Marea
Un
villaggio come un altro, in una terra come un'altra, in un
supermercato come un altro, una ragazza come un'altra si trovava di
fronte allo scaffale del cibo in scatola. Niente di più
comune...se
non fosse stato che il villaggio era deserto, se non per qualche
zombie vagante, e la ragazza era l'unico essere che respirava in quel
luogo. Il suo abbigliamento, in occasioni normali, sarebbe stato
ritenuto singolare e sarebbe stata vittima di derisioni, ma ora che
il mondo era finito cosa gliene importava delle prese in giro? Chi
avrebbe potuto schernirla? Aveva approfittato della sua
seconda chance, della sua rinascita, per decidere lei stessa chi
sarebbe diventata. Il mondo le aveva imposto di cambiare vita e lei
aveva colto l'occasione per darle il senso che
più
desiderava. Per questo indossava abiti di rimando medievale: un lungo
gilet in pelle nero, sopra una camicia da uomo nera anch'essa.
Pantaloni neri si infilavano poi in dei pesanti stivali in pelle, che
terminavano all'altezza del polpaccio. Portava in vita una cintura da
dove pendeva una spada bastarda, al petto altre cinghie erano legate,
che sorreggevano un paio di daghe, e dietro alla schiena, appesi alla
spalla, un arco e delle freccie. All'occorenza, sotto la camicia,
indossava una cotta di maglia, che più volte le aveva
salvato
la vita
da qualche zombie che aveva tentato di morderla ma si era trovato tra
i denti solo anelli di ferro, senza riuscire ad arrivare alla carne.
Era però una scelta che non sempre faceva: la cotta era
troppo pesante
per lei e a volte non faceva altro che stancarla e rallentarla, senza
nessun vantaggio. Per proteggersi
dal freddo della notte spesso utilizzava un vecchio mantello di lana
nero, rovinato ormai, ma sempre un buon alleato. Anche quella,
però, era
una scelta che non sempre faceva: troppo ingombrante, le impediva di
scappare, e non sempre faceva poi così freddo.
All'inizio si era sentita scomoda e impacciata dentro quegli infiniti
strati di indumenti, ma poi ci aveva fatto l'abitudine. Il bisogno
della sopravvivenza le aveva insegnato tante cose.
Dentro quel
market abbandonato, canticchiando a labbra serrate e ondeggiando con
la testa, Ocean si ritrovava a dover fare una delle cose che spesso
aveva odiato anche in precedenza: la spesa. Di fianco a lei, seduto,
che la fissava scodinzolante, in attesa di un buon pasto, c'era un
cane bianco e nero, con una piccola chiazza marrone su un orecchio,
appartenente a quella razza che un tempo era diventata famosa grazie
a una simpatica pubblicità anni 90: un Border Collie.
«È rimasto ben poco anche qui.»
comunicò
Ocean al suo amico. «Ti vanno i fagioli?» chiese
poi, voltandosi verso il
cane, che, sentendosi preso in causa, abbassò le
orecchie.
«Sono molto nutrienti sai? Non fare quella faccia.»
disse
ancora la ragazza, infilando in una grossa sacca quante più
scatole
potesse. Fagioli, ceci e lenticchie, tutti ciò che al
momento
era
disponibile.
«Passiamo oltre e vediamo cos'altro offre la casa»
disse
tra
sè e sè, spostandosi per raggiungere lo scaffale
successivo. «Dio, ammazzerei qualcuno per avere un po' cibo
fresco. Formaggi,
affettati, latte, uova, frutta e verdura... sembra passata una vita
dall'ultima volta che ne ho sentito il profumo.»
continuò. Il cane la seguì e
si mise di nuovo a
sedere vicino a lei, di nuovo scodinzolante, e di nuovo in attesa.
Ocean
lo guardò con occhi vagamente sorpresi, come se avesse visto
solo in
quel momento la presenza dell'animale accanto a sè.
Afferrò una
scatoletta di carne e tirando la linguetta l'aprì, poi
aiutandosi
con un dito rovesciò il contenuto sul pavimento.
«Per ora
accontentati, non abbiamo tempo di fermarci per cena. Farai un pasto
più sostanzioso più tardi» disse,
leccandosi il dito sporco
di carne, per poi riprendere a riempiere la sacca con tutto
ciò che era recuperabile e
disponibile. Il cane ai suoi piedi nel frattempo aveva già
lucidato
a dovere il pavimento. Ocean valutò la pesantezza della
sacca:
doveva sempre fare attenzione a non esagerare, la fuga non doveva mai
essere impedita e la stanchezza doveva sempre essere mantenuta il
più
lontano possibile.
«Direi che per un po' siamo a posto.»
valutò. «Ci
conviene andare adesso.» odiava restare troppo tempo
ferma
nello stesso luogo, la faceva sentire insicura, come se qualcosa la
stesse costantemente rincorrendo.
«Forza Max, lascia perdere quel pavimento, non t'accanire,
tanto
tornerà sporco tra non molto» al sentir
nominare il suo nome,
il cane sollevò le orecchie, ma non smise di leccare il
pavimento.
L'aroma della carne l'aveva reso irresistibile.
«Max, guarda che ti lascio qui! Andiamo, forza!»
brontolò
Ocean, cercando sempre di tenere un tono di voce adeguato.
Cominciò
ad avviarsi verso l'uscita, fermandosi ad ogni angolo, piantando le
spalle bene contro il muro dei reparti, prima di sporgersi lentamente
e controllare che non ci fossero ospiti indesiderati. Stesi a terra
c'erano decine di cadaveri, ma per fortuna nessuno di loro per ora
aveva avuto la brillante idea di alzarsi. Per ora.
Riuscirono
ad arrivare alle casse senza intoppi, anch'esse decorate con un paio
di cadaveri di allestimento.
«Dovrò capirla
prima o poi
questa nuova moda» scherzò Ocean,
avvicinandosi con cautela.
Aveva appeso la sacca piena di cibo in spalla e aveva sfilato una
delle sue daghe, stringendola forte tra le dita.
La lama era smussata in un paio di punti, e c'era del sangue
incrostato sopra che non era riuscita a togliere, ma era ancora
funzionale e affilata quanto bastava per perforare i crani di quegli
esseri. L'importante era sopravvivere, non essere bella pronta per
una sfilata di moda. Si avvicinò alla cassa, dove oltre
c'era poi
l'uscita, e passò di fianco al cadavere facendo ben
attenzione a non
sfiorarlo nemmeno, tenendogli gli occhi puntati addosso.
«Prova ad alzarti e vedi che ti combino» lo
minacciò, come se
questo avesse potuto realmente spaventarlo e impedirgli di farlo. Max
seguiva attentamento ogni suo singolo passo, imitandola a dovere e
tenendosi quanto più quatto riusciva. Quei giorni di fughe e
lotte
avevano insegnato tanto anche a lui, prima fra tutte le cose: essere
silenziosi. Seconda regola: non mordere gli
uomini che
puzzavano di morte. Le prime volte che ci aveva provato, ovviamente
senza riuscirci, aveva ricevuto tanti sculaccioni e sgridate da
Ocean.
Superato
il cadavere, la strada che portava all'uscita sembrava tranquilla e i
due poterono procedere spediti, anche se, come sempre, attenti a tutto
quello
che succedeva intorno a loro. Raggiunsero la porta a vetri sfondata
che dava sull'esterno e Ocean si protese lentamente in avanti, dando
un'occhiata fuori prima di uscire. Era abbastanza sicura che non ci
fosse nulla da temere, se ci fosse stato uno zombie nei paraggi
sicuramente
Max lo avrebbe fiutato e avrebbe ringhiato, oppure avrebbe nitrito il
cavallo che la stava aspettando legato fuori. Invece c'era il
silenzio più assoluto. Ma la prudenza non doveva mai essere
troppa.
Uscendo
fuori lentamente si guardò attorno: le strade erano deserte
e quei
pochi cadaveri che si potevano scorgere sembravano non muoversi. Fece
un gesto con la mano a Max per invitarlo a seguirla e si diresse
verso il cavallo marrone, legato a un palo lì vicino.
«Eccoci, Peggy.» sussurrò all'orecchio
della
cavalla per
tranquillizzarla: anche se il villaggio sembrava sicuro c'era sempre
quell'odore di morte a tormentarli e questo lasciava sempre turbati
i suoi animali. Le fece una carezza sul muso: era agitata, lo vedeva.
Era bene allontanarsi quanto prima.
Si avvicinò alla sella e cominciò a legare la
sacca col cibo,
dall'altra parte dove solitamente teneva mantello e cotta,
così da
controbilanciare il peso. L'evitare l'esagerazione era sempre una
delle sue priorità: non si può andar molto
lontani con una cavalla
stanca e appesantita. Ovviamente questo aveva però il suo
contro:
dovevano fermarsi spesso per riposare e per fare scorte.
Nell'istante
in cui aveva cominciato a legare la sacca, sentì Max
ringhiare
rocamente. Cercava sempre di tenere il tono di voce più
basso
possibile: tanto aveva capito che bastava il minimo per avvertire la
sua padrona. Ocean si voltò e si guardò attorno
con ancora la
sacca tra le mani, non ancora fissata, e vide non molto lontano a
loro una di quelle cose morte che si stava avvicinando.
«Merda.» sussurrò, cercando di
sbrigarsi. Peggy cominciò a essere fin troppo agitata,
muovendosi e
rallentando l'impresa di Ocean. Max arretrò di un paio di
passi,
aumentando il tono del ringhio e lasciandosi sfuggire un leggero
abbaio.
«Ssh!!» lo ammonì Ocean. Si rese conto
di
essere alle strette e non avere tempo di calmare il cavallo e finire
di legare la sua sacca, perciò lasciò perdere,
facendola cadere a
terra. Si voltò verso lo zombie, che intanto li aveva notati
e aveva
accellerato il passo.
«Potevi aspettare un altro po', no, vero?» gli
disse sarcastica, prima di spingersi in avanti verso
lo zombie, che ormai si trovava a pochi centimetri da loro.
Conficcò
la sua daga nella tempia del mostro più di una volta, per
essere
sicura di essere arrivata a fondo. Era sempre così
disgustoso farlo,
soprattutto quando il loro putrido sangue le schizzava addosso.
Odiava rimanere con quell'odore sui vestiti per giorni, ma ormai ci
aveva rinunciato a cercare di lavarsi. Tanto poi ritornava a
puzzare dopo poco.
Max
abbaiò e Ocean all'avviso alzò gli occhi dalla
sua vittima. Ne
stavano arrivando altri. Sbucavano da ogni angolo, uscivano da auto e
da case.
«Come diavolo hanno fatto a sentirci?» ma
la risposta non fu difficile da trovare: la
sacca che
aveva lasciato cadere a terra per correre incontro al loro assalitore
era pieno di lattine e scatolette. Nel cadere a terra avevano fatto
il giusto rumore per attirare gli altri, che magari fino a poco prima
erano rimasti stesi da qualche parte.
«Merda.» si lasciò sfuggire e si
alzò velocemente dallo
zombie appena steso, correndo verso la sua cavalla, che ormai era
quasi incontrollabile. Indietreggiava e strattonava le redini legate
al palo, desiderosa di staccarsi da lì e scappar via. Ocean
afferrò
la sacca e se la rimise in spalla.
«Max la festa sta
diventando troppo movimentata per i miei gusti, che dici di
andarcene?» chiese, mentre cercava di slegare la
cavalla
dal palo.
«Buona Peggy, buona!» le disse,
avvicinandosi con la mano tesa per riuscire ad accarezzarla. Per
fortuna
Peggy riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per
permettere a
Ocean di salire, ma non appena questa si voltò per mettersi
in fuga
si
trovò di fronte un paio di zombie che le erano arrivati
alle
spalle. Peggy impennò, nitrendo spaventata, e Ocean dovette
fare una
fatica immensa per non essere disarcionata. La sacca piena di
provviste le scivolò dalla spalla, aprendosi e svuotandosi
per la
maggior parte, facendo cadere altre scatolette sull'asfalto.
«Neanche la speranza che qualcuno di loro non ci abbia
sentiti! Dopo
tutto 'sto fracasso, è sicuro che l'intera città
ora si diriga qui.» brontolò Ocean, sempre nello
sforzo di
controllare la sua cavalla.
Max
li affiancò: sapeva che poteva essere al sicuro solo se
fossero
rimasti uniti. Non appena Peggy tornò su quattro zampe,
Ocean
sfoderò la sua spada e taglio le teste agli zombie che
aveva
davanti. Sapeva che questo non li avrebbe uccisi, ma almeno gli avrebbe
permesso la fuga. Un calcio e
ne buttò a terra un altro.
«Non abbiamo altra scelta Peggy! Forza!» si
sbrigò a dire e la speronò, affinché
obbedisse ai suoi comandi.
Dovevano
allontanarsi quanto prima, se fossero rimasti fermi lì
sarebbe
stata la fine. Finalmente, con tanta fatica per domare la cavalla e
convincerla a fare come diceva la sua padrona, Peggy prese a correre
e Max, vedendoli allontanarsi velocemente, cercò subito di
raggiungerli dando quanta più forza poteva alle zampe. La
sua
fortuna era che gli zombie erano più attirati dalla preda
grossa che
da lui e solo grazie a questo riusciva a sopravvivere, anche se non
aveva
la velocità e l'agilità del cavallo. Peggy
riuscì a spintonarne
via qualcuno e a schivarne altri, che non avevano tempo di
afferrarla. Ocean, dal canto suo,
cercando di
rimanere ben ferma sulla sella, tentava con la spada di farsi strada,
colpendo quelli che riusciva e che erano troppo vicini
e pericolosi. Ma Max non aveva le sue stesse capacità e
rimase un
po' indietro, ritrovandosi circondato da zombie. Continuò a
correre più
veloce che potè, senza fermarsi, passando in
mezzo a gambe e braccia penzoloni, schivando con agilità e
maestria quei pochi che tentavano
di afferrarlo. Era evidente che l'avesse
già
fatto altre volte: sapeva come muoversi. D'altra parte, come
già
detto, la sua fortuna più grande era che la maggior parte di
loro
tentava di afferrare il cavallo, ignorando la sua presenza,
così le
mani da schivare erano decisamente meno.
Dopo
pochi minuti Ocean riuscì a uscire dall'orda, riscontrando
nessuna
ferita o morso, solo un po' di dolori dovuti agli scossoni e alla
forza da imprimere a gambe e braccia per riuscire a rimanere in sella.
Una
volta
ritenuta la distanza sicura, fermò il
cavallo
e cercò di voltarsi velocemente per guardarsi alle spalle.
Gli
zombie stavano ancora cercando di inseguirli, ma loro avevano qualche
metro di vantaggio.
«Max!» sussurrò Ocean, preoccupata,
cercando
di scorgere tra
loro il batuffolo di pelo nero e bianco che era rimasto indietro. E
ancora una volta si ritrovò a pregare un Dio in cui non
credeva.
«Dove sei, amico?» ancora qualche secondo per
guardare,
ma poi
sarebbe dovuta correre di nuovo via o li avrebbero raggiunti. Inoltre
Peggy non riusciva a stare ferma, voleva fuggire, e
controllarla era veramente un'impresa.
Poi,
all'improvviso, lo vide: uscì dall'orda come una scheggia.
Una
piccola nuvoletta che correva più che poteva, con le
orecchie e la
coda basse per diminuire l'attrito dell'aria e la lingua che
penzolava a lato per la stanchezza. Cercò di schivare una
gamba, ma
non riuscì pienamente nell'impresa e la urtò col
busto,
scaraventando a terra lo zombie colpito. Roba che in altre occasioni
sarebbe stata da
riprendere e inviare a qualche programma televisivo di sketch.
Raggiunse poi
il suo piccolo gruppo.
«Grande Max! » rise Ocean, prima di riprendere la
corsa
insieme
al suo cane.
Quando, poco dopo, si sentirono stanchi e sicuri, rallentarono e
proseguirono verso meta ignota. La speranza era di
incontrare presto un altro villaggio, magari più tranquillo
del
precedente, dove avrebbero potuto riprendere le scorte di cibo perse
durante la fuga.