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Autore: DearDiary    09/03/2014    4 recensioni
«Le persone che hanno così tanto odio dentro di loro, molto spesso, hanno anche amato con la stessa intensità.»
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

 

Era l'unica tomba a non avere neanche un fiore. Le lettere che componevano il nome del defunto erano state incise con una tale maestria da non lasciare alcun dubbio sul fatto che fosse stata usata la magia. Nessun artigiano, nessuno scultore poteva essere tanto abile.
Una figura incappucciata sostava davanti a quella lapide, rispettosamente inginocchiata a terra. Era consapevole che lì non vi fosse alcun corpo custodito, poiché laggiù, in quel luogo che era anche la sua terra natìa, i morti venivano bruciati, non dati in pasto ai vermi come facevano quei volgari esseri umani che vivevano dall'altra parte del mare. 
Non riusciva a smettere di rileggere quel nome. Aveva conosciuto bene quella persona... aveva anche avuto tantissime buone speranze per lei. Ma il destino l'aveva poi condotta su un pira in fiamme. Nessuno era andato a quel funerale, nessun famigliare, nessuna persona cara.  Era stata una morte forse troppo prematura, eppure, in un certo senso, costretta. Non c'erano state altre possibilità di salvezza per lei.
Allungò una mano, fino a sfiorare delicatamente quell'incisione. Percorse con estrema lentezza ogni singola lettera che componeva quel nome a lei così caro e allo stesso tempo così odiato: Rael.
Pregò gli Dei che avessero pietà per l'anima di quella persona, ma la preghiera non giunse mai a termine. Forse fu anche quello un volere divino. Non tutte le anime potevano essere salvate, in fondo. Un voce maschile alle sue spalle interruppe la sua supplica:
«L'Imperatrice non riceve nessuno, dovreste saperlo.»
La figura incappucciata si alzò in piedi, tenendo lo sguardo basso. Poi voltò le spalle a quella tomba dimenticata e fissò per qualche istante l'uomo che aveva di fronte. Dallo stemma che compariva sulla sua preziosa ed immacolata armatura - una rosa sormontata da una sfera di luce- e dal medaglione che indossava, si intuiva che fosse il capo della Guardia Imperiale. Sopra di lui, c'era solo l'Imperatrice.
Era un uomo alto e dalla corporatura robusta. I suoi occhi autoritari erano color dell'oro, esattamente come quelli dello straniero e di tutti gli abitanti dell'Impero, e spiccavano notevolmente sulla sua carnagione olivastra. Aveva una lunga cicatrice a sfigurargli il viso. Gli tagliava la faccia a metà, partiva dal sopracciglio destro per arrivare all'angolo sinistro delle sue labbra. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, di un castano tendente al biondo. Per essere un soldato, aveva un aspetto fin troppo curato. Se non fosse stato per quella cicatrice, sarebbe potuto passare tranquillamente per un aristocratico. Evidentemente, vivere alla corte Imperiale imponeva una certa presenza. 
Il solo fatto che avessero mandato lui, incoraggiò parecchio la misteriosa figura senza nome. Significava che la sovrana era incuriosita e voleva saperne di più sullo straniero incappucciato appena sbarcato nella grande città di Callisto. Egli seppe fin dal primo istante che avrebbe avuto ciò che voleva, ossia un incontro privato con l'Imperatrice.
Davanti al silenzio dello straniero, l'uomo riprese la parola: «Provenite dai territori del Regno di Theires. Solo per questo dovremmo arrestarvi e giustiziarvi per alto tradimento. Eppure voi avete addirittura l'ardire di chiedere udienza all'Imperatrice in persona!» Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto. «Dovete aver appreso dagli umani tutta questa insolenza!»
Lo straniero non si scompose ma anzi, sorrise quasi divertito dalla prevedibilità degli eventi. 
Anche la persona della tomba senza fiori avrebbe riso. L'uomo che aveva di fronte, nell'udire quella risata, si spogliò di colpo di tutta la propria sfrontatezza.  Non fu solo il suo sguardo smarrito a tradirlo. Lo straniero percepì distintamente la sua confusione mista ad un velo di malcelato turbamento. Cercò di non darlo a vedere, di rivestirsi della sua maschera di irreprensibile ed imperturbabile capo della Guardia Imperiale, ma ogni suo tentativo fu vano.
Fra la gente del grande Impero di Keladia, l'inganno era pressochè impossibile. Tutti erano investiti fin dalla nascita dello scomodo quanto utile dono dell'empatia. Il volto di una persona può nascondere la verità, ma le sue sensazioni non possono farlo. 
Bastava così poco per prendere alla sprovvista un uomo addestrato e armato fino al collo... Era sufficiente fargli capire che aveva di fronte una donna a tenergli testa.
«Parlerò solo in presenza dell'Imperatrice.» dichiarò la straniera, impassibile.
Lo sgomento non abbandonò un solo istante il volto dell'uomo, che ora fissava la figura davanti a sé con occhi carichi d'ira e sdegno. «Ogni udienza di Sua Maestà avviene anche in mia presenza.»
«Ditele che sono in possesso di alcune informazioni molto importanti.» continuò la donna, serafica. «Informazioni che oserei definire vitali.»
La pazienza dell'uomo parve incrinarsi in quell'esatto istante. La sua mano corse all'elsa della spada che portava alla cinta. «Cosa vi fa credere di avere il diritto di dare ordini a me?»
«Fatelo!» insistette lei, con un cipiglio più severo. «Perchè vi posso assicurare che se non lo farete e l'Imperatrice venisse a sapere di questa conversazione, sarete voi ad essere giustiziato per alto tradimento.»
«Basta così!»
A parlare era stata un'altra voce femminile. La Guardia si voltò all'istante e subito s'inginocchiò a terra in segno di sottomissione. La straniera invece, non si mosse. Rimase in piedi e non ebbe timore di fissare dritta negli occhi l'esile figura dell'Imperatrice che si avvicinava. 
Quella era la prima volta che la vedeva. Se l'era sempre immaginata anziana e grassa. Generalmente, tutti i nobili erano grassi ed intontiti dal troppo lusso, ma lei non era niente di tutto ciò. Era una donna ancora giovane, o forse, portava bene i suoi anni. Aveva un fisico piuttosto infantile, ad essere sinceri. Esile e dalle forme acerbe. I suoi capelli erano di un nero lucente, lunghi fino alla schiena. Aveva il pallore tipico delle persone che passano la vita chiuse nei loro scintillanti palazzi. Tuttavia, l'autorità di cui era investita traspariva dai suoi occhi dorati. Persino la straniera ebbe l'istinto di inginocchiarsi e prostrarsi davanti a lei quando la vide. Emanava un'aura di potenza talmente elevata, da annullare completamente ogni sua convinzione e sicurezza. Tuttavia, non s'inchinò. Si limitò soltanto ad abbassare il capo.
L'imperatrice fece un cenno alla sua Guardia, «Lasciaci sole.»
«Mia Signora,» provò immediatamente a protestare lui, osservando l'ambiente circostante disseminato di umili effigi popolane «... in un posto del genere?»
«Non c'è posto migliore.» rispose lei , con una compostezza davvero encomiabile. «I morti non possono origliare, né rivelare segreti.»
L'uomo, ormai sconfitto, si alzò in piedi e dopo aver accennato un altro rispettoso inchino, lanciò una fugace occhiata d'ammonimento alla straniera. Poi si voltò e si allontanò. 
Ci fu qualche lungo istante di assoluto silenzio. L'Imperatrice osservò la donna di fronte a sé con sguardo critico, soffermandosi a lungo sul mantello grigio che  copriva il suo corpo. Dello stesso colore era anche il cappuccio calato sul viso e che lasciava intravedere solo le labbra, «Qual è il vostro nome, dama in grigio?»
«Dama in Grigio va più che bene, Vostra Maestà.»
«Non volete dirmi il vostro nome?» La compostezza lasciò il posto ad una lieve nota di fastidio.
«Con tutto il rispetto, ho questioni più importanti di cui discutere con Voi. Il mio nome non è fra queste.»
L'Imperatrice non parve troppo entusiasta di quella risposta, ma decise, forse spinta unicamente dalla curiosità, di concederle la parola. «Ebbene? Parlate pure, vi ascolto.»
Solo a quel punto, la Dama in grigio trovò il coraggio di alzare gli occhi da terra per incontrare quelli della sua sovrana. Quella rivelazione che aveva custodito dentro di sé per tutta una vita, avrebbe sconvolto il precario equilibrio non solo dell'Impero di Keladia, ma anche del Regno di Theires, la patria degli Umani. 
«So dove si trova l'ultima Custode.»
L'Imperatrice non lasciò trasparire alcuna emozione. Fece un passò verso di lei e la sua voce si velò di una sottile nota di minaccia. «Vi prendete gioco di me.»
«Non ho affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso per prendermi gioco di voi, Vostra Maestà.»
«L'ultima Custode è morta molti anni fa. Ed essendo morta senza aver adempiuto al suo compito, non ne nasceranno altre. Non serve che io ve lo ricordi! O forse sì, dal momento che avete vissuto a Theires per tutto questo tempo?»
Avrebbe dovuto avere paura. Aveva appena fatto infuriare l'Imperatrice in persona. Eppure non era spaventata, al contrario. Era euforica.
«Posso provarlo.»
«Sì, è esattamente quello che farete!» affermò lei, senza liberarsi di quell'aria minatoria che ora più che mai la contraddistingueva. «Vi concedo due possibilità, Dama Grigia.» La straniera sorrise di quel nuovo appellativo che le era stato dato, e decise anche che le piaceva.
«Tornate a Theires, non osate mettere più piede nel mio regno e io vi farò la grazia di dimenticarmi di voi e di questo spiacevole incontro. Oppure, se davvero ciò che dite è reale, c'è solo una prova che potete fornirmi: portatemi la Custode. Se sarà davvero lei, verrete ben ricompensata. Avrete tutto ciò che desirate, qualunque cosa. Ma se invece si rivelerà essere una ciarlatana, come me ne hanno portate tante in questi anni, non sarà solo lei a morire. Voi la seguirete!»
La Dama Grigia sorrise, e questa volta l'inchino lo fece con piacere. «Non rimarrete delusa, Vostra Maestà.»
Il suo pensiero corse istintivamente alla Rael della tomba senza fiori. Non c'erano dubbi. Ovunque lei fosse, in quel momento, stava bruciando di nuovo. E la sua anima si stava macchiando sempre di più, allontanandosi ulteriormente da quella salvezza a cui ormai sembrava anche inutile anelare.

 

***


Nel Regno di Theires, a nord della città di Valcalia, capitale della Contea di Sheiran, un bambino fissava immobile ed impotente la propria casa bruciare.
Ciò che lo teneva inchiodato a terra, incapace di muoversi, era la consapevolezza di essere rimasto completamente solo. Era quel silenzio spettrale, rotto solamente dallo scoppiettio delle fiamme, a suggerirglielo. Non si udiva alcun grido di aiuto. Era lui l'unico ancora in vita. La sua famiglia stava bruciando assieme alla casa in cui lui aveva sempre vissuto. Non tentò di domare le fiamme, non chiamò i suoi genitori, non corse a cercare suo fratello minore. Nemmeno pianse…
Semplicemente, assistette alla fine di quell'esistenza sicura e pacifica che aveva sempre conosciuto.
"Mi hanno trovato," quello fu l'unico pensiero che la sua mente riuscì a formulare.
Era stato preparato ad una simile eventualità. I suoi genitori gli avevano spiegato come agire nel caso in cui il suo nascondiglio fosse stato scovato. Gli era anche stato detto di non arrendersi e di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Solo adesso riusciva a dare davvero un senso a quegli avvertimenti che un tempo gli erano sembrati tanto inutili.
La tentazione di smetterla di nascondersi, di rinunciare a salvarsi, era davvero tanta. Con gli occhi liquidi di paura e disperazione, il bambino si sforzò di reagire come gli era stato insegnato.
Le persone che amava erano state uccise per proteggerlo. Non avrebbe mai potuto vanificare il loro sacrificio. Deglutì a vuoto, ricacciando indietro l'urlo di dolore che minacciava di distruggerlo in ogni maniera possibile.
Lui non era mai stato davvero un bambino. Aveva sempre vissuto una realtà troppo crudele, troppo dura per qualsiasi uomo adulto, resa però il più possibile accettabile da quelle persone i cui corpi si stavano carbonizzando sotto le macerie di quella casa.
No, lui non era mai stato davvero un bambino. Perlomeno, non si era mai sentito tale fino a quel momento. Adesso, sentiva i suoi dieci anni gravargli addosso e rivelarsi in tutta la loro impotenza ed incapacità. Giocare a fare l'adulto era ben diverso dall'esserlo sul serio. E ora lui, doveva diventarlo per davvero. Le persone che l'avevano lasciato solo non erano i suoi veri genitori, ma questo non rendeva certo quella disgrazia meno dolorosa. Loro erano stata l'unica famiglia che lui aveva mai avuto.
Combattè strenuamente contro le lacrime che prepotenti premevano dietro i suoi occhi. Non gli era più concesso piangere. Non gli era più concesso essere un bambino. Adesso c'era solo lui contro il mondo intero.
Fu il rombo di un tuono a destarlo. Alzò gli occhi dorati al cielo e si lasciò accarezzare il viso dalle gocce di pioggia che un istante dopo iniziarono a scendere.
Con il cuore a pezzi e l'improvviso bisogno di sentirsi stretto nel confortevole abbraccio della donna che aveva sempre chiamato madre , un vago quanto terribile sospetto si fece largo fra i suoi pensieri.
Erano stati i soldati del Re a compiere quella carneficina. Lo sapeva, perchè era da loro che si era nascosto per tutta la vita. Eppure, venne naturale chiedersi dove loro fossero andati.
Cercavano lui. Era andato nel bosco a cacciare e non l'avevano trovato assieme ai suoi famigliari. Perchè allora non erano rimasti lì ad attendere il suo ritorno? La risposta era già crudelmente troppo chiara nella sua testa, ma una parte di lui la rifiutava.
Chiamò a raccolta tutto il proprio coraggio, fece un profondo respiro ed obbligò le proprie gambe a rianimarsi. Trattenendo il fiato, si avvicinò alle macerie della sua casa. La pioggia stava gentilmente scacciando le fiamme, ma ad ogni passo, l'odore acre di carne bruciata era sempre più intenso.
Il bambino si portò una mano alla bocca, soffocando a stento un conato e lottando contro l'istinto di scappare via. Non poteva farlo, doveva sapere se i suoi sospetti erano fondati o no.
Il fato ebbe pietà di lui e gli risparmiò la vista dei corpi martoriati dei suoi genitori adottivi. Tuttavia, lo condusse dritto dinanzi il cadavere del bambino con cui era cresciuto insieme e che aveva imparato a chiamare fratello.
Una forza sconosciuta gli impedì di urlare. Sconvolto e tremante, cadde all'indietro e, con lo stomaco e il cuore in subbuglio, scappò. Inciampò di nuovo, cadendo sulle ginocchia. Sfogò la sua rabbia e il suo dolore sul terreno, conficcandovi le dita. Sentì lo strato di sale marino che affliggeva la terra della Contea di Sheiran, scricchiolare fra le sue mani.
L'immagine di quel corpicino bruciato e decapitato, rischiò di farlo impazzire. Per evitare che ciò accadesse, il bambino con gli occhi dorati, smise di lottare e scoppiò in un pianto rabbioso e disperato. Nulla poteva essergli di conforto, nemmeno il fatto che gli uomini del Re avevano scambiato il suo fratellino per lui, e in quel momento stavano portando al loro sovrano la testa sbagliata.
Il Re si sarebbe accorto quasi sicuramente dello scambio di persona, me nel frattempo lui avrebbe potuto scappare e trovare un altro nascondiglio. Suo fratello, morendo, gli aveva regalato una possibilità di salvezza. Ciò nonostante, la disperazione non si placò. Al contrario, s'intensificò fino a stringergli il petto in una morsa dolorosa.
Con lo scroscìo della pioggia e il fragore dei tuoni che occultavano i suoi singulti, il piccolo Kalintz chiese perdono a qualunque divinità disposta ad ascoltarlo. Pregò per la salvezza delle anime della sua famiglia adottiva e continuò a chiedere scusa per essere venuto al mondo.

 ***

 In quello stesso momento, sotto la pioggia che imperversava anche nella Contea di Sien, in un bosco troppo ostile per ospitare un qualsiasi insediamento umano, una bambina dai capelli rossi ed incapace di parlare, accettava titubante l'aiuto di uno sconosciuto per la prima volta.

****

E' solo il prologo, non mi aspetto che colpisca più di tanto. Però sì,ecco... spero almeno incuriosisca un po'.
Dico fin da subito che gli aggiornamenti potrebbero risultare parecchio altalenanti ^^

DearDiary
   
 
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