solo al lavoro
Un po' di tempo dopo la morte della sua adorata Jessica, Don Flack pensa che non ci sia più posto nel suo cuore per nessun altra. Ma forse si sbaglia.....
Disclaimer: Non possiedo Don Flack (peccato!), nè gli altri personaggi di CSI NY qui citati
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Don Flack, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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cap 4

Ricominciare ad amare ancora



Cap. IV -  Tutto il mio amore


Era stata una nottata estenuante per entrambi.

Jenny era stata affidata alle cure di un'agente della scientifica, una bella signora sulla tarda quarantina con splendidi capelli corvini, lo sguardo penetrante e un fare molto materno e protettivo nei suoi confronti;
"Sei la ragazza di Don?" le aveva chiesto;
"Sì, sono Jenny, Jennifer Rossi, e .....beh, sì ...ho una storia con Don Flack. Da poco tempo, però"
"Piacere di conoscerti. Mi chiamo Jo Danville e sono una collega di Don. Lavoro alla scientifica.....collaboro molto con il tuo boyfriend. Lo sai, mi sembra già di conoscerti, Don parla moltissimo di te"
"Ah sì...." Jenny era alquanto stupita da questa rivelazione, davvero non credeva di essere così importante per il poliziotto "e cosa dice di me?";
"Che sei bellissima, e questo è vero, e che sei fantastica, intelligente, profonda, piena di vita. Fa veramente piacere sapere che finalmente ha trovato qualcuno dopo....beh, dopo Jessica"
"Sai una cosa? - posso darti del tu, vero?";
 Jo fece cenno affermativo col capo;
"Beh" proseguì Jennifer "lo sai che veramente non credevo di contare così tanto per lui. Don  mi piace tantissimo, ne sono profondamente innamorata è la storia più importante della mia vita. Ma non ero sicura di essere tanto importante per lui. Temevo che stesse con me solo perché......" la ragazza tacque per qualche istante quasi a volere cercare le parole, poi proseguì "....perché non voleva restare da solo";
"No, ma cosa dici? Dammi retta: è veramente preso da te" Jo pronunciò queste parole sicura, quasi con enfasi, poi proseguì, più piano, quasi a scusarsi "Bene, Jenny, adesso ti porto al Pronto Soccorso, lì ti cureranno e faranno accertamenti per essere sicuri che tu non abbia niente di rotto o danneggiato. Dopo, proseguiremo con la deposizione ed il confronto, ok?"
"Va bene".

L'agente Danville rimase con Jennifer per tutta la durata della sua permanenza al Pronto Soccorso, dopo le medicazioni e i primi accertamenti,  assicuratisi che non aveva niente di rotto, le fecero l'esame anti stupro:
 "Ma non mi ha violentata," protestò lei "non ha fatto in tempo, Don lo ha fermato";
"E' la procedura, Jennifer" le fu risposto "molte donne rimuovono quanto veramente accaduto. Non possiamo correre il rischio di non sapere. Per te innanzitutto, per correre ai ripari contro malattie e gravidanze indesiderate, e inoltre per raccogliere eventuali prove". Così la ragazza fu sottoposta ad un esame indubbiamente fastidioso ed imbarazzante che, comunque, risultò negativo (meno male....ma lo avevo detto io).
Dopo gli accertamenti medici fu, come si dice in termine investigativo-forense, "processata".  Jo le fotografò più volte il viso, laddove aveva la maggior parte dei lividi e, molto più sommariamente, il resto del corpo, e la scansionò un po' dappertutto in cerca di prove certe dell'avvenuta aggressione.
E poi fu la volta del confronto e della testimonianza.

Don, invece, era andato immediatamente in Centrale dove quelli squali degli affari interni lo avevano torchiato a lungo circa i suoi rapporti con Jennifer e severamente ammonito circa la scarsa opportunità di avere stabilito una relazione amorosa con una testimone (ma cosa ci posso fare, io, se mi sono innamorato!?).
Alla fine lo avevano condotto davanti all'aggressore, il quale, piantonato in ospedale, aveva ripreso conoscenza e dimostrava di non avere subito gravi danni dal pestaggio subito.
L'uomo, che rispondeva al nome di Jaime Navarro, ed era, come aveva ben intuito Jenny, di origini ispaniche, si stava atteggiando a povera vittima della brutalità della polizia e asseriva che si stava "intrattenendo" con un'amica quando era arrivato quell'energumeno (alludendo a Don) che lo aveva preso a calci e pugni senza apparente motivo.
A Flack non rimase altro che additarlo come aggressore di Jennifer, affermare di averlo trovato mentre teneva la ragazza sotto minaccia di un'arma da taglio e stava cercando di violentarla, dopo averla picchiata abbastanza duramente. Sapeva benissimo, però, che, in un eventuale processo, la propria testimonianza poteva non essere sufficiente e le cose si sarebbero potute mettere male per lui. Sperava solo che la deposizione di Jenny e le prove raccolte da Jo venissero in suo aiuto, altrimenti sarebbero stati casini......grossi casini.

Jenny, introdotta al cospetto di Navarro, non aveva avuto dubbi: con una fermezza e una tranquillità sorprendenti, per una persona ancora sotto choc, lo aveva accusato come suo aggressore, ricostruendo con grande precisione l'accaduto, ricordando per filo e per segno le percosse subite, lo aveva riconosciuto come il killer della metropolitana e aveva anche riportato esattamente le parole che l'uomo aveva pronunciato poche ore innanzi, poco prima del tentativo di stupro e assassinio nei suoi confronti, parole che non lasciavano alcun dubbio su cosa avesse fatto e sulle sue intenzioni.  
"Vedrai, lascia che lo mettano alle strette e canterà come un uccellino" le aveva detto Jo mentre lasciavano la stanza di ospedale dove era ricoverato l'uomo "probabilmente si è trattato di un regolamento di conti fra bande rivali, o di un delitto nell'ambito del commercio di droghe. Navarro è risultato avere parecchi precedenti per furto, spaccio e stupro. Non per omicidio, non ancora almeno"
"Vuoi dire che mi è andata bene?";
"Parecchio bene, direi......fortuna che il tuo angelo custode è arrivato in tempo"
".....Don, il mio cavaliere dall'armatura scintillante....."
"Credimi." continuò Jo, "ci tiene veramente tanto a te".

Il cielo si stava rischiarando e stava per nascere un nuovo giorno; "Devo venire in Centrale, ora?" chiese Jennifer;
"Sì, ma solo per firmare ufficialmente la testimonianza. Hai fatto tutto quello che dovevi fare, non ci devi più dire niente, ormai. Penso che non vedrai l'ora di andare a casa a riposare"
"A casa, già...." rispose pensierosa la ragazza.

Don sedeva, con aria tenebrosa, alla propria scrivania, Jo aveva telefonato che Jenny stava bene e che le prove raccolte erano più che sufficienti ad incastrare Navarro e che pertanto il giovane agente poteva stare tranquillo. Ma lui non era tranquillo proprio per niente.
"Un dollaro per i tuoi pensieri" gli disse Mac sedendosi sulla sedia libera proprio a fianco a quella di Flack;
"Eh? cosa hai detto?"
"Lasciamo perdere. Don si può sapere a cosa stai pensando? Ti vedo molto turbato. Non eri così da quando...." Taylor stava per dire "....da quando Jessica è morta"  ma si era trattenuto in tempo......"da molto tempo" disse, invece;
"Stavo pensando a Jennifer, al fatto che non sono riuscito a proteggerla. Il  fatto è che ho fallito nuovamente, come è stato per Jessica."
"Ma tu l'hai salvata! Sei arrivato in tempo, sei riuscito ad evitare che quell'uomo le facesse veramente del male. Non hai niente da rimproverarti"
"L'avresti dovuta vedere, Mac, vedere come l'ho vista io. In preda ad una crisi isterica, piangente, arrabbiata....arrabbiata con me. Le avevo promesso che non le sarebbe successo niente, ed invece......ha passato dei bruttissimi momenti e io non ero lì con lei. Non so se riuscirà a perdonarmi. Non so nemmeno se ci riuscirò io"
"Ragazzo mio" Mac mise una mano sul braccio di Don a sottolineare le sue parole e, quasi, a consolarlo "se lei veramente ti vuole bene, allora capirà e saprà come perdonarti. Credimi! Ma devi essere meno duro con te stesso; la vita spesso riserva un'altra possiblità"
L'altro non rispose, si limitò ad annuire con la testa e rimase qualche istante con lo sguardo perso chissà dove.

Fu solo più tardi, a caso definitivamente, concluso che  Don riuscì a prendersi un po' di tempo e pensò bene di andare a casa a farsi una dormita (sempre che io riesca a dormire).
Indossò la giacca, i guanti e si avviò verso l'uscita. Era ancora sulla soglia della Centrale di Polizia, quando la vide: "Jen!" mormorò sorpreso.
Jennifer stava lì, appena fuori dalla porta, tutta stretta nel suo piumino nero, le braccia incrociate intorno al corpo nel tentativo di  scaldarsi o, forse, di proteggersi e lo aspettava.
Aveva un aspetto molto provato: gli occhi gonfi e cerchiati di rosso, il labbro tumefatto e spaccato, parecchi lividi sul viso ma si sforzava di sorridere. Non appena lo vide gli andò incontro e gli prese la mano.
"Andiamo a casa" gli disse;
Don fece scivolare la propria mano sul braccio di Jenny fino a poggiarla sulla sua spalla, la attirò e la strinse forte a se; lei affondò il viso sulla sua spalla allacciando le braccia intorno alla vita del suo ragazzo.
Sentì che stava tremando, dapprima lievemente, poi sempre più forte e prese a massaggiarle la schiena premendo appena le labbra fra i suoi capelli, per confortarla. (Ci sono io, Jen, ci sono io con te!)
La tenne abbracciata a lungo, fin quando non gli sembrò che il tremito si fosse calmato, poi le sollevò il viso per guardarla bene. Aveva le guance rigate di lacrime e nei suoi occhi c'era un'espressione vuota, lontana. Non erano più gli occhi della sua Jenny, quello sguardo intenso e brillante che egli aveva imparato ad amare nei giorni addietro. Quelli davanti a lui erano occhi spaventati e velati al tempo stesso; avevano l'espressione ferita che egli aveva riscontrato tante volte, nel suo lavoro, ma che mai e poi mai avrebbe voluto vedere nella persona amata.

Aveva bisogno di lui e Don si sarebbe preso cura di lei. 
Le avrebbe dato tutto quello che poteva darle: se stesso, il suo amore, la sua devozione, la sua passione; ogni cosa pur di vedere di nuovo quella luce nel suo sguardo.
Questo, era il compito che si era dato e non avrebbe fallito.
Non poteva fallire.
Accostò il proprio viso a quello della ragazza, le diede un piccolo, dolce bacio a fior di labbra, e le sussurrò:
"Sì, andiamo a casa".
La prese per la vita e la portò via con se.


E finisce qui, al quarto capitolo.
Alla fine non è nemmeno venuto poi tanto corto!
Ho proprio cercato di non metterci troppo tempo e penso di esserci riuscita, spero (ma dovrete dirmelo voi) che non risulti troppo "tirata via" velocemente tanto per finirla. Ho cercato di mettere bene a fuoco le situazioni e di rifletterci sopra (impegni permettendo) ma non so se ci sono riuscita.
Ho dato un ruolo "interessante" a Jo Danville, perché è un personaggio che mi piace molto; trovo che abbia una grande umanità.

Spero che la mia fiction vi piaccia.

Attendo recensioni
Baci
Love
Jessie



  
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