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Autore: Ray Wings    30/07/2014    3 recensioni
Non voltare la testa, non andartene di nuovo! Sono cambiata. Sì, è vero, non sono più Alice! E questa ti sembra una colpa? Tu e il tuo strafottutissimo gruppo del cazzo mi avete trascinata qui: è solo colpa vostra. Mai più, mai più rivedrò gli occhi di mia sorella o di mia madre, ed è solo colpa vostra. Mai più rivedrò i tuoi occhi. Ma quelli non voglio nemmeno ricordarli, vuoti e disperati, mentre affondavano e annegavano e io impotente sulla spiaggia a pregare.
Mi avete lasciata sola, cazzo!
Sono rimasta in un angolo a piangere, come ho sempre fatto, aspettando l'arrivo di qualche supereroe dimenticandomi che questa è la fottuta realtà! Che qui si muore!
E sono morta.
Dimentica Alice...te la sei portata via.
So che sei un sogno, stai sfumando, comincio a non vederti più e so che quando aprirò gli occhi sarò di nuovo sola. Ma non voltare la testa. Guardami fino alla fine...guarda l'Oceano. Fino alla fine. Come ho fatto io. Pregando, sciocco, di svegliarti.
Manu. Guardami.
Ora sono Ocean.
[In revisione]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marea

Un villaggio come un altro, in una terra come un'altra, in un supermercato come un altro, una ragazza come un'altra si trovava di fronte allo scaffale del cibo in scatola. Niente di più comune...se non fosse stato che il villaggio era deserto, se non per qualche zombie vagante, e la ragazza era l'unico essere che respirava in quel luogo. Il suo abbigliamento, in occasioni normali, sarebbe stato ritenuto singolare e sarebbe stata vittima di derisioni, ma ora che il mondo era finito cosa gliene importava delle prese in giro? Chi avrebbe potuto schernirla? Aveva approfittato della sua seconda chance, della sua rinascita, per decidere lei stessa chi sarebbe diventata. Il mondo le aveva imposto di cambiare vita e lei aveva colto l'occasione per darle il senso che più desiderava. Per questo indossava abiti di rimando medievale: un lungo gilet in pelle nero, sopra una camicia da uomo nera anch'essa. Pantaloni neri si infilavano poi in dei pesanti stivali in pelle, che terminavano all'altezza del polpaccio. Portava in vita una cintura da dove pendeva una spada bastarda, al petto altre cinghie erano legate, che sorreggevano un paio di daghe, e dietro alla schiena, appesi alla spalla, un arco e delle freccie. All'occorenza, sotto la camicia, indossava una cotta di maglia, che più volte le aveva salvato la vita da qualche zombie che aveva tentato di morderla ma si era trovato tra i denti solo anelli di ferro, senza riuscire ad arrivare alla carne. Era però una scelta che non sempre faceva: la cotta era troppo pesante per lei e a volte non faceva altro che stancarla e rallentarla, senza nessun vantaggio. Per proteggersi dal freddo della notte spesso utilizzava un vecchio mantello di lana nero, rovinato ormai, ma sempre un buon alleato. Anche quella, però, era una scelta che non sempre faceva: troppo ingombrante, le impediva di scappare, e non sempre faceva poi così freddo. All'inizio si era sentita scomoda e impacciata dentro quegli infiniti strati di indumenti, ma poi ci aveva fatto l'abitudine. Il bisogno della sopravvivenza le aveva insegnato tante cose.
Dentro quel market abbandonato, canticchiando a labbra serrate e ondeggiando con la testa, Ocean si ritrovava a dover fare una delle cose che spesso aveva odiato anche in precedenza: la spesa. Di fianco a lei, seduto, che la fissava scodinzolante, in attesa di un buon pasto, c'era un cane bianco e nero, con una piccola chiazza marrone su un orecchio, appartenente a quella razza che un tempo era diventata famosa grazie a una simpatica pubblicità anni 90: un Border Collie.
«È rimasto ben poco anche qui.» comunicò Ocean al suo amico. «Ti vanno i fagioli?» chiese poi, voltandosi verso il cane, che, sentendosi preso in causa, abbassò le orecchie.
«Sono molto nutrienti sai? Non fare quella faccia.» disse ancora la ragazza, infilando in una grossa sacca quante più scatole potesse. Fagioli, ceci e lenticchie, tutti ciò che al momento era disponibile.
«Passiamo oltre e vediamo cos'altro offre la casa» disse tra sè e sè, spostandosi per raggiungere lo scaffale successivo. «Dio, ammazzerei qualcuno per avere un po' cibo fresco. Formaggi, affettati, latte, uova, frutta e verdura... sembra passata una vita dall'ultima volta che ne ho sentito il profumo.» continuò. Il cane la seguì e si mise di nuovo a sedere vicino a lei, di nuovo scodinzolante, e di nuovo in attesa.
Ocean lo guardò con occhi vagamente sorpresi, come se avesse visto solo in quel momento la presenza dell'animale accanto a sè. Afferrò una scatoletta di carne e tirando la linguetta l'aprì, poi aiutandosi con un dito rovesciò il contenuto sul pavimento. 
«Per ora accontentati, non abbiamo tempo di fermarci per cena. Farai un pasto più sostanzioso più tardi» disse, leccandosi il dito sporco di carne, per poi riprendere a riempiere la sacca con tutto ciò che era recuperabile e disponibile. Il cane ai suoi piedi nel frattempo aveva già lucidato a dovere il pavimento. Ocean valutò la pesantezza della sacca: doveva sempre fare attenzione a non esagerare, la fuga non doveva mai essere impedita e la stanchezza doveva sempre essere mantenuta il più lontano possibile.
«Direi che per un po' siamo a posto.» valutò. «Ci conviene andare adesso.» odiava restare troppo tempo ferma nello stesso luogo, la faceva sentire insicura, come se qualcosa la stesse costantemente rincorrendo.
«Forza Max, lascia perdere quel pavimento, non t'accanire, tanto tornerà sporco tra non molto» al sentir nominare il suo nome, il cane sollevò le orecchie, ma non smise di leccare il pavimento. L'aroma della carne l'aveva reso irresistibile.
«Max, guarda che ti lascio qui! Andiamo, forza!» brontolò Ocean, cercando sempre di tenere un tono di voce adeguato. Cominciò ad avviarsi verso l'uscita, fermandosi ad ogni angolo, piantando le spalle bene contro il muro dei reparti, prima di sporgersi lentamente e controllare che non ci fossero ospiti indesiderati. Stesi a terra c'erano decine di cadaveri, ma per fortuna nessuno di loro per ora aveva avuto la brillante idea di alzarsi. Per ora.
Riuscirono ad arrivare alle casse senza intoppi, anch'esse decorate con un paio di cadaveri di allestimento.
«Dovrò capirla prima o poi questa nuova moda» scherzò Ocean, avvicinandosi con cautela. Aveva appeso la sacca piena di cibo in spalla e aveva sfilato una delle sue daghe, stringendola forte tra le dita. La lama era smussata in un paio di punti, e c'era del sangue incrostato sopra che non era riuscita a togliere, ma era ancora funzionale e affilata quanto bastava per perforare i crani di quegli esseri. L'importante era sopravvivere, non essere bella pronta per una sfilata di moda. Si avvicinò alla cassa, dove oltre c'era poi l'uscita, e passò di fianco al cadavere facendo ben attenzione a non sfiorarlo nemmeno, tenendogli gli occhi puntati addosso. 
«Prova ad alzarti e vedi che ti combino» lo minacciò, come se questo avesse potuto realmente spaventarlo e impedirgli di farlo. Max seguiva attentamento ogni suo singolo passo, imitandola a dovere e tenendosi quanto più quatto riusciva. Quei giorni di fughe e lotte avevano insegnato tanto anche a lui, prima fra tutte le cose: essere silenziosi. Seconda regola: non mordere gli uomini che puzzavano di morte. Le prime volte che ci aveva provato, ovviamente senza riuscirci, aveva ricevuto tanti sculaccioni e sgridate da Ocean.
Superato il cadavere, la strada che portava all'uscita sembrava tranquilla e i due poterono procedere spediti, anche se, come sempre, attenti a tutto quello che succedeva intorno a loro. Raggiunsero la porta a vetri sfondata che dava sull'esterno e Ocean si protese lentamente in avanti, dando un'occhiata fuori prima di uscire. Era abbastanza sicura che non ci fosse nulla da temere, se ci fosse stato uno zombie nei paraggi sicuramente Max lo avrebbe fiutato e avrebbe ringhiato, oppure avrebbe nitrito il cavallo che la stava aspettando legato fuori. Invece c'era il silenzio più assoluto. Ma la prudenza non doveva mai essere troppa. Uscendo fuori lentamente si guardò attorno: le strade erano deserte e quei pochi cadaveri che si potevano scorgere sembravano non muoversi. Fece un gesto con la mano a Max per invitarlo a seguirla e si diresse verso il cavallo marrone, legato a un palo lì vicino.
«Eccoci, Peggy.» sussurrò all'orecchio della cavalla per tranquillizzarla: anche se il villaggio sembrava sicuro c'era sempre quell'odore di morte a tormentarli e questo lasciava sempre turbati i suoi animali. Le fece una carezza sul muso: era agitata, lo vedeva. Era bene allontanarsi quanto prima.
Si avvicinò alla sella e cominciò a legare la sacca col cibo, dall'altra parte dove solitamente teneva mantello e cotta, così da controbilanciare il peso. L'evitare l'esagerazione era sempre una delle sue priorità: non si può andar molto lontani con una cavalla stanca e appesantita. Ovviamente questo aveva però il suo contro: dovevano fermarsi spesso per riposare e per fare scorte.
Nell'istante in cui aveva cominciato a legare la sacca, sentì Max ringhiare rocamente. Cercava sempre di tenere il tono di voce più basso possibile: tanto aveva capito che bastava il minimo per avvertire la sua padrona. Ocean si voltò e si guardò attorno con ancora la sacca tra le mani, non ancora fissata, e vide non molto lontano a loro una di quelle cose morte che si stava avvicinando.
«Merda.» sussurrò, cercando di sbrigarsi. Peggy cominciò a essere fin troppo agitata, muovendosi e rallentando l'impresa di Ocean. Max arretrò di un paio di passi, aumentando il tono del ringhio e lasciandosi sfuggire un leggero abbaio.
«Ssh!!» lo ammonì Ocean. Si rese conto di essere alle strette e non avere tempo di calmare il cavallo e finire di legare la sua sacca, perciò lasciò perdere, facendola cadere a terra. Si voltò verso lo zombie, che intanto li aveva notati e aveva accellerato il passo.
«Potevi aspettare un altro po', no, vero?» gli disse sarcastica, prima di spingersi in avanti verso lo zombie, che ormai si trovava a pochi centimetri da loro. Conficcò la sua daga nella tempia del mostro più di una volta, per essere sicura di essere arrivata a fondo. Era sempre così disgustoso farlo, soprattutto quando il loro putrido sangue le schizzava addosso. Odiava rimanere con quell'odore sui vestiti per giorni, ma ormai ci aveva rinunciato a cercare di lavarsi. Tanto poi ritornava a puzzare dopo poco.
Max abbaiò e Ocean all'avviso alzò gli occhi dalla sua vittima. Ne stavano arrivando altri. Sbucavano da ogni angolo, uscivano da auto e da case.
«Come diavolo hanno fatto a sentirci?» ma la risposta non fu difficile da trovare: la sacca che aveva lasciato cadere a terra per correre incontro al loro assalitore era pieno di lattine e scatolette. Nel cadere a terra avevano fatto il giusto rumore per attirare gli altri, che magari fino a poco prima erano rimasti stesi da qualche parte.
«Merda.» si lasciò sfuggire e si alzò velocemente dallo zombie appena steso, correndo verso la sua cavalla, che ormai era quasi incontrollabile. Indietreggiava e strattonava le redini legate al palo, desiderosa di staccarsi da lì e scappar via. Ocean afferrò la sacca e se la rimise in spalla. 
«Max la festa sta diventando troppo movimentata per i miei gusti, che dici di andarcene?» chiese, mentre cercava di slegare la cavalla dal palo. 
«Buona Peggy, buona!» le disse, avvicinandosi con la mano tesa per riuscire ad accarezzarla. Per fortuna Peggy riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per permettere a Ocean di salire, ma non appena questa si voltò per mettersi in fuga si trovò di fronte un paio di zombie che le erano arrivati alle spalle. Peggy impennò, nitrendo spaventata, e Ocean dovette fare una fatica immensa per non essere disarcionata. La sacca piena di provviste le scivolò dalla spalla, aprendosi e svuotandosi per la maggior parte, facendo cadere altre scatolette sull'asfalto.
«Neanche la speranza che qualcuno di loro non ci abbia sentiti! Dopo tutto 'sto fracasso, è sicuro che l'intera città ora si diriga qui.» brontolò Ocean, sempre nello sforzo di controllare la sua cavalla.
Max li affiancò: sapeva che poteva essere al sicuro solo se fossero rimasti uniti. Non appena Peggy tornò su quattro zampe, Ocean sfoderò la sua spada e taglio le teste agli zombie che aveva davanti. Sapeva che questo non li avrebbe uccisi, ma almeno gli avrebbe permesso la fuga. Un calcio e ne buttò a terra un altro.
«Non abbiamo altra scelta Peggy! Forza!» si sbrigò a dire e la speronò, affinché obbedisse ai suoi comandi. Dovevano allontanarsi quanto prima, se fossero rimasti fermi lì sarebbe stata la fine. Finalmente, con tanta fatica per domare la cavalla e convincerla a fare come diceva la sua padrona, Peggy prese a correre e Max, vedendoli allontanarsi velocemente, cercò subito di raggiungerli dando quanta più forza poteva alle zampe. La sua fortuna era che gli zombie erano più attirati dalla preda grossa che da lui e solo grazie a questo riusciva a sopravvivere, anche se non aveva la velocità e l'agilità del cavallo. Peggy riuscì a spintonarne via qualcuno e a schivarne altri, che non avevano tempo di afferrarla. Ocean, dal canto suo, cercando di rimanere ben ferma sulla sella, tentava con la spada di farsi strada, colpendo quelli che riusciva e che erano troppo vicini e pericolosi. Ma Max non aveva le sue stesse capacità e rimase un po' indietro, ritrovandosi circondato da zombie. Continuò a correre più veloce che potè, senza fermarsi, passando in mezzo a gambe e braccia penzoloni, schivando con agilità e maestria quei pochi che tentavano di afferrarlo. Era evidente che l'avesse già fatto altre volte: sapeva come muoversi. D'altra parte, come già detto, la sua fortuna più grande era che la maggior parte di loro tentava di afferrare il cavallo, ignorando la sua presenza, così le mani da schivare erano decisamente meno.
Dopo pochi minuti Ocean riuscì a uscire dall'orda, riscontrando nessuna ferita o morso, solo un po' di dolori dovuti agli scossoni e alla forza da imprimere a gambe e braccia per riuscire a rimanere in sella. Una volta ritenuta la distanza sicura, fermò il cavallo e cercò di voltarsi velocemente per guardarsi alle spalle. Gli zombie stavano ancora cercando di inseguirli, ma loro avevano qualche metro di vantaggio.
«Max!» sussurrò Ocean, preoccupata, cercando di scorgere tra loro il batuffolo di pelo nero e bianco che era rimasto indietro. E ancora una volta si ritrovò a pregare un Dio in cui non credeva.
«Dove sei, amico?» ancora qualche secondo per guardare, ma poi sarebbe dovuta correre di nuovo via o li avrebbero raggiunti. Inoltre Peggy non riusciva a stare ferma, voleva fuggire, e controllarla era veramente un'impresa.
Poi, all'improvviso, lo vide: uscì dall'orda come una scheggia. Una piccola nuvoletta che correva più che poteva, con le orecchie e la coda basse per diminuire l'attrito dell'aria e la lingua che penzolava a lato per la stanchezza. Cercò di schivare una gamba, ma non riuscì pienamente nell'impresa e la urtò col busto, scaraventando a terra lo zombie colpito. Roba che in altre occasioni sarebbe stata da riprendere e inviare a qualche programma televisivo di sketch. Raggiunse poi il suo piccolo gruppo.
«Grande Max! » rise Ocean, prima di riprendere la corsa insieme al suo cane.
Quando, poco dopo, si sentirono stanchi e sicuri, rallentarono e proseguirono verso meta ignota. La speranza era di incontrare presto un altro villaggio, magari più tranquillo del precedente, dove avrebbero potuto riprendere le scorte di cibo perse durante la fuga.


   
 
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