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Autore: Mizar_89    24/06/2008    5 recensioni
"Durante la mia vita mi sono macchiato d'infinite colpe. Ho tradito, sono venuto meno ai miei doveri di cavaliere, ho spezzato ogni vincolo di sangue per la bramosia di potere. Tuttavia, mi è stata data la possibilità di redimermi, di lasciarmi il passato alle spalle e ricominciare a vivere" *** “No…in realtà c’è un’altra cosa… -mormorò la ragazzina, d’improvviso, prima ch’egli aprisse bocca- Quando combatto, spesso mi dico che non posso permettermi alcuna debolezza…Perché ho fatto una promessa…Non è una motivazione…nemmeno un sogno…Ma ho giurato che vendicherò mio fratello e scoprirò chi sono veramente…”
Genere: Romantico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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raga

Capitolo XX: A New Day Has Come

Luce.

Violenta, fastidiosissima luce, un sottile raggio che fendeva l’oscurità, ferendole gli occhi stanchi.

Maledetta luce che squarciava il buio confortante che l’abbracciava.

Kora si stiracchiò, le membra doloranti e una vaga reminescenza di vertigini che si fondevano con la confusione che aleggiava come nebbia nella sua mente.

Era distesa su di un letto, in una camera dai contorni irriconoscibili ma che sicuramente non era la sua, con la netta sensazione di avere il braccio destro fasciato, insieme ad almeno un’altra decina di bende strette qua e là sul corpo. In nome degli Dei, che cos’era successo, ancora?

«Sembra un déjà-vu, io che mi risveglio in un letto piena di botte e mummificata come Tutankhamon…»

Non ricordava niente, di quello che era accaduto prima…Poteva essere passata un’ora, un giorno, od anche un anno, non riusciva a fare chiarezza in quell’agitazione caotica che le offuscava i pensieri.

Sapeva solo di essere stanca, troppo stanca. E con un enorme peso sulla coscienza, a cui non riusciva a dare un perché.

Qualunque cosa fosse accaduta, a giudicare dalla sua fortuna nel mettersi nei guai e farsi male, non doveva certo essere stato un incidente da poco…

«Torno al Santuario con la promessa di non dare troppo nell’occhio, e invece eccomi qua più malconcia di un novellino al primo giorno di addestramento…E chi lo sente adesso, Kanon…AH!»

Una fitta di dolore, al braccio destro ed alla testa.

Kanon…Nell’ultima, sfocata immagine che conservava la sua mente martoriata, il saint stava combattendo contro qualcuno, con un’espressione improbabile per un guerriero del suo rango: un misto di preoccupazione e paura che ben poco s’addicevano ad un cavaliere d’oro.

Cos’era successo, maledetta emicrania…

…Se sei qui per dirmi di tornare alle dodici Case, puoi anche andartene. Non ci torno. Mi sono fidata di voi, ho scelto di crederci ancora una volta…Adesso basta, me ne tiro fuori. Me ne vado, d’ora in poi conterò solo su me stessa. Al diavolo Atena, il Santuario, i Saints…Al diavolo tutti…

Perché?

…Non dire idiozie! La questione riguarda me, non puoi mettere a rischio una situazione ben più grande di te solo per…

La sua voce, il tono arrabbiato di chi vuol disperatamente far ragionare una persona.
…Solo per cosa, Kanon? Una quisquilia? Una banalissima menzogna? Una verità fatta di mille bugie? Taci, ti sei già sputtanato abbastanza, per quanto mi riguarda!…

Ricordi, voci e suoni che riacquistano un tragico, doloroso ordine nella memoria.

…Dimmi che è una menzogna, dimmi che non sei stato tu…

La pioggia di quel giorno ancora sulla pelle, il ghiaccio nell’anima.

…Smettila di parlare come una bambina, e cresci, per una dannata volta! Tu non sei nessuno per poter giudicare, non ne hai alcun diritto! Hai cercato in Saga qualcuno che potesse alleviare il dolore della tua solitudine, ma lo sai meglio di me, quel legame per lui non aveva alcun valore…

Una verità che fa male, troppo dura per essere accettata anche dalla personalità più stoica. E il sapere di aver commesso l’irreparabile, senza nemmeno essersi curata di conoscere il perché, l’altro punto di vista di una storia di cui lei era stata soltanto una mera ed insignificante comparsa.

Ma non poteva perdonare.

«Perché l’hai fatto, Kanon?» pensò Kora, serrando le lenzuola fra le mani e trattenendo a stento i sighiozzi.

Domande senza soluzione.

“Kora, sei sveglia?”

Una voce dolce e rassicurante. Un richiamo alla vita. Ma lei, non era poi così sicura di voler essere salvata, e non rispose.

“Kora”

La figura di Mu apparve nell’oscurità tenue della stanza, accanto al letto su cui giaceva la ragazza.

“Mu…Ti prego, lasciami sola…”

Non voleva che uno dei suoi più cari amici la vedesse ridotta in quello stato; non voleva che vedesse cos’era diventata…

Sussultò, quando sentì un braccio attorno alle spalle e, dopo un istante, il suo viso rigato dalle lacrime contro il tepore del petto del cavaliere.

“Lo so che detesti che ti si veda se piangi. Ma hai bisogno di sfogarti. Non vergognartene, Kora…Io così non ti vedo…” le sussurrò il saint all’orecchio.

E solo così lei si permise veramente di piangere.

Lui la ascoltò in silenzio, senza interromperla, e capì molto più di quanto lei non rivelò con le parole rotte dai singhiozzi.

Piano piano, l’esile figura dell’amazzone smise di tremare, e il respirò si acquietò, riportando il silenzio nella stanza.

“Va meglio, adesso?”

Kora annuì con un lieve cenno della testa.

“Sai Mu –disse improvvisamente la giovane, schiarendosi la voce per riuscire a parlare con un tono normale- mi sono appena ricordata…Ah, quanti anni saranno passati…Di quella volta in cui abbiamo fatto la lotta sulla cupola del pantheon…”

Un sorriso affiorò sulle labbra del guerriero.

“Quando tu ed io abbiamo appeso Aiolia a testa in giù dall’oculo e abbiamo buttato Milo nella vasca sacrale…”

“Sento ancora le urla di Aiolia che strillava come una ragazzina mentre chiamava Aiolos…E le vecchie sacerdotesse quando si sono ritrovate Milo bagnato fradicio in mezzo alla fontana… Soprattutto –aggiunse dopo aver riflettuto un istante- rammento anche la sfuriata di Shion e fosti tu a prenderti tutta la colpa”

Kora ridacchiò, tirando su col naso:”Non so perché l’ho fatto…Forse perché ero fiera di me stessa, avevo rifilato una sacrosanta lezione al prezioso pargolo “futuro cavaliere”, e volevo che anche Saga fosse contento…Ovviamente, non lo fu per niente”

“Ti ho trovata alle due del mattino fuori dalla Terza, diluviava e tu piangevi in silenzio…E mi hai anche quasi preso a pugni quando ti ho passato un fazzoletto!”

Risero entrambi, persi in quel ricordo della loro lunga amicizia.

“Eh, se non ci fossi tu Mu, non so che ne sarebbe di me…” mormorò lei.

“INSOMMA, STATE FACENDO UN PIGIAMA PARTY AL BUIO, E NON MI INVITATE?!” tuonò improvvisa la voce di Aldebaran.

Kora sentì il rumore di tende che venivano scostate, e la luce improvvisa inondò la stanza che, nella momentanea cecità dovuta a quel bianco cangiante riuscì a riconoscere come la camera di Mu alla Prima.

“Mu, sono venti minuti che ti chiamo, sei per caso diventato sordo? –protestò il cavaliere del Toro, posando un vassoio carico di cibarie d’ogni sorta sul comodino- Kora, mi fa piacere vedere che stai meglio, mi hai fatto preoccupare! Mangia qualcosa, ne hai bisogno!”

“Grazie, Aldy” rispose la biondina, prendendo un croissant alla nutella.

“Al, hai per caso avuto occasione di parlare con Doko?” domandò d’un tratto Mu.

Il saint della seconda Casa si fece pensieroso:”No, non l’ho visto. Però un paio d’ore fa è tornatao di nuovo qui Ka…ehm, nessuno. Volevo dire, non era niente d’importante…”

L’occhiataccia dell’altro cavaliere lo zittì all’istante: non era il momento migliore per parlarne, non con Kora che aveva appena iniziato a riprendersi.

«Mu, non puoi continuare a trattarla come una bambina!»

“Piccola, ti ho portato dei vestiti puliti” aggiunse poi, parlando normalmente.

«So quello che faccio. Non è il caso di discuterne ora»

Aldebaran incrociò le braccia:«Per me sbagli. Non posso tollerare di vederla così, per colpa di quel cretino…L’avevamo avvertito, di non nasconderle la verità!»

«Lo so. E credimi, quanto vorrei poterla aiutare, ma è una questione che solo lei può affrontare e sistemare»

Kora si alzò in piedi e si scrollò le briciole dalla lunga maglietta che le arrivava fino alle ginocchia, il cui probabile proprietario era Aldebaran.

“Ragazzi, vi ringrazio per quello che avete fatto…Ora, potreste uscire, che mi cambio?” domandò gentilmente la ragazza.

“Non avrai intenzione di uscire, vero? Ti sei appena ripresa, hai dormito per ventiquattr’ore e hai avuto la febbre per quasi tutta la notte! Non mi pare proprio il caso” replicò Aldebaran.

“Sto bene, non preoccuparti…Ho solo…bisogno di schiarirmi un po’ le idee, tutto qua. E lo sai che non mi piace stare a letto, specie se non è più nemmeno mattina”

Il guerriero scrutò a fondo lo sguardo della ragazza: stava male, non aveva dubbi; ma era davvero brava a fingere il contrario, con quel sorriso apparentemente naturale che le illuminava il viso.

«Mu forse non ha tutti i torti, dopotutto. Ma se quell’idiota ne ricombina un’altra delle sue, giuro che stavolta non ci vado giù così leggero come prima»

“Kora, penso che dopo avremo un’altra riunione fra noi Gold Saints, ma se…se stasera preferisci, puoi pure restare qui a dormire. Io non ho problemi ad usare la stanza di mio fratello Kiki, ora che lui si è trasferito nel padiglione degli allievi” disse Mu, con un sorriso.

“Grazie. Siete davvero i migliori amici che una persona potrebbe desiderare” mormorò la ragazza, guardandoli uscire, senza aggiungere altro.

 

“GALAXIAN EXPLOSION!”

La piccola arena sulla spiaggia fu inondata dalla luce improvvisa e il fragore del mare venne sommerso dal rimbombo cupo della detonazione, mentre un’enorme colonna di marmo finiva sgretolata all’istante, insieme al terreno circostante l’area di una decina di metri.

«Siano dannati gli Inferi!»

Era l’ennesimo colpo impreciso, l’ultimo di una lunga serie di tecniche scagliate con il pensiero rivolto altrove, e i risultati si vedevano: la sua disattenzione si rifletteva direttamente sulla scarsa potenza, nonché sul suo cosmo che si agitava inquieto.

«Siano dannati gli Inferi, l’Olimpo, e sia dannato io, se mai riuscirò a fare qualcosa di giusto, in questa maledettissima esistenza!»

Kanon si lasciò cadere a terra, il fiato corto e la stanchezza che iniziava a pesare sul suo fisico allenato, dopo un allenamento estremo durato ore.

Una fatica completamente inutile, considerato che si era massacrato di lavoro, colpo dietro colpo, per niente. Lo aveva fatto per distrarsi, ed era finito col ripensare al giorno prima in continuazione, alle parole di Kora, alla sua furia cieca ed ai suoi occhi terrorizzati quando era finalmente riuscito a fermarla, con il Genro Mao Ken. Un colpo scorretto, una vigliaccata bella e buona, ma l’unica soluzione per far sì che lei lo ascoltasse, in qualche modo.

Sentiva ancora su di sé quello sguardo smeraldino colmo di paura, reso lucido dalle lacrime che scintillavano sul volto pallido della ragazza. Sapeva cosa aveva visto, lui che era costretto a rivivere quei momenti ogni notte, in ciascun istante in cui il sonno prendeva il sopravvento su di lui.

Aveva voluto giustificarsi? Forse.

Chiederle scusa? Lei era un’estranea in quella vicenda.

Allora, perché spiegarle tutto? Se era un’estranea, a lui cosa avrebbe importato della sua pietà o del suo perdono?

Kanon si passò una mano sul viso sudato e chiuse gli occhi stanchi, il baluginio del sole rovente immediatamente offuscato dall’oscurità gelida in cui risuonava la sua voce, persa nel rumore della pioggia fitta…

Non ti voglio sentire, né vedere. Mi fai schifo.

L’aveva guardata correre via senza poter far niente, all’inizio intenzionato a non far niente: lui non aveva legami con quella ragazzina, se non fosse stato per il vincolo di protezione che lui aveva giurato innanzi ad Atena. I suoi doveri non implicavano altro.

Questo era quello che avrebbe potuto dire quel sé stesso di neanche tanto tempo prima, con un gelido sorrisetto di circostanza.

Di sicuro, lui non si sarebbe mai recato per due volte alla Casa dell’Ariete, correndo il rischio di essere massacrato dalla rabbia motivata di Aldebaran, solo per sincerarsi delle condizioni di salute di quella mocciosetta intrigante.

Qualcosa era cambiato.

Ma forse era un cambiamento che non avrebbe mai potuto accettare, da solo.

 

I giardini del Santuario risplendevano meravigliosi nella chiara luce del meriggio. Situati nella parte bassa del Grande Tempio, secondo la leggenda erano stati realizzati dalla medesima mente ingegnosa che, molti millenni addietro, aveva creato i Giardini Pensili di Babilonia, una delle meraviglie del mondo antico andate perdute nella memoria degli uomini.

Adorni di ulivi, sacri ad Atena, e di altre nobili piante, erano un diletto anche per il cuore più triste, con le miriadi di fontane che proiettavano un’infinità di giochi d’acqua.

Luogo di tranquillità e riposo per i cavalieri, in quel momento i giardini erano pressochè deserti e solo a quella condizione Kora si convinse ad entrarci. Cercava la compagnia della solitudine per riflettere, e l’ultima cosa che desiderava era lo schiamazzare di qualche giovane saint magari troppo impegnato a corteggiare qualche ancella o, i più audaci, qualche sacerdotessa.

Si udiva solo il cinguettio di qualche uccellino nascosto tra le fronde e lo zampillare dell’acqua: per il resto, la pace assoluta.

Si sedette nell’erba con un sospiro, sotto le fronde di un maestoso salice piangente i cui rami si protendevano sino a terra, creando una sorta di ombrello verdeggiante.

Chiuse gli occhi, abbandonandosi contro il solido tronco.

Che diamine ci faceva là? Cercare conforto nella natura era roba da poeti nullafacenti che avevano capito poco o niente della vita. Soltanto lei poteva capire sé stessa…

«Anzi, nemmeno io»

Avrebbe potuto trascorrere un’eternita a porsi questioni irrisolvibili sul proprio agire, senza trovare una risposta. Non aveva scusanti per il suo comportamento: era venuta meno a tutti i principi che le erano stati insegnati, non aveva concesso diritto di replica o difesa.

In un attimo, aveva avuto la presunzione di poter giudicare una persona che nemmeno conosceva, di poterla condannare ed eseguire la punizione.

Solo le divinità possono essere così meschine.

«E io non servo quei Numi»

Aveva dimenticato che Kanon era già stato punito e probabilmente, non avrebbe mai smesso di scontare la pena per i suoi peccati.

“Tale spirito d’animo è una qualità lodevole in una ragazza giovane come te, specie ora che le nuove generazioni sembrano aver perduto la capagità di fermarsi a riflettere e fare giudizio. Tuttavia, la troppa autocritica e l’addossarsi ogni colpa finisce col distorcere la realtà ed indebolire lo spirito, non credi anche tu, Kora di Lynx?”

L’amazzone trasalì, percependo un cosmo di enorme portata avvolgere il suo, come il mare che improvvisamente s’acquieta attorno ad un naufrago che fino ad un attimo prima ha lottato contro la burrasca.

I suoi occhi verdi scrutarono l’esile e delicata figura femminile che le sostava innanzi, nel suo immancabile abito bianco dal colletto di pizzo inamidato ed i lunghi capelli fluttuanti nel vento.

“Saori, a cosa devo l’onore della tua visita? Non eri partita per Tokyo?”

Ci mancava solo quella riccona viziata che avrebbe dovuto rappresentare Atena sulla terra. L’ennesimo gabbo partorito dalla mente degli Olimpii.

La donna ignorò il tono irriverente della guerriera, che di proposito le si era rivolta senza alcun suffisso adeguato al rango.

“Le stelle mi hanno detto che la mia presenza era maggiormente richiesta quaggiù, nel Santuario posto sotto mia tutela. E sento che tu, Kora di Lynx, hai bisogno di me”

La bionda non trattenne una risatina sprezzante:”Cosa te lo fa credere? Il tuo mistico potere divino? Non mi serve l’aiuto di nessuno. Però, già che ci sei, rendimi più semplici le cose: voglio lasciare il Santuario”

L’espressione sorridente di Saori non fece una piega.

“Sei così vicina alla meta, Kora. Perché vuoi abbandonare tutto proprio ora, che sei a metà del cammino per trovare Xaria?” domandò pacata la dea.

“Già…È facile parlare, quando si ha la propria vita tranquilla e si è difesi da un centinaio di bei ragazzotti pronti a dare la vita in nome di Atena. Lo sai già da te, che dici di conoscere la mia esistenza, che io e il Santuario non siamo…come dire…due entità compatibili. Ogni volta che metto piede qui, provoco solo guai. Non sono fatta per questo posto” commetò Kora caustica.

«Prima Saga, ora Kanon…Ovunque vado, porto solo dolore e sofferenza»

“Sbagli a ritenerti così…Il cavaliere di Gemini ha ritenuto opportuno comportarsi in dato modo, forse ha esitato per timore…In ogni caso, la tua reazione non è poi da biasimare…E credo che anche Kanon lo sappia…”

“E TU CHE NE SAI?! ERI FORSE PRESENTE, IERI? NO! E NEMMENO TU, LA DEA DELLA VERITÀ, DELLA GIUSTIZIA, TI SEI PRESA LA BRIGA DI DIRMI COME STAVANO I FATTI!”

Saori alzò una mano per calmarla:”Non te l’ho detto perché non mi è concesso rivelare i sentimenti ed i pensieri altrui…”

“COSÍ NON L’AVREI MAI SAPUTO, VERO? E la povera, ingenua custode del sigillo se ne sarebbe stata buona e tranquilla a collaborare con ed in favore del Santuario! No grazie! E adesso che voglio andarmene, me lo impedisci. Xaria fa proprio gola a tutti”

L’amazzone si alzò in piedi, decisa a mettere quanta più distanza possibile fra sé e quella donna.

Non aveva capito niente. Cosa voleva saperne quella di lei e Kanon? Che ne sapeva di Saga? Nulla!

E ora si permetteva anche di fare la moralista da quattro soldi? Alla malora!

“Non sono venuta qui solo per per parlare di te, Kora di Lynx, ma anche della tua prossima partenza” disse improvvisamente Saori. Kora si fermò, voltandosi appena.

“Come?”

“È a Roma, giusto? Il terzo fremmento, voglio dire”

La biondina annuì in silenzio, senza riuscire a comprendere.

“Parti quando vuoi, hai carta bianca. È vero, Xaria è troppo importante per me, ma non nella maniera che pensi tu. Ho un dovere, nei confronti dell’umanità: non posso permettere che la lancia, nelle mani sbagliate, torni a macchiarsi di sangue innocente”

“Hai scordato un piccolo dettaglio, milady: come metto piede fuori di qui, gli angeli neri mi saranno di nuovo addosso”

“Non eri disposta a correre questo rischio, quando già volevi andartene?”

Kora alzò le spalle:”Lo ero. Il ciondolo è responsabilità mia, ma direi che con la tua entrata in scena la posta in tavola sia cambiata, Saori. Tu non giochi mai a Poker, vero? Probabilmente sarai abituata a giochi più altolocati…Bridge, Burraco, Macchiavelli, Canasta…”

Saori sembrò valutare attentamente la risposta:”Roulette. Divertente ed imprevedibile. Io sono negata con le carte… In ogni caso, mi sembra sciocco giocarci un’oggetto così importante…Che cosa proponi?”

L’amazzone annuì con un sorriso:”Facciamo così. Io ritrovo Xaria, ammesso che ci sia davvero. La porto qui al Santuario, anche perché non saprei cosa farmene e Demetra…Lei da troppo tempo non si cura degli affari dei mortali. Quanto a te, Atena, dovrai assumerti la responsabilità di sigillarla ab aeternam. Che venga dimenticata per sempre, che nessuno la nomini più, che non venga più cercata. La mia proposta, nei termini del Poker, si chiama all-in, mi gioco tutto. E, in questo caso, io sono la vostra unica e dannatissima scala reale necessaria per vincere. Ma alle mie condizioni” concluse la ragazza, tendendo la mano con uno slancio,a suggello del patto.

Vi fu un lungo silenzio. Poi, con lentezza, quasi volesse metterci tutta la grazia possibile anche in quel gesto, Saori strinse la propria mano guantata in quella di Kora.

“A Roma troverai due cavalieri d’oro che ti prenderanno in consegna e a cui verrà affidata la tua incolumità, per tutta la durata della tua missione…”

“Atena, ho già un saint che mi protegge”

«Ammesso che mi voglia ancora»

La dea inarcò un sopracciglio:”La posta sul tavolo è cambiata, anche per questo?”

“No, milady. Semplicemente, dubito che un altro chiunque dei tuoi cavalieri sarebbe disposto a tirarmi fuori dai guai”

La ragazza scostò le fronde del salice e, con un breve cenno di saluto, si allontanò.

Aveva messo in chiaro i fatti con il Santuario e Saori.

Ora, doveva solo trovare il coraggio di chiarirsi con Kanon. E la questione, non era risolvibile con le banali regole del poker…

 

Le onde calme s’infrangevano sul bagnasciuga, accompagnate dal monotono mormorio della risacca.

Il sole rosseggiava infuocato, infiammando il filo dell’orizzonte, tingendo di riflessi scarlatti le mura della vecchia torre diroccata sul promontorio.

Il mare, insieme alla pioggia e al vento, aveva già cancellato i segni dello scontro titanico del giorno prima.

Seduto su una roccia che spuntava dalla sabbia dorata, Kanon scrutava l’acqua scura che si agitava placida poco distante. Odiava il mare, per tutto quello che gli aveva causato, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di fissare i riflessi della luce sull’acqua, ascoltarne in respiro. Due antichi nemici che si studiano in rispettoso silenzio.

Si era rifugiato lì dopo essersi recato di nuovo alla Prima. Aveva incontrato Mu, e avevano parlato, quasi come due amici…Per quanto lui fosse ancora restio a considerare amici propri gli altri saints.

Avevano parlato, o meglio, Mu l’aveva fatto. Aveva parlato di Kora, e solo così era riuscito a capire, a malapena in parte, quanto fosse stato importante suo fratello per lei.

«Kora…»

“Guarda chi si vede! Credevo che ti avessero rispedito a calci a Sunion, dopo lo spettacolo di ieri”

“Già, ma probabilmente nemmeno là lo vogliono!”

Un sospiro stanco uscì dalle sue labbra: non aveva voglia di arrabbiarsi con quei dementi.

Una combriccola di soldati semplici, una decina in tutto, degni compagni di quei tre idioti che il giorno prima avevano scatenato tutto il putiferio.

«Bastardi»

“Fai finta di non sentire, infame?”

“Ammettilo, ci ammazzeresti tutti…Ma è più comodo nascondersi dietro alle gonne della Kido…”

«Dei del cielo, ma questa feccia da dov’è che la ripescano, e perché se la tengono qui al Santuario?» pensò il ragazzo, esercitando un supremo sforzo per controllarsi.

Li avrebbe uccisi tutti, uno ad uno, certo. Spezzando loro il collo. O magari, tutti direttamente, con un Galaxian Explosion. O perché no, un Golden Triangle…

«Ma a cosa servirebbe? Ne varrebbe la pena?»

“Vedo che sei sordo…Quando qualcuno ti parla, è cortesia ascoltare e rispondere!” esclamò un soldato, colpendo la sabbia con un calcio e scagliandogliela in faccia.

Kanon si ripulì il viso. “Tutto qui? Che gran discorso, le mie congratulazioni”

“Fottuto bastardo, adesso vedi!” gridò furente lo stesso soldato, estraendo una daga, trattenuto all’ultimo da un suo compagno.

“Che fai, vuoi morire?! È un Gold Saint!”

“Lasciami idiota! Questo qui non attaccherà, non si difenderà nemmeno. Possiamo divertirci senza problemi! Non parlerà. Tanto nessuno gli crederebbe! Quindi…AARGH!”

La guardia si porto immediatamente una mano alla tempia, dov’era apparso un enorme ematoma rosso, in corrispondenza di dove un sasso l’aveva appena colpito. Iniziò a strepitare come un ossesso.

“CHI HA OSATO, CHI HA OSATO!”

“Quanto casino. I tuoi strilli sgraziati deturpano la quiete di questo luogo”

Una voce. Quella voce. La sua.

Kanon si voltò di scatto.

In piedi sulla scala intagliata nella roccia che discendeva dal sentiero sino alla spiaggia, c’era Kora, i capelli d’oro fluttuanti nella brezza, un sorrisetto sulle labbra e due pietre che faceva saltellare in mano. Senza la solita masamune a cingerle il fianco, od i pugnali sai nei gambali.

“Maledetta mocciosa, di che t’impicci?! Avrai anche la tua razione, dopo!” esclamò il soldato, fra le risate lascive dei compari.

Errore.

Una folata di vento e l’amazzone, con felina destrezza, apparve in mezzo a loro. Con un braccio cinse il collo della guardia dalle spalle, mentre la mano agguantò i capelli sulla nuca. Una trazione dolorosa.

“Offerta allettante, ma non mi è gradita la compagnia. Ora, vi dispiacerebbe levarvi dai piedi di vostra spontanea volontà, o avete bisogno che vi prenda a calci fino alla strada?” sussurrò con voce melliflua, intesa da tutti. Aumentò la stretta sui capelli del soldato, che gemette forte.

Alcune guardie mossero qualche passo incerto.

“D’accordo, forse non sono stata sufficientemente chiara. Se lui –ed indicò con un cenno Kanon- non vi ha preso a calci in culo, beh, ritenetevi fortunati, è più gentile del solito. Io però non ho la sua pazienza. O sgombrate, e la smettete una volta per tutte di rompere, o vi vengo a prendere uno per uno. E a quel punto desidererete di non essere mai nati, potete contarci”

Un mormorio proccupato.

“ALLORA?!”

E di colpo, corsero via tutti in preda al panico, compreso il soldato che teneva bloccato. Lo lasciò andare con uno spintone che lo mandò a ruzzolare nella sabbia polverosa, prima di rialzarsi e fuggire con la coda fra le gambe.

“Sempre detto io, che un po’ di savoir-faire non guasta mai” commentò Kora, sistemandosi la maglietta. “Certo che non demordono mai…sono proprio rompicoglioni fino all’osso” aggiunse, lasciandosi cadere nella sabbia soffice. A meno di un metro era seduto Kanon.

Non vi fu una parola, da parte del ragazzo.

La biondina sospirò, restando in silenzio, lo sguardo sui riflessi infuocati del sole nell’acqua.

Cosa l’avesse spinta a cercarlo lì, nemmeno lei lo sapeva e, ora che l’aveva trovato, non sapeva come comportarsi.

Altro sospiro, per prendere coraggio, come un paracadutista che si prepara al salto nel vuoto.

“Io…io…io avevo pensato ad un discorso da fare adesso…Ma non me lo ricordo. Perché ci sono momenti in cui ti rendi conto quanto le parole siano superficiali ed inutili, quando hai da esprimere la confusione che senti dentro. Lo so, sto dicendo un mucchio d’idiozie, e tu magari nemmeno hai l’intenzione di ascoltarmi, e ne avresti ogni sacrosanta ragione…”

Kora tacque, incapace di proseguire oltre. Non un segno di variazione del suo cosmo, ma era sicura di avere lo sguardo di Kanon su di sé, la sua attenzione concentrara su ogni suo più lieve respiro.

E lei non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.

“Parla” disse d’improvviso la sua voce, facendola trasalire. “Per favore” aggiunse poi, in un sussurro.

Lentamente, la ragazza riprese. Le parole venivano da sé, come se nemmeno fosse la sua bocca a pronunciarle, ma direttamente il suo cuore.

“Ieri…Sono stata una vera idiota. Mi sono comportata da egoista, ho pensato solo a me stessa, e ho sragionato completamente, ho rischiato di farti male… Me ne sono fregata di tutto e di tutti, non mi sono nemmeno curata di…ascoltarti…E adesso con quale pretesa oso parlarti, per chiederti di venire a Roma con me, per la missione…Come posso biasimarti se ora tu non voglia più nemmeno avere tra i piedi na cretina egoista come me…Come…”

Ammutolì, quando sentì un braccio passarle attorno alle spalle e, un attimo dopo, il suo fianco contro il torace di Kanon e la testa appoggiata alla sua spalla, stretta dalle sue braccia.

“Non serve che tu dica altro, non ce n’è bisogno. Mi dispiace Kora…Se ti avessi detto tutto prima…Se ne avessi avuto il coraggio…Ci sono cose del mio passato che non posso cancellare. Colpe, macchie indelebili. Perdonami, se puoi” mormorò Kanon, posando una guancia sui capelli dorati, passando le dita fra quelle ciocche di seta.

Stettero a lungo in silenzio, senza muoversi, ascoltando l’uno il respiro dell’altra.

“Dove hai detto che si va?” chiese d’improvviso Kanon.

“A Roma”

“Doko ti ha permesso di uscire dal Santuario e continuare la ricerca?” domandò stupito il saint.

Kora scosse lievemente la testa:”Ma che Doko…Io quando ho una questione da risolvere vado alla sorgente, non dallo zerbinetto di turno” disse, con un sorrisino eloquente.

“Hai parlato…con Atena?”

“Oserei dire sì, madama aveva tutto l’interesse di starmi a sentire. Rispondo direttamente a lei, ora. Anzi, rispondiamo entrambi a lei, perché ci sei dentro anche tu in questa faccenda”

Kanon le prese il delicatamente il mento con una mano, costringendola a voltare la testa ed a guardarlo negli occhi. Occhi che riflettevano il mare.

“Sei sicura di ciò che dici? Sei certa di potere…di voler fidarti ancora di me, Kora? Io non mi fido di me stesso” mormorò in un sussurro.

La ragazza lo guardò a lungo, prima che un sorriso si disegnasse sulle sue labbra.

“Dove lo trovo un altro fuori di testa disposto a sopportate i miei problemi esistenziali? O meglio…Sarei capace di volere qualcun altro?”

Kanon rise, e con una mano le scompigliò i capelli:”Sono onorato di riassumermi l’incarico…È sempre stato il mio sogno, fare il babysitter”

Kora gli assestò una gomitata nelle costole.

“La solita manesca! Stai ferma che ne ho già prese a sufficienza ieri!”

“Hai ragione –disse lei divertita- Ma, sai come si dice. Ieri era ieri. Oggi, è un altro giorno”

Kanon la guardò ridere, negli occhi la luce danzante del tramonto. L’aveva perdonato.

“Torniamo al Santuario, amazzone. Ci aspetta un viaggio da riprendere”

 

E Mizar c’è! È tornata, in direttura d’arrivo con gli esami di Maturità, di cui ora manca solo l’orale. È stata assente per un po’, ha ritrovato l’ispirazione. E ringrazia tutte le persone che l’hanno aspettata.

Grazie mille, dal cuore.

Mizar*89

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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