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Autore: Amens Ophelia    09/12/2013    9 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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12. Contatto

 
 
Non era abituata a camminare per il viale in sua compagnia e, mentre si addentrava nella parte del marciapiede esposta al timido sole mattutino, onde riscaldarsi e assorbirne la consueta dose di luce e positività, capì che non lo sarebbe mai stata. Non si sarebbe mai assuefatta a percorrere un tratto di strada con suo cugino, né in auto, né tantomeno a piedi. Eppure sorrise, non appena un raggio di sole le colpì gli occhi. Era tutto così splendidamente normale! Tutto come sarebbe sempre dovuto essere.
            Neji osservava la strada con la solita espressione altera ed indifferente, in cuor suo scocciato di non essere comodamente seduto nella sua vettura. Non capiva ancora perché avesse proposto a Hinata di recarsi a scuola insieme, quel mattino; che Shimoko l’avesse drogato, su richiesta dei suoi genitori?
            «È proprio una bella giornata, nonostante il gelo». L’impacciato tentativo di intavolare uno straccio di conversazione si era violentemente schiantato contro l’adamantina impassibilità di Neji. Non era il tipo da chiacchiere, figuriamoci a prima mattina e sul meteo, poi! Molto meglio un pugno nello stomaco, piuttosto.
            «Mmph», sbuffò seccato, guardando da un’altra parte.
            Hinata si era fatta piccola piccola, stringendosi nelle spalle e cominciando a far scontrare fra loro le punte degli indici.
            «Coraggio, spara!», sbottò il cugino, con tono spazientito.
            «Ma… cosa?».
            «Quando cominci a torturarti le mani, sei sul punto di esplodere per chiedere qualcosa, perciò parla!».
            L’aveva notato? Aveva colto quella sua caratteristica maniera di sopprimere curiosità e imbarazzo? Era rimasta quasi sconvolta da quella rivelazione, eppure non riusciva a non sorridere.
            «E-ecco, mi domandavo perché tu oggi non sia andato in auto. Non che volessi un passaggio…», si affrettò a precisare lei.
            Guardò Neji di sottecchi e il rimorso per aver chiesto qualcosa di troppo personale e a lei estraneo la soffocò. Voleva tornare indietro, proprio come aveva desiderato troppe volte riavvolgere il nastro del tempo, quella notte, per ritornare al pomeriggio precedente.
 
Il ricordo di Sasuke era ancora una volta prevalso sul presente. Era stato tutto sbagliato, non avrebbe mai dovuto cedere a quella… lusinga? Poteva chiamarla così, senza peccare di presunzione, da parte sua?
            Ripensò ai leggeri baci sul collo, le mani calde ed esperte del moro sulla giugulare, quei benedetti bottoncini sfilati con una velocità disumana, il fiato caldo e sensuale all’orecchio…
            È un esperimento.
           Ed era riuscita, quella prova di laboratorio, quel test? Aveva dimostrato qualcosa, illustrato qualche legge chimica o legame molecolare? No, ma aveva ostentato fin troppo riguardo certe leggi umane e legami interpersonali.
           Ora sapeva che l’unico imperativo da seguire era quello che, nel petto, le urlava di non andare dove la portava il cuore, sia che fosse stato nella luce, sia nelle tenebre. Né Naruto, né tantomeno Sasuke erano la normalità cui aspirava aderire con tutta se stessa. Doveva tornare in sé, a ciò che era stata fino a pochi giorni prima. Anzi, no; doveva essere ciò che non era mai stata: la perfezione, il modello cui ispirarsi, proprio come Neji.
           Osservò il cugino, al suo fianco: la fronte baciata dal sole, gli occhi dallo sguardo fiero e affilato, i lisci capelli scuri che si libravano nell’aria… Il prototipo della casata Hyuga, la persona cui più al mondo sarebbe voluta somigliare, dopo sua madre. Due ideali totalmente opposti, a ben vedere, ma ugualmente fonte d'ispirazione, per lei.
            Troppo tardi.
           Sasuke aveva ragione, era davvero troppo tardi e lei era caduta con tutte le scarpe in qualcosa di più grande di lei. 
 
«Karin mi ha invitato da lei, mi ha anche offerto un passaggio, così non ho preso l’auto».
            Le parole del ragazzo la riportarono alla realtà, ma, allo stesso tempo, la fecero trasalire: non si aspettava davvero che potesse risponderle. Gliene fu grata, perché lo stupore riuscì a ottenebrare i pensieri ambientati a villa Uchiha.
            «È una bella ragazza, molto decisa…», sorrise lei, sinceramente felice.
            C’era qualcosa che non la convinceva, in quella giovane che non le aveva mai rivolto la parola nemmeno in classe, ma aveva avuto modo di osservare la sua vicinanza al cugino, durante la festa di Naruto, e i due sembravano essere molto intimi. Se Neji era contento, lei era altrettanto.
            Hinata aveva voglia di distrarsi, di parlare di cose normali, scontate per una diciottenne. Si rese conto che lei non era mai stata come le altre, che certe chiacchiere non l’avevano mi toccata… forse era ora di cominciare. Forse, ma non in quel momento, e non con Neji, soprattutto.
            «Non sto cercando la tua approvazione», tuonò lui, infastidito.
            «Naturalmente… scusami. Non era mia intenzione».
            Il ragazzo la osservò e alzò poi gli occhi al cielo. Fin quando avrebbe mantenuto quell’insostenibile aria candida? Ci teneva ad essere rispettato, ma non avrebbe continuato a sopportare di doversi relazionare a un fantasma. Nelle vene dei due scorreva pressappoco lo stesso sangue, erano figli addirittura di due gemelli, eppure lei non aveva ereditato per niente il gene autoritario della loro casata.
            Sospirò sonoramente, tornando a fissare la strada; era Hinata, prima che una Hyuga, in fin dei conti. La sua innocenza, forse, non era nemmeno poi troppo una condanna, nonostante tutto: mai sarebbe andato d’accordo con un cugino dispotico quanto lui. Inoltre, non sarebbe mai riuscito ad immaginare un carattere diverso, in quel corpo. 
            «Non farne parola con nessuno», si era limitato a mormorare.
            «Co-come?», balbettò.
            «Sono affari miei, non voglio che lo venga a sapere il mondo intero. Non devono esserne a conoscenza né la mia famiglia, lo zio e Hanabi, né gli amici e il tuo Sasuke», dichiarò severamente.
            Era un segreto? Neji le aveva appena confidato un segreto? La ragazza non riusciva a credere alle proprie orecchie, presa com’era a sorridere. Cos’avevano mai condiviso, quei due, oltre alla vaga somiglianza fisica? Ora c’era una piccola banalità, una confessione del cugino che solo lei conosceva, a legarli, e la felicità trottava felice accanto all’orgoglio, nel suo cuore.
            Con le guance rosse e una indescrivibile leggerezza nell’animo, annuì. «Te lo prometto, Neji».
            L’aveva scorto, finalmente. Ne era sicura: per quanto fugace e sottile, sul volto del consanguineo era guizzato un sorriso. Cos’era successo, quella notte? Perché, tutt’a un tratto, aveva potuto godere di un privilegio tanto sperato? Non lo sapeva, né possedeva la facoltà di spiegarselo. Poteva solo sorridere, sorridere sinceramente, nella maniera più autentica e spontanea del mondo.
            «… Anche se ho saputo che a te piace Naruto», aggiunse il cugino, improvvisamente.
            Forse era stata troppo avventata, a pensarlo. Non era mutato granché, Neji riusciva comunque a stenderla in tutta tranquillità, con una semplice parola.
            Hinata chinò il viso, smorzando il sorriso. Quel nome era l’ultimo che avrebbe voluto sentire, perché la trascinava per i capelli nel baratro del disprezzo verso se stessa. Aveva imbrattato il proprio affetto verso l’Uzumaki, nel tardo pomeriggio precedente, scalzandolo velocemente dai pensieri, grazie alle sapienti mani del suo migliore amico. Aveva dimenticato il suo personalissimo chiodo fisso, quello sempre sorridente e con gli occhi più azzurri di un cielo primaverile, sostituendo momentaneamente un’ossessione con due iridi più nere del carbone.
           “Passione”… ancora quella parola, a vagarle nella mente! Perché il moro era riuscito a insinuarsi irrimediabilmente nelle sinapsi nervose, annebbiandole ogni altra riflessione possibile? Aveva offuscato tutto, ponendo se stesso al centro, senza ritegno, e lei non ce la faceva nemmeno a prendersela con lui!
            Perché non le era dispiaciuto affatto, ecco la verità.
            «Da un estremo all’altro, eh?», inferì Neji. Socchiuse gli occhi e si mise le mani in tasca, assumendo la consueta espressione impassibile. «Sai, ancora non mi spiego cosa tu abbia fatto in bagno con Sasuke, a questo punto. Non ti ritenevo una ragazza tanto alla leggera… con l’Uchiha, poi!».
            La giovane si bloccò di colpo, sgranando gli occhi. «Cosa?!». L’incredulità era un leggero sussurro.
           Il parente si voltò verso di lei, con sufficienza. «Hai capito perfettamente: sei entrata nella toilette dei ragazzi, a scuola, insieme con Sasuke, sabato scorso. Il professore vi aveva chiesto di fermarvi per la punizione e voi avete visto bene d'intrattenervi in bagno. Complimenti, bella caduta di stile!». Il ghigno che gli era comparso sul viso era più crudele delle menzogne scappategli di bocca. Ancora aveva in mente le fotografie che Karin gli aveva mostrato e la vena alla tempia pulsava freneticamente. Come poteva essere stata tanto stupida da concedersi a quel poco di buono? La credeva ingenua, ma non fino a quel punto!
          «E invece no, non capisco. Neji, io non sono mai entrata in bagno con Sasuke, come pensi che possa…».
          Si era bloccata, ricordando l’unica volta in cui aveva messo piede nei gabinetti dei maschi, e aveva tremato al ricordo di suo cugino macchiato di sangue. Sasuke era violento, inflessibile, quando voleva. Che fosse uno spunto in più per evitarlo, quella discussione?
          «Solo una volta sono entrata nel bagno degli uomini, ed è stato quel giorno», continuò lei, stavolta guardandolo negli occhi. Il tono di voce era chiaro, deciso come non mai: non aveva paura di Neji, né del suo giudizio, dal momento che era pienamente innocente.
           Lo fissò e lesse sul suo volto la luminosa consapevolezza di chi ha scorto la verità: lui ricordava perfettamente il sostegno della cugina, le sue lacrime, lo spavento che l’aveva colta e la preoccupazione che si era dipinta sul suo volto, nel vederlo pestato a sangue.
          Hinata non mentiva, non era mai stata in grado di farlo, e non avrebbe raccontato una bugia nemmeno per togliersi dai guai. Se sceglieva di enunciare frottole, era sempre a fin di bene, per proteggere qualcuno, non certo per se stessa, dal momento che si detestava con tutte le proprie forze. Neji lo sapeva bene, ma non riusciva a comprendere, allora, perché mai Karin avesse insistito tanto per mostrargli quelle presunte prove di colpevolezza.
          Poco male, avrebbe fatto luce nel pomeriggio.
          «Quindi ti piace Naruto», concluse lui, più sereno, ritornando a camminare e lasciandosela alle spalle.
          Non era in grado di pronunciare una sola sillaba di protesta, né di affermazione. Era straordinariamente inspiegabile come la sua porzione di coraggio si sapesse eclissare in un batter d’occhio, appena dopo aver fatto fuoco e fiamme. Stavolta la colpa del silenzio, però, non era solo dell’imbarazzo, ma, soprattutto, dei suoi sentimenti. Non si gioca col cuore, non lo si può ingannare, né truccarne i battiti; la verità viene sempre a galla.
         Mosse qualche passo incerto verso il cugino, nel tentativo di raggiungerlo. Non poteva lasciarlo andare e allungare le distanze, ora che sembravano potersi colmare.
         Doveva spiegare, fare chiarezza, anche solo per se stessa. «Veramente non…».
        «Beh, sempre meglio di quel figlio di puttana dell’Uchiha!», la interruppe, quando la sentì al suo fianco.
        Come poteva estinguere con una negazione quel bellissimo sorriso sul volto di Neji, ora che si era finalmente mostrato al sole?
 
***
 
 
Per quanto il suo corpo atletico, perfettamente in forma senza troppi allenamenti e rinunce, dimostrasse il contrario, Sasuke odiava Educazione Fisica. Detestava l’odore pungente di gomma che pervadeva l’aria, in palestra, la puzza di sudore che invadeva le sue narici quando rientrava nello spogliatoio, o gli stupidi scherzi che i compagni di classe – Suigetsu e Naruto, su tutti – giocavano alle spalle del secchione Shikamaru, nascondendogli l’uniforme impeccabilmente stirata, e disapprovava pure l’ardore che il professore metteva in ogni comando.
            Se c’era un aggettivo che lo descriveva, era “esagerato”. Gai Maito era esagerato in tutto ciò che faceva, dalle duecento flessioni di riscaldamento che ordinava di compiere agli allievi, alle dimostrazioni degli esercizi che ben volentieri offriva, onde spiegarne la modalità di realizzazione. Esagerato era il suo tono sovraeccitato quando, ormai sfiancato, urlava di compiere dieci giri della palestra per consolidare la corsa; sproporzionata era la volontà di allenarsi con gli studenti in ogni prova e punire chi non dava il meglio di sé; eccedente era la sua attenzione all’abbigliamento sportivo – rigorosamente verde e giallo-arancione, di tutto punto, dagli scaldamuscoli ai polsini in spugna – e la cura maniacale per quei cespugli ordinati e folti che aveva il coraggio di chiamare “sopracciglia”.
            Una vera macchietta, il Maito, senza dubbio. Così atipico e stravagante da poter plasmare a propria immagine e somiglianza un altro soggetto piuttosto bizzarro, quale Rock Lee.
            Eppure, alle undici e quaranta, in palestra, c’era qualcuno che Sasuke detestava più dello spirito di gioventù del professore: Naruto Uzumaki, il suo miglior amico, nella sgargiante tuta arancione e nera.
            Al diavolo se la scuola riforniva gli studenti anche della tenuta sportiva: lui non se l’era proprio sentita di deludere le aspettative di Sakura. Infischiandosene del protocollo e additando l’esempio di Lee - che indossava abiti simili a quelli del professore, per l’attività fisica - si era presentato in sala con indosso il regalo dell’Haruno.
            «Ti dona molto!», aveva gridato lei, in sua direzione.
            «L’avrei indossata anche se fosse stata un sacco dell’immondizia!», rispose, abbracciandola.
            Sakura gli aveva amichevolmente battuto la mano sulla schiena e sussurrato qualche affettuoso rimprovero all’orecchio, imbarazzata.
            A quella scena, Sasuke non poté evitare di girare il capo verso Hinata: la ragazza stava entrando in palestra, dopo essersi cambiata, accompagnata da Tenten. L’Uchiha scrutò il suo volto, preoccupato: era leggermente arrossato, teneva le palpebre basse e le labbra strette. Probabilmente, se non ci fosse stata l’amica, al suo fianco, sarebbe tornata negli spogliatoi.
            Invece no, riuscì a stupirlo. Hinata strinse i pugni e sorrise, avanzando lentamente. Raggiunse Kiba e si mise a discutere con lui e la castana di chissà quale cosa. Sembrava serena, nonostante tutto. Che non avesse visto bene la scena? O che ciò che era successo a casa sua non l’avesse sconvolta più di tanto? O, al contrario, che l’avesse colpita in maniera così devastante da farle cambiare idea sull’Uzumaki?
            Impossibile anche solo pensarlo, ma ci sperava, perché lui non aveva fatto altro che rigirarsi nelle coperte, quella notte, e ripensare ai suoi occhi, ai suoi sospiri, alla sua pelle diafana. Naruto gli aveva estinto un dubbio, ma non bastava per essere certo di… di aver perso il sonno per lei. Era esagerato? Sì, forse, ma letteralmente non aveva chiuso occhio, pur di rivederla nella mente. Per essere sicuro di potersi permettere anche solo di guardarla, doveva prima avere la certezza che lei avesse le idee chiare. Doveva sapere e voleva esserne al corrente subito.
 
«D’accordo, ragazzi! Allora, oggi ci alleneremo con le prese; in particolare, con quella dell’angelo. Avete presente?», domandò il Maito.
            Nessuna risposta, se non uno sbadiglio collettivo. O quasi.
            «Io sì!», gridò entusiasta Rock Lee, agitando la mano.
            «Per fortuna questo ragazzo solleva la mia considerazione per la 5^F. Forza, figliolo, diamogliene una dimostrazione!».
            Il pupillo non se lo fece ripetere due volte: non appena il professore si stese a terra e alzò le gambe unite, perpendicolari al busto, prese la rincorsa e si slanciò, atterrando perfettamente sulle piante dei piedi di Gai.
            «Eccellente, davvero meritevole! Addirittura senza mani!», esclamò su di giri l’uomo, quando si rimise in piedi.
            «Che cosa?! Noi dovremmo fare questo? Lei è pazzo, se lo può scordare!», urlò incredula Tenten. Non era certo una con i peli sulla lingua, ma nutriva sempre rispetto per i docenti degni di tale nome. Beh, il Maito non rientrava sicuramente nella categoria, a suo parere.
            «Coraggio, voi pappamolle potrete appoggiarvi alle mani tese del compagno ed evitare la rincorsa, se non ve la sentite», concesse l’insegnante, sospirando.
            La classe elevò un lamento indistinto, adeguandosi al proprio destino. Dovevano portare pazienza ancora qualche mese e subire le ultime sadiche disposizioni di quell’uomo vestito di verde, poi sarebbero stati liberi.
            «Sakura, vuoi essere il mio angelo?», gridò Naruto, dal lato opposto della fila in cui si trovava l’Haruno.
            «Niente da fare – s’intromise il professore – Le coppie le decido io, o rischiereste di farvi male. Io e Rock Lee, nel frattempo, sorveglieremo la situazione e ci alleneremo per settimana prossima, con qualche serie di addominali». Aveva adottato un’intonazione quasi suadente, come a sottolineare che quello che toccava il suo studente prediletto era un privilegio, ma non aveva sortito l’effetto sperato: sguardi indifferenti e ancora tanta rassegnazione. 
 
***
 
Si chiedeva se fosse ironia del destino o solo l’irritante volontà del professore, quella che li aveva disposti in coppie tanto male assortite. Non riusciva a credere di trovarsi steso a terra, con le mani di Sakura strette nelle sue e gli occhi verdi, accigliati, puntati sul viso. A ben vedere, era beffardo anche quello scambio di prospettive: lei sopra di lui, quando, l’ultima volta che era entrato in contatto con il suo corpo, era stato il ragazzo a dominare il campo, a condurre il gioco, sovrastandola. Se ci pensava, ancora si sentiva male. Era stato un errore, un sacrificio necessario in vista di una felicità altrui che gli stava a cuore. Peccato che non fosse servito a molto.
            «Direi che ci siamo», mormorò Sasuke, a disagio.
            Lei annuì con aria disgustata, rialzandosi. Ogni volta che lo fissava, non poteva evitare di pensare a quanto fosse stata stupida a cedere nuovamente alle sue lusinghe, domenica; quel maledetto possedeva troppo ascendente su di lei, come su qualsiasi altra ragazza, e non riusciva a capire perché. In fondo era uno stronzo, uno che si trovava un’amichetta diversa con uno schiocco di dita, e che abbandonava irreparabilmente le sue prede dopo aver ottenuto quello che bramava, senza alcuno scrupolo. Uno sporco approfittatore, e lei una sciocca ingenua, incapace di sottrarsi.
            L’osservò con sguardo truce, mentre si era seduto a gambe incrociate e i suoi occhi neri si erano fermati sulla coppia che si trovava alla loro sinistra. Naruto stava cercando di convincere un’imbarazzatissima Hinata a dargli le mani e appoggiare il bacino sulla pianta dei suoi piedi. La Hyuga scuoteva la testa, con le guance rosse, mentre si mordicchiava l’unghia dell’indice, sotto pressione.
            Sasuke sorrise e Sakura provò un misto di meraviglia e disprezzo, nel notare quell’espressione naturale sul suo volto. Non era mai stata capace di farlo sorridere e, per quanto ora non fosse minimamente interessata a lui, non riusciva a rimanere indifferente. Era stato il suo miraggio per tanti anni, proprio come Naruto era quello della ragazza dai capelli blu. Che scherzo del destino: una innamorata del sogno dell’altra, mentre camminavano scambievolmente nella visione onirica dei destinatari del loro amore! Un chiasmo coi fiocchi.
            «Così è lei quella che ha fatto breccia nel tuo cuore di pietra», mormorò l’Haruno, sospirando. Si sedette affianco al corvino e guardò verso l’Uzumaki, riuscendo a stento a trattenere una risata, quando lui aveva colto di sorpresa Hinata e l’aveva stretta per i polsi, obbligandola a chinarsi.
            «Che stai dicendo?».
            «Guarda che a me non la dai a bere!». Si sentiva incredibilmente forte, nonostante il passo falso di due pomeriggi prima: era riuscita a mettere Sasuke all’angolo.
            «Non lo so, ma spero di sì», ammise in tutta sincerità. Era stufo di nascondere l’evidenza e pensò che forse, confessando tutto, sarebbe stato più facile farsene una ragione o abbandonare definitivamente le speranze. Non sapeva ancora cosa provasse per la Hyuga, ma era certo di non essersi mai sentito così, prima d’allora.
            «Dovevo immaginare che non stessi agendo per favorire lei, ma solo te stesso. Per un momento c’ero cascata, sai? Credevo davvero che mi avessi cercata per allontanarmi da Naruto e far avvicinare quei due… Ma sei Sasuke Uchiha, ti prendi ciò che vuoi senza alcuna pietà». Il sorriso tirato sul suo volto era una smorfia disgustata che non risparmiava nemmeno se stessa. L’aveva abbindolata.
            «Ti sbagli. Io desidero solo che lei sia felice».
            «Perché t’interessa tanto?», chiese Sakura, continuando a gustarsi la scena davanti ai suoi occhi: il biondo aveva letteralmente trascinato Hinata verso di lui, affondandole le piante dei piedi nello stomaco, e la poverina aveva lanciato un sommesso grido di dolore, al contatto. Naruto era così: un bambino che, pur di primeggiare sugli altri, si spazientiva e, anche con un sorriso, era in grado di calpestare le tue emozioni. Non lo faceva con cattiveria, era solo la sua natura esuberante.
            L’aveva visto lanciare occhi di sfida verso Kiba e Neji, ancora indaffarati a cercare l’equilibrio, e aveva ridacchiato, vantandosi di aver battuto sul tempo l’Inuzuka.
            «Perché a te interessa Naruto?», le chiese improvvisamente Sasuke, senza nemmeno girarsi a guardarla.
Poteva benissimo immaginare lo stupore che accompagnava il silenzio della ragazza dai capelli rosa, mentre cercava di trovare una spiegazione logica e fornirgli una soluzione valida. I secondi passavano lentamente, senza che giungessero parole dalle labbra schiuse e tremanti dell’Haruno.
            «Ecco, è esattamente lo stesso motivo per cui sono attratto da Hinata», concluse con un sorriso lieve.
 
***
 
«Stai bene?», le domandò Naruto, fissandola con aria preoccupata.
            La ragazza si massaggiava lentamente il punto esatto in cui lui le aveva piantato i piedi per sollevarla a mezz’aria, cercando di sorridere. Non era un dolore insopportabile, sarebbe sicuramente passato nel giro di qualche minuto, eppure era sconvolta: lui era andato oltre il suo rifiuto di svolgere l’allenamento.
            Che cosa stupida, soffermarsi a ragionare su un banale esercizio fisico! Eppure non riusciva a ignorare il fatto che l’Uzumaki l’avesse ferita. Dio, che esagerata! Per una cosa tanto stupida? Sì, se l’era un tantino presa per una sciocchezza del genere, perché da lui proprio non se l’aspettava. Soprattutto quando lei si era fatta sempre mille riguardi per arrecargli il meno disturbo possibile. Una vocina nella sua testa, poi, continuava a ripeterle che, se avesse posseduto i capelli rosa, sicuramente, in quel momento, non si sarebbe stretta lo stomaco dolorante, né lui sarebbe corso da Neji e Kiba per vantarsi della propria bravura.
           Si alzò trattenendo il respiro e sorrise, nonostante tutto. Non importava, davvero; lei al dolore era abituata, in fondo, no? Quello era davvero nulla, in confronto a ciò cui era avvezza. E poi era Naruto: come poteva serbargli rancore per così poco?
           «Non volevo, scusami davvero!», corse nuovamente verso di lei, con espressione rammaricata.
           Incredibilmente, riuscì a sostenere il suo sguardo. Fosse successo una settimana prima, non sarebbe stata in grado nemmeno di reggersi in piedi, sotto quegli occhi limpidi fermi sul suo volto, ma stavolta era diverso; gli eventi che l’avevano travolta nel giro di sei giorni, dalla vicinanza di Sasuke all’apertura al dialogo con Neji e suo padre, erano stati quella molla in grado di renderle tutta la sofferenza patita - e che avrebbe sicuramente continuato a provare - un po’ più sopportabile. Aveva imparato che il dolore era parte integrante della vita, una condizione necessaria, che poteva essere vinta e superata.
            «Non preoccuparti. Sono contenta di essere capitata in coppia con te, sei stato bravo», affermò in tutta sincerità, sorridendo. Un leggero velo color porpora si era steso sulle guance, ma non aveva balbettato, né aveva evitato le iridi cerulee del compagno di classe. Era felice di esser riuscita a esprimere perfettamente la frase che le si era dipanata in mente, ma anche stranamente stupita: cosa le stava accadendo?
            «Siamo stati bravi, Hinata», precisò lui, strizzandole l’occhio.
            Lo guardò allontanarsi verso lo spogliatoio, tenendosi una mano sul petto. Stavolta era una reazione diversa, ne era consapevole: non voleva accertarsi che fosse tutto vero, né era un modo inconscio per stringersi Naruto al cuore; desiderava solo racchiudere il calore di quel sorriso nel palmo della mano e infonderlo alle ossa, con la certezza che l’Uzumaki sarebbe appartenuto in eterno al mondo dei sogni. Ecco, lui era suo amico; a differenza di Sasuke, non aveva alcuna paura a definirlo tale, né se ne dispiaceva.
 
Un tonfo improvviso fece voltare l’intera scolaresca: Rock Lee era steso a terra, sfinito, con le braccia doloranti.
            «Ragazzo, hai esagerato! Duecento flessioni dopo la serie di addominali e trenta minuti di corsa…», mormorò addolorato il professore, nemmeno fosse stato al suo capezzale.
            Il pupillo sorrise e alzò il pollice, cercando di mettersi in piedi, ma il Maito glielo impedì con un gesto della mano. Si voltò verso gli altri alunni, con espressione rammaricata, e puntò i suoi occhi neri in ogni sguardo che incrociava.
            «La lezione finisce prima: porto il vostro compagno in infermeria. Voi, intanto, andate a cambiarvi e aspettate il suono della campanella per andarvene».
            Appena l’uomo sollevò il ragazzo da terra e uscì dalla palestra, ci fu un fuggi-fuggi generale.
           Hinata seguì passivamente Tenten nello spogliatoio. Era sempre imbarazzata a doversi cambiare davanti alle altre; provava un certo impaccio nel mostrare il suo corpo, e già la gonna dell’uniforme, per lei, era di una lunghezza vertiginosa. Se poi ripensava alla scena del pomeriggio precedente, la camicetta sbottonata, il collo preda dei baci di Sasuke, a stento riusciva a respirare.
            Non si sarebbe cambiata subito. «Mi fermo a sistemare i tappetini», sorrise.
            «Hina, ti prego! Lascia perdere, cosa te ne importa?», rise la castana, infilandosi la giacca. Le altre ragazze erano già uscite, così come i maschi; non provenivano rumori, dallo stabile.
            «Di solito se ne occupa Rock Lee, ma oggi non si è sentito bene…».
            «Kiba ci aspetta, coraggio!», la spronò l’altra, lanciandole in faccia la sua uniforme. Era troppo ligia al dovere!
            «Non voglio uscire prima della campanella, non è giusto. Occuperò il tempo facendo qualcosa di utile… mancano solo venti minuti, in fondo», insisté lei, piegando gli indumenti.
            «D’accordo, come vuoi tu. Ci sentiamo più tardi, va bene?», propose Tenten, abbracciandola.
            Hinata annuì e l’accompagnò alla porta. Salutò l’Inuzuka e spiegò anche a lui i motivi della sua scelta; una volta rimasta sola, si diresse verso la sala degli allenamenti.
 
Era strano vederla vuota, inanimata, disseminata solo da quei tappetini blu; là dentro il baccano era sempre infernale, tra le risate dei compagni di classe e le urla del Maito.
            I suoi passi rimbombavano, per quanto il pavimento fosse gommato, e il senso d’abbandono si moltiplicò esponenzialmente. Nonostante tutto, quella calma le piaceva, le trasmetteva un'armonia indescrivibile.
            Si piegò e cominciò a raccogliere e piegare i primi materassini di sottile poliuretano, quando una voce la fece trasalire.
            «Sapevo che ti saresti fermata. Tipico tuo». C’era una nota di derisione, nel suo tono, ma non era affatto maligna.
            La mora si voltò di colpo e si trovò davanti Sasuke. Si era cambiato; indossava i pantaloni della divisa scolastica e la camicia, mentre sulla spalla era appoggiata la giacca, il cui colletto lui tratteneva fra le dita.
            «Io…». Che doveva dire? Perché aveva aperto bocca? Non ce n’era motivo, non doveva spiegazioni a nessuno. Inoltre, più pensava a cosa fare, più in mente le tornavano i suoi occhi neri, improvvisamente carichi di disprezzo, del giorno prima. Non doveva essere lì! Si trovò a rimpiangere di non aver seguito Tenten.
            Di fronte al non sapere come comportarsi, girò le spalle e si diresse nell’angolo dell’armadio, per riporvi gli attrezzi.
            Per quanto avesse tutte le ragioni del mondo per farlo, non tollerava che lo ignorasse.
            «Adesso non puoi più evitarmi!», dichiarò lui deciso, seguendola, chiudendo poi di colpo lo sportello metallico e intrappolandola nello spazio fra le sue braccia. «Sei costretta a guardarmi».
            La vista le tremava e non trovava il coraggio di alzare il capo.
            «Ti senti bene?», le chiese, avvicinandosi con il volto al suo. Voleva osservarla, sondare tutto ciò che lei, a parole, non avrebbe mai espresso.
            «Co-come?». Certo che no, stava malissimo. Possibile che non se ne accorgesse?
            «Naruto ti ha ferita?», si preoccupò.
            C’era una risposta? Il dolore all’addome si era quasi placato e quello interiore era persino più trascurabile, ora che Sasuke era lì. Era riuscito a mettere in fuga addirittura quei pensieri ottimisti che avevano attraversato la sua mente, poco dopo che l’Uzumaki si era allontanato. Con un semplice, ma deciso gesto, era stato capace di spazzare via tutto quanto, facendosi il vuoto attorno; ora era certa che non era passione, quella per il biondo, dal momento che si rivelava essere un’ombra fuggevole.
            «Hinata?», la chiamò Sasuke, spazientito, ma con tono leggero.
            La ragazza scosse la testa e strinse i denti, decidendo di alzare il capo e guardarlo. Quand’era diventato così affascinante, l’Uchiha? Lo era sempre stato? Non riusciva a ricordarlo, persa com’era a concentrarsi sui dettagli del suo viso. I capelli gli cadevano disordinati sulla fronte; le punte, bagnate da un leggero sudore, sembravano indicarle dove guardare: “Gli occhi, Hinata. Punta ai suoi occhi e vedi di non smarrirtici dentro”.
            Erano puri magneti, quelle iridi scure; erano una maledizione, per chiunque le avesse mai incrociate, perché si fissavano nella mente a lungo, conducendo per mano il malcapitato – o il fortunato – sul ciglio del burrone della follia. Per la Hyuga era stato lo stesso, non aveva potuto evitare di cancellare quel color carbone dalla propria testa. Si era sempre trovata inspiegabilmente bene, nell’osservarlo, ma da qualche ora lo temeva come la morte. Il modo in cui l’aveva solo guardata, prima che lei fosse uscita con Itachi, verso l’auto, l’aveva spezzata.
            «Non devi avere paura di me», sussurrò il ragazzo, accorciando ancora di più la distanza fra loro.
            «N-non ne ho», mormorò con voce tremante. «Temo solo di averti deluso».
             E, forse, pure di perderlo.
            «Perché mai?». Lo stupore si era dipinto sul suo volto con una leggera ruga fra le sopracciglia.
            «Perché non sono come le altre… le altre ragazze. Insomma, quelle che frequenti. Non ho nemmeno l’esuberanza di Sakura». Si bloccò di colpo. Perché se n’era uscita con quel ragionamento? Cosa si aspettava da Sasuke? Che le dicesse che non era vero, che non aveva nulla da temere e che sarebbe certamente risultata carina quanto l’Haruno? Lei non era – giustamente – nulla ai suoi occhi.
            Abbassò le palpebre, pronta ad ascoltare una risata di scherno dalle labbra di Sasuke, ma quella non arrivò mai.
            Nella mente del ragazzo tornarono a rimbombare le ultime battute della telefonata fatta a Naruto. Lei non è Sakura… che idiota! Certo che non lo era! E che stupida, pure lei: come poteva farsene una colpa?
            «E lo ritieni un difetto?».
            La ragazza sgranò gli occhi, guardandolo. «Non dovrei?».
            Sasuke sorrise, stringendola improvvisamente e sfiorandole il capo con il naso.
            «Sciocca», disse, baciandole la fronte e inebriando le narici del profumo dei suoi capelli.
            Anche il suo cuore perse un battito; com’era diverso, quell’abbraccio, dalle strette con cui cingeva le altre ragazze! Era come se, solo allora, le sue dita avessero veramente sfiorato un corpo per la prima volta. Il calore che percepiva sotto il leggero cotone della camicia e la pelle degli avambracci era appagante, confortevole, prezioso, tremendamente fragile. Non trovava la forza di parlare e, incredibilmente a disagio, non era nemmeno in grado di staccarsi da lei.
            Hinata, senza capire come, né perché, sfiorò le braccia del moro e tremò. Aveva bisogno di quel contatto, era un nuovo modo per accertarsi della realtà… di quella che valeva la pena subire. Si scostò leggermente dall’abbraccio e aprì gli occhi, cercando di cacciare indietro le lacrime. Fissò le pupille nelle sue, con trepidazione, e si alzò delicatamente sulle punte dei piedi, trovando l’insperato coraggio di accarezzare il volto del giovane. Le loro labbra erano vicine, i nasi si sfioravano, i respiri erano così caldi da poter far condensare l’aria.
            Avrebbe dovuto serrare gli occhi, ma riusciva solo a socchiuderli, perché voleva vedere la scena, desiderava osservare la sua immagine riflessa nelle iridi dell’Uchiha. Le serviva la prova che fosse tutto vero, che lei non era più la timida e impacciata di sempre. Quello non era Naruto, era Sasuke, con tutta la sua fama di bello, dannato e insensibile che si portava dietro… e non ambiva che fosse nessun altro, in quel momento. Ardeva per un suo bacio, inconsapevolmente. E il bacio arrivò.
            Sasuke le accarezzò la schiena. Stavolta era diverso, provava rispetto per la ragazza. Non voleva spaventarla, anzi; era quasi lei che faceva paura a lui, con quella sua intraprendenza, i polpastrelli che sfioravano timidamente le sue guance e le labbra che si fondevano con le sue, muovendosi simmetricamente, come se non fossero state create che per quel momento.
            “È tutto vero”, avrebbe voluto dirle, se solo fosse riuscito a crederci pure lui. “È tutto vero, chiudi pure gli occhi”.
 
Hinata provava un leggero formicolio sulla punta delle labbra, un senso di vertigine e piacevole perdizione. Il suo primo bacio! Non era come lo aveva immaginato e, soprattutto, non con colui di cui era sempre stata innamorata, ma non importava.
            Aveva sempre sognato che a stringerla fra le braccia sarebbe stato Naruto, con il suo sorriso a sfiorarle la bocca; aveva sempre sperato che il biondo avesse trovato il coraggio di versare la sua risata spensierata anche fra le sue labbra, con un romantico contatto. Ma quello non era l’Uzumaki ed era consapevole che non lo sarebbe mai stato, che il film che la sua mente aveva girato da troppi anni a quella parte non sarebbe mai stato proiettato nella quotidianità. E sorrise, sorrise di tutto cuore, mentre avvertiva il respiro caldo di Sasuke pervaderle le narici e la cavità orale.
            Improvvisamente si sentì la persona più vicina alla perfezione del mondo, perché quell’istante era perfetto, nella sua assurdità.
             Il moro assaporava le sue morbide labbra inviolabili e sapeva che, anche quello, era un punto di non-ritorno. Una parte di lui gli ricordava che era tutto un colossale errore, che aggrapparsi con forza a lei significava ferirla, ma sentirla tremare, mentre timidamente cercava di appoggiare le piccole mani bianche al suo torace, lo spingeva ad andare avanti.
            Le accarezzò il bordo della maglietta, sfiorandole le punte dei capelli, e osò alzare il tessuto. La sua schiena era inaspettatamente calda, quasi quanto i propri polpastrelli, ma lei ebbe comunque un sussulto e si staccò brevemente dal bacio.
            Lo guardò negli occhi con esitazione, ma pure con desiderio. Sì, quello era puro trasporto, volontà di non fermarsi, non ora. Bramava quel contatto.
            «N-non voglio più deluderti», aveva mormorato lei, sentendo le dita del corvino lungo la colonna vertebrale; risalivano lentamente ogni lieve sporgenza ossea, come una deliziosa tortura, pronte ormai a sganciare il gancetto del reggiseno. Si erano fermate proprio lì, su quel lucchetto solitamente tanto facile da aprire, ma tremendamente arduo da sciogliere, in quel frangente. Voleva solo una cosa, lo sapeva anche lei… e aveva paura, perché tutto stava succedendo troppo velocemente, e lei non era per niente sicura di desiderare lo stesso. Le bastava affondare negli occhi scuri del ragazzo per giurare che anche lei agognava quell’unione fra menti e corpi, ma se distoglieva lo sguardo dal moro, non era certa di nulla. Non c’entrava Naruto, ora, ma solo lei, con le sue terribili paranoie e paturnie.
            «Nemmeno io», le fece eco Sasuke, in un sussurro, chinandosi ancora sul suo volto, mordicchiandole il labbro inferiore.
            La Hyuga gemette lievemente e quel suono mandò in estasi l’Uchiha. Eccola, stava di nuovo abbassando le sue difese, e stavolta non esitò più. Con impeto, insinuò la sua lingua nella bocca della giovane, cogliendola di sorpresa.
            Era tutto nuovo, per lei, ed era sconvolgente. Sentiva la propria lingua fremere dal desiderio di sfiorare quella di Sasuke, amalgamarsi alla sua, in una danza incantevolmente pericolosa, e, per una volta, decise di abbandonarsi ai sensi, all’istinto, assecondandone la volontà.
            Si avvinghiò alla schiena di Sasuke, trattenendo a stento le lacrime quando lui le accarezzò di nuovo la pelle della schiena, riabbassandole la maglia e stringendola forte a sé.
            I loro cuori erano perfettamente sovrapposti, ora, e sembravano eseguire la stessa sinfonia; una martellante cavalcata delle Valchirie, verso il precipizio della passione. Potevano definirla così? Sì, perché gli elementi c’erano tutti: la disperazione, la ricerca di contatto e l’assoluta irrazionalità.
            Hinata si lasciò accarezzare le guance, senza alcuna forma di timida ritrosia. Sentire le dita dell’Uchiha sul suo volto le dava i brividi e lei si ritrovava a stringere convulsamente le pieghe che si formavano sul retro della camicia del moro.
            In quel piccolo peccato, c’era qualcosa di estremamente giusto: la voglia di sentirsi viva e di non lasciarsi più morire per nessun sorriso che non sarebbe mai potuto appartenerle. Quello di Sasuke era costantemente misterioso e fugace, ma non aveva dubbi: quelle poche volte in cui gli aveva sfiorato le labbra, era sempre stato sincero, e dedicato a lei, a lei soltanto.
            «Grazie», mormorò la ragazza, con il viso nascosto dai capelli blu che l’Uchiha le stava carezzando.
            Sasuke le prese la nuca nel palmo e, con l’altra mano, le sollevò il mento: si ostinava a tenere gli occhi chiusi, come a voler scomparire completamente, ma lui non glielo avrebbe mai permesso. Le lunghe ciglia le sfioravano gli zigomi ed erano tempestate da piccoli cristalli di lacrime, come stelle su un prato tenebroso. Era bellissima e gli si stringeva il cuore, nel constatarlo. Come era potuto essere cieco per tanto tempo?
            Appoggiò delicatamente le labbra sui suoi occhi chiusi, baciandole quella folta schiera di fili neri, dove spesso si erano infranti i suoi sogni, sotto forma di gocce. Non l’avrebbe mai più permesso: se lui fosse entrato nei desideri della Hyuga, non si sarebbe mai sciolto sotto le sue palpebre. Avrebbe asciugato le sue lacrime fino allo sfinimento, fino a consumarsi la bocca e ad appassire lentamente.
            «Grazie a te». Finalmente aveva la risposta che nessuno era stato in grado di dargli.
 
Rimasero abbracciati per una manciata di minuti, aspettando insieme il suono della campanella. Le mani affusolate del ragazzo attorcigliavano in mille morbidi riccioli le ciocche lisce della fanciulla, mentre il respiro forzatamente controllato della Hyuga si disperdeva nelle fibre tessili della camicia, arrivando dritto al cuore di Sasuke.
            “Protezione” era davvero la parola giusta, ma non sembrava più bastare, nemmeno a lei. Qui si andava oltre, si sfiorava il seducente profilo di un’altra sensazione, molto più grande, appagante e avulsa dal mondo umano. Fino a qualche giorno prima, lei desiderava denominarla “amicizia”, ma ora sapeva che non era il termine giusto. Quel vocabolo descriveva solo parte di ciò che Sasuke poteva essere… o forse per niente. Mentre appoggiava saldamente le mani e l’orecchio al petto del suo compagno di classe, aveva sentito il suo cuore battere placidamente, ma anche a un ritmo che di calmo, in sé, non possedeva nulla. Non sapeva come definire quel suono, se non come “musica”. Quella era la sinfonia più armoniosa che avesse mai udito, se possibile, ancora più avvolgente e struggente del Liebesträume di Liszt. Che fosse quella, l’espressione corretta?
            Il respiro caldo di Sasuke le vezzeggiava con dolcezza il viso, spingendola a sorridere. Era mai stata viva, prima di allora?
            “Affetto”, sì. Era affetto, ciò che occupava spazio nel cuore e le causava quei brividi leggeri che l’Uchiha cercava di reprimere con delle carezze delicate lungo la schiena. Oppure aveva ragione Liszt, il compositore che accompagnava in sottofondo, nelle sue orecchie, quell’incantevole momento? Era un sogno d’amore? Se pensava all’andamento di quella famosa melodia per pianoforte, allora sì, non aveva dubbi: lo spartito che spiccava sul piano del salotto, ora che ci pensava, recava proprio l’indicazione “Poco allegro, con affetto”. Seppur quelle parole si riferissero al campo musicale, non valeva forse lo stesso, per le sue emozioni?
            Cercò di auscultare ogni battito del cuore del ragazzo, ma non avrebbe mai potuto decifrare i misteri cardiaci. Non se ne curò; capì solo che quel momento era perfetto e che lei non sarebbe dovuta essere in nessun altro luogo, se non fra le sue braccia. Il suo posto era lì, in quella palestra vuota, con quei pantaloncini e maglietta anonimi, e l’abbraccio di Sasuke come seconda pelle.
 
***
 
Non riusciva a perdonare, Karin Uzumaki: era un suo grande limite. Per quanto avesse speso ore a ragionare e a macchinare vendette su vendette su chi non era in grado di apprezzarla, questa volta non le sembrava di aver architettato nulla di efficace. Poteva contare sull’avversione di Neji, ma non le sembrava abbastanza, di fronte a quell’abbraccio che aveva intravisto di sfuggita da una finestra, mentre si apprestava a raggiungere lo Hyuga, verso il cancello.
            Sorrideva verso il ragazzo che sperava sarebbe stato in grado di cancellare una cocente delusione, ben consapevole che non era sufficiente. Le dita di Sasuke, nei capelli di Hinata, erano pugnalate al petto. Lei non era stata mai sfiorata da nessuno, in quel modo, men che meno da lui. Solo modi bruschi e animalesche soddisfazioni di istinti primordiali, nessuna forma di affetto.
            Si fermò a una decina di metri da Neji, strinse i pugni ed estrasse da una tasca della borsa il cellulare. Scorse velocemente il dito sui contatti della rubrica, finché non trovò quello desiderato.
            Una parte di lei sapeva che stava compiendo qualcosa di tremendamente ingiusto, ma l’altra, di gran lunga predominante, le ricordava che era stata vittima di un rifiuto inaccettabile. Sì, era la cosa corretta da fare.
            «Ho bisogno del tuo aiuto», affermò con un ghigno sinistro, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
            «Aspetto i tuoi comandi, mia signora!», ridacchiò una voce profonda e tenebrosa, dall’altro capo della cornetta.
            La giovane impiegò pochi minuti al telefono, per poi avvicinarsi con aria serena allo Hyuga, che la stava aspettando con un'espressione seccata. Gli sorrise affabilmente, accarezzandogli una spalla.
            «Perdona il ritardo, i soliti scocciatori. Ora sono tutta tua», sussurrò suadente al suo orecchio, prendendolo per mano.
            Karin Uzumaki, il diavolo in persona.







Salve a tutti! 
Eccomi tornata, dopo una decina di giorni (o forse di più?). Questo capitolo ha avuto un parto più veloce del solito, ma mi sono fermata parecchio a rivederlo e correggerlo perché ci tenevo tanto che esprimesse bene ciò che sta succedendo fra Hinata e Sasuke. Vi ho fatto aspettare tanto, lo ammetto, ma trovavo che il momento più adatto per farli finalmente baciare fosse questo! :D Alleluia!! Mi è piaciuto scriverlo, in tutta sincerità... e spero che vi aggradi almeno un pochino ;)
Capitolo lunghiiiissimo, tra l'altro, ma non sarei stata in grado di troncarlo... senza una gamba, sarebbe inciampato (più di quanto sia già barcollante la storia in sé, forse XD)
Ahah riguardo la cosiddetta presa dell'angelo, ho ancora gli incubi: il professore di Educazione Fisica del liceo ci aveva imposto di fare quell'esercizio ed è stato traumatico! Come non poter proiettare questa "cattiveria" sul buon Gai? XD E' mai capitato anche a voi di dover affrontare esercizi da circensi, a scuola? XD
Karin, Karin... che donna diabolica! A chi ha telefonato? Mmm sapete che non lo so ancora nemmeno io? Voi chi vorreste che fosse, quella voce misteriosa dall'altra parte del telefono? Inizialmente avevo pensato di infilare Kimimaro (ultimamente ne sono ossessionata *-*), ma poi ho pensato che non sarebbe mai stato abbastanza crudele... perciò mi piacerebbe sentire il vostro parere! Chissà, magari potreste trovare una vostra scelta nel prossimo capitolo ;)
Ah ecco, ve lo scrivo qui in calce: sarà qualcosa di forte, abbastanza violento... spero di riuscire a stenderlo decentemente e non turbare nessuno. Come sempre, voi rendetemi noto tutto ciò che non va: è solo un piacere, per me! ;)
E vi ringrazio per le bellissime parole, lasciate da nuovi e vecchi recensori: conoscervi è stato gratificante! Sarei lietissima di ascoltarvi ancora! Perciò, senza indugio, se vi va, sfogatevi nel rettangolino qui sotto (quanto mi sento youtuber!).
Scusate ancora l'attesa. Ho in mente tanti progetti per nuove FF (ed è un male, con gli esami alle costole)... tra cui, forse, pure una long (è proprio un male!), perciò le idee si attorcigliavano fra loro, in questo periodo! 
Un ringraziamento speciale a The death of Valkiria, che ha avuto il fegato di segnalare la storia nelle scelte! Ci vuole coraggio, sai? XD 

Grazie a tutti voi!
A presto, 
baci 


Ophelia
   
 
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