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Autore: Prinzesschen    29/08/2008    4 recensioni
Era più di un’ora che stavo li seduta su quella dannata sedia! Avevo persino preso in considerazione che tutta quella storia potesse essere stata solo uno scherzo di pessimo gusto del mio manager. Ero agli inizi di quella che a detta di molti sarebbe stata una brillante carriera. Beh, c’era solo un piccolo e per nulla trascurabile particolare da prendere in considerazione: eravamo solo la mia chitarra ed io…coppia inscindibile, senza dubbio, ma ciò non toglieva che non si poteva diventare artisti famosi se non si avevano quantomeno soddisfacenti capacità canore e senza una band. Ero li, sola, in un paese a me sconosciuto e di cui conoscevo a malapena la lingua. Sola in Germania, l’unico posto in cui non avrei mai pensato di finire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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mel

Una chitarra per due

 

 

 

 

 

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Era più di un’ora che stavo li seduta su quella dannata sedia! Avevo persino preso in considerazione che tutta quella storia potesse essere stata solo uno scherzo di pessimo gusto del mio manager.

Ero agli inizi di quella che a detta di molti sarebbe stata una brillante carriera.

Beh, c’era solo un piccolo e per nulla trascurabile particolare da prendere in considerazione: eravamo solo la mia chitarra ed io…coppia inscindibile, senza dubbio, ma ciò non toglieva che non si poteva diventare artisti famosi se non si avevano quantomeno soddisfacenti capacità canore e senza una band. Ero li, sola, in un paese a me sconosciuto e di cui conoscevo a malapena la lingua. Sola in Germania, l’unico posto in cui non avrei mai pensato di finire.

Sospirai ed estrassi la mia fedele Gibson dalla sua custodia per poi attaccare l’amplificatore alla presa. Grazie al cielo in quella stupida entrata di quella stupida sala registrazioni c’era una presa compatibile.

Feci scorrere tra le mani il jack e collegai lo strumento all’amplificatore.

Chiusi gli occhi e feci scorrere le dita sulle corde, suonandole piano ad una ad una e beandomi del suono che questo gesto produceva; cominciai a suonare lasciandomi trasportare dall’istinto e improvvisando. Accordi lenti e bassi che componendosi davano vita ad una melodia triste e malinconica, che chissà perché mi faceva venire in mente l’idea di sogno, di fantasia, di vita.

Dondolavo la testa a ritmo, strizzando gli occhi quando il passaggio da un accordo ad un altro si faceva complicato e sentivo che attorno a me c’era il nulla, ero sola con la mia musica, sospesa a mezz’aria, con la mia chitarra sulle gambe accavallate.

Una pennata più violenta diede inizio ad una serie di accordi più acuti, più penetranti e duri; potevo sentire la potenza che quelle note sprigionavano, intrecciandosi e sovrapponendosi come in una lotta senza fine.

Mi lasciai trasportare e misi in quella melodia ormai diventata violenta e potente tutta la mia determinazione, la mia voglia di farcela, di far ricredere tutti coloro che mi dicevano che non ce l’avrei fatta, che assumevano quell’odiosissima espressione scettica ogni qual volta mi ritrovassi a parlare del mio futuro, della mia musica e della mia passione.

Ero brava, lo sapevo. Non ero piena di me, arrogante o presuntuosa, credevo soltanto nelle mie capacità.

Avevo 17 anni, il consenso dei miei genitori, che primi fra tutti credevano in me, e la mia chitarra. Era tutto ciò che mi serviva per fare ciò che volevo, per realizzare il mio sogno.

Nella mia adorata Italia avevo fatto diverse serate, numerosi provini, avevo ricevuto consensi e incoraggiamenti, le mie origini canadesi forse mi rendevano anche più interessante, ma sapevo che finchè fossi rimasta a casa non avrei combinato nulla. E così sono andata via, seguendo un sogno e determinata a realizzarlo.

Aprì gli occhi e con un’ultima lenta e trascinata pennata terminai la mia performance.

Sentì qualcuno battere le mani e mi voltai alla mia destra.

Un ragazzo vestito in uno stile hip hop fin troppo marcato e con dei bellissimi rasta biondi che facevano capolino dal cappellino appena posato sul capo stava battendomi energicamente le mani e si avvicinava con un sorrisino sbieco stampato sul viso.

-Ciao…-disse sedendosi accanto a me.

-Ciao…-risposi guardandolo con un sopracciglio sollevato e sorridendo.

Lui mi sorrise a sua volta e si sistemò il cappellino continuando a guardarmi negli occhi.

Sentivo quelle iridi castane, forse più simili al colore del miele, scrutarmi e sostenni lo sguardo con sicurezza. Mi era spesso capitato di sentirmi dare della sfacciata, ma il mio orgoglio veniva fuori sempre, anche quando non ce n’era bisogno.

-Sei davvero brava…- disse sinceramente ammirato.

-Ti ringrazio…-dissi ancora confusa da quell’improvviso e repentino approccio.

-Ah, quasi dimenticavo! Piacere, Tom Kaulitz!- si presentò porgendomi la grande e forte mano.

La strinsi con vigore sorridendo ancora di più.

-Piacere, Tom….io sono Melanie Mayer!

-Wow, una Gibson!- disse lui accarezzando il mio gioiellino.-Ne ho una anche io!

Ehi! Si intendeva di chitarre! Mi tirai su illuminandomi.

-Le Gibson sono le migliori sulla piazza secondo me! Hanno qualcosa di unico che non so descrivere! Basta prenderne una tra le mani e…e…ti senti in paradiso!

-Concordo pienamente..! Ho un feeling speciale con la mia Gibson…è come se fosse viva! A volte ci parlo anche!- rispose lui altrettanto felice di poter parlare di chitarre con qualcuno di competente.

I nostri occhi erano come incatenati. Nessuno dei due intendeva rompere quel contatto così sfacciato e così intimo.

-Mel?- chiese Carl, il mio manager, sbucando dall’ufficio adiacente alla sala di registrazione.

Mi alzai in piedi e dovetti, mio malgrado, distogliere lo sguardo dagli occhi di Tom.

-Oh, vedo che hai già conosciuto uno dei membri del gruppo!- disse entusiasta.

Si avvicinò e strinse la mano a Tom.

-Ciao ragazzo!- salutò cordiale come se già si conoscessero.

-Buona sera signor Klein!- rispose Tom sorpreso con un’espressione interrogativa stampata in volto.

Si conoscevano?!

Carl mi prese sotto braccio e mi trascinò verso l’ufficio.

-Vieni vieni che ti presento gli altri!

Gli altri!? Mi aveva detto che c’erano buone notizie per me, quando mi ha dato appuntamento qui, ma…non pensavo che ciò coinvolgesse altre persone.

Entrai nell’ufficio, seguita da Carl.

Attorno alla scrivania sedevano un ragazzo biondino e molto semplice, affiancato ai due lati da un ragazzo dai capelli perfettamente stirati e dagli addominali pronunciati visibili attraverso l’attillata maglietta verde militare e da un moretto tutto capelli; l’acconciatura bizzarra da elettro-shok e gli occhi pesantemente truccati di nero gli donavano un’aria particolare, androgina e molto personale.

Tom entrò alle mie spalle, mi voltai verso di lui e lo vidi fissare torvo gli altri confusi quanto lui.

-Ehm…ciao!- salutai alzando appena la mano ma non potendo nascondere l’imbarazzo.

Quello che doveva essere il loro manager mi si avvicinò e mi porse la mano.

-Piacere, David Jost! E loro sono Bill, Gustav, Georg e, ma credo che tu già lo sappia, Tom. Ecco a te i Tokio Hotel!- presentò l’uomo indicando prima il moretto, poi il biondino, il ragazzo dai capelli perfettamente piastrati e Tom.

I Tokio Hotel?! Li avevo sentiti più volte nominare in Italia, erano un famosissimo gruppo tedesco, ma nell’ultimo periodo c’era stato un notevole calo di interesse nei loro confronti.

Ma che ci facevo li con i Tokio Hotel io?

-David che succede?- chiese Bill voltandosi verso David Jost e dando quindi voce al mio interrogativo.

Jost si schiarì la voce e cominciò.

-Bene ragazzi, conoscete il mio amico Carl Klein, ebbene la ragazza di cui si occupa si chiama Melanie Mayer ed è italiana.- disse voltandosi verso di me e sorridendomi.-E’ una chitarrista di grande talento e….beh non mi dilungherò in spiegazioni inutili, sarà la nostra seconda chitarrista.

Il silenzio assalì la stanza in una morsa di tensione e sorpresa.

I tra seduti mi fissavano allibiti, incapaci di parlare e anche io ero a corto di parole. Come aveva potuto Carl organizzare una cosa così importante senza consultarmi? E poi andiamo! Loro erano i Tokio Hotel! Che c’entravo io con degli artisti ormai affermati e “vissuti”?

-CHE COSA VUOL DIRE TUTTO QUESTO?! SE E’ UNO SCHERZO NON E’ PER NIENTE DIVERTENTE!- sbraitò Tom alle mie spalle sorpassandomi. Mi ero quasi dimenticata di lui.

-Tom calmati…- cominciò Jost ma fu interrotto dal ragazzo che ricominciò ad urlare.

-CALMARMI?! MA SIAMO MATTI?! SONO IO IL CHITARRISTA DEI TOKIO HOTEL! IO!! CHE BISOGNO ABBIAMO DI UN’ALTRA CHITARRISTA?

Era furioso, gli occhi saettavano per la stanza incenerendomi ogni volta che si posavano su di me.

-Adesso basta! Calmati Kaulitz!- lo riprese il manager.-Abbiamo bisogno di un…”cambio di immagine”, capisci? Non vendiamo dischi…le classifiche non ci vedono più da mesi! Ciò che ci serve è rinnovare! Lei ha talento da vendere, è sola qui e, diciamocelo, è decisamente di bell’aspetto! Attirerebbe anche altro pubblico maschile e la curiosità delle ragazzine!

Mi sentì quasi offesa da quella affermazione. Servivo solo come attrazione commerciale? Non mi avevano presa per il mio talento? E poi non avevo mai pensato di poter essere considerata bella con i miei 157 cm di altezza, con la mia scarsa prima di seno e i miei capelli color topo.

-E’ sola e bella? Per me può anche darsi alla prostituzione! Qui c’è posto per un solo chitarrista! O me o lei!

Mi sentì davvero offesa da quella affermazione di Tom. Aveva ragione di sentirsi ferito, ma ciò non lo autorizzava ad insultarmi!

-Senti Tom…-continuò David.

-“Senti Tom” UN CORNO!- urlò ancora per poi uscire dall’ufficio sbattendosi la porta alle spalle.

Gli altri tre erano rimasti in silenzio per tutto il tempo  e Bill pensò bene di prendere la parola.

-David scusa ma non capisco l’utilità di tutto ciò! Non siamo un prodotto, siamo degli artisti! Dobbiamo vendere per la nostra musica non per la nostra immagine! Non do la colpa a questa ragazza che a giudicare dalla sua espressione non sapeva nulla di tutto questo come noi, ma potevate interpellarci! Siamo o no i diretti interessati?

Bill aveva ragione.

-Ne parliamo in albergo Bill…-tagliò corto Jost.

Si voltò verso Carl.

-Scusami davvero Carl, Tom l’ha presa davvero male…ma gli passerà! Questo è l’indirizzo dell’albergo dove alloggeranno i ragazzi. Ho preso due stanze anche per voi, potete andare a sistemarvi se volete…

-Grazie David…però mi dispiace che questa situazione vi crei tutti questi problemi!- ringraziò Carl stringendo la mano all’amico.

-Tze!- sbottai io.-Potevi parlarmene Carl! Tom ha ragione! Non posso sbucare così dal nulla e mettermi di mezzo nella loro band!

-Ne parliamo anche noi in hotel Melanie…ringrazia il signor Jost e andiamo…

-Grazie signor Jost-dissi atona.

-Chiamami pure David…

Non risposi, uscì dall’ufficio senza parole. Ero sconvolta.

In macchina non parlammo. Io ero furiosa e Carl preso in contropiede dalla reazione dei ragazzi e mia.

 

  
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