Capitolo XX: A New Day Has Come
Luce.
Violenta,
fastidiosissima luce, un sottile raggio che fendeva l’oscurità, ferendole gli
occhi stanchi.
Maledetta
luce che squarciava il buio confortante che
l’abbracciava.
Kora
si stiracchiò, le membra doloranti e una vaga reminescenza di vertigini che si
fondevano con la confusione che aleggiava come nebbia nella sua
mente.
Era
distesa su di un letto, in una camera dai contorni irriconoscibili ma che
sicuramente non era la sua, con la netta sensazione di avere il braccio destro
fasciato, insieme ad almeno un’altra decina di bende strette qua e là sul corpo.
In nome degli Dei, che cos’era successo, ancora?
«Sembra
un déjà-vu, io che mi risveglio in un letto piena di botte e mummificata come
Tutankhamon…»
Non
ricordava niente, di quello che era accaduto prima…Poteva essere passata un’ora,
un giorno, od anche un anno, non riusciva a fare chiarezza in quell’agitazione
caotica che le offuscava i pensieri.
Sapeva
solo di essere stanca, troppo stanca. E con un enorme peso sulla coscienza, a
cui non riusciva a dare un perché.
Qualunque
cosa fosse accaduta, a giudicare dalla sua fortuna nel mettersi nei guai e farsi
male, non doveva certo essere stato un incidente da
poco…
«Torno
al Santuario con la promessa di non dare troppo nell’occhio, e invece eccomi qua
più malconcia di un novellino al primo giorno di addestramento…E chi lo sente
adesso, Kanon…AH!»
Una
fitta di dolore, al braccio destro ed alla testa.
Kanon…Nell’ultima,
sfocata immagine che conservava la sua mente martoriata, il saint stava
combattendo contro qualcuno, con un’espressione improbabile per un guerriero del
suo rango: un misto di preoccupazione e paura che ben poco s’addicevano ad un
cavaliere d’oro.
Cos’era
successo, maledetta emicrania…
…Se sei qui per dirmi di tornare alle dodici
Case, puoi anche andartene. Non ci torno. Mi sono fidata di voi, ho scelto di
crederci ancora una volta…Adesso basta, me ne tiro fuori. Me ne vado, d’ora in
poi conterò solo su me stessa. Al diavolo Atena, il Santuario, i Saints…Al
diavolo tutti…
Perché?
…Non dire idiozie! La questione riguarda me,
non puoi mettere a rischio una situazione ben più grande di te solo
per…
La
sua voce, il tono arrabbiato di chi vuol disperatamente far ragionare una
persona.
…Solo per cosa, Kanon? Una quisquilia? Una banalissima
menzogna? Una verità fatta di mille bugie? Taci, ti sei già sputtanato
abbastanza, per quanto mi riguarda!…
Ricordi, voci e suoni che riacquistano un tragico, doloroso
ordine nella memoria.
…Dimmi che è una menzogna, dimmi che non sei stato tu…
La pioggia di quel giorno ancora sulla pelle, il ghiaccio
nell’anima.
…Smettila di parlare come una bambina, e cresci, per una
dannata volta! Tu non sei nessuno per poter giudicare, non ne hai alcun diritto!
Hai cercato in Saga qualcuno che potesse alleviare il dolore della tua
solitudine, ma lo sai meglio di me, quel legame per lui non aveva alcun
valore…
Una verità
che fa male, troppo dura per essere accettata anche dalla personalità più
stoica. E il sapere di aver commesso l’irreparabile, senza nemmeno essersi
curata di conoscere il perché, l’altro punto di vista di una storia di cui lei
era stata soltanto una mera ed insignificante comparsa.
Ma non poteva
perdonare.
«Perché l’hai
fatto, Kanon?» pensò Kora, serrando le lenzuola fra le mani e trattenendo a
stento i sighiozzi.
Domande senza
soluzione.
“Kora, sei
sveglia?”
Una voce
dolce e rassicurante. Un richiamo alla vita. Ma lei, non era poi così sicura di
voler essere salvata, e non rispose.
“Kora”
La figura di
Mu apparve nell’oscurità tenue della stanza, accanto al letto su cui giaceva la
ragazza.
“Mu…Ti prego,
lasciami sola…”
Non voleva
che uno dei suoi più cari amici la vedesse ridotta in quello stato; non voleva
che vedesse cos’era diventata…
Sussultò,
quando sentì un braccio attorno alle spalle e, dopo un istante, il suo viso
rigato dalle lacrime contro il tepore del petto del cavaliere.
“Lo so che
detesti che ti si veda se piangi. Ma hai bisogno di sfogarti. Non vergognartene,
Kora…Io così non ti vedo…” le sussurrò il saint all’orecchio.
E solo così
lei si permise veramente di piangere.
Lui la
ascoltò in silenzio, senza interromperla, e capì molto più di quanto lei non
rivelò con le parole rotte dai singhiozzi.
Piano piano,
l’esile figura dell’amazzone smise di tremare, e il respirò si acquietò,
riportando il silenzio nella stanza.
“Va meglio,
adesso?”
Kora annuì
con un lieve cenno della testa.
“Sai Mu
–disse improvvisamente la giovane, schiarendosi la voce per riuscire a parlare
con un tono normale- mi sono appena ricordata…Ah, quanti anni saranno passati…Di
quella volta in cui abbiamo fatto la lotta sulla cupola del pantheon…”
Un sorriso
affiorò sulle labbra del guerriero.
“Quando tu ed
io abbiamo appeso Aiolia a testa in giù dall’oculo e abbiamo buttato Milo nella
vasca sacrale…”
“Sento ancora
le urla di Aiolia che strillava come una ragazzina mentre chiamava Aiolos…E le
vecchie sacerdotesse quando si sono ritrovate Milo bagnato fradicio in mezzo
alla fontana… Soprattutto –aggiunse dopo aver riflettuto un istante- rammento
anche la sfuriata di Shion e fosti tu a prenderti tutta la colpa”
Kora
ridacchiò, tirando su col naso:”Non so perché l’ho fatto…Forse perché ero fiera
di me stessa, avevo rifilato una sacrosanta lezione al prezioso pargolo “futuro
cavaliere”, e volevo che anche Saga fosse contento…Ovviamente, non lo fu per
niente”
“Ti ho
trovata alle due del mattino fuori dalla Terza, diluviava e tu piangevi in
silenzio…E mi hai anche quasi preso a pugni quando ti ho passato un
fazzoletto!”
Risero
entrambi, persi in quel ricordo della loro lunga amicizia.
“Eh, se non
ci fossi tu Mu, non so che ne sarebbe di me…” mormorò lei.
“INSOMMA,
STATE FACENDO UN PIGIAMA PARTY AL BUIO, E NON MI INVITATE?!” tuonò improvvisa la
voce di Aldebaran.
Kora sentì il
rumore di tende che venivano scostate, e la luce improvvisa inondò la stanza
che, nella momentanea cecità dovuta a quel bianco cangiante riuscì a riconoscere
come la camera di Mu alla Prima.
“Mu, sono
venti minuti che ti chiamo, sei per caso diventato sordo? –protestò il cavaliere
del Toro, posando un vassoio carico di cibarie d’ogni sorta sul comodino- Kora,
mi fa piacere vedere che stai meglio, mi hai fatto preoccupare! Mangia qualcosa,
ne hai bisogno!”
“Grazie,
Aldy” rispose la biondina, prendendo un croissant alla nutella.
“Al, hai per
caso avuto occasione di parlare con Doko?” domandò d’un tratto Mu.
Il saint
della seconda Casa si fece pensieroso:”No, non l’ho visto. Però un paio d’ore fa
è tornatao di nuovo qui Ka…ehm, nessuno. Volevo dire, non era niente
d’importante…”
L’occhiataccia dell’altro cavaliere lo zittì all’istante:
non era il momento migliore per parlarne, non con Kora che aveva appena iniziato
a riprendersi.
«Mu, non puoi
continuare a trattarla come una bambina!»
“Piccola, ti
ho portato dei vestiti puliti” aggiunse poi, parlando normalmente.
«So quello
che faccio. Non è il caso di discuterne ora»
Aldebaran
incrociò le braccia:«Per me sbagli. Non posso tollerare di vederla così, per
colpa di quel cretino…L’avevamo avvertito, di non nasconderle la verità!»
«Lo so. E
credimi, quanto vorrei poterla aiutare, ma è una questione che solo lei può
affrontare e sistemare»
Kora si alzò
in piedi e si scrollò le briciole dalla lunga maglietta che le arrivava fino
alle ginocchia, il cui probabile proprietario era Aldebaran.
“Ragazzi, vi
ringrazio per quello che avete fatto…Ora, potreste uscire, che mi cambio?”
domandò gentilmente la ragazza.
“Non avrai
intenzione di uscire, vero? Ti sei appena ripresa, hai dormito per
ventiquattr’ore e hai avuto la febbre per quasi tutta la notte! Non mi pare
proprio il caso” replicò Aldebaran.
“Sto bene,
non preoccuparti…Ho solo…bisogno di schiarirmi un po’ le idee, tutto qua. E lo
sai che non mi piace stare a letto, specie se non è più nemmeno mattina”
Il guerriero
scrutò a fondo lo sguardo della ragazza: stava male, non aveva dubbi; ma era
davvero brava a fingere il contrario, con quel sorriso apparentemente naturale
che le illuminava il viso.
«Mu forse non ha tutti i torti, dopotutto. Ma se
quell’idiota ne ricombina un’altra delle sue, giuro che stavolta non ci
vado giù così leggero come prima»
“Kora, penso
che dopo avremo un’altra riunione fra noi Gold Saints, ma se…se stasera
preferisci, puoi pure restare qui a dormire. Io non ho problemi ad usare la
stanza di mio fratello Kiki, ora che lui si è trasferito nel padiglione degli
allievi” disse Mu, con un sorriso.
“Grazie.
Siete davvero i migliori amici che una persona potrebbe desiderare” mormorò la
ragazza, guardandoli uscire, senza aggiungere altro.
“GALAXIAN
EXPLOSION!”
La piccola
arena sulla spiaggia fu inondata dalla luce improvvisa e il fragore del mare
venne sommerso dal rimbombo cupo della detonazione, mentre un’enorme colonna di
marmo finiva sgretolata all’istante, insieme al terreno circostante l’area di
una decina di metri.
«Siano
dannati gli Inferi!»
Era
l’ennesimo colpo impreciso, l’ultimo di una lunga serie di tecniche scagliate
con il pensiero rivolto altrove, e i risultati si vedevano: la sua disattenzione
si rifletteva direttamente sulla scarsa potenza, nonché sul suo cosmo che si
agitava inquieto.
«Siano
dannati gli Inferi, l’Olimpo, e sia dannato io, se mai riuscirò a fare qualcosa
di giusto, in questa maledettissima esistenza!»
Kanon si
lasciò cadere a terra, il fiato corto e la stanchezza che iniziava a pesare sul
suo fisico allenato, dopo un allenamento estremo durato ore.
Una fatica
completamente inutile, considerato che si era massacrato di lavoro, colpo dietro
colpo, per niente. Lo aveva fatto per distrarsi, ed era finito col ripensare al
giorno prima in continuazione, alle parole di Kora, alla sua furia cieca ed ai
suoi occhi terrorizzati quando era finalmente riuscito a fermarla, con il Genro
Mao Ken. Un colpo scorretto, una vigliaccata bella e buona, ma l’unica soluzione
per far sì che lei lo ascoltasse, in qualche modo.
Sentiva
ancora su di sé quello sguardo smeraldino colmo di paura, reso lucido dalle
lacrime che scintillavano sul volto pallido della ragazza. Sapeva cosa aveva
visto, lui che era costretto a rivivere quei momenti ogni notte, in ciascun
istante in cui il sonno prendeva il sopravvento su di lui.
Aveva voluto
giustificarsi? Forse.
Chiederle
scusa? Lei era un’estranea in quella vicenda.
Allora,
perché spiegarle tutto? Se era un’estranea, a lui cosa avrebbe importato della
sua pietà o del suo perdono?
Kanon si
passò una mano sul viso sudato e chiuse gli occhi stanchi, il baluginio del sole
rovente immediatamente offuscato dall’oscurità gelida in cui risuonava la sua
voce, persa nel rumore della pioggia fitta…
Non ti voglio sentire, né vedere. Mi fai schifo.
L’aveva guardata correre via senza poter far niente,
all’inizio intenzionato a non far niente: lui non aveva legami con quella
ragazzina, se non fosse stato per il vincolo di protezione che lui
aveva giurato innanzi ad Atena. I suoi doveri non implicavano altro.
Questo era quello che avrebbe potuto dire quel sé stesso di neanche tanto tempo prima, con un gelido sorrisetto di
circostanza.
Di sicuro, lui non si sarebbe mai recato per due volte alla Casa
dell’Ariete, correndo il rischio di essere massacrato dalla rabbia motivata di
Aldebaran, solo per sincerarsi delle condizioni di salute di quella mocciosetta
intrigante.
Qualcosa era
cambiato.
Ma forse era
un cambiamento che non avrebbe mai potuto accettare, da solo.
I giardini
del Santuario risplendevano meravigliosi nella chiara luce del meriggio. Situati
nella parte bassa del Grande Tempio, secondo la leggenda erano stati realizzati
dalla medesima mente ingegnosa che, molti millenni addietro, aveva creato i
Giardini Pensili di Babilonia, una delle meraviglie del mondo antico andate
perdute nella memoria degli uomini.
Adorni di
ulivi, sacri ad Atena, e di altre nobili piante, erano un diletto anche per il
cuore più triste, con le miriadi di fontane che proiettavano un’infinità di
giochi d’acqua.
Luogo di
tranquillità e riposo per i cavalieri, in quel momento i giardini erano
pressochè deserti e solo a quella condizione Kora si convinse ad entrarci.
Cercava la compagnia della solitudine per riflettere, e l’ultima cosa che
desiderava era lo schiamazzare di qualche giovane saint magari troppo impegnato
a corteggiare qualche ancella o, i più audaci, qualche sacerdotessa.
Si udiva solo
il cinguettio di qualche uccellino nascosto tra le fronde e lo zampillare
dell’acqua: per il resto, la pace assoluta.
Si sedette
nell’erba con un sospiro, sotto le fronde di un maestoso salice piangente i cui
rami si protendevano sino a terra, creando una sorta di ombrello
verdeggiante.
Chiuse gli
occhi, abbandonandosi contro il solido tronco.
Che diamine
ci faceva là? Cercare conforto nella natura era roba da poeti nullafacenti che
avevano capito poco o niente della vita. Soltanto lei poteva capire sé
stessa…
«Anzi,
nemmeno io»
Avrebbe
potuto trascorrere un’eternita a porsi questioni irrisolvibili sul proprio
agire, senza trovare una risposta. Non aveva scusanti per il suo comportamento:
era venuta meno a tutti i principi che le erano stati insegnati, non aveva
concesso diritto di replica o difesa.
In un attimo,
aveva avuto la presunzione di poter giudicare una persona che nemmeno conosceva,
di poterla condannare ed eseguire la punizione.
Solo le
divinità possono essere così meschine.
«E io non
servo quei Numi»
Aveva
dimenticato che Kanon era già stato punito e probabilmente, non avrebbe mai
smesso di scontare la pena per i suoi peccati.
“Tale spirito
d’animo è una qualità lodevole in una ragazza giovane come te, specie ora che le
nuove generazioni sembrano aver perduto la capagità di fermarsi a riflettere e
fare giudizio. Tuttavia, la troppa autocritica e l’addossarsi ogni colpa finisce
col distorcere la realtà ed indebolire lo spirito, non credi anche tu, Kora di
Lynx?”
L’amazzone
trasalì, percependo un cosmo di enorme portata avvolgere il suo, come il mare
che improvvisamente s’acquieta attorno ad un naufrago che fino ad un attimo
prima ha lottato contro la burrasca.
I suoi occhi
verdi scrutarono l’esile e delicata figura femminile che le sostava innanzi, nel
suo immancabile abito bianco dal colletto di pizzo inamidato ed i lunghi capelli
fluttuanti nel vento.
“Saori, a
cosa devo l’onore della tua visita? Non eri partita per Tokyo?”
Ci mancava
solo quella riccona viziata che avrebbe dovuto rappresentare Atena sulla terra.
L’ennesimo gabbo partorito dalla mente degli Olimpii.
La donna
ignorò il tono irriverente della guerriera, che di proposito le si era rivolta
senza alcun suffisso adeguato al rango.
“Le stelle mi
hanno detto che la mia presenza era maggiormente richiesta quaggiù, nel
Santuario posto sotto mia tutela. E sento che tu, Kora di Lynx, hai bisogno di
me”
La bionda non
trattenne una risatina sprezzante:”Cosa te lo fa credere? Il tuo mistico potere
divino? Non mi serve l’aiuto di nessuno. Però, già che ci sei, rendimi più
semplici le cose: voglio lasciare il Santuario”
L’espressione
sorridente di Saori non fece una piega.
“Sei così
vicina alla meta, Kora. Perché vuoi abbandonare tutto proprio ora, che sei a
metà del cammino per trovare Xaria?” domandò pacata la dea.
“Già…È facile
parlare, quando si ha la propria vita tranquilla e si è difesi da un centinaio
di bei ragazzotti pronti a dare la vita in nome di Atena. Lo sai già da te, che
dici di conoscere la mia esistenza, che io e il Santuario non siamo…come
dire…due entità compatibili. Ogni volta che metto piede qui, provoco solo guai.
Non sono fatta per questo posto” commetò Kora caustica.
«Prima Saga,
ora Kanon…Ovunque vado, porto solo dolore e sofferenza»
“Sbagli a
ritenerti così…Il cavaliere di Gemini ha ritenuto opportuno comportarsi in dato
modo, forse ha esitato per timore…In ogni caso, la tua reazione non è poi da
biasimare…E credo che anche Kanon lo sappia…”
“E TU CHE NE
SAI?! ERI FORSE PRESENTE, IERI? NO! E NEMMENO TU, LA DEA DELLA VERITÀ, DELLA
GIUSTIZIA, TI SEI PRESA LA BRIGA DI DIRMI COME STAVANO I FATTI!”
Saori alzò
una mano per calmarla:”Non te l’ho detto perché non mi è concesso rivelare i
sentimenti ed i pensieri altrui…”
“COSÍ NON L’AVREI MAI SAPUTO, VERO? E la povera, ingenua
custode del sigillo se ne sarebbe stata buona e tranquilla a collaborare
con ed in favore del Santuario! No grazie! E adesso che voglio andarmene, me
lo impedisci. Xaria fa proprio gola a tutti”
L’amazzone si
alzò in piedi, decisa a mettere quanta più distanza possibile fra sé e quella
donna.
Non aveva
capito niente. Cosa voleva saperne quella di lei e Kanon? Che ne sapeva di Saga?
Nulla!
E ora si
permetteva anche di fare la moralista da quattro soldi? Alla malora!
“Non sono
venuta qui solo per per parlare di te, Kora di Lynx, ma anche della tua prossima
partenza” disse improvvisamente Saori. Kora si fermò, voltandosi appena.
“Come?”
“È a Roma,
giusto? Il terzo fremmento, voglio dire”
La biondina
annuì in silenzio, senza riuscire a comprendere.
“Parti quando
vuoi, hai carta bianca. È vero, Xaria è troppo importante per me, ma non nella
maniera che pensi tu. Ho un dovere, nei confronti dell’umanità: non posso
permettere che la lancia, nelle mani sbagliate, torni a macchiarsi di sangue
innocente”
“Hai scordato
un piccolo dettaglio, milady: come metto piede fuori di qui, gli angeli neri mi
saranno di nuovo addosso”
“Non eri
disposta a correre questo rischio, quando già volevi andartene?”
Kora alzò le
spalle:”Lo ero. Il ciondolo è responsabilità mia, ma direi che con la tua
entrata in scena la posta in tavola sia cambiata, Saori. Tu non giochi mai a
Poker, vero? Probabilmente sarai abituata a giochi più altolocati…Bridge,
Burraco, Macchiavelli, Canasta…”
Saori sembrò
valutare attentamente la risposta:”Roulette. Divertente ed imprevedibile. Io
sono negata con le carte… In ogni caso, mi sembra sciocco giocarci un’oggetto
così importante…Che cosa proponi?”
L’amazzone annuì con un sorriso:”Facciamo così. Io ritrovo
Xaria, ammesso che ci sia davvero. La porto qui al Santuario, anche perché non
saprei cosa farmene e Demetra…Lei da troppo tempo non si cura degli affari dei
mortali. Quanto a te, Atena, dovrai assumerti la responsabilità di sigillarla
ab aeternam. Che venga dimenticata per sempre, che nessuno la nomini
più, che non venga più cercata. La mia proposta, nei termini del Poker, si
chiama all-in, mi gioco tutto. E, in questo caso, io sono la vostra unica
e dannatissima scala reale necessaria per vincere. Ma alle mie condizioni”
concluse la ragazza, tendendo la mano con uno slancio,a suggello del patto.
Vi fu un
lungo silenzio. Poi, con lentezza, quasi volesse metterci tutta la grazia
possibile anche in quel gesto, Saori strinse la propria mano guantata in quella
di Kora.
“A Roma
troverai due cavalieri d’oro che ti prenderanno in consegna e a cui verrà
affidata la tua incolumità, per tutta la durata della tua missione…”
“Atena, ho
già un saint che mi protegge”
«Ammesso che
mi voglia ancora»
La dea inarcò
un sopracciglio:”La posta sul tavolo è cambiata, anche per questo?”
“No, milady.
Semplicemente, dubito che un altro chiunque dei tuoi cavalieri sarebbe disposto
a tirarmi fuori dai guai”
La ragazza
scostò le fronde del salice e, con un breve cenno di saluto, si allontanò.
Aveva messo
in chiaro i fatti con il Santuario e Saori.
Ora, doveva
solo trovare il coraggio di chiarirsi con Kanon. E la questione, non era
risolvibile con le banali regole del poker…
Le onde calme
s’infrangevano sul bagnasciuga, accompagnate dal monotono mormorio della
risacca.
Il sole
rosseggiava infuocato, infiammando il filo dell’orizzonte, tingendo di riflessi
scarlatti le mura della vecchia torre diroccata sul promontorio.
Il mare,
insieme alla pioggia e al vento, aveva già cancellato i segni dello scontro
titanico del giorno prima.
Seduto su una
roccia che spuntava dalla sabbia dorata, Kanon scrutava l’acqua scura che si
agitava placida poco distante. Odiava il mare, per tutto quello che gli aveva
causato, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di fissare i riflessi della
luce sull’acqua, ascoltarne in respiro. Due antichi nemici che si studiano in
rispettoso silenzio.
Si era
rifugiato lì dopo essersi recato di nuovo alla Prima. Aveva incontrato Mu, e
avevano parlato, quasi come due amici…Per quanto lui fosse ancora restio a
considerare amici propri gli altri saints.
Avevano
parlato, o meglio, Mu l’aveva fatto. Aveva parlato di Kora, e solo così era
riuscito a capire, a malapena in parte, quanto fosse stato importante suo
fratello per lei.
«Kora…»
“Guarda chi
si vede! Credevo che ti avessero rispedito a calci a Sunion, dopo lo spettacolo
di ieri”
“Già, ma
probabilmente nemmeno là lo vogliono!”
Un sospiro
stanco uscì dalle sue labbra: non aveva voglia di arrabbiarsi con quei
dementi.
Una
combriccola di soldati semplici, una decina in tutto, degni compagni di quei tre
idioti che il giorno prima avevano scatenato tutto il putiferio.
«Bastardi»
“Fai finta di
non sentire, infame?”
“Ammettilo,
ci ammazzeresti tutti…Ma è più comodo nascondersi dietro alle gonne della
Kido…”
«Dei del
cielo, ma questa feccia da dov’è che la ripescano, e perché se la tengono qui al
Santuario?» pensò il ragazzo, esercitando un supremo sforzo per
controllarsi.
Li avrebbe
uccisi tutti, uno ad uno, certo. Spezzando loro il collo. O magari, tutti
direttamente, con un Galaxian Explosion. O perché no, un Golden Triangle…
«Ma a cosa
servirebbe? Ne varrebbe la pena?»
“Vedo che sei
sordo…Quando qualcuno ti parla, è cortesia ascoltare e rispondere!” esclamò un
soldato, colpendo la sabbia con un calcio e scagliandogliela in faccia.
Kanon si
ripulì il viso. “Tutto qui? Che gran discorso, le mie congratulazioni”
“Fottuto
bastardo, adesso vedi!” gridò furente lo stesso soldato, estraendo una daga,
trattenuto all’ultimo da un suo compagno.
“Che fai,
vuoi morire?! È un Gold Saint!”
“Lasciami
idiota! Questo qui non attaccherà, non si difenderà nemmeno. Possiamo divertirci
senza problemi! Non parlerà. Tanto nessuno gli crederebbe! Quindi…AARGH!”
La guardia si
porto immediatamente una mano alla tempia, dov’era apparso un enorme ematoma
rosso, in corrispondenza di dove un sasso l’aveva appena colpito. Iniziò a
strepitare come un ossesso.
“CHI HA
OSATO, CHI HA OSATO!”
“Quanto
casino. I tuoi strilli sgraziati deturpano la quiete di questo luogo”
Una voce.
Quella voce. La sua.
Kanon si
voltò di scatto.
In piedi
sulla scala intagliata nella roccia che discendeva dal sentiero sino alla
spiaggia, c’era Kora, i capelli d’oro fluttuanti nella brezza, un sorrisetto
sulle labbra e due pietre che faceva saltellare in mano. Senza la solita
masamune a cingerle il fianco, od i pugnali sai nei gambali.
“Maledetta
mocciosa, di che t’impicci?! Avrai anche la tua razione, dopo!” esclamò il
soldato, fra le risate lascive dei compari.
Errore.
Una folata di
vento e l’amazzone, con felina destrezza, apparve in mezzo a loro. Con un
braccio cinse il collo della guardia dalle spalle, mentre la mano agguantò i
capelli sulla nuca. Una trazione dolorosa.
“Offerta
allettante, ma non mi è gradita la compagnia. Ora, vi dispiacerebbe levarvi dai
piedi di vostra spontanea volontà, o avete bisogno che vi prenda a calci fino
alla strada?” sussurrò con voce melliflua, intesa da tutti. Aumentò la stretta
sui capelli del soldato, che gemette forte.
Alcune
guardie mossero qualche passo incerto.
“D’accordo,
forse non sono stata sufficientemente chiara. Se lui –ed indicò con un cenno
Kanon- non vi ha preso a calci in culo, beh, ritenetevi fortunati, è più gentile
del solito. Io però non ho la sua pazienza. O sgombrate, e la smettete una volta
per tutte di rompere, o vi vengo a prendere uno per uno. E a quel punto
desidererete di non essere mai nati, potete contarci”
Un mormorio
proccupato.
“ALLORA?!”
E di colpo,
corsero via tutti in preda al panico, compreso il soldato che teneva bloccato.
Lo lasciò andare con uno spintone che lo mandò a ruzzolare nella sabbia
polverosa, prima di rialzarsi e fuggire con la coda fra le gambe.
“Sempre detto
io, che un po’ di savoir-faire non guasta mai” commentò Kora, sistemandosi la
maglietta. “Certo che non demordono mai…sono proprio rompicoglioni fino
all’osso” aggiunse, lasciandosi cadere nella sabbia soffice. A meno di un metro
era seduto Kanon.
Non vi fu una
parola, da parte del ragazzo.
La biondina
sospirò, restando in silenzio, lo sguardo sui riflessi infuocati del sole
nell’acqua.
Cosa l’avesse
spinta a cercarlo lì, nemmeno lei lo sapeva e, ora che l’aveva trovato, non
sapeva come comportarsi.
Altro
sospiro, per prendere coraggio, come un paracadutista che si prepara al salto
nel vuoto.
“Io…io…io
avevo pensato ad un discorso da fare adesso…Ma non me lo ricordo. Perché ci sono
momenti in cui ti rendi conto quanto le parole siano superficiali ed inutili,
quando hai da esprimere la confusione che senti dentro. Lo so, sto dicendo un
mucchio d’idiozie, e tu magari nemmeno hai l’intenzione di ascoltarmi, e ne
avresti ogni sacrosanta ragione…”
Kora tacque,
incapace di proseguire oltre. Non un segno di variazione del suo cosmo, ma era
sicura di avere lo sguardo di Kanon su di sé, la sua attenzione concentrara su
ogni suo più lieve respiro.
E lei non
aveva il coraggio di guardarlo in faccia.
“Parla” disse
d’improvviso la sua voce, facendola trasalire. “Per favore” aggiunse poi, in un
sussurro.
Lentamente,
la ragazza riprese. Le parole venivano da sé, come se nemmeno fosse la sua bocca
a pronunciarle, ma direttamente il suo cuore.
“Ieri…Sono
stata una vera idiota. Mi sono comportata da egoista, ho pensato solo a me
stessa, e ho sragionato completamente, ho rischiato di farti male… Me ne sono
fregata di tutto e di tutti, non mi sono nemmeno curata di…ascoltarti…E adesso
con quale pretesa oso parlarti, per chiederti di venire a Roma con me, per la
missione…Come posso biasimarti se ora tu non voglia più nemmeno avere tra i
piedi na cretina egoista come me…Come…”
Ammutolì,
quando sentì un braccio passarle attorno alle spalle e, un attimo dopo, il suo
fianco contro il torace di Kanon e la testa appoggiata alla sua spalla, stretta
dalle sue braccia.
“Non serve
che tu dica altro, non ce n’è bisogno. Mi dispiace Kora…Se ti avessi detto tutto
prima…Se ne avessi avuto il coraggio…Ci sono cose del mio passato che non posso
cancellare. Colpe, macchie indelebili. Perdonami, se puoi” mormorò Kanon,
posando una guancia sui capelli dorati, passando le dita fra quelle ciocche di
seta.
Stettero a
lungo in silenzio, senza muoversi, ascoltando l’uno il respiro dell’altra.
“Dove hai
detto che si va?” chiese d’improvviso Kanon.
“A Roma”
“Doko ti ha
permesso di uscire dal Santuario e continuare la ricerca?” domandò stupito il
saint.
Kora scosse
lievemente la testa:”Ma che Doko…Io quando ho una questione da risolvere vado
alla sorgente, non dallo zerbinetto di turno” disse, con un sorrisino
eloquente.
“Hai
parlato…con Atena?”
“Oserei dire sì, madama aveva tutto l’interesse di starmi a
sentire. Rispondo direttamente a lei, ora. Anzi, rispondiamo entrambi a lei, perché ci sei dentro anche tu in questa
faccenda”
Kanon le
prese il delicatamente il mento con una mano, costringendola a voltare la testa
ed a guardarlo negli occhi. Occhi che riflettevano il mare.
“Sei sicura
di ciò che dici? Sei certa di potere…di voler fidarti ancora di me, Kora? Io non
mi fido di me stesso” mormorò in un sussurro.
La ragazza lo
guardò a lungo, prima che un sorriso si disegnasse sulle sue labbra.
“Dove lo
trovo un altro fuori di testa disposto a sopportate i miei problemi
esistenziali? O meglio…Sarei capace di volere qualcun altro?”
Kanon rise, e
con una mano le scompigliò i capelli:”Sono onorato di riassumermi l’incarico…È
sempre stato il mio sogno, fare il babysitter”
Kora gli
assestò una gomitata nelle costole.
“La solita
manesca! Stai ferma che ne ho già prese a sufficienza ieri!”
“Hai ragione
–disse lei divertita- Ma, sai come si dice. Ieri era ieri. Oggi, è un altro
giorno”
Kanon la
guardò ridere, negli occhi la luce danzante del tramonto. L’aveva perdonato.
“Torniamo
al Santuario, amazzone. Ci aspetta un viaggio da riprendere”
E Mizar c’è! È tornata, in direttura d’arrivo con gli esami
di Maturità, di cui ora manca solo l’orale. È stata assente per un po’, ha
ritrovato l’ispirazione. E ringrazia tutte le persone che l’hanno aspettata.
Grazie mille, dal cuore.
Mizar*89