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Autore: _MoonShine_    21/08/2013    2 recensioni
Due ragazze, due amiche, due mani che si intrecciano.
Quando la paura prevarrà sul coraggio, quando le nuvole oscureranno la luce, quando il destino chiederà la tua parte, sarà in quel momento che avrai il bisogno di stringere la sua mano.
Ma se una principessa senza un regno ti domanda aiuto, se dentro di te nasce un potere straordinario, se non puoi più fidarti di nessuno, se l’amore della tua vita ti volta le spalle e se ti ritrovi ad amare il tuo peggior nemico, allora basterà stringere quella mano?
Questo Fine e Rein lo dovranno scoprire superando gli ostacoli delle tenebre e del loro cuore, sconfiggendo l’oscurità per tornare a casa insieme. Con una chiave, una spada, sette pietre e due sole parole che le porteranno all’inizio di una grande e magica avventura.
-Carnil, Luinil-
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fine, Rein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Words ~ Parole
 

Probabilmente qualcosa nella mia testa si era bloccato o avevo momentaneamente perso l’udito, restava il fatto che quando ripresi ad avere la capacità di pensare mia madre era accanto a me, in vestaglia da notte e in mezzo al corridoio, la porta della sua camera era aperta. Aveva la tipica espressione da povero genitore disperato dai guai del figlio. I capelli le ricadevano ondulati su una spalla un po’ arruffati e legati in una coda come sempre, che abbassava quando doveva dormire. Le braccia incrociate al petto e quello sguardo severo mi fecero capire che probabilmente una sfuriata era in agguato.
La maniglia su cui la mia mano era ancora appoggiata si girò da sola e la porta della mia camera si aprì allontanandosi da me e staccandosi dalle mie dita, mostrando di fronte a me una Rein alquanto spaventata. I suoi occhi mi fissarono un misero istante per poi guardare a terra. Seguii il suo sguardo e vidi i miei piedi circondati da cocci di ceramica, tre pasticcini e biscotti in briciole. La mia bocca ero certa fosse socchiusa, probabilmente era così da quando era caduto il piatto.
Vidi Rein alzare la testa e guardare mia madre ancora ferma nella stessa posizione, così mi decisi ad affrontarla anche io.
-Che ci facevi con quei dolci a quest’ora?- mi chiese usando un tono retorico non appena sbattei le palpebre guardandola ancora un po’ sorpresa. Sinceramente non avevo capito molto, ma il fatto che il piatto mi fosse caduto di mano dopo aver sentito quello strano suono era ovvio.
Sentii la mia bocca aprirsi, stavo boccheggiando, da essa non usciva nulla. Sicuramente Rein pensò che fossi a corto di scuse, ritrovandomi così ad essere preoccupata. Poi capii che era solo quello che lei voleva far credere a mia mamma, aveva intuito che c’era altro. Ormai conosceva il significato di ogni mia minima espressione. Non disse nulla davanti a mia mamma, anzi si preoccupò di dirle che era lei ad avere fame e così mi aveva chiesto qualche cosa. Mamma solitamente non faceva ramanzine a lei se mangiava fuori pasto, soprattutto se il cibo era comunque cucinato da lei. Le sfuriate e i divieti erano riservati a me.
Fortunatamente mia madre sbuffò solo per il piatto rotto, in fondo i biscotti e i pasticcini li faceva sempre in grandi quantità.
Si chinò seguita da me e Rein a raccogliere i cocci taglienti e le briciole di cibo.
Io me la cavai con un timido “Mi dispiace per il piatto” e mamma mi tranquillizzò con un buffetto sul naso, non se l’era presa più di tanto, meno male.
Mi rialzai che avevo in mano qualche coccio di ceramica, mentre Rein stava raccogliendo l’ultimo. Feci un passo in direzione di mia madre per seguirla al piano di sotto per buttare tutto, ma mi bloccai di nuovo.
-Carnil-
Le mie mani smisero di reggere gli oggetti che avevo in mano, sembravano tremare. Quella parola mi rimbombava nella testa, era la stessa di pochi minuti prima. Ben presto l’unica cosa che sentii furono i cocci che avevano di nuovo toccato terra con suoni acuti e irritanti.
-Fine!- mi richiamò mia mamma con una cantilena da “me ne combini sempre una”. Io alzai distrattamente la testa su di lei, mentre le mie mani erano nella stessa posizione di prima ma senza reggere nulla. -Hai le mani di pasta frolla stasera?!- continuò per poi sbuffare e avvicinarsi prendendo tutto quello che mi era caduto. Appoggiò i cocci e i biscotti sulla sua vestaglia che reggeva per due lembi a mo di vassoio, disse a Rein di appoggiare lì anche quello che aveva racconto lei. Poi ci mandò a letto dicendo che se ne sarebbe occupata lei, era meglio non combinare altri danni.
Una volta in camera mi lasciai cadere seduta sul letto fissando il pavimento che in realtà non vedevo. Ero certa di avere la stessa espressione di Rein al promontorio.
-Fine, che è successo?- mi chiese la mia amica sedendosi accanto a me e guardandomi preoccupata. Come sempre aveva capito che non era stata una semplice caduta di un piatto dovuto alla stanchezza della ormai passata mezzanotte.
Mi voltai a guardarla riprendendo a vedere quello che c’era nella mia stanza. Sarebbe stato meglio non dirle che anche io avevo sentito una voce disperata di una donna che diceva una parola senza senso, che quella follia, se così si poteva definire, aveva contagiato anche me. Ma alla fine anche se ero in dubbio se dirglielo o meno, ero certa che avrei vuotato il sacco, non ero capace di tenerle nascosto qualcosa.
-Ho sentito una voce- come avevo previsto la sua espressione mutò in ansia. Mi credette subito, anche perché lei stessa aveva sentito a sua volta una parola strana per più volte, quindi non doveva essere così difficile credermi. E per me ora era più facile capire cosa aveva provato lei.
-Una donna?-
Io annuii specificando che era anche “disperata”, come quella che aveva sentito lei.
-Che cosa ha detto?- mi chiese con voce tremante, ora mi accorgevo che aveva paura. Non l’avevo mai vista agitata così, solo qualche volta avevo avuto l’onore di vederla spaventata quando le facevo qualche scherzo poco simpatico.
Ripensai alla sua domanda. Già, la voce aveva ripetuto due volte la stessa cosa, ma non era una parola che conoscevo, non l’avevo mai sentita e non sapevo nemmeno se ero in grado di ripeterla, io vantavo di avere una memoria da vero pesce riguardo le cose a cui non prestavo la massima attenzione. Ma ero certa somigliasse a quella che aveva sentito Rein -Era qualcosa si simile alla tua..-
-Ma non te la ricordi? Era la stessa?-
-No, qualcosa del tipo Carnil- le risposi dopo un attimo che mi concentrai su quello che era successo prima, sicura di ricordarmi bene. Carnil, ero certa che avesse detto questo. Ma ora la domanda era: perché quella voce diceva parole inesistenti e senza senso?
 
Quando ci svegliammo, il sole era già abbastanza caldo. Ci eravamo addormentate pochi minuti dopo la nostra conversazione sulla parola che avevo sentito, le nostre mani erano intrecciate, avevamo dormito una abbracciata all’altra probabilmente per la paura di questa situazione strana. In fondo entrambe avevamo sentito qualcosa, non poteva essere immaginazione.
Dopo colazione presi la mia cartella di scuola con i libri del giorno, infilandoci dentro Fil e Rin. Con Rein ci dirigemmo veloce verso casa sua, dove cambiò i libri e i quaderni, dato che stando a casa mia aveva ancora quelli del giorno prima. Le consegnai il suo peluche che mise dentro alla sua cartella e andammo a scuola normalmente.
Solo per strada parlammo, mantenendo un tono basso, di quelle due parole, non volevamo che altri sentissero per darci delle pazze. Così, arrivate a scuola, facemmo finta di niente, come se quel discorso non fosse mai stato toccato. All’intervallo ci rifugiammo in giardino, su un pezzo di prato dove non andava mai nessuno. Tutti i ragazzi erano sempre occupati a giocare a pallone o a mangiare la loro merenda in classe. Di tanto in tanto il guardiano ci passava davanti per vedere se sporcavamo il suo adorato giardino, ogni volta nascondevamo i piccoli panini per togliergli la preoccupazione.
Finita la merenda, Rein prese un pezzo di carta e la penna che si era infilata in tasca prima di scendere nel cortine della scuola. Scrisse due parole: Carnil e Luinil, così da non dimenticarcene nel caso non sentissimo più quella voce.
-Che potrebbero voler dire?- la sentii dire -Magari è una lingua straniera-
-O forse un tipo di dolce- dissi io per l’ennesima volta. Sapevo che non poteva essere così, che senso aveva che una voce ripetesse a chissà chi il nome di un dolce. La sentii sbuffare e guardarmi con quell’espressione da “fai la seria”.
-Ok- mi arresi alla fine -più che altro io vorrei sapere chi è quella voce- dissi assumendo una posizione comoda a gambe incrociate, la tipica che avevo quando facevo la classica ragazza seria. Avevamo capito che la voce che avevamo sentito era la stessa, avevamo cercato di descrivercela a vicenda il meglio possibile, sottolineandone il timbro e l’accento. Tutto combaciava più o meno. Quindi restava da capire chi fosse quella donna.
-Già, e come avrà fatto a farsi sentire? Io non ho visto nessuno sul promontorio, e a casa tua non poteva esserci nessun altro-
La mia mente corse alla mia solita paura –F-fantasmi?-
-Oh Fine andiamo, te l’ho detto mille volte che non esistono!- a quell’ennesima frase annuii poco convinta, ripeteva sempre la stessa cosa.
Vidi Rein abbassare la testa sul foglio e rileggersi le due parole. Provò a leggerle al contrario, mischiando le lettere, unirle insieme, ma niente. Nulla portava a qualcosa di logico.
-E se fosse una lingua antica?- chiesi io dicendo la prima cosa che mi era passata per la testa. Era assurdo, ma Rein si stava impegnando tanto per capirci qualcosa, volevo ipotizzare qualcosa pure io anche se poco probabile. Rein invece la pensò diversamente, mi guardò seria pensando a chissà cosa.
-Può darsi- ragionò fissando l’erba e mordendosi il labbro inferiore, corrucciò le sopracciglia e poi mi guardò di nuovo -Magari in biblioteca troviamo qualche vocabolario antico-
-Oh, non crederai sul serio che sia così?- le dissi, nemmeno io credevo alla mia stessa supposizione, era assurda -Perché una voce dovrebbe parlarci con una lingua antica?-
-Beh è vero, ma non abbiamo nient’altro da provare. Tanto vale tentare e guardare se c’è una traduzione-
In fondo non aveva tutti i torti, non avevamo indizi, conoscenze, nulla. Magari erano davvero parole antiche e il mio genio incompreso era finalmente saltato fuori.
 
-Ciao papà- salutò Rein vedendo suo padre dietro al bancone del terzo piano della biblioteca, lui aveva il turno pomeridiano. Non sapevo come potesse stare tutto quel tempo dentro ad un’immensa stanza piena di scaffali di legno antico con milioni di libri impolverati e semidistrutti. Si sentiva perfettamente il profumo della carta e dell’inchiostro secco, l’odore del legno millenario di ciliegio e persino il frusciare della brezza estiva che muoveva le foglie dell’albero vicino ad una delle finestre. La luce del sole entrava sfacciatamente dai vetri delle finestre, illuminando diversi tavoli posizionati lì vicino. Molte corsie di libri invece erano più in penombra. Poteva benissimo sembrare un posto magico se io non lo considerassi un buco per secchioni.
Era una fortuna che Tolouse si occupasse della sezione “Storia, Miti e Leggende”, potevamo stare lì quanto ci pareva, e anche se avessimo alzato la voce non ne avremmo ricavato ramanzine terribili dalla bibliotecaria che si occupava del secondo piano, lei sì che era un vero avvoltoio.
-Ciao- salutai a mia volta per poi fissare intimorita tutti quegli scaffali. Non mettevo piede in biblioteca da un po’ di tempo, non me la ricordavo così grande. E pensare che era solo un piano. L’idea di dover cercare un libro in mezzo a quel milione di volumi mi faceva venire la nausea. Solo per il fatto che sapessero dove cercare adoravo i bibliotecari, ma Tolouse era un caso a parte, bibliotecario o no era un uomo fantastico.
-Vorremo vedere un vocabolario antico- gli disse Rein mentre lui si avvicinava a noi per aiutarci.
-Quale lingua?- ecco, sembrava troppo facile. A quella domanda io e Rein ci guardammo incerte, era proprio per quello che eravamo lì.
-Non c’è una sola lingua antica?- chiesi provocando la sua risata, la risposta era sottintesa: no.
-Beh qui ci sono tutti i volumi di studio e vocabolari delle lingue più antiche che possediamo, ma se non sapete quella precisa penso che avrete un bel po’ da cercare-
-Quante ce ne sono?- chiese scoraggiata Rein davanti a quell’intera corsia di volumi.
-Cinquantatre-
 
Chiusi l’ennesimo librone impolverato sotto ai miei occhi, appoggiandomi sconsolata al tavolo con i gomiti. Erano ormai due ore che io e Rein sfogliavamo i vocabolari. Ne avevamo preso una per ogni lingua, ritrovandoci con un tavolo pieno di cinquantatre insiemi di pagine ingiallite e puzzolenti.
Avevamo cercato in ognuno le due parole che conoscevamo o almeno qualcosa di simile, ma niente.
-Non troveremo mai quello giusto- dissi allungando le braccia e appoggiando anche la testa sul tavolo.
Per una volta Rein sembrò d’accordo con il mio pessimismo. Poi si riprese -Dai ancora due-
Prese un altro volume e io feci lo stesso. Prima di aprirlo lo osservai un attimo annoiata, era uguale a tutti gli altri. La copertina nera di cuoio e tutta un po’ sbucciata agli angoli. Ci soffiai sopra per togliere un po’ di polvere ritrovandomi a starnutire.
Non c’era nessuna scritta in quel nero. Lo girai pensando di guardarlo al contrario, ma nemmeno quello sembrava il lato giusto, sulla copertina non c’era scritto nulla.
Sbuffai, ci mancava solo questa. Lo aprii appoggiando la guancia su una mano e sfogliando le prime pagine svogliatamente. Iniziai a leggere qualche parola a caso per vedere di che tipo era quella lingua antica. Dopo aver accettato il fatto di non capirci niente come al solito, andai dritta alla lettera C. Feci scorrere il mio dito fino ad arrivare alle prime tre lettere della parola che avevo sentito io. L’unica parola che si avvicina a quella era Caran che voleva dire “rosso”.
-Trovato qualcosa?- mi chiese Rein facendomi alzare la testa.
-A parte un vocabolario che non dice di che lingua si tratta, no- le dissi. Si avvicinò a me, aveva già scartato quello che stava guardando lei, probabilmente non c’entrava per nulla con le nostre parole -L’unica parola che ci somiglia qui è Caran- dissi indicandole la parola e aspettando che leggesse.
La sentii irrigidirsi e mettersi dritta di scatto indicandomi un punto vicino a quella parola -Qui dice che il prefisso di questa parola è Car- riuscii a scorgere nel suo tono una nota di entusiasmo, ma non ne capii il motivo. Alzai un sopracciglio per farle intendere che per me non c’entrava nulla, erano solo tre lettere che per caso erano contenute in una delle nostre due parole.
-E se fossero due parole composte?- disse quindi togliendo il mio dubbio e prendendo il foglietto con le due parole scritte. Sottolineò  in entrambe la parte finale: nil. In effetti non avevamo pensato che potessero avere un significato simile data la fine uguale. Io personalmente non ci sarei mai arrivata, non mi era mai piaciuta la grammatica, per me bastava saper parlare.
-Abbiamo due parole che hanno come finale nil- ragionò mentre tracciava qualche linea e qualche appunto sul foglio -Quindi dobbiamo trovare cosa significa questa parola e capire questi due prefissi a quale parole appartengono-
Accidenti, perché non poteva parlare la mia lingua, sembrava che a furia di leggere vocabolari fosse diventata uno di questi -Cosa sono?-
-Le parti invariabili che stanno prima di una parola composta da due parole- ok, ora era chiaro, anche se con quel tono da saputella mi aveva fatta sentire una completa analfabeta.
Ci mettemmo a cercare in quel dizionario la parola Nil. Arrivammo a trovare il suo significato: stella. La parola vera e propria era Gil, ma nelle parole composte era usato o come il o come nil. Non ci credevo, e anche Rein era stupefatta. Che fossimo sulla strada giusta?
-Accidenti, Fine forse hai trovato il vocabolario giusto- disse scrivendo sotto alla rispettiva parola sconosciuta la parola “stella”. Ragionò un attimo scarabocchiando ancora qualcosa per poi tirarsi dritta e guardarmi soddisfatta ma intimorita -Se abbiamo tradotto bene Carn è il prefisso di rosso e gil, in questo caso Nil è stella. Quindi dovrebbe essere “Stella rossa”- 
La fissai senza dire nulla, il suo ragionamento non faceva una piega. Ora ero certa che fosse quello il vocabolario giusto, ci aveva tradotto la prima parola! Ma magari era solo un caso, magari era tutto sbagliato e ci stavamo facendo prendere dall’entusiasmo. Per capire se era quella la lingua giusta dovevamo tradurre anche l’altra. Ma ora era più difficile, prima per trovare il prefisso della mia parola avevo trovato il vero sostantivo, invece avere un prefisso ma non il nome era più complicato. Era praticamente impossibile da trovare per di più se era una lingua che non conoscevi.
-E adesso come facciamo con l’altra?- chiese infatti Rein scoraggiata buttandosi sullo schienale della sedia.
Io continuai a guardare il foglio e un lampo di genio mi attraverso la testa. Se la mia teoria era giusta potevo ritenermi un dio. La parola che avevo sentito io significava Stella Rossa, quella di Rein per ora solo Stella. Ripensai al mio cognome, tutto a che fare con il rosso, Caran. Così pensai che fosse dovuto al fatto del colore dei mie capelli e dei miei occhi. Allora perché non provare la stessa teoria sulla parola di Rein?
Presi di scatto il vocabolario andando nella metà che traduceva la nostra lingua in quella antica. Cercai la parola “Azzurro” sotto gli occhi curiosi e confusi di Rein. Percepii un “Che fai?” ma non le risposi troppo presa dalla mia idea.
Azzurro: Luin.
Probabilmente feci un salto sulla sedia perché Rein si tirò in dietro di colpo spaventata dalla mia reazione. Non persi tempo e scrissi sul foglio la traduzione. E unendo i significati delle due parole che formavano il suono che aveva sentito Rein veniva fuori “Stella Azzurra”, proprio come avevo intuito.
-C-come hai fatto?- mi chiese quando le feci leggere il mio capolavoro.
-Beh mi è bastato associare una parola a me, e l’altra di conseguenza era collegata a te- le dissi sorridendo e indicando i capelli. Rein sembrava scioccata, sia per aver trovato il significato sia per il fatto che il genio che era in me si era finalmente risvegliato. Ma devo dire che se Rein non avesse fatto il resto io non avrei mai trovato la parola “Azzurro”.
Fissammo di nuovo le parole scritte sul foglio. Carnil e Luinil, Stella Rossa e Stella Azzurra.
-Che quello fosse un modo per chiamarci?- sussurrò lei, credo che non si fosse nemmeno accorta di averlo detto ad alta voce. Però poteva avere un senso, una voce che non sa i nostri nomi ci ha chiamate con dei soprannomi che ci descrivono. Ma che linguaggio era? Non c’era titolo su quel volume, e perché non usare la nostra lingua? Voleva farci spremere le meningi per un pomeriggio intero tra vocabolari antichi per farci capire che stava chiamando proprio noi due?


Prossimo capitolo: 
Midnight ~ Mezzanotte




 

Ehilà :)
Sì, volevo farmi perdonare per l'assurdo ritardo e ho aggiornato anche questa storia.
Davvero mi dispiace, cercherò di essere molto più presente,
il fatto era che volevo godermi le vacanze e ho avuto la testa da un altra parte.
Comunque spero di cuore che vi sia piaciuto.
Sono consapevole che questo capitolo sia stato un po' noioso, ma volevo spiegare bene il significato di quei due nomi
e di come Fine e Rein abbiano preso sul serio la faccenda.
Dal prossimo capitolo la storia si farà un po' più interessante.
(E prima che qualcuno lo chieda, no gli attori Shade e Bright sono ancora in ferie, entreranno in scena tra un po')
Grazie mille a chi segue questa storia e al prossimo capitolo
Un bacione
Ross 


 

  
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