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Autore: Kary91    11/10/2014    7 recensioni
[Sebastian Odair (figlio di Finnick)|Post-Mockingjay|Mini Long]
Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre Finnick aveva le mani nelle tasche. Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.
Erano come Peter Pan e la sua ombra.
***
“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”
“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorare il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”
“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. “Mio padre è morto.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Bimbo Cresta-Odair, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
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Il figlio di Peter Pan

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Act 1 - Lost boy

 

 

 

 

2| Solo Sebastian

«All children, except one, grow up.»

― J.M. Barrie, Peter Pan

 

“Mamma?”

Sebastian spinse da parte l’origami di carta a cui stava lavorando e toccò il polso di Annie, per attirare la sua attenzione.

“Tu lo conosci Peter Pan?”

Qualcosa nello sguardo della donna incominciò lentamente a mutare: l’aria assente lasciò il posto a un’espressione sorpresa. Annie rivolse poi al figlio un sorriso luminoso e anche Sebastian sorrise, di riflesso: la mamma se ne era andata per un attimo, ma era riuscito a farla tornare da lui.

“Sì, è il protagonista di una favola” spiegò la donna, accarezzandogli i capelli. Una punta di tenerezza le velò il volto. “Tuo padre adorava quella storia,  me l’ha raccontata tante volte.”

“E di che cosa parla?” domandò un incuriosito Sebastian, sedendosi sul divano di fianco alla madre. Annie gli prese una mano e la strinse fra le sue, sorridendo malinconica.

Scostò un ciuffo di capelli dalla fronte di Finnick e tornò a disperdere lo sguardo nel mare. Il ragazzo aveva la testa appoggiata sul suo grembo e gli occhi socchiusi.

“C’era un ragazzino…” mormorò a quel punto il giovane Odair, serrando del tutto le palpebre. “…Killian. È stato il primo tributo a cui abbia mai fatto da mentore; avevo quindici anni, all’epoca. Lui ne aveva solo tredici e a guardarlo non ne dimostrava più di undici o dodici. Era così spaventato…”

Si interruppe per sospirare. Annie riprese ad accarezzargli i capelli, soffermandosi di tanto in tanto a sfiorargli il volto.

“…Un bimbo sperduto” concluse Finnick, aprendo del tutto gli occhi e voltandosi verso il  mare. “È morto il terzo giorno di Giochi.”

Annie si mordicchiò un labbro, sforzandosi di controllare il bisogno di portarsi le mani sulle orecchie: il peso che gravava nel petto di Finnick faceva troppo rumore. Si sentì improvvisamente triste, al pensiero di non sapere come consolarlo. Cercò di rassicurarlo, mormorandogli che non era colpa sua e che un giorno, il mare, avrebbe lavato via un po’ di quel dolore che si era impigliato nel petto di entrambi. Quei sussurri che si scambiavano ogni tanto erano come ninna nanne e avevano il potere di cullarli, come il vento culla le onde. Per questo Annie continuò a mormorare a lungo – la sua voce un soffio lieve – fino a quando le palpebre di Finnick non tornarono a chiudersi.

“Raccontami di lui” sussurrò infine Annie, continuando ad accarezzargli il volto. “Raccontami di questo bimbo sperduto.”

“Gli piacevano le favole” rispose il ragazzo, stropicciandosi insonnolito un occhio. “L’ultima sera, prima che iniziassero i Giochi, mi ha raccontato la sua preferita: parlava di un ragazzino che non voleva crescere, un certo Peter Pan. Un tipetto un po’ presuntuoso, che viveva in un’isola in mezzo al mare e combatteva contro i pirati. Era il capo-banda di un gruppo di orfanelli con nulla da perdere, proprio come lui. Killian una volta mi ha detto che glielo ricordavo, questo Peter…”

 

“Parla di un bambino che non voleva crescere” rivelò infine Annie, sorridendo al figlio. “Viveva in un’isola magica, popolata da fare e sirene, ma anche pirati. Lì, all’Isola Che Non C’è, nessuno diventava mai grande. E si poteva volare…” aggiunse, con un guizzo di vivacità nello sguardo.  “…sarebbe bello volare, no?”

Sebastian annuì, prima di aggrottare le sopracciglia.

“Come si fa a volare?”

La madre gli rivolse un sorrisetto enigmatico.

“Basta avere un pensiero felice…” mormorò poi, abbassando teatralmente il tono di voce. “…un po’ di polvere di fata e… Hop!” esclamò, allungandosi verso il bambino per fargli il solletico. Sebastian sobbalzò, colto di sorpresa, ma poi sorrise, rannicchiandosi per sfuggire al suo attacco.

“Si spicca un salto e si vola!” concluse Annie, facendo scorrere il polpastrello sulla punta del naso del figlio. Il ragazzino sorrise di nuovo, distogliendo timidamente lo sguardo. Sua madre era bellissima quando scherzava con lui, ma quei moti di allegria la sorprendevano di rado e Sebastian non era ancora riuscito ad abituarcisi. Gli piacevano, però. Lo facevano sentire piccolo, come un qualsiasi bambino di sei anni. E in quel momento, mentre  sua madre lo stringeva a sé per fargli le coccole, non poté fare a meno di pensare che anche a lui sarebbe piaciuto non crescere mai.

Sarebbe stato bello, si disse, essere come Peter Pan.

“Secondo te è lì che sta papà?” chiese improvvisamente, sollevando la testa per incontrare lo sguardo della madre. “All’Isola Che Non C’è?”

Il sorriso di Annie si fece d’un tratto più malinconico, ma la vivacità nel suo sguardo resistette.

“Secondo me sì, Finn” rispose, accarezzando i capelli del bambino. “E la notte vola fino alle nostre finestre, per vegliare su di noi mentre dormiamo.”

Sebastian aggrottò impensierito le sopracciglia: una punta di delusione incominciò a punzecchiargli fastidiosa lo stomaco.

“No, non è vero” mormorò infine, distogliendo lo sguardo. “Lui quello non lo fa” aggiunse in tono di voce secco, continuando a fissare l’origami di carta a forma di stella abbandonato sul tavolo.

Se suo padre avesse davvero vegliato su di lui dalla finestra, le notti precedenti, l’avrebbe visto mentre sgattaiolava via. L’avrebbe rincorso per impedirgli di vagabondare tutto solo e mezzo svestito in giro per la baia, perché così facendo avrebbe potuto prendere e freddo e ammalarsi.  Ma non l’aveva fatto, e nemmeno sua madre.  

Nessuno lo faceva mai.

Sebastian deglutì e chinò il capo verso il basso, sentendo gli occhi pungere e inumidirsi. Inspirò con forza e tornò a voltarsi verso Annie, ma la donna sembrava assorta in qualche pensiero tutto suo; qualcosa nella risposta secca di Sebastian aveva rubato la vivacità che l’aveva colta fino a poco prima. Il bambino sospirò di nuovo: la mamma se n’era andata un’altra volta.

“Gli assomigliava davvero, Finn” mormorò a quel punto la donna, sorridendo lievemente. “A Peter Pan. Il suo sorriso era come quello di un bambino. E aveva degli occhi tanto allegri, occhi verdi…” aggiunse, tornando a rivolgere la sua attenzione al ragazzino. Si rabbuiò di colpo, quando notò le lacrime che Sebastian si stava sforzando di trattenere.  Gli occhi lucidi del figlio la riportarono a lui con la forza di uno strattone. Annie  strinse il bambino a sé, appoggiando il mento sui suoi capelli.

“Va tutto bene, tesoro” gli mormorò all’orecchio, cullandolo con i suoi sussurri, come un tempo Finnick aveva fatto con lei; e lei con lui. “Va tutto bene.”

Sebastian tirò su con il naso, affondando il volto nella maglia della madre.

“Non mi piace la storia di Peter Pan” mormorò in un soffio, senza farsi sentire da Annie. Non gli stava molto simpatico, quel ragazzino che non diventava mai grande: poteva restare piccolo per tutto il tempo che voleva e vivere mille avventure per conto suo, mentre gli altri erano costretti a crescere.

Peter Pan sarebbe rimasto un bambino per sempre. Lui, invece, si sentiva già grande, e non era giusto. Non era giusto proprio per niente.

Per un attimo gli tornò in mente la ragazzina dai capelli chiari che aveva incontrato la sera prima alla baia. Lyla l’aveva detto, che lui non assomigliava a Peter.

Io non sono il figlio di Peter Pan, pensò, strofinandosi un occhio umido di lacrime con il pugno. Annie incominciò a canticchiare una nenia a mezza voce, cercando di addormentarlo. Lentamente il ragazzino si tranquillizzò, ma quel pensiero continuò a ronzargli fastidioso per la testa, fino a quando la stanchezza non lo convinse a chiudere gli occhi.

Sono solo Sebastian. Sebastian e basta.

 

Note finali.

Ed ecco qui il secondo capitolo, ambientato ancora durante l’infanzia di Sebastian. Ci tenevo che fosse Annie a raccontare a Sebastian di Peter Pan, perché, così facendo, ho potuto inserire quel piccolo flashback che mi ha aiutata a raccontare un po’ del rapporto fra Finnick e questa favola. E a introdurre un po’ meglio Killian, che verrà menzionato ancora nei prossimi capitoli. Killian era il fratello di Adrian, il guardiano del faro. Per quanto riguarda Annie, spero di essere riuscita a renderla abbastanza bene >.< Come avevo accennato nelle note di ‘Sebastian ascolta con gli occhi’, ho sempre pensato che la morte di Finnick abbia inciso molto sulla stabilità mentale della donna e ha questi momenti di allontanamento dalla realtà in cui si lascia sommergere un po’ dai ricordi del passato. E Sebastian ne risente molto.

Con questo capitolo si conclude il primo atto, quello introduttivo, e la parte dedicata al Sebastian bambino.  Nel secondo atto saranno passati più o meno dieci anni e tornerà a fare comparsa Lyla. La storia è quasi interamente ambientata alla baia, fatta eccezione per questo capitolo su Annie e l’ultimo capitolo prima dell’epilogo. E niente, spero che continui a piacervi <.<

Un abbraccio e a presto!

Laura

   
 
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