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Autore: PiGreco314    16/02/2014    9 recensioni
Dopo aver letto Hunger Games sono totalmente impazzita. L'ho amato, ma una domanda continuava ad assillarmi: (mini-spoiler) "come hanno fatto Katniss e Peeta a riavvicinarsi?"
Metto a vostra disposizione una mia personale risposta a questa domanda e spero vi piaccia :3
A chi dunque sia interessato ai fatti che potrebbero essere accaduti dal rientro nel distretto 12 all'epilogo auguro buona lettura :3
P.S. È la mia prima ff, siate buoni!
Tratto dal primo capitolo:
"Riesco a stento a ricordare l'ultima volta che le sue labbra hanno sfiorato le mie. Poi il tepore della coperte mi assorbe completamente e io scivolo di nuovo nel sonno, mentre sento il tocco leggero della mano di Peeta e il suo profumo. Haymitch ha ragione - è l'ultima cosa che risco a pensare, insieme alla risposta all'ultima domanda che mi ha rivolto.
- No, non c'è bisogno che mi ricordi che ho un motivo più che valido per andare avanti. Peeta. -"
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Vuoto. Buio. Bombe. Prim. Morte.
Il 99 per cento dei miei pensieri. Ho provato a reagire ma non è servito a nulla, è tutto più forte di me. Molto più di quello che avrei potuto mai immaginare. D'altronde ha mai avuto davvero senso provare a reagire?
Peeta.
L'1 per cento, l'unica risposta che riesco a dare a questa domanda.
Che strano. L'unica cosa a cui posso aggrapparmi è un ragazzo per il quale non so cosa provo e che un tempo mi amava e ora mi vuole morta, il tutto perché le persone contro cui lottavo gli hanno fatto il lavaggio del cervello, mentre quelle con cui lottavo hanno ucciso la mia sorellina. Non ha senso, o almeno non riesco a coglierlo; mi scopro ancora una volta indifferente a trovarlo.
Voglio solo che finisca presto; il senso di vuoto e tutto questo dolore mi distrugge, il silenzio interrotto periodicamente dal suono di bombe che esplodono, armi da fuoco che sparano e cannoni che rimbombano mi fa impazzire; qualsiasi cosa sia questa che sto vivendo (non credo abbia più senso chiamarla vita) voglio che finisca.
Passo le giornate a fissare il vuoto, seduta sul divano in cucina, mentre il tempo passa. Vedo alternarsi i diversi momenti della giornata osservando la luce del sole che cambia colore. Mi perdo mentre osservo la polvere in un raggio di luce, un moscerino che vola in aria, la trama del tessuto del divano, un neo su quello che rimane della mia pelle, il suono ovattato dei passi di Sae, che gironzola in giro per fare le faccende di casa e prepararmi del cibo. Mi alzo sporadicamente per andare in bagno (a volte riesco persino a lavarmi e in quelle occasioni Sae sgattaiola in bagno per portare via i vestiti sporchi e farmene trovare di puliti) e gli unici altri movimenti che compio sono quelli che mi permettono di nutrirmi di qualche fetta di pane o bere un bicchiere d'acqua. Non tocco mai nulla di quello che prepara Sae.
All'inizio ho davvero provato a lasciarmi morire d'inedia ma non ce l'ho fatta; l'istinto di sopravvivenza ha operato grazie al mio stupido inconscio e alla fine mi ha sempre spinto a cedere. Senza contare ancora una volta Sae, e con lei Haymitch. Credo che qualche volta mi abbiano obbligata a mangiare, forti del fatto che non avessi abbastanza energia per oppormi, ma non ne sono sicura. Non sono più sicura di nulla.
Ho smesso di fare quel giochino idiota del dottor Aurelius, di ripetere le cose di cui sono certa per focalizzare la mia attenzione sul presente.
Prim appartiene al passato e io appartengo a lei. Appartengo a un passato di morte, che non riesco a lasciarmi alle spalle, che mi perseguiterà per sempre. E gli incubi ne sono solo una piccola dimostrazione. 
In ogni caso tutto questo non fa che aumentare il disprezzo che nutro nei miei confronti; ho permesso la morte di metà popolazione di Panem ma non sono capace di uccidere me stessa, l'unica persona al mondo che meriterebbe davvero la morte.
Ma forse la mia punizione consiste proprio in questo limbo infernale.
Il mio unico sollievo è che almeno non sono cosciente di molto altro, dell'esterno. Durante il giorno Sae resta a casa a tenermi d'occhio, a volte prova a parlarmi, senza ovviamente ottenere risposta, ma è tutto così annebbiato e confuso che non ci metterei la mano sul fuoco, nonostante abbia ricordi anche di Haymitch, che mi gira intorno cercando di fare chissà cosa in più di qualche pomeriggio assolato, i secondi scanditi dal ticchettio dell'orologio della cucina, che sembrava improvvisamente dieci volte più forte.
Forse all'inizio c'è stato un po' di scompiglio. I ricordi si mescolano tra loro e non sono in grado di scinderli, in una confusione di volti e persone che mi si accalcano attorno.
Il mio "1 per cento" invece sembra essere scomparso. Non ho più rivisto Peeta dal giorno delle primule, che potrebbe essere stato anche cento anni fa per quel che mi riguarda. L'ho rivisto solo nei miei incubi, mentre tenta di uccidermi o mentre viene ucciso da alcuni ibridi di Capitol City, dai pacificatori, da Snow, dalla Coin... Da Gale... Da me.
A volte penso sia meglio, se non lo vedo sarà più facile accettare che non potrà far parte della mia vita come un tempo, o come vorrei; altre volte mi manca a tal punto da aver una paura folle. Ho paura che un giorno, non vedendolo mai più, possa dimenticarmi di lui, del suo aspetto, della sua sua voce, del suo profumo. Dei suoi occhi azzurri, dei suoi capelli biondi e morbidi e del fatto che ama dormire con la finestra aperta e che l'arancione, quello tenue che tinge un tramonto, è il suo colore preferito. Così mi sforzo di ricordare quanto più è possibile di lui, qualsiasi dettaglio, ma a quel punto subentra il dolore. Soprattutto se invece dei suoi occhi azzurri il mio cervello mi rimanda l'immagine dei suoi occhi neri e l'impressione di un paio di mani che si stringono attorno al mio collo.
In quei momenti mi sento così prossima alla morte che quasi muoio davvero quando lo rivedo, un giorno, in carne ed ossa, nella mia cucina, mentre si accovaccia sull'altro lato del divano, di fronte a me, fissandomi, mentre ero intenta in questi pensieri e mentre mi sforzo di cacciarli via.
Non mi ha parlato, le sue labbra non si sono mosse, quindi ne sono abbastanza sicura. Si è semplicemente seduto di fronte a me e mi fissa, mentre io fisso lui. Dopo un po' gira leggermente il viso per dire qualcosa a Sae, ma le sue parole sono troppo lontane da me, non riesco a coglierle, la nebbia che ha circondato il resto del mondo in questi giorni cattura anche le sue parole; infine si riconcentra su di me.
Cosa vuole? Perché è qui? Perché non dice nulla? Perché è così calmo? Perché sì, nonostante i suoi occhi siano vuoti, il suo corpo è rilassato e il suo respiro regolare. L'immagine del suo corpo che si solleva e abbassa leggeremente mentre respira, per un po' mi rilassa. Poi però ritornano le domande e con loro la rabbia. Non può venire qui dopo avermi abbandonato... Per quanto? Giorni? Settimane? Mesi? Non lo accetto. Voglio che vada via. Vorrei strillarglielo ma le parole mi muoiono in gola. Così mi limito a fissarlo, così come lui fissa me. Mi chiedo cosa vedano realmente i suoi occhi, vigili. Una ragazza "mentalmente instabile" o un ibrido che sta studiando il modo migliore per ucciderlo? Cosa vedi in me, Peeta? Cosa sono? Capisco di aver bisogno di questa sua risposta: voglio che mi dica cosa sono perché io credo di averlo dimenticato e comunque non sono più attendibile.
È buio da un po' quando Haymitch arriva a casa e porta via Peeta.
Voglio fermarlo, così da poter trattenere Peeta ancora un po' e provare a rilassarmi di nuovo osservandolo respirare, come oggi pomeriggio. Poi mi ricordo di nuovo di essere arrabbiata con lui e di aver pensato di non volerlo qui. Sto impazzendo. Peeta in ogni caso va via, lasciandomi da sola, con Sae, che oramai mi si allontana sporadicamente e solo quando Haymitch le dà il "cambio".
Nessuna parola, nessun commento. Se ne va via, così come è venuto.
E così continua a fare nei giorni seguenti; passiamo la mattinata e il pomeriggio a fissarci, anche mentre pranziamo, io con qualche fettina di pane, lui accettando qualsiasi cosa Sae gli offra. Restiamo sempre così, senza fare nulla, finchè non fa buio e Haymitch decide che ne ha abbastanza di vederci così, riportando Peeta a casa.
All'inizio sento ribollire la rabbia nei suoi confronti, tutto il risentimento per non essere venuto da me prima, ma col tempo la rabbia diminuisce; sarà perché noto le sue occhiaie farsi sempre più profonde, un nuovo livido o altri graffi che si aggiungono alla collezione di cicatrici gentilmente offerte da Capitol City.
Se per una volta provi a non fare la "stronza" egoista -mi dico- puoi accorgerti che non sei l'unica a soffrire.
Ed è proprio mentre penso a questo che vedo una piccola e solitaria lacrima solcare la guancia destra di Peeta.
È quanto basta per farmi scattare. La vista di quella lacrima è intollerabile. Mi avvicino rapidamente a Peeta, gli afferro il volto tra le mani e gli asciugo la lacrima con il pollice, con una delicatezza di cui non pensavo essere capace dopo tutto questo tempo passato a vegetare su un divano.
- Perché piangi? - dico prima che possa rendermene conto e ancora - Non farlo, ti prego. -
Il suono della mia voce, che non udivo da tempo, roca dopo il mio ostinato silenzio, mi sorprende. E stupore è la stessa espressione che leggo sul suo viso, così vicino al mio...
Lo vedo irrigidirsi e prendere fiato per dire: - Perchè te ne sei andata Kat, e io non so come fare per aiutarti... Perchè non "posso" aiutarti. E perché proprio ora che sento di dover stare con te devo andarmene.- Pronuncia l'ultima frase col fiato corto, mentre si divincola dalla mia presa velocemente. Riesco appena a notare i suoi occhi improvvisamente scuri, prima che scompaia.
Peeta sta male; ha avuto chissà quanti attacchi mentre io ammuffivo sul mio divano e ne sta avendo uno anche ora. Mi alzo di scatto e questa volta non faccio in tempo a sorprendermi di me stessa che perdo l'equilibrio e cado a terra. Sento un dolore lancinante alla testa poi nulla più.

Quando mi risveglio per poco la luce della stanza non mi acceca. Penso di essere sul mio divano ma una breve occhiata alla mia sinistra mi dice che qualcuno deve avermi portato nella mia stanza. Mi volto dall'altro lato e questa volta i miei occhi incrociano quelli di Peeta, seduto sul letto, accanto a me. Sono di nuovo azzurri. Accenna un sorriso e mi sfiora la guancia in una carezza che sa di incertezza, paura di farmi male.  Sto quasi per iniziare a piangere, si è ancora fatto del male, ha nuovi graffi sul volto e una ferita sulla fronte, tutta circondata da lividi, ma prima che possa farlo la voce di Haymitch esplode nella stanza: - Ma bene, finalmente ti sei svegliata dolcezza. -
È furioso. - Ora voi mi ascoltate e per una dannata volta... -
-Haymitch, si è appena svegliata- interviene Peeta con voce bassa ma ferma. Non stacca gli occhi dai miei.
-Me ne sbatto caro il mio ragazzo! Non me ne importa minimamente se la povera ragazza in fiamme non può accompagnare il suo risveglio con latte e brioches appena sfornate. Ora per una dannata volta state zitti e la smettete. Vi ho tenuto in vita fino ad ora nonostante mezza Panem vi volesse morta e non permetterò che vi uccidiate voi, da soli. Tu, dolcezza- si rivolge a me - Ti è morta la sorellina? I tuoi amichetti Finnick e Cinna sono morti e non possono più saltare la corda con te, giocare con le bambole o farti tanti bei vestitini? Povera, mi dispiace tanto, è così ingiusto che sia capitato a te! Sei davvero l'unica persona al mondo ad aver perso delle persone care eh?- mi guarda, con sorriso sprezzante e ironico, le mani poggiate sul cuore in una posa beffarda.
-Smettila e vai avanti. È troppo difficile per te? Pensi che per qualcun altro sia stato facile o che lo sia ancora? Occorre davvero che ti dia la risposta? Occorre davvero che ti ricordi un motivo valido per continuare?- aggiunge e questa volta il suo tono è freddo, glaciale quanto il suo sguardo, che sposta leggermente su Peeta.
-E tu- aggiunge ora rivolto a lui, che per tutto il tempo è rimasto come pietrificato accanto a me, gli occhi persi fissi su chissà cosa sul pavimento ma ora posati su Haymitch. Trema leggermente.
-Smettila. Sì, smettila anche tu. Capitol ti ha fatto una bastardata ma sei ancora qui. E sei forte. Non fare la vittima perché non te lo permetto. Non fare il vigliacco perché non ti permetto nemmeno questo. Cosa vuoi fare? Ucciderti? Così madamoiselle cade in depressione una volta per tutte e addio anche a lei. Magari segue il tuo bell'esempio e si uccide pure. Ma sappiate una cosa, entrambi, non ve lo permetterò, perché dopo tutto quello che ho fatto, se proprio volete morire, la soddisfazione di uccidervi deve essere mia. -
Ci fissa ancora una volta, il suno delle sue parole sembra ancora riecheggiare nella stanza quando, come un lampo, si scaraventa fuori la porta, sbattendola. Sento il rumore dei suoi passi agitati lungo il corridoio poi nulla più.
Dopo qualche istante di silenzio riesco a sussurrare: - Peeta... - ma una fitta alla testa mi toglie il respiro e non riesco a continuare. Non so nemmeno cosa avessi intenzione di dire. Ma lui mi accarezza mentre un sorriso dolce e comprensivo gli distende leggermente le labbra.
- Shhh, non ti preoccupare... -
Riesco a stento a ricordare l'ultima volta che le sue labbra hanno sfiorato le mie. Poi il tepore della coperte mi assorbe completamente e io scivolo di nuovo nel sonno, mentre sento il tocco leggero della mano di Peeta e il suo odore. Haymitch ha ragione - è l'ultima cosa che risco a pensare, insieme alla risposta all'ultima domanda che mi ha rivolto
- No, non c'è bisogno che mi ricordi che ho un motivo più che valido per andare avanti. Peeta. -
  
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