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Autore: Nidham    24/03/2014    1 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimango per un attimo senza parole, certa di essere stata vittima di un'improbabile allucinazione per non dover credere al ancor più inquietante possibilità di aver visto veramente del fumo minaccioso tracimare da un dannatissimo barattolo. Era una bomba? Magari di quelle fatte in casa, con vernice al posto della benzina. Non ho idea di come si possano costruire, né di come possano funzionare e sono abbastanza sicura di non averlo mai saputo, ma mi sembra strano che un ordigno esplosivo di qualsiasi tipo possa iniziare a fumare tanto prima di esplodere e, a giudicare dal filmato, dovevano mancare almeno due o tre ore al momento dell'incidente.

Gabriel mi sta fissando di sottecchi, cercando di mostrarsi indifferente, nonostante la ruga profonda di preoccupazione che gli solca la fronte.

“L'hai visto?” mi costringo a chiedere alla fine. “L'hai visto anche tu?”

“Sì.”

“Cos'era?”

“Fumo” risponde solo, dopo aver riflettuto per un'istante, portandomi a desiderare di lanciargli contro la tazza che ho sempre tra le mani.

“Era una bomba? Era la bomba?” cerco di non calcare troppo su quelle lettere, ma se le stessi scrivendo sarebbero tutte maiuscole e in grassetto.

“Gabriel! E' stato quel barattolo a causare tutto?”

“Non direttamente, ma indirettamente credo di sì.”
“Che diavolo significa?”

“Significa che la vernice contenuta in quel vasetto, come le altre decine di litri consumate da Emile nelle ultime settimane, potrebbe essere legato strettamente a tutto questo casino, ma non penso sia stato l'innesco materiale dell'incendio.”

“Vuoi dire che la vernice ha fuso il cervello di quel pazzo e che è stato lui a dare tutto alle fiamme? E come? Non era neanche presente al momento dell'incidente dei tuoi amici, tanto per cominciare. Per non parlare del fatto che la polizia avrebbe individuato dei residui di benzina o altro sul suo cadavere.”

“Come ti ho detto, volevamo trovare il maledetto negozio in cui aveva comprato quella schifezza, proprio per capirne di più.”

“Pigalle non è immensa, possibile che in due non ci si sia riusciti?” più parliamo, meno le cose hanno un senso e ne avevano talmente poco già prima che adesso mi sembra davvero di essere una specie di Alice in un paese delle meraviglie horror. “Perché non ho chiesto l'indirizzo a Emile, poi?”

“L'avevi fatto più volte, stando ai tuoi racconti, ma non si è mai voluto confidare con te. Eri riuscita a strappargli il poco che sapevi in un momento di crisi d'astinenza che quasi l'aveva ucciso. Per quanto riguarda la tua prima domanda, preferirei non risponderti, per non violare il nostro accordo.”

“Andiamo, come potresti violarlo su una cosa del genere?” sbotto prima di riuscire a trattenermi, guadagnandomi una ben meritata occhiataccia. “Scusa.”

“Non è un negozio autorizzato, diciamo così.”

La faccenda si fa sempre più grave: è evidente che Emile usasse qualche strana droga o allucinogeno e è assai probabile che la mischiasse alla vernice, creando una pericolosa reazione probabilmente infiammabile. Mi chiedo come, da amica e persona razionale, abbia potuto permetterglielo o magari addirittura incoraggiarlo.

“Tu hai provato a fermarlo” sembra quasi mi abbia letto nel pensiero. “L'hai rimproverato, gli hai più volte nascosto la vernice e hai cercato di convincerlo con ogni mezzo possibile. Hai persino iniziato a indagare su questa storia e su quella villa, pur di capire cosa lo ossessionasse tanto. Ma non eri sua madre e, alla fine dei giochi, potevi solo stargli vicino.”

“Guardandolo bruciare e rischiando di morire io stessa. Proprio un bel lavoro.”

“Alex” sussurra scuotendo la testa, incapace di trovare parole abbastanza sensate da confortare il mio insensato rimorso. “Non avresti potuto salvarlo.”

“Anche tu ti senti in colpa per non aver aiutato i tuoi amici e neanche eri presente quando sono morti, quindi non farmi la predica.”

Senza pensarci, poggia la mano sul mio braccio ferito, per provare a consolarmi, e la cosa strana è che non mi procura alcun dolore, come mi sarei aspettata e come avrebbe dovuto accadere normalmente, tanto che non ho bisogno di fingere stoicismo quando la ritrae di scatto imbarazzato e preoccupato.

“Scusami” inizia a bofonchiare. “Non volevo...”

“Tranquillo” continuo a fissare la fasciatura, chiedendomi cosa nasconda. “Non ho sentito niente.”

“Non hai sentito il tocco della mia mano?” è ancora preoccupato, ma adesso perché ritiene, erroneamente, che abbia perso sensibilità all'arto.

“Non in quel senso; non ho provato dolore o fastidio.”

“Alex, questo è assurdo. Ustioni che abbiano comportato il massiccio uso di antidolorifici che mi hai descritto, che ti abbiano costretto a rimanere per giorni in coma farmacologico e che, comunque, siano derivate da un incendio di tali proporzioni, non possono guarire in poche ore. Non ti sei scottata col bollitore del tè. Anzi, è stato folle che ti abbiano dimesso dall'ospedale senza una terapia specifica e senza fissarti delle visite per le medicazioni e i controlli.”

“Onestamente, sono fuggita da quel postaccio e non ho dato al dottore molto tempo per studiare una terapia. Credo abbia borbottato qualcosa sul declinare ogni responsabilità e lavarsene le mani, ma ero troppo confusa per dargli ascolto. E poi anche tu hai storto il naso quando hai saputo che mi avevano portato al Rothschild.”

“Perché era una scelta insensata e perché quell'ospedale...” si cuce la bocca di nuovo. “Diciamo solo che non è un bel posto e di certo non ci sono medici che sappiano fare miracoli.”

“Ma potrebbero esserci dottori criminali o bugiardi” mi sovviene come una folgorazione. “Dottori che, magari, usino i pazienti come cavie, inventandosi diagnosi assurde, pur di giustificare il loro operato.”

“Mi sembra pazzesco.”

Il fatto che sia proprio lui a dirlo suona o ridicolo o inquietante, perché se sto diventando più paranoica e irrazionale di qualcuno del genere vuol dire che ho proprio perso la testa.

D'altra parte continuo a fissarmi il braccio, sempre più curiosa. Non dovrei togliere le bende, ma proprio mentre cerco di auto-convincermene, inizio a rimuovere le grappette che tengono insieme la fasciatura.

“Che diavolo pensi di combinare?”

“Capire come sia possibile che ustioni di secondo o terzo grado non mi facciano urlare di dolore, ora che l'effetto di qualsiasi antidolorifico deve essere terminato.”

“Potresti prenderti un'infezione, santo cielo! Non stai neanche seguendo una cura antibiotica” conscio di non potermi fermare, a meno di usare la forza, ripiega sull'unica altra soluzione possibile e inizia a frugare nei cassetti a caccia di qualcosa con cui rimediare al pasticcio che probabilmente sto combinando. “Dove tieni i medicinali?” sbuffa esasperato, dimenticandosi l'insensatezza della sua richiesta.

“Dannazione, non hai qualche pomata?”

“Non credo sia necessario” la voce appare stentata e vuota anche alle mie orecchie, mentre tolgo l'ultimo strato di garza e scopro una pelle perfettamente liscia e immacolata. “Guarda!”

Penso che l'incredulità del suo sguardo sia riflessa anche nel mio, mentre sfiora la superficie serica del mio braccio con la punta delle dita e convince entrambi di non stare sognando.

“Com'è possibile?” sussurro, senza aspettarmi realmente una risposta. “E' perfettamente sano.”

Gabriel tace, ma la sua espressione si fa più accigliata di momento in momento.

“Sono davvero dei pazzi criminali” inizio a infervorarmi, lieta di avere un valido motivo per mettere in atto quella denuncia che tanto desideravo e per spillare un bel po' di soldi a quel medico antipatico e supponente. “Mi hanno usato come cavia, magari con l'aiuto di quel tizio di cui parlavi prima.”

“Quale tizio?” sembra scuotersi da una profonda meditazione.

“Il riccone anziano che traffica con medicine illegali!” quasi grido, nell'ansia di farlo ricordare. “Il liquido rossastro che mi hanno iniettato e non volevo...”
“Cazzo!” un lampo di consapevolezza gli attraversa lo sguardo, subito cancellato da una profonda rabbia poco comprensibile e da una luce assassina per nulla rassicurante.

“Gabriel, non c'è bisogno che ti infuri al mio posto” provo a tranquillizzarlo, ma ho già perso un'altra volta la sua attenzione.

“Cazzo” ripete in un basso borbottio quasi inudibile, sbiancando tanto da farmi temere che tutte queste emozioni abbiano peggiorato le sue condizioni. “Maledizione!”

Anch'io sono confusa, irritata e ho voglia di imprecare, ma la sua reazione me ne ha tolto l'opportunità e poi se quel farmaco, legale o meno, fosse stato veramente in grado di guarire completamente le mie ferite nel giro di un paio di giorni, non so se dovrei lamentarmene, anche considerando i fastidiosi effetti collaterali che avrebbe comportato, tipo allucinazioni e sbalzi di temperatura corporea.

Gabriel sta aspettando in silenzio che io mi metta a protestare o urlare come una matta, ma sarebbe una reazione troppo normale per una situazione così inverosimile e non so più cosa pensare.

“Chi è quel tale che mi aveva contattato?” mi limito a chiedere, quasi stessimo intrattenendo una comunissima conversazione sul più e sul meno.

“Nessuno di importante.”
“Al contrario, visto che temi possa aver procurato lui questo super-medicinale kryptoniano.”

“Cosa?”

“Magari è coinvolto anche nella storia di Emile, non c'avevi pensato? Se traffica roba chimica illegale, potrebbe essere implicato in queste esplosioni che nessuno riesce a spiegare.”

L'osservo riflettere con i nervi a pezzi, sfinita dallo sforzo di non tempestarlo di domande che possano portare un briciolo di chiarezza e di logica in questo casino.

“Non credo, anche se potrebbe esserne capace.”

“Lo conosci bene, quindi?”

“So come sono fatti quelli come lui.”

“Che sarebbero?”

“Poco di buono.”

“Cazzo, Gabriel!”
“Persone crudeli, va bene?” mi ringhia contro, esasperato. “Persone che se ne fregano della legge, dei buoni sentimenti e del rispetto per la vita.”

“E per quale stramaledetto motivo avrei dovuto entrare in contatto con un tipo del genere?”

“Ti aveva cercato, sembrava volesse diventare una specie di mecenate per Emile. Ma io ti avevo detto che non c'era da fidarsi e tu ancora non l'avei incontrato.”

“Eppure supponi che si sia preoccupato della mia salute, tanto da fornire medicinali non in commercio all'ospedale, probabilmente corrompendo i dottori, a meno che il Rothschild non sia di per sé un covo di scienziati pazzi.”

“Non ho detto che si disinteressi di ciò che ritenga utile.”
“E io lo sarei? Ormai Emile è morto e dubito di aver mai preso un pennello in mano in vita mia, quindi a cosa potrei servirgli?”
“Non lo so, Alex, va bene? So solo che grazie a un intruglio simile a quello che mi hai descritto si sono verificate altre misteriose guarigioni, nel corso degli anni, ma che le persone alle quali lo avevano somministrato ne sono diventate schiave. E so che quel tale ha la possibilità di procurarselo, se vogliamo usare un eufemismo.”

“E' una droga?”

“Una specie.”

“Dio, sei più sfuggente di un'anguilla.”
“Vorrei raccontarti tutto” e gli credo, mentre lo dice. “Davvero.”

“Ma non capirei.”

“Non sei stupida e capiresti benissimo, ma non vorresti crederci.”

“Guarda che credo all'esistenza di persone brutte e cattive, capaci di far del male. Alle elementari ci vado per fare la maestra, non l'alunna.”

“E' più complicato di così.”

“In che modo?”

Alza gli occhi al cielo e sospira teatralmente, passandosi una mano tra i capelli.

“D'accordo, non rispondere” mi siedo a finire il mio tè con falsa indifferenza. “Non dirmi perché mi consideri talmente in pericolo da passare la notte sul pianerottolo a farmi la guardia, né perché entrambi fossimo convinti che Emile si fosse cacciato in un guaio così brutto da costringerci a diventare piccoli Ispettori Gadget pur di cavarne le gambe, né che significato avesse, per lui, quella maledetta villa e tutta la schifosa storia di Morel o come questa sia collegata, stranamente, al mio ricovero proprio nell'ospedale dove aveva lavorato il suo compare, il folle dottor Johnson, di cui, guarda caso, adesso è comparso un omonimo. E non dirmi neanche chi sarebbe quell'inquietante individuo vestito come un impiegato di banca e con un'accetta da boscaiolo in mano che ci fissava dai dipinti. Mi chiedo cosa tu pensi di fare qui, onestamente.”

“Il tipo con l'accetta è Morel” risponde a mezza voce, quando interrompo la mia sfuriata per riprendere fiato. “E sono qui perché avevamo iniziato a indagare assieme e vorrei continuassimo a farlo. Sono rimasto fuori dalla tua porta perché l'ultima volta in cui avresti avuto bisogno di me non ci sono stato e hai rischiato di morire e non potrei sopportare di perdere qualcun altro solo perché non ho avuto abbastanza forza per proteggerlo.”

Ha un'aria così solenne e intensa che non riesco a lasciarmela scivolare addosso con l'indifferenza che vorrei.

“Emile aveva iniziato a dipingere la villa subito dopo essersi procurato la vernice, tanto che tu avevi supposto fosse stato il vecchio che gliela aveva venduta a parlargliene. Non ne capivamo il motivo, ma mi avevi raccontato che una sera il tuo amico si era lasciato sfuggire un'osservazione più sconvolgente del solito: secondo lui la statua del giullare, in giardino, aveva gli stessi occhi da serpente di quel mercante misterioso e, attraverso quelli, avrebbe controllato se stesse adempiendo al loro accordo.”

“Emile era fuori di testa.”

“Le tue stesse parole di allora” sorride e noto, controvoglia, che gli si formano delle irresistibili fossette sulle guance, anche se, per fortuna, il filo di barba sexy che porta le nasconde un po'. “Ma l'avevi presa come una conferma alla tua teoria. Per questo cercavamo quel negozio.”

“Senza trovarlo” non posso evitare il sarcasmo, perché già m'immagino una ferramenta in stile castello errante di Howl. “Ovviamente è normale che i fondi commerciali si spostino di ora in ora per trovare clienti.”

“Non ho mai detto che sia normale, né che il negozio si sposti. Ho detto solo che non siamo riusciti a trovarlo” mi guarda storto e, grazie a Dio, ha smesso di sorridere. “Anche se non potrai mai credere alla storia secondo la quale quel vecchio si farebbe trovare soltanto da chi vuole, per una sorta di maledizione mistica, ti sembrerà plausibile che quel posto sia un sudicio scantinato privo di insegna, totalmente anonimo e impossibile da identificare tra le altre decine di garage del genere, in un quartiere vasto come Pigalle.”

“In effetti è abbastanza sensato” bofonchio a mezza voce, per niente soddisfatta della seppur logica spiegazione. “Ma ancora non capisco che interesse avrebbe potuto avere un vecchio spacciatore per una villa disabitata.”

“Su questo non avevamo nemmeno delle teorie, così come non ne ho sul tuo strano ricovero al Rotschild, ma temo non sia stata una coincidenza.”

“Diavolo, Gabriel! Ma chi ci stiamo mettendo contro, la CIA?”
“Magari!”

Il suo sbuffo è tutt'altro che rassicurante: cosa potrebbe esserci di peggiore, soprattutto per un maniaco del complotto internazionale?

“Devo parlare con Philppe o Jas.”

“Non potranno dirti niente” solo al suono della sua risposta mi accorgo di aver parlato a voce alta. “Li volevi tener fuori da questo casino e Emile non li aveva voluti nemmeno all'inaugurazione.”

“Tutto sembrerebbe portarci a crederlo colpevole” non mi piace pensarlo, ma è l'unica idea che abbia un barlume di sensatezza. “D'altra parte era diventato palesemente pazzo.”
“Quindi il vero responsabile dovrebbe essere il tipo che l'aveva fatto ammattire.”

“Non proprio” adesso non ho più voglia di scherzare, perché se fosse stato il mio defunto amico a dar fuoco a tutto, non potrei esimermi dalla mia parte di colpa e avrei un discreto peso sulla coscienza. “Non credo che qualcuno l'abbia costretto a drogarsi.”

“Ma poteva pensare di star usando semplice vernice e non qualche pericoloso composto tossico.”

“Una vernice venduta in un garage losco da un ancor più losco figuro? Ma dai! Chiunque avrebbe dovuto insospettirsi. Anche io.”

“Infatti appena Emile iniziò a essere strano, tu iniziasti a indagare. Non darti colpe che non hai Alex. Forse il tuo amico avrebbe potuto evitare di finire invischiato in questo casino, ma tu ne sei una vittima, proprio come quelli che sono morti.”
“Magari un po' meno sfigata.”

“Non è detto che chi resta stia meglio di chi se ne va” c'è un profondo dolore nelle sue parole, ben lontane da un semplice moralismo da bar. Dice a me di non sobbarcarmi sensi di colpa inutili, ma predica bene e razzola malissimo. “Comunque non immagini quanto sia stato contento di sapere che eri sopravvissuta.”

Non mente, né parla per pura cortesia, eppure mi conosce appena e di certo non l'ho trattato con estrema gentilezza, in queste ultime ore. Evidentemente ci sono persone più sensibili di me, a questo mondo.

“Vuoi un altro biscotto?” provo a sdebitarmi, praticamente ficcandogli il pacchetto sotto al naso. Almeno, adesso, sembra aver ripreso un po' di colore e le occhiaie sono meno pronunciate. “Dovrò andare all'ospedale o magari direttamente in chiesa, visto che sono stata miracolata, e un consulto medico non farebbe male nemmeno a te.”

“Sto bene, ho solo avuto una brutta febbre negli ultimi giorni.”

“Con ultimi giorni, intendi fino a ieri sera, giusto?”

“Ieri stavo già meglio.”

Alzo gli occhi al cielo, ingoiando un paio di esclamazioni poco femminili.

“Poi andrò a quella villa.”

Se gli avessi detto che sarei andata a massacrare cuccioli al canile l'avrei, probabilmente, shoccato di meno; l'espressione “occhi fuori dalle orbite” gli calza a pennello e il volto è di nuovo terreo e tirato, con una grossa vena sulla tempia pronta a esplodere.

“Che cosa? Tu sei pazza.”

“Perché, scusa? Il negozio non riusciamo a trovarlo, ma della casa c'è l'indirizzo persino su internet, in quei siti stramboidi di fantasmi.”

“E non credi siano posti da evitare, se si trovano elencati in siti del genere?”

“Andiamo Gabriel, non essere infantile. Magari potremmo scoprire qualcosa di importante.”

“Sì, un uomo con un'accetta lunga due metri.”

“Vuol dire che gli chiederò il permesso di ficcanasare in casa sua.”

“Di solito non si va a prendere il tè da un tizio che brandisce un'ascia.”

“Io porterò la spada e giocheremo a chi ha l'arma più lunga, va bene?”

“No, per niente.”

“Ti ricordo che Morel è morto da anni e se pensi sia lui il tizio ritratto da Emile, dubito che avrò modo di incontrarlo.”

“In realtà tu dicesti che, secondo il tuo amico, quella figura era apparsa da sola nei quadri.”

“Che vuol dire? Ce l'ha dipinta sopra qualcun altro o si è formata per magia?”

“Non lo so, me lo raccontasti tu. Magari quando Emile andava alla villa non era solo” mi guarda male anche prima che apra bocca. “E non intendo le volte in cui tu lo accompagnavi. Non eri sempre con lui.”

“Credi ci fosse qualcuno che si approfittava della sua demenza e ritoccava i suoi dipinti? Con quale scopo?”

“Ho detto solo che forse non era l'unico a girare per quel postaccio.”

“Non ha senso.”

“Allora è in linea con tutta questa storia.”

Non posso ribattere, perché ha pienamente ragione. E se Emile fosse stato un truffatore? Se non avesse dipinto lui quegli ultimi quadri, ma si fosse appropriato del talento di un altro pittore sconosciuto? In fondo è noto che fosse un imbrattatele, prima di venire a contatto con quella fantomatica vernice; magari il suo improvviso talento si potrebbe spiegare razionalmente con un raggiro.

“Se stava spacciando per proprie le opere di un altro, avremmo anche un buon movente perché il vero proprietario odiasse il mio amico e volesse distruggerlo insieme alle sue creature rubate. Io non ricordo le volte in cui sono stata alla villacon Emile, ma forse tornandoci potrei avere qualche flash.”

“Allora vengo con te.”

“Perché?”

“Perché se davvero tu avessi ragione, quel tizio sarebbe anche responsabile della morte dei miei amici. Comunque penso che sia prematuro andare laggiù, ne sappiamo troppo poco.”

“Non ne sapremo mai niente, se non usciamo da questo loop.”

“E poi devo andare a lavoro.”

Essendosi auto-invitato, dovrebbe presumere che questo non mi tanga più di tanto, ma è la prima volta che accenna spontaneamente alla sua professione e sono troppo curiosa per perder tempo con futile ironia.

“Che lavoro fai?”
“Quello che capita.”

Tipico di un morto di fame. Che delusione. Mi chiedo quanto sia realmente vecchio il riccone che voleva finanziare il lavoro di Emile...

“Per adesso sono impiegato in una ditta che produce” aggrotta le sopracciglia, interrompendosi a metà della frase. “No, quello era due settimane fa.”

“Capisco il problema del precariato, ma addirittura cambiare impiego di settimana in settimana mi pare eccessivo.”
“A volte non mi presento a lavoro e quindi mi licenziano.”

“Non è che sia un motivo di vanto.”

“Riesco sempre a trovare un lavoro, più o meno. E poi non richiede molti soldi il mio sostentamento, sono un tipo di poche pretese.”

“Ma non pensi al tuo futuro?”

“Il mio futuro?” sembra stia per ridermi in faccia, ma sembra anche che quella risata non possa essere altro che tremendamente amara. “Ce lo vedi uno come me a sistemarsi?”

“No” rispondo per non contraddirlo e perché sembra la cosa più banale e inevitabile da dire, per quanto l'istinto mi spingerebbe a tirargli un orecchio e metterlo in castigo per aver solo pensato di dubitare tanto di se stesso.

“Ecco” pare deluso, ma anche rassegnato. Valli a capire gli uomini: li contraddici e si alberano, li assecondi e ci restano male. Che palle!

“Ma un tuo futuro? Quando sarai vecchio cosa farai?”

“Il mio futuro è scoprire cosa sia successo ai miei compagni.”

“E' consolante sapere che pensi di impiegarci tanto tempo. Dovremmo trovare il modo di farci dare i contributi per le nostre investigazioni.”

“Devi essere sempre così pungente?”

“E tu sempre così stupido?”

Ci guardiamo in cagnesco finché il trillo acuto del telefono non mi provoca un infarto e mi accorgo che sono ormai le sette passate e quindi un'ora più che cristiana perché qualcuno dei miei amici legittimi inizi a preoccuparsi per me.

  
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