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Autore: Nani9610    25/07/2013    1 recensioni
Non potrebbe esserci circostanza più buffa per iniziare a raccontare questa sottospecie di fiaba. Lei, la principessina e lui, beh tutto ciò che non è adatto a lei. Eppure, se un fatidico giorno si incontrassero per puro caso mentre fanno al stessa identica cosa? E se per qualche strano motivo, quel incontro dovesse intralciare e cambiare permanentemente il loro futuro? Questa sarebbe la perfetta premessa per una fiaba metropolitana che ha come sfondo Londra, la città delle prime volte, delle seconde occasioni, dei sogni realizzati e di tutto ciò che si possa mai immaginare o volere.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atterrata a Londra Devon si rassegnò del tutto alla nuova situazione. Non poteva niente contro sua madre e opponendosi avrebbe solo peggiorato le cose. Scesa dall’aereo trovò un’auto nera ad aspettarla che senza indugi partì immediatamente per non si sa dove. Uscirono da un cancello secondario per non dare nell’occhio e percorsero diverse miglia prima di entrare nella città. Continuarono a vagare per diverso tempo fino a raggiungere una maestosa residenza. Attraversarono il lungo viale alberato fino ad arrivare all’immenso cortile animato da una fontana e dai cespugli curati.

M: Devon comportati bene, intesi?
D. si.
M:e non mi rispondere si con quel tono seccato!

La giovane sbuffò non sapendo più cosa fare. Attese di essere accolta e quando finalmente lo sportello si aprì un viso contornato da rughe le si parò davanti. “Il maggiordomo della famiglia” pensò. Fece un lieve inchino per poi guardarsi avanti vedendo una coppia davvero bislacca. Un uomo pelato con un completo da caccia e con una lunga barba bianca teneva stretta una donna bionda e in carne con abiti semplici e un grembiule da cucina. Salutarono entusiasti i suoi genitori per poi richiamare a gran voce un certo Colin. In un attimo si presentò un ragazzo alto, con gli occhi azzurri e i capelli rossi,  alto come il suo armadio o forse anche di più.

M: Devon lui è Colin McMurray. Il tuo…
D. piacere.

Troncò alla madre sul nascere con un freddo saluto rivolto al giovane… non si sa bene cosa. Baronetto probabilmente… il giovane pel di carota le baciò la mano sbavandoci sopra. Inorridita Devon la ritrasse immediatamente e la pulì su quell’odioso vestito di seta blu. L’allegra famigliola ignara dei pensieri omicidi e probabilmente anche suicidi di Devon se ne andò in casa lasciando soli i due piccioncini.

C: allora, quali sono i tuoi obiettivi a breve termine?
D: intendi dire a cosa mangerò per pranzo?
C. intendo cosa vorresti fare dopo il matrimonio.
D. wo, wo ,wo frena i cavalli! Io non ho ancora acconsentito a questa cosa del matrimonio.
C. ma tua madre ha detto…
D. mia madre può fare o dire tutto quello che pensa ma io ho le mie idee ed è la mia opinione a contare di più in questo momento.
C. aveva detto che avresti reagito così ecco perché ha trasferito tutti i tuoi effetti in un appartamento in centro fino al matrimonio.
D: lei ha fatto cosa?!
C. forse non dovevo dirlo. Almeno non ti ho detto che le nozze sono fissate per settembre… ho sbagliato di nuovo!
D: settembre?! Come sarebbe a dire settembre?! Siamo a fine maggio! Dovrei sposarmi con.. con te fra poco più di quattro mesi?!
C. esatto! Vedrai sarà un matrimonio fantastico e poi ci sarà un sacco di gente!
Devon iniziò a camminare a grandi falcate verso la veranda in vetro che ospitava i coniugi McMurrey e i suoi genitori mentre si godevano un buon te. Personalmente lei aveva sempre preferito il caffè, m non era quello il punto. Entrò non molto delicatamente facendo voltare tutti nella sua direzione.
M: Devon ma cosa?!
D: Londra?! Quando pensavi di dirmi che mi sono trasferita qui?! Oh e le nozze?! Settembre eh?! Grazie per aver chiesto la mia opinione! Sicuramente avrai scelto anche il mio abito senza chiedermelo! E il nome dei figli? Hai programmato anche quello?
M: Devon smettila, tuo padre aveva intenzione di dirtelo tra poco.
D: non dare la colpa a papà! So perfettamente che è una tua idea…
M: Devon smettila!
D: certo! Facciamo finta di niente come sempre vero?
M: ho detto smettila! Non fare l’impudente con me! Capito?! Ci stai mettendo tutti in imbarazzo!
D: non hai bisogno di me per questo. Lo stai facendo benissimo da sola. Ora se volte scusarmi. Signori McMurrey, Colin, papà.

Girò su quei tacchi altissimi e se ne andò con un’uscita d’effetto lasciando tutti senza parole. Nessuno aveva mai visto una lady così combattiva, o almeno fino ad ora. A metà del viale alberato, sicura di non essere seguita da nessuno tolse i trampoli bianchi, i guanti, il cappello e si sciolse i lunghissimi capelli biondo platino per poi estrarre dalla sua borsetta un cellulare sul quale compose immediatamente un numero.

J: parla Joe!
D: sono Devon.
J: che cosa succede?
D: so benissimo che lo sia ora dammi il mio nuovo indirizzo.

Si fece dettare velocemente l’indirizzo per poi chiudere velocemente la chiamata. Joe era il capo della sicurezza e suo autista, nonché suo unico amico in quella gabbia di matti. Riprese immediatamente a camminare fino all’esterno della proprietà per poi fischiare come un cowboy per fermare il primo taxi. Disse velocemente la sua destinazione aggiungendo un  “ in fretta per favore”.  Vagarono non più di 10 minuti fino a fermarsi davanti ad un palazzo. Si fece scaricare poi guardò dentro alla cassetta della posta e come da indicazioni ci trovò le chiavi fissate con del nastro adesivo. Senza indugi aprì velocemente la porta per correre lungo le scale fino ad arrivare all’ultimo piano. Quello che le si presentò davanti era un enorme appartamento in bianco e nero e in vetro tutto a sua disposizione. Vagando con lo sguardo si accorse anche dell’enorme veranda sulla quale uscì immediatamente per affacciarsi su tutta Londra. Respirò profondamente e adesso che era rimasta sola poteva lasciarsi andare completamente ad un pianto disperato che tratteneva forse da fin troppo tempo.

*

Intanto Josh aveva scaricato i suoi bagagli nel suo temporaneo appartamento nel cuore della city. Una casetta spaziosa per una sola persona ma il ragazzo era ottimista e sperava ( più che altro) di non essere sempre solo. Aveva fatto appena in tempo a lasciare le valigie sul pavimento che già si era fiondato nella metro per raggiungere Hyde Park. Avrebbe trascorso li l’intera giornata, ne era più che certo. In pochissimo tempo raggiunse la sua fermata e appena riaffiorò in superficie canticchiando la canzone di super Mario si guardò intorno. Il parco era dall’altra parte della strada a poco più di 500 metri. Mentre camminava diretto alla sua unica meta del giorno si voltò verso un palazzo che a primo impatto poteva sembrare molto comune, ma guardando il tetto si poteva scorgere una testa bionda scompigliata, probabilmente, dal vento che tirava la in alto. Chiunque fosse doveva avere un bel appartamentino tutto per se. Continuò a camminare guardandosi intorno e certe volte urtando qualcuno ma le persone in questione sembravano non farci caso, erano tutti con la stessa faccia. Impassibile, fredda, quasi  come quella di un robot programmato per compire un’azione prefissata. Josh scosse la testa “ dopo tutto” si disse “ C’è gente che è sempre contenta” poi pensandoci meglio sorrise amaramente “è quella cui manca il coraggio di guardare in faccia la realtà”. Dio se era vero! Quanta gente conosceva a LA che era sempre su di giri? Sempre pronta a partire alla volta di una nuova festa o bevuta, che poi alla fine la maggior parte di questi erano un branco di ipocriti abbandonati dalla vita, destinati a comportarsi nello stesso modo ogni giorno, destinati ad essere criticati, presi in giro per ottenere cosa poi? Un’intervista. Sospirò. Effettivamente si, gli serviva quella vacanza e un posto come Londra era l’ideale. Attraversò nuovamente la strada per poi avventurarsi tra le fronde del grande parco. A Los Angeles non c’era niente del genere e anche se ci fosse stato non avrebbe mai potuto passarci tutto il tempo senza essere sotto assedio, mentre li nessuno si era accorto di lui tranne forse qualche ragazza curiosa e troppo timida per avvicinarsi. Sorrise rilassato. Mise le mani in tasca  e iniziò a  vagare tra le stradine, le fronde, si fermava a guardare le anatre nuotare nel grande stagno centrale e le coppiette. Un sacco di coppiette indaffarate a scambiarsi moine e saliva. Doveva avere il diabete alle stelle per sentirsi così strano. Continuò a vagare per un pezzo finché lungo la via principale non vide un chiosco temporaneo della Starbucks. Senza dubbi andò li e si prese il suo solito cappuccino a cui non poteva rinunciare anche con 40 gradi all’ombra. Dopo aver pagato si lasciò andare comodamente su di una panchina all’ombra di un albero enorme, magari con dietro qualche magnifica storia che Josh iniziò ad immaginarsi perdendosi così, come ogni volta nelle sue fantasie.

*

Ancora attaccata alla balaustra di vetro non era riuscita rimettersi in sesto dal pianto finito da poco. Ma lei era forte. Tirò su con il naso e sospirò pesantemente. Tornò in casa e si sfilò in malo modo il tanto odiato abito blu che le impediva anche di respirare per poi calciarlo in un angolino dietro al divano ( sarebbe rimasto li a marcire nella polvere probabilmente). Aveva deciso di uscire, non poteva restarsene chiusa in casa ad autocommiserasi per la sua vita schifosa. No , non sarebbe stato da lei! Corse dritta in camera per fermasi immediatamente davanti alle ante a specchio del nuovo armadio. Rimase ad osservare per qualche secondo quello che era diventata. Le gambe grassottelle che avevano lasciato spazio a due gambe dritte e pallide, le spalle larghe e lisce e la pancia piatta resa viva da un piercing sull’ombelico che se solo sua madre avesse visto avrebbe strappato via immediatamente. Sorrise straffottente. “Ora non combatto più per niente. Oh no che non lo farò. Da oggi mi interessa una sola cosa: me stessa.” Pensò tra se e se e forse fu quello a convincerla ad indossare dei pantaloncini cortissimi e borchiati con una maglia bianca smanicata che lasciava in bella vista la biancheria. Se solo sua madre l’avesse vista in quel momento, l’avrebbe riempita di schiaffi, cosa che veramente faceva già… sbuffò divertita per spostare una ciocca bionda che le era scivolata davanti agli occhi e che fissò con una forcina. Per finire di preparasi si infilò delle scarpe da ginnastica logorate dal tempo e poi, la cosa più importante, la spilla della ghiandaia imitatrice che portava sempre con se, quello era il suo simbolo. Fece per aprire la porta di casa mi si ricordò immediatamente di dover indossare , un berretto rosso e degli occhiali per evitare di essere riconosciuta .Dopotutto lei era una nobile e si sa… La gente mormora! Chiuse a chiave la porta e si incamminò verso il parco poco distante da casa sua. Hyde Park le era sempre piaciuto come posto, forse perché era dove poteva starsene tranquilla leggere. Con passo furtivo e cercando di dare il meno possibile nell’occhio attraversò il grande cancello per andare dritta al chiosco di Starbucks dove ordinò il solito caffè. “ nero come la mia anima” pensò divertita. Ancora assorta nei suoi pensieri iniziò a vagare distrattamente qua e la sorseggiando di tanto in tanto il suo caffè bollente. Quella era un’oasi di pace. Arrivata al grande stagno si appoggiò alla ringhiera  guardare quella coppietta di anziani nella panchina di fronte. Come avrebbe voluto avere una vita come quella. Scegliere chi amare e sposare, scegliere la persona con cui passare la propria vita. Sarebbe scesa a patti con il diavolo per di essere normale, pur di essere solo Devon Scott, la ragazza come le altre e non Devon Parker Scott la giovane duchessa destinata  sposare uno spaventapasseri con la testa piena di segatura. Aveva sempre sperato nell’incontrare il vero amore, che poi, cos’era veramente il vero amore? Perché nessun ragazzo aveva mai provato ad avvicinarla? “Infondo” si disse “Non sono irraggiungibile. Non sono difficile. Non sono inconquistabile.” Già non era nessuna di queste cose perché era molto di più “però so di essere ferita, sono una di quelle persone che sola ci sta bene. Che forse è anche peggio.” Una lacrima le scese lentamente sulla guancia fino ad arrivare a delineare il profilo della mascella poco accentuata. Sola ci stava bene, forse era così perché non era mai stata con nessuno, forse perché non era mai riuscita  trovare il suo vero amore. Quel giorno attaccata alla ringhiera dello stagno delle papere, forse per la prima volta, Devon pregò Dio di regalarle il vero amore, di poterlo trovare quando meno se lo poteva aspettare, continuò a pregare anche mentre camminava distrattamente sulla via del ritorno prima di trovarsi con il sedere a terra. Al contatto con il terreno sussultò leggermente prima di guardare in alto e trovare la causa dell’impatto con il suolo ghiaioso. Un’ombra nera le si era parata davanti senza che lei riuscisse a distinguerla, vide solo una mano tendersi in avanti. Non esitò un attimo ad afferrarla.
*
Stava per addormentarsi su quella panchina quando un rumore proveniente dal suo stomaco lo fece tornare in se. Effettivamente era affamato e mentre veniva li aveva notato un ristorantino niente male nel quale sarebbe voluto andare più in la, ma non resistendo più ai suoi istinti famelici si alzò in piedi di scatto urtando involontariamente qualcuno. Quando si voltò vide una ragazza con il sedere a terra che imprecava malamente come uno scaricatore di porto. Senza pensarci due volte le tese la mano per aiutarla ad alzarsi.

*

Una volta in piedi i due ragazzi si guardarono. Devon non aveva mai visto un viso così. Mascella pronunciata, occhi luminosi, labbra sottili contornate da lentiggini sbiadite e poi quel sorriso. Un sorriso che non aveva mai viso a nessuno. Un sorriso. Abbozzato ma pur sempre un sorriso. Senza accorgersene iniziò a  sorridere anche lei, come se il dolore al sedere fosse una cosa lontana successa anni e anni fa. Si accorse soltanto dopo di avere ancora la mano intrecciata alla sua.

J: faresti meglio a guardare dove metti i piedi sai?
E puff. In un attimo l’immagine celestiale che le si era parata davanti scomparve udendo quelle semplici parole. Perfetto. Uno uguale  a tutti gli altri.
D: come scusa?! Sei tu ad essermi venuto addosso!
J: se tu avessi guardato dove mettevi i piedi non saresti caduta, o sbaglio?
D: dio che stronzo!

Lasciò immediatamente la mano di Josh andandosene via come una furia. Josh si grattò la testa con una faccia interrogativa. Che diavolo aveva fatto? Infondo non aveva detto niente di male… beh ragazze. Tutte uguali. Los Angeles, Londra. Non c’è differenza. Tornò immediatamente a pensare al suo programmino. Sarebbe assolutamente andato in quel ristorante, ma prima di andarsene raccolse il suo berretto sotto al quale ci trovò una spilla. Se la rigirò tra le mani guardando stupito la ghiandaia imitatrice di bronzo che gli luccicava tra le mani. Doveva essere per forza di quella ragazza, tanto prima non c’era! Senza nemmeno pensarci due volte la mise in tasca e se ne tornò sui suoi passi. Effettivamente per Devon era stata una giornata piena di scontri mentre per Josh una giornata come un’altra almeno credeva. Non poteva sapere quello che gli sarebbe successo dopo. Il destino aveva giocato ancora una volta.

*

Si era alzata e se ne era andata imprecando come uno scaricatore di porto di Brighton.  Ma chi si credeva di essere? Lei stava camminando tranquillamente e quel troglodita dagli occhi nocciola le era andato addosso! E poi? Aveva avuto anche la faccia tosta di darle la colpa! Quello era il colmo. Il suo monologo interiore fu interrotto dal brontolio del suo stomaco. Perfetto ci mancava solo la fame che si fa sentire adesso. A metà della via verso casa Devon notò un ristorantino niente male dal quale usciva un odorino sfizioso.” Infondo” si disse “ potrei mangiarmi una bella fetta di pizza”. Una volta auto convinta si fiondò nel locale e prese posto in uno dei tavolini più appartati.

X: buongiorno io sono Steve e per oggi sarò il suo cameriere. Cose le porto?

Devon si tolse gli occhiali e chiese gentilmente di elencargli i piatti presenti nel menù. Una volta ascoltato tutto quanto ordinò una bella pizza farcita con aggiunta di ananas. Strani gusti ma lei adorava la pizza con l’ananas.

X: se non sono indiscreto signorina, lei non è mica…
D: si sono io, ma la prego, la scongiuro non ne faccia parola. Vorrei starmene tranquilla.
X: il suo segreto è al sicuro con me.

Il giovane ragazzo se ne andò con la sua ordinazione lasciandola di nuovo sola ad attendere il suo pranzo. Mentre aspettava iniziò a guardarsi intorno. Strano che non avesse notato prima questo posto. Eppure suo nonno la portava sempre in giro per Londra specialmente da quelle parti. Sorrise ripensando a lui. Era l’unico che la sostenesse e che l’amasse per quello che era davvero. Lui la definiva sempre uno spirito libero, non una ribelle, una ragazza nobile con le sue opinioni, non un’anarchica, una ragazza con un cervello che non poteva essere manipolato da nessuno, una persona forte degna del titolo che portava. Le mancava tremendamente quell’uomo che era tutto per lei. Adesso le era rimasto solo suo padre, che più passava il tempo, più assomigliava a lui. Sorrise ancora una volta ripensando all’espressione di finta costernazione che aveva assunto poche ore prima. Era la stessa faccia che usava quando da piccola usciva a giocare in giardino con il vestitino nuovo e tornava ricoperta di foglie, fango e con in mano qualche strano animaletto che faceva scappare sua madre a gambe levate. Era cambiata solo fisicamente. Se solo avesse potuto, avrebbe continuato a comportarsi da “selvaggia”. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore stridulo provocato dalle gambe della sedia, strusciate sul pavimento. Alzò lo sguardo e incrociò di nuovo quegli occhi nocciola che adesso avevano assunto un’intensa sfumatura di verde. Uno sguardo dolce, eloquente e attraente, l’unico difetto che aveva quello sguardo è che era accompagnato da un sorrisetto sghembo e strafottente.

D: che diavolo vuoi?
J: ciao anche a te.
D: ti ho chiesto che cosa vuoi.
J: delle scuse ovvio.
D. delle scuse? Dio che razza di st…
J: mi hai già chiarito il concetto poco fa. Non occorre ripetermelo non sono stupido.
D: su questo non ci giurerei.
J: allora, latte, questo bel faccino avrà pure un nome no?
D: si.
J: e quale sarebbe?
D: non ti interessa.
J: piacere non ti interessa. Io sono Josh.

Il giovane attore fece per porgerle la mano ma l’enorme piatto con la sua pizza arrivò in quel preciso istante.

X: ecco a lei signorina. E con gli omaggi della casa una bottiglia della nostra birra migliore.
D: grazie mille.

Sorrise gentile a quel ragazzo che si era comportato normalmente con lei. Come se non fosse nessuno di importante. Sospirò e posò gli occhi sulla sua pizza notando la mancanza di una fetta. Puntò lo sguardo verso Josh che se ne stava tranquillamente a mangiare il pezzo rubato.

D. prego serviti pure.
J: molto gentile. Consideralo un dono di pace.
D: veramente dovrebbe essere il contrario. Sei stato tu a farmi cadere.
J: dipende dai punti di vista.
D: il mio punto di vista dice che sei un imbecille e che io mangerò cinese a casa mia.

Devon si alzò, infilò gli occhiali e uscì dirigendosi verso il suo meraviglioso e vuoto appartamento lasciando l’ingenuo e stupido Josh al tavolo con il conto da pagare e una pizza.



hoooolaaaaa! Questo qui è decisamente più ricco come capitolo anche perchè ci sono molti più dialoghi, situazioni e pensieri strambi che se solo confidassi ad uno psichiatra strabberebbe il suo diploma e andrebbe ad asciguarre il naso alle concole ( sarebbero le cozze, però in dialetto rendeva di più).
Ehm, bene spero vi sia piaciuto e al prossimo aggiornamento.
STARK
  
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