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Autore: Psyche07    14/08/2014    5 recensioni
[STORIA IN REVISIONE CAP 2/11. Per chi si apprestasse a leggerla, consiglio di fermarsi al Cap 2]
Correvo veloce attraverso il vicolo buio, perché, al di là di esso, sapevo che sarei stato al sicuro; sentivo i battiti del cuore rimbombare nelle orecchie e le gambe stanche, sul punto di cedere.
Ma non potevo.
‘Non ancora - mi ripetevo, cercando di farmi forza – Ci sei quasi.’
Eppure la luce alla fine della stradina sembrava sempre più distante, mentre i passi del mio inseguitore si facevano vicini, sempre più vicini.
Con la coda dell’occhio cercavo di scorgerne la posizione, di rassicurarmi che Lui non fosse ancora riuscito a raggiungermi, ma non vedevo altro che rifiuti e buio.
Gridai a qualcuno, chiunque, di salvarmi.
Gridai la mia disperazione, ma nessuna mano si sporse per soccorrermi; avvertì Lui, invece, avvertì la sua mano afferrarmi da dietro ed arrestare la mia fuga.
“Ti ho preso.”
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke, Neji/Hinata
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Nessun contesto
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Salve cari,
mi scuso per il ritardo, ma questi giorni sono stati pieni di imprevisti.
Il capitolo che segue è incentrato sui pensieri di Naruto, anche se in due brevi parti (indicate da questo segno ******************** ) il nostro Sasuke tornerà a far sentire la sua voce: non potevo mica lasciarlo in disparte no? :P
Ringrazio tutte le numerose persone che hanno letto il prologo: se vorrete lasciarmi anche qualche commentino, mi farete tanto felice.
Attenzione a non proseguire oltre questo primo capitolo: posterò l’altro tra domani e dopodomani, quindi abbiate pazienza.
Per adesso vi auguro una buona lettura.
Bacetti da Psyche

 
 
 
CAPITOLO 1 [Ovvero: Di come un Dobe e un Teme si incontrarono]



 
 
I need a hero to save me now
I need a hero (save me now)
I need a hero to save my life
A hero’ll save me (just in time)
[Skillet - Hero]

 
 
Correvo veloce attraverso il vicolo buio, perché, al di là di esso, sapevo che sarei stato al sicuro; sentivo i battiti del cuore rimbombare nelle orecchie e le gambe stanche, sul punto di cedere.

Ma non potevo.

‘Non ancora - mi ripetevo, cercando di farmi forza – Ci sei quasi.’

Eppure la luce alla fine della stradina sembrava sempre più distante, mentre i passi del mio inseguitore si facevano vicini, sempre più vicini.

Con la coda dell’occhio cercavo di scorgerne la posizione, di rassicurarmi che Lui non fosse ancora riuscito a raggiungermi, ma non vedevo altro che rifiuti e buio.  

Gridai a qualcuno, chiunque, di salvarmi.

Gridai la mia disperazione, ma nessuna mano si sporse per soccorrermi; avvertì Lui, invece, avvertì la sua mano afferrarmi da dietro ed arrestare la mia fuga.

“Ti ho preso.”
 

Spalanco gli occhi, un grido muto in gola e i pugni stretti sulle lenzuola leggere; sento delle mani sulle spalle, mani che mi tengono bloccato al letto ed inizio a divincolarmi con forza, cercando di sfuggire alla loro presa.

“Calma, moccioso.”

Sono terrorizzato, ma, nel baratro che sembra volermi inghiottire, riconosco chiaramente la voce di Jraya.

Vorrei chiamare il suo nome, lasciar uscir fuori tutta la paura, ma questa mi blocca la voce e l’unica cosa che riesco a fare è irrigidirmi ed iniziare a tremare.

Sento le mani di cui ho avuto paura al risveglio carezzarmi con dolcezza e qualche lacrima inizia a rotolarmi lungo le guance.

‘Ho paura.’ è l’unica cosa che riesco a pensare.

Da quando ho lasciato gli Stati Uniti, circa un anno fa, la pura ha preso a camminarmi affianco ed è divenuta una fedele compagna di vita, silenziosa e onnipresente.

Per me, un ragazzo che è sempre stato impulsivo e stupidamente coraggioso, avere la paura come amica è fonte di un’infinita frustrazione, eppure, per quanto provi a sbarazzarmi di lei, non riesco a non rimanerle al fianco.

‘Perché? Perché hai scelto me?’ vorrei chiedere a lei e a Lui, ma la mia è una domanda che è destinata a rimanere senza risposta.

“Naruto, mi senti? Era solo un incubo, capito? Sei al sicuro.”

La voce di Jraya mi giunge ovattata, come se il mio corpo si trovasse immerso in una sostanza densa e questa trattenesse i suoni, distorcendoli.

Sapere che il mio padrino mi è accanto ed è molto preoccupato per me, anche se ad un livello del tutto inconscio, mi spinge a cercare di rilassarmi.

Inizio a prendere lunghi e profondi respiri, mentre costringo le mani a lasciare la presa sulle lenzuola ed i muscoli a rilassarsi. 

“Sono nella mia nuova camera, a Tokyo – mi dico – Sono al sicuro.”

Mi aggrappo a questo pensiero con tutte le mie forze e, alla fine, riesco ad acquietare il tremore.

“Sto bene.” Sussurrò con voce rauca, quando, finalmente, il mio sguardo riesce ad incontrare quello agitato di Jraya.

Forzo le mie labbra in un sorriso sbilenco e vengo ricompensato da un lungo sguardo penetrante ed una carezza tra i capelli.

“Mi hai fatto preoccupare, moccioso.” replica, continuando a passare la mano tra le ciocche bionde.

“Scusa.” pigolo e non ho la forza di aggiungere altro.

“Non c’è niente di cui scusarsi.” mi dice con tono calmo.

Annuisco, mentre mi sollevo lentamente per appoggiarmi contro i cuscini; mi guardo un po’ intorno, giusto per rassicurami di essere davvero a casa, nella mia stanza e noto subito che qualcosa non è come dovrebbe essere.

“Che è successo?” chiedo, indicando la porta divelta che giace sul pavimento.

“Ti ho sentito gridare aiuto, ma la porta era chiusa.” mi spiega.

“Così l’hai sfondata?” domando, mentre l’ammirazione, l’affetto e un pizzico di divertimento si fanno largo dentro di me.

“Già.”

Si gratta leggermente la nuca, sintomo che è a disagio.

“Grazie, vecchio.” dico, usando uno dei tanti soprannomi che so infastidirlo, anche se mi rendo conto che il mio tentativo di sollevarlo dal suo imbarazzo è quanto mai blando.

“Vecchio? Io sono ancora un giovane fringuello!”

La sua reazione prevedibile e sempre molto esagerata, fa nascere sulle mie labbra un piccolo sorriso.

“Mm – mugugna – Sembra  che tu stia un po’ meglio, ma sei proprio sicuro di voler riprendere ad andare a scuola?”

“E’ da quando ho lasciato l’America che mi fai da insegnante – inizio a spiegare – Mi manca poter interagire con ragazzi della mia età…”

Aspetto un suo segno di assenso, quindi proseguo:

“E poi sono stufo di vedere la tua faccia spaventosa ad ogni ora del giorno.”

Lui annuisce ancora, troppo preso dalla serietà con cui ho tenuto il discorso per rendersi conto del reale significato delle mie parole.

“Ehi!” si impunta, quando la sua mente recepisce il senso della frase e io non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere.

“Moccioso impertinente! Questo viso ha fatto innamorare decine di fanciulle, tsk! – sbuffa, oltraggiato – Visto che sembri esserti ripreso del tutto, muovi le chiappe e alzati da questo letto: quella stregaccia della tua nuova preside non ama i ritardatari.”

“E’ strano sentirti parlare così di una donna.” dico, già impegnato a scostare le coperte e scendere dal letto.

“Siamo cresciuti insieme.”

“Non credevo che per te una cosa simile potesse rappresentare un problema.”

Noto un leggero rossore diffonderglisi sulle guance e sorrido divertito.

“Quando l’incontrerai, capirai tutto.” replica e batte in ritirata in direzione della cucina.

Ridacchio a quella sua fuga estemporanea, poi mi dirigo verso il bagno; una volta chiusa la porta dietro di me, vi appoggio le spalle, chiudo gli occhi e sussurrò:

“Grazie, Jraya.”

Dai miei occhi inizia a sgorgare qualche lacrima, ma mi affretto ad asciugarle e a relegare la tristezza in un angolo remoto di me.

“Primo giorno di scuola, arrivo!” mi auto-incito per darmi la carica e, rapido, corro ad infilarmi sotto la doccia.

 
**

 
Esco fuori dal condominio, ancora abbastanza scocciato con l’ero-sennin che mi ha vietato di mangiare il mio amato ramen per colazione.

Lo sanno tutti che questo è il pasto più importante della giornata e che il ramen è un piatto nutriente, eppure lui ha continuato ad insistere che avevo bisogno di variare la mia dieta e mangiare cibi bilanciati.

“Era quello il mio pasto bilanciato.” borbotto, mentre monto in sella alla mia Harley ed inserisco la chiave nell’accensione.

Il rombo del motore riesce a quietare il mio malcontento e a rilassare la lieve tensione che continuava ad agitarmisi dentro.

Imbocco la strada che dovrebbe portarmi alla scuola, ma devo aver compreso male le parole di Jraya perché finisco col perdermi e sono costretto a fermarmi per chiedere indicazioni.

Alla fine, anche se con un po’ di difficoltà, riesco a raggiungere l’Accademia in perfetto orario, così mi prendo qualche attimo per ammirare l’istituto che mi appresto a frequentare.

L’edificio principale è stato costruito in uno stile occidentalizzante che dovrebbe richiamare, ad occhio e croce, il tardo ottocento; la struttura è circondata da un cortile e diversi giardini pieni di verde tra i cui alberi, in lontananza, fanno capolino i profili di alcuni edifici.

In generale la prima impressione che il complesso dà allo spettatore è di eleganza ed imponenza o, almeno, questo è quello che ha trasmesso al sottoscritto.

Faccio scorrere lo sguardo nella zona parcheggio, un po’ confuso su quale viale imboccare per raggiungere l’ingresso e, nella mia concentrata valutazione, scorgo due figure poggiate sul cofano di un auto.

‘Devono essere due studenti che attendono il suono della campanella.’ mi dico e pondero sull’eventualità di andare da loro e chiedergli quale, tra i molti sentieri, porti all’entrata.

Cincischio un po’, indeciso, incontrando lo sguardo di uno dei due ragazzi e distogliendo il mio appena pochi secondi dopo, imbarazzato.

‘Avranno notato che li fissavo?’

Scrollo le spalle, stufo di star lì a rimuginare e quanto mai deciso ad incamminarmi per la strada che mi fosse sembrata la più probabile.

Fortunatamente l’idea di imboccare il viale più ampio si rivelò essere quella giusta e, una volta all’interno dell’edificio, orientarmi e trovare l’ufficio della preside era stato relativamente semplice.

Busso alla pesante porta in legno di noce che la campanella della prima ora ha preso a trillare con forza.

‘Appena in tempo.’ tiro un impercettibile sospiro di sollievo.

Ad aprirmi è una donna minuta, dai capelli castani tagliati corti.

‘Che strano – penso – Non mi sembra proprio il tipo di donna con cui l’ero-sennin riuscirebbe a tenere le mani apposto, amica d’infanzia o meno.’

E’ solo quando entro nell’ufficio, però, che capisco di essermi sbagliato: dietro una pensate scrivania siede una donna bionda, all’apparenza sui trent’anni, la cui presenza sembra dominare l’intera stanza.

Intuisco che sia lei l’amica d’infanzia dell’ero-sennin e, improvvisamente, mi sono anche chiare le motivazioni del suo strano comportamento.

Sorrido e “Buon giorno.” dico educatamente.

“Tu devi essere il moccioso di Jiraya.” mi accoglie con un tono parecchio affettato che, neanche a dirlo, ha l’incredibile potere di farmi saltare i nervi.

Una vena inizia a pulsarmi sulla tempia destra e ‘Ma che modi!’ penso, mentre un sorriso stridente e falso mi storce la bocca.

“E tu, invece, devi essere la vecchia strega di cui Jraya mi ha tanto parlato.” replico allo stesso modo, preda di un attimo d’impulsività.

I miei occhi sono fissi sulla preside, perciò, più che vederli, sento il frusciare di fogli che cadono rovinosamente a terra.

‘Che la donna di prima sia svenuta per il forte shock?’ mi chiedo distrattamente, iniziando a dubitare della linea di azione che avevo deciso di tenere.

Quando la vecchiaccia si alza con lentezza dal suo posto, non posso fare a meno di deglutire ma non retrocedo.

Lei aggira la scrivania e mi si avvicina, fino a trovarsi ad un palmo dal mio naso; io, osservando i suoi occhi assottigliarsi pericolosamente, rivolgo una preghiera silenziosa ai Kami perché risparmino la mia giovane vita.

Rimango completamente spiazzato, quando lei, anziché strangolarmi,  scoppia a ridere a crepapelle.

Mi assesta due pacche poderose sulla schiena che mi fanno quasi precipitare in avanti, proprio nel mezzo dei suoi grossi seni, poi afferma:

“Era da molto tempo che qualcuno non osava rivolgermisi in questi termini – sorride in modo furbo – Sei un tipetto impudente: mi piaci.”

Afferma, tornando ad occupare il suo posto dietro la scrivania e invitando me a sedermi su una delle comode poltroncine lì davanti.

“Io sono Tsunade Senju, la preside della Konoha Accademy: vedi di rigare dritto o assaggerai i miei pugni.”

Mi affretto ad annuire e lei, compiaciuta, recupera da uno dei cassetti una cartellina arancione da cui estrae un plico di fogli.

“Naruto Uzumaki – legge – Nato negli Stati Uniti il dieci ottobre del millenovecentonovantanove… Penso che tu sappia già tutto sulla storia di copertura che i tuoi genitori hanno ideato per te.”

“Sì, obaa-chan.” mi lascio sfuggire.

Alzo gli occhi dal plico di fogli e noto immediatamente che, all’udire il soprannome, le sue labbra si sono assottigliate, tuttavia una luce divertita continua a brillare nei suoi occhi.

‘A quanto pare l’essere chiamata nonnina non le dispiace sul serio.’ penso e tiro un impercettibile sospiro di sollievo, poi le sorrido apertamente.

Lei si schiarisce la voce e riprende il discorso dal punto in cui si era interrotta:

“Io ed alcuni altri membri scelti del corpo docente siamo al corrente della tua storia e delle circostanze che ti hanno portato a frequentare questa Accademia: per qualsiasi problema, preoccupazione o difficoltà rivolgiti pure a me o a alle persone che ti indicherò. E adesso seguimi – conclude, alzandosi – Ti accompagno alla tua classe.”

Mi affretto a starle dietro per i lunghi corridoi della scuola, guardandomi intorno con crescente curiosità: ‘Chissà dietro a quale di queste porte si celerà la mia classe.’

Poco dopo ci fermiamo davanti ad una dal colore verde, di quelle scorrevoli e obaa-chan non si fa alcuno remora nello spalancarla con una certa forza: uno stridio di sedie e saluti rispettosi seguono il suo ingresso.

Ed ecco il primo dei miei nuovi insegnati.’ penso, osservando l’uomo con cui Tsunade sta intrattenendo una fitta conversazione.

Il suo volto è coperto da una mascherina per prevenire le influenze, i capelli, di uno strano colore argenteo, sono sparati per aria ed una cicatrice rossastra gli attraversa in verticale l’occhio destro: nel complesso ha un aspetto abbastanza bizzarro.

Ben presto vengo chiamato a farmi avanti e a presentarmi alla classe; prevedibilmente, finisco con l’imbarazzarmi e gesticolare in modo caotico.

La preside assiste a tutta la scena con un sorrisetto ironico ‘Vecchiccia malefica’ poi saluta studenti ed insegnante ed esce dall’aula di gran carriera.

Seguo l’invito del sensei e vado a sedermi nel posto che mi era stato assegnato, in terza fila, accanto ad un ragazzo dagli insoliti capelli rossi e gli occhi del colore dell’acqua marina.

‘Che sia straniero anche lui?’, mi chiedo e provo a parlargli, giusto per fare un minimo di conoscenza.

“Ciao, il mio nome è Naruto.”

“..”

“Sono lieto di conoscerti… ”, riprovo, cercando di scoprire il suo nome.

“Gaara.”, mi risponde con un mezzo sibilo.

“E’ un piacere conoscerti Gaara.”, ripeto a bassa voce, sorridendogli.

“..”

“Sei sempre così loquace?”, sbotto, tra l’ironico e l’infastidito.

“Solo quando qualcuno mi sta particolarmente simpatico.”, dice e, per la prima volta, si volta a guardarmi.

“Bene, allora posso ritenermi fortunato.”, replico, tutto sommato divertito da quella ironia un po’ burbera.

Mi sembra che le sue labbra si pieghino in un piccolo sorriso, ma non posso esserne certo perché il professore ci richiama, intimandoci il silenzio e io finisco col distrarmi.

Chiedo scusa per entrambi, arrossendo in modo imbarazzante, quindi mi impongo di mantenere un religioso silenzio per le rimanenti ore e di far attenzione al discorso introduttivo dell’insegnante.

 
**********************

 
Kakashi – sensei continua a blaterare le solite raccomandazioni di inizio anno, mentre noi studenti, chi più chi meno, cerchiamo di mostrarci attenti ed interessati alla sue parole; il sottoscritto, da perfetto Uchiha, mantiene un’espressione attenta, nonostante la mente sia persa dietro al pensiero di un certo ragazzo.

Poco prima, nel parcheggio, sono rimasto completamente affascinato da quello sguardo, tanto da decidere in quell’esatto momento che ‘occhi di cielo’ doveva essere mio.

Probabilmente le mie intenzioni erano parse scritte a chiare lettere sul mio viso, perché Itachi era entrato in piena modalità ‘fratello scassaballe’, iniziando a subissarmi di domande tanto che, al suono della campanella, ero letteralmente fuggito all’interno dell’edificio scolastico.

‘Ma ora, il primo passo da compiere è quello di trovare l’oggetto del mio desiderio.’ rifletto.

E ho appena formulato questo pensiero, quando la mia piaga personale, alias la preside Tsunade Senju, irrompe in aula annunciando a tutti noi l’arrivo di un nuovo studente.

I miei occhi si fissano immediatamente sul biondino appena dietro di lei ed un sorrisino sghembo mi arriccia le labbra:

‘La fortuna è dalla mia’ mi dico, osservando con aria divertita il suo gesticolare impacciato, mentre cerca di presentarsi in modo decente ai suoi nuovi compagni di classe.

Continuo a seguirlo con lo sguardo anche quando si affretta a prendere posto vicino a Sabaku e durante tutto lo scambio di battute che avviene tra loro.

‘Quanto si deve essere logorroici per riuscire a intrattenere una conversazione con un tipo così?’ mi chiedo e mi scappa un mezzo sorriso.

Dal suo modo di fare, non nutro molti dubbi sul fatto che si tratti di un dobe e già pregusto il momento in cui riuscirò a farlo capitolare così intensamente, da impiegare le ore successive a decidere qual è il modo migliore per avvicinarlo.

L’ideale sarebbe unirmi a lui per il pranzo, ma di mettere piede in mensa non se ne parla: ci sarebbero troppe scocciatrici.

Senza alcuna idea fattibile, al suono della campanella di fine lezioni, sono costretto ad abbandonare ‘occhi di cielo’ per fare ritorno a casa.

‘Ci saranno altre occasioni.’ assicuro a me stesso e, con un ultimo sguardo nella sua direzione, esco dall’aula.
 

**********************
 

Al trillo della campana della pausa pranzo, tiro un sospiro di sollievo e stiracchio le braccia per liberarmi un po’ dall’indolenzimento.

Il mio stomaco emette un brontolio affranto, facendomi capire di essere affamato; inizio a massaggiarlo nel tentativo di quietarlo, in attesa di scoprire come raggiungere la mensa che Jraya ha detto trovarsi nell’edificio.

“Yo, Uzumaki.”

Alzo lo sguardo per capire chi mi abbia chiamato e vedo un ragazzo farsi largo tra gli altri studenti, mentre si affretta a raggiungere il mio banco.

“Ciao.” ricambio allegramente, una volta che mi è davanti.

“Io sono Kiba Inuzuka – dice, puntandosi un dito contro il petto – Ma puoi chiamarmi semplicemente Kiba o Ki-chan.”

“Allora tu puoi chiamarmi Naruto.” dico nello stesso tono giocoso.

“Va bene, Na-chan – mi fa l’occhiolino – Ho pensato che ti servisse un po’ di aiuto per orientarti: se vuoi, intanto, puoi venire in mensa con me e i miei amici.” e fa un cenno con il capo verso due ragazzi in attesa sulla soglia della porta.

“Certo, grazie.”, accetto con riconoscenza e il mio stomaco coglie l’attimo per brontolare in accordo alla mia decisione.

Sorrido, imbarazzato, mentre Kiba scoppia in una risata tutta soffi:

“Sono arrivato appena in tempo.” scherza e, afferratomi per un braccio, inizia bellamente a trascinarmi verso il capannello di ragazzi.

Tutti insieme, dopo le dovute presentazioni, ci incamminiamo verso l’edificio della mensa; questa si presenta ai miei occhi come uno stabile a sé stante, collegato alla scuola tramite un viale coperto da una lunga tettoia.

All’interno tavoli e panche di legno ne occupano la maggior parte dell’ambienta, ma, sulla destra, si erge un lungo bancone e, subito dietro di esso, le cucine; tante finestre permettevano alla luce naturale di illuminare ogni angolo della stanza, donandole un aspetto allegro.

Noto anche una porta, esattamente di fronte a quella da cui eravamo entrati noi, ma non capisco quale sia esattamente il suo utilizzo o dove conduca.

Scrollo le spalle, in fondo poco interessato e seguo gli altri verso un tavolo un po’ appartato, ci sediamo e a noi si uniscono un altro paio di persone; Kiba mi fa notare che sono tutte nella mia stessa classe, poi si alza per andare a preparare i nostri vassoi e mi lascia a fare ‘nuove conoscenze’.

Sorrido, cercando di prendere parte attiva alla conversazione in corso.

Procede tutto bene, finché una ragazza di nome Sakura non pronuncia questa frase:

“Allora, Naruto, parlaci un po’ di te!”

Conosco la copertura ideata dai miei genitori a memoria, eppure non posso fare a meno di sentirmi in tensione.

‘Non devo commettere errori.’ mi dico ed inizio a raccontare “Beh… in realtà non c’è poi molto da dire – sorrido – entrambi i miei genitori sono Giapponesi, ma i miei nonni paterni sono originari degli Stati Uniti. Dopo la mia nascita, quando io avevo circa due anni, mamma e papà decisero di trasferirsi per avere migliori possibilità di impiego e si appoggiarono da alcuni nostri parenti che ancora risiedono lì.”

“Quindi tu sei nato in Giappone?”

“Sì, ma ho vissuto per quasi tutta la mia vita negli State – ridacchio – Fortuna che i miei hanno insistito per farmi imparare la vostra lingua, altrimenti ora non saprei che fare.”

“Come mai avete deciso di tornare a Tokyo?” domanda una giovane dai capelli biondi di cui non ricordo il nome.

“Sono tornato solo io, in realtà – spiego – Sentivo che era arrivato il momento di compiere qualche cambiamento nella mia vita e i miei hanno provato a darmi una mano, cercando di venirmi incontro e capire le mie ragioni. Abbiamo deciso che, se proprio sentivo la necessità di allontanarmi per un po’, la mia destinazione sarebbe stata questa: è il loro paese natio e volevano che lo conoscessi, ma è anche il luogo in cui si è stabilito il mio padrino. Attualmente sono affidato alla sua tutela.”

“Wao, i miei non sarebbero stati tanto comprensivi.”

Sorrido un po’ tristemente: non mi è mai piaciuto mentire.

Per fortuna, la conversazione varia su altri argomenti e io posso tornare a rilassarmi e a godermi il pranzo; stavo per dare un altro morso al panino dolce che Kiba mi aveva regalato, quando qualcuno attira la mia attenzione.

“Quello non è Gaara? Perché se ne sta seduto tutto solo a quel tavolo?” chiedo al mio nuovo amico.

“Oh – dice questi, seguendo la direzione del mio sguardo – abbiamo provato a coinvolgerlo un paio di volte, ma…”

“Ha rifiutato?”

“Già, sempre.” scrolla le spalle e riprende a dedicarsi al suo pasto.

“Scusate un attimo.” dico, scosto un po’ la panca e la scavalco.

“Na-chan, ma dove vai?”

“Torno subito, Kiba: voglio solo chiedere a Gaara se vuole sedersi insieme a noi.” replico.

“Che?! Ma mi hai ascoltato?”

“Certo e ho deciso che era il caso di riprovarci.” gli sorrido e mi allontano in direzione dell’altro ragazzo.

Una volta raggiunto il suo tavolo, mi siedo di fronte a lui e lo saluto in tono allegro:

“Ciao, Gaara.”

Lui alza lentamente gli occhi dal suo vassoio, mi fissa con sguardo truce e

“Che fai tu qui?” mi chiede.

“Stavo pranzando con alcuni amici.” replico, fingendo di non capire il reale senso della domanda.

Sembra sorpreso dalla mia risposta, forse si sta chiedendo se io non abbia davvero compreso il significato delle sue parole.

Ghigno, divertito.

“Sarò più preciso – dice, il tono che nasconde una lieve nota di minaccia – Perché diamine sei seduto di fronte a me, se i tuoi amici sono a quell’altro tavolo a guardarti con apprensione?” e lo indica con un lieve cenno del capo.

Mi volto e saluto gli altri, invitandoli a riprendere tranquillamente il loro pranzo.

“Perché volevo chiederti di unirti a noi.” rispondo, studiando il suo viso alla ricerca di qualche emozione: se è rimasto anche solo sorpreso dalle mie parole, lo sta nascondendo bene.

“Non mi piace stare in compagnia, soprattutto quando mangio.”

“Allora rimarrò io con te, tanto avevo già praticamente spazzolato l’intero vassoio.”

Per un attimo la sua maschera di indifferenza cade e scorgo chiaramente un’espressione sconvolta, un misto tra sorpresa ed incredulità, farsi largo sul suo volto.

Scoppio a ridere, per quanto abbia davvero cercato di trattenermi ‘Sembra quasi che voglia chiedermi: ma ci fai o ci sei?’

“Tsk, me ne vado.” Sbuffa, risentito e sta già alzandosi in piedi.

“Rimani - dico, mentre la mia mano corre ad afferrare il suo braccio e a trattenerlo – Scusa se ho riso, ma l’espressione che avevi messo su era molto buffa.”

Incredibilmente, lui annuisce alla mia spiegazione e accetta di risedersi.

‘Beh, è andata bene – mi dico – Questa volta ci ho proprio visto giusto: a questo ragazzo non piace affatto stare da solo. Mi ricorda tanto me stesso, prima del mio incontro con Iruka.’

Sospiro internamente e intavolo una discussione leggera, anche se finisce ben presto col diventare più un monologo.

Sono nel pieno di una descrizione abbastanza dettagliata dell’ultimo libro scritto da Jraya, quando sento qualcuno toccarmi la spalla; mi volto e mi trovo davanti un ragazzo biondo che mi sorride in modo esagerato.

“Ciao, sei nuovo?” mi chiede, mentre, di sua iniziativa, prende posto sulla panca. 

“Ehm..” non so bene come comportarmi e, in un attimo di panico, mi volto a cercare l’aiuto di Gaara, ma lui è troppo intento a lanciare sguardi fulminanti a quel tipo per accorgersi della mia muta richiesta.

“Oh, sono stato davvero maleducato – aggiunge questi, dato la mia momentanea incapacità di proferire una frase di senso compiuto – Io sono Deidara, studio all’Università Konoha.”

“Università?”

‘Che ci fa qui uno studente universitario?’ mi chiedo, completamente in confusione.

“Forse non lo sai – mi spiega, sorridendo – ma la preside Senju è anche il rettore della nostra università: il tuo plesso ed il mio si trovano entrambi all’interno di questa struttura, ma hanno solo il locale mensa in comune.”

“Capisco.” e adesso mi spiego anche a cosa deve servire la porta che ho visto: deve trattarsi il loro ingresso.

“Uzumaki, io vado.” il tono usato da Gaara è perentorio.

Lo vedo alzarsi in uno scatto agile e mi affretto a fare altrettanto, incollandomi al suo fianco e
“Vengo con te.” dico con convinzione.

“Vai già via? Ma ci siamo appena conosciuti, Uzumaki: rimani ancora un po’.”

“Mi dispiace, ma devo proprio andare.” affermo, cercando di sganciarmi da quello strano ragazzo: non so perché, ma i sorrisi che mi ha rivolto mi sono sembrati stranamente affettati.

Sta per insistere ancora, ne sono certo, ma la voce di Kiba stronca sul nascere qualsiasi cosa avesse intenzione di dirmi: anche i miei nuovi compagni stanno rientrando in classe.

Così, nonostante lo sguardo truce lanciatomi da Gaara, gli afferro il braccio e mi affretto a raggiungere gli altri, salutando distrattamente quel Deidara.

‘Che tipo.’ penso e non riesco ad impedirmi di rabbrividire leggermente.
 

**********************
 

Dopo un breve tragitto a piedi, arrivo davanti al cancello della nostra villa e mi affretto ad entrare in casa per preparami qualcosa: ho fame e poi, per una volta, voglio rientrare a scuola il prima possibile.

Tagliuzzo un gran numero di pomodori, divorandone la maggior parte prima ancora di condirli e farne una deliziosa insalata; finito di lavare le stoviglie e il piatto nel lavello, getto l’ennesimo sguardo all’orologio e mi costringo ad attendere un altro paio di minuti.

Di fatto, però, esco comunque di casa con una buona mezz’ora d’anticipo.

‘Del resto ho bisogno di un po’ di tempo per stanare la mia preda’ mi dico, divertito dai miei stessi pensieri.

Ma il mio piano perfetto non aveva tenuto conto della variabile Senju.

‘Che quelle enormi tette che si ritrova le facciano dolere la schiena per tutti i restanti giorni della sua miserabile vita!’ penso, mentre ne ascolto l’ennesima richiesta direttamente dalle labbra del custode.

Incenerisco l’incolpevole uomo, lo ringrazio fra i denti e lo congedo, assicurandogli che mi recherò dalla preside seduta stante e mi avvio verso l’ufficio della vecchia.

‘Cosa vorrà mai questa volta per pretendere di vedermi con una tale urgenza?’ mi chiedo e, automaticamente, aumento il passo: tanto prima mi fossi liberato della sua ingombrante presenza, tanto presto avrei potuto riprendere la ricerca del mio biondino.

Busso alla pesante porta in noce e attendo che mi si dia il permesso di entrare.

“Avanti!”

“Buon sera, mi ha fatto chiamare?”, faccio uscire in un mezzo ringhio, cercando comunque di mantenere le apparenze e mostrare un minimo di educazione.

“Sì, moccioso Uchiha –  mi scappa una smorfia di disappunto, ma rimango ad ascoltare in silenzio -  Vorrei che tu facessi fare un giro della scuola al tuo compagno, che gli spiegassi come funzionano le attività dei club e tutto il resto che c’è da sapere.”

‘Oh fantastico, davvero! Un altro sciocco primino con cui sprecare il mio prezioso temp…’

Inizio ad imprecare silenziosamente, mentre volgo lo sguardo nella direzione indicatami dalla donna, ma ogni pensiero si interrompe, quando i miei occhi ne incrociano un paio dallo strabiliante colore azzurro.

A quanto pare, preda dell’irritazione, avevo completamente mancato di notare che l’oggetto dei miei desideri mi era a pochi metri di distanza; la scoperta fa si che l’irritazione scompaia di colpo e un ghigno compiaciuto mi stiri le la labbra.

‘La fortuna è ancora dalla mia.’ penso, prima di avvicinarmi maggiormente e porgergli la mano “Piacere, Sasuke Uchiha.” mi presento con fare sicuro.

“Piacere mio, Uchiha-kun. Io sono Naruto Uzumaki.”
 
  
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