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Autore: Herm735    13/01/2015    8 recensioni
Quando Callie Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Arizona Robbins, Callie Torres, Meredith Grey, Teddy Altman
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia.

Buona lettura!





Montagne russe



Entrai in casa di Meredith, e la festa doveva essere già iniziata da un po'.
Non c'erano più di una ventina di persone, ma la musica alta e il fatto che fossimo tutti in salotto, faceva sembrare la casa molto più affollata.
Ero arrivata insieme a Cristina e Addison, che si erano offerte di passarmi a chiamare prima di entrare, avendo immediatamente capito che la timidezza era un serio problema della mia personalità.
“Allora, ci siamo solo noi che eravamo al campo oggi, e alcuni ragazzi. Attenta a chi metti gli occhi addosso, perché sono quasi tutti presi” mi aggiornò Addison, mentre entravamo e lasciavamo i giacchetti sul letto di una piccola camera vicino al salotto. “Derek, il tizio che sta parlando con Meredith, è il suo fidanzato. Il rosso sta con Cristina” mi indicò con un cenno della testa un tipo alto, che parlava con un altro paio di ragazzi. “Si chiama Owen.”
“Il tizio dalla testa rasata che è con lui si chiama Alex” continuò Cristina. “Ha una cotta per Arizona, ma lei non è interessata. La povera April è innamorata di lui, ma tutti la prendono in giro da quando si è sparsa la voce che è ancora vergine. Il ragazzo di colore, Jackson, sta insieme a Lexie, mentre Henry è quello che in questo momento sta parlando con Teddy. È il suo migliore amico. Così dicono loro, comunque.”
“E chi è lui?” chiesi notando un ragazzo al telefono in un angolo della stanza.
“Lui è Mark Sloan. Proprietà di Addison è scritto sul suo cranio, ma non ha uno specchio, quindi non è ancora riuscito a rendersene conto” la prese in giro Cristina.
“Cristina, quante volte devo ripetertelo? Siamo solo amici.”
Io risi.
Vidi Arizona che ci si avvicinava.
“Ho bisogno di allontanarmi da Alex” sussurrò.
“Stavo andando da Owen” rispose Cristina dileguandosi.
“Mark è solo” aggiunse Addison, sparendo immediatamente dopo.
Lei scrollò le spalle, mettendomi una mano sulla schiena e portandomi fuori.
Io, non so molto bene perché, lasciai che lo facesse.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Allora, Meredith ha detto che vi siete trasferiti da Miami. Deve essere stato un duro colpo lasciare tutto. Amici, compagni di scuola...un fidanzato, forse?”
Io risi.
“Callie!” sentii chiamare una voce familiare.
“Eli!”
Eli era il figlio della sorella di mio padre. Mio cugino. E, sfortunatamente, questo significava che era anche il cugino di Aria.
Lo vidi avvicinarsi con Miranda da un lato e mia sorella dall'altro.
Lo abbracciai.
“Miranda, lei è la sorella di Aria, mia cugina...”
“Callie” mi salutò Miranda accennando un sorriso. “Lei è la nostra nuova punta.”
“Cosa? Sarebbe lei quella di cui hai parlato per tutto il pomeriggio?”
Lei annuì.
In quel momento notai le loro mani unite.
Sorrisi, annuendo in direzione di mio cugino. “Bella mossa, amico. In porta riesce a fare ogni tipo di miracolo.”
Lui ricambiò il sorriso. “Lo so” sussurrò, passandole un braccio sulle spalle.
“Allora, entriamo a questa festa o rimaniamo fuori?” chiese Aria, spazientita dal legame speciale che avevo con mio cugino.
Io guardai Arizona.
“Andate pure. Volevamo prendere una boccata d'aria fresca” risposi.
Aria guardò Arizona, presentandosi. “Aria Torres.”
“Arizona Robbins.”
“Non vorrei sembrarti rude, ma...perché stai con mia sorella? Hai perso una scommessa?” chiese, guadagnandosi un mio colpo sulla spalla.
“Direi piuttosto che l'ho vinta” rispose lei, difendendomi. Non avevo capito bene perché lo avesse fatto.
Aria rise. “Ok, certo. Forse non stiamo parlando della stessa persona. Calliope, giusto?” chiese, indicandomi.
Io avrei voluto sotterrarmi.
“Aria, sai che lo odio.”
Eli la colpì su un braccio, non molto forte. “Devi essere sempre così cattiva con lei?”
Aria sospirò. “Scusa. Non ti chiamerò più in quel modo. So quanto ti dà fastidio.”
Io annuii, sapendo che non avrebbe mai e poi mai smesso di chiamarmi in quel modo, a meno che non fossi diventata amica di qualcuno che le piaceva e che avesse quindi bisogno di non farmi arrabbiare.
Eli e Aria entrarono.
“Non mi piace tua sorella” sussurrò Miranda, seguendoli subito dopo all'interno.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Allora...Calliope. É un bellissimo nome.”
Il modo in cui lo pronunciò mi fece smettere di respirare per un momento.
“Sei la prima persona abbastanza gentile da fare almeno finta che il mio nome non ti faccia venir voglia di ridere.”
“Non c'è niente di spiritoso, è il nome di una musa. Lei dalla bella voce.”
“Sei appassionata di mitologia?”
“Un po'. È un segno, non credi?”
Guardai dentro gli occhi più azzurri che avessi mai visto e per un istante mi chiesi se non ci fosse un significato più profondo dietro quelle parole e l'implicazione di un legame che andava oltre la semplice amicizia.
Mi scrollai il pensiero di dosso. Non era possibile.
“Decisamente un segno” sussurrai distrattamente, distogliendo lo sguardo.
“Ehi Arizona.”
Un ragazzo abbastanza basso e mingherlino si avvicinò alla casa.
“George” lo salutò allegramente Arizona.
“Meredith e Izzie sono dentro?” chiese.
Il suo sguardo si spostò su di me e lo vidi fissarmi imbambolato per qualche momento.
Arizona si schiarì la voce.
“George, stai sbavando.”
Lui ignorò il commento di Arizona, porgendomi la mano.
“George.”
“Callie” sorrisi in modo impacciato.
“Non ti ho mai visto da queste parti” osservò.
“Mi sono appena trasferita.”
Lui annuì. “Allora, che ci fate qui fuori?”
Arizona scrollò le spalle. “Alex aveva ricominciato con la stessa storia di sempre. Non ne posso davvero più” spiegò con un sospiro.
“Che storia?” chiesi.
George guardò Arizona, che sembrava improvvisamente profondamente interessata alle sue scarpe.
“Beh, vi lascerò a discuterne” con un'ultima occhiata nella mia direzione si dileguò all'interno della casa.
Io lo seguii con lo sguardo finché non chiuse la porta, poi mi voltai di nuovo verso Arizona, accorgendomi solo in quel momento che lei mi aveva osservato per tutto il tempo.
“Allora, vuoi raccontarmi questa storia?”
“É una lunga storia” mi avvertì lei.
Io scrollai le spalle. “Abbiamo un sacco di tempo.”
“Ma è anche molto complicata. E in genere non ne parlo con persone che ho appena conosciuto” replicò a bassa voce.
“Ok” risposi con una scrollata di spalle.
Rimanemmo in silenzio, a quel punto. Ma non era un silenzio strano, di quelli imbarazzanti. Era solo che non avevamo bisogno di dire niente.
“Ti va di fare una passeggiata?” chiese improvvisamente.
“Certo” acconsentii.
“Perfetto. Prendo il giacchetto.”
Annuii, alzandomi. La aspettai sul portico e neanche una ventina di secondi dopo mi aveva raggiunto fuori, indossando il proprio giacchetto e tenendo due birre in mano. Me ne porse una. Io accettai, senza farle sapere che di solito non bevevo.
Iniziammo a camminare nella direzione opposta rispetto a casa mia.
“Allora...stavamo parlando di Miami se non ricordo male. Di un fidanzato?” chiese cercando di suonare casuale.
“Nessun fidanzato. Pochi amici. Nessuno di loro era importante in ogni caso. Mia sorella è quella che se ne va in giro a lamentarsi in realtà. Io sto bene. Non mi è importato molto del trasferimento, a dire la verità. Non credo che cambierà niente. Continuerò ad essere la ragazza che si siede in fondo alla classe e non dice mai una parola.”
“Problemi di timidezza?”
Io la guardai facendole capire che era impossibile non notarlo. “E di autostima” aggiunsi. “E un altro paio di problemi che sicuramente dovrei evitare di raccontare a qualcuno che non conosco” aggiunsi più tristemente.
“Non sarebbe saggio” concordò. Poi prese un sorso della sua birra. “Dimmi, Calliope, sei una persona saggia?”
“La maggior parte del tempo” risposi indecisa su cosa avrei dovuto fare con la bottiglia che avevo in mano. “Probabilmente una persona saggia ti direbbe 'io non bevo birra' invece di fingere di avere un'esperienza diversa da quella che ha. Mi dispiace.”
Le porsi la bottiglia. Lei accettò con un cipiglio serio, ingoiando il sorso che aveva preso e facendo una smorfia.
“Grazie a Dio. Non sopporto il sapore di questa roba. Stavo cercando di fare colpo.”
Gettò entrambe le bottiglie nel primo cassettone che incontrammo.
“Cercavi di fare colpo?” chiesi ridendo piano.
“Già. Pensavo che nella tua vecchia scuola fossi molto popolare.”
Io risi di gusto. “Scherzi vero? Per essere popolare nella mia vecchia scuola avrei dovuto vestirmi come Aria. Quindi praticamente non vestirmi. Non nel mio stile, affatto. No, io probabilmente ero la persona meno popolare del liceo.”
“Di solito gli sportivi sono popolari.”
“Oh, io non facevo parte di una squadra della scuola, l'unico sport era il football. Maschile.”
Lei annuì.
Entrambe rimanemmo concentrate sui nostri pensieri, finché, dopo aver fatto il giro dell'isolato, ci trovammo di nuovo davanti a casa di Meredith.
C'erano due ragazzi fuori, sul portico, che stavano discutendo con Cristina e Meredith.
“Senti, ti ho detto di andare a casa, va bene? Sei ubriaco, Alex. Vattene.”
“Ma tu che ne sai O'Malley? Non sai nemmeno che significa bere sul serio.”
“Piantala Alex, sul serio” lo ammonì Meredith. “Hai bevuto. È ora che tu torni a casa.”
“Al diavolo” sussurrò lui, voltandosi. Fu allora che si accorsero di noi.
Arizona si irrigidì.
“Chi è la tua amica, Robbins? Oh, aspetta” si avvicinò di qualche passo. “Non dirmi che hai finalmente trovato una ragazza che giochi per la tua squadra.”
Io lo guardai, perplessa.
“Oh, non dirmi che non lo sai” continuò.
“Karev” tentò di farlo tacere.
“Arizona, non dirmi che non le hai detto il tuo piccolo sporco segreto. Tanto lo scoprirà comunque a scuola. La gente ne parla ancora, sai?” le ricordò con una punta di umorismo. “Da quando la tua ragazza ti ha mollato...”
“Vai al diavolo, Alex. Non era la mia ragazza e non mi ha mollato.”
“Non era la tua ragazza? Bella, i suoi l'hanno mandata in una scuola cattolica dopo che vi avevano beccato a pomiciare in camera sua. Col cavolo che non era la tua ragazza.”
“Ok, questo è oltre il limite Alex” Cristina lo afferrò per le spalle, spintonandolo fino in strada. “E adesso vattene. Vai via. Subito.”
Arizona scosse la testa, sospirando, ed entrò dentro la casa di Meredith.
Lasciai che se ne andasse.
Non avrei saputo che altro dire o fare.
Così la lasciai andare.

La mattina dopo mi svegliai presto dopo aver fatto un sogno piuttosto strano.
Ero nervosa. Ero distratta.
Così mi vestii e andai a correre. Mi aiutava a schiarirmi le idee.
Cercai di trovare risposta ad alcune delle domande che continuavano a ronzarmi nella testa.
Come avevo preso la notizia che Arizona avrebbe potuto essere interessata alle ragazze?
Non lo sapevo ancora.
Come avevo preso la notizia che io avrei potuto essere interessata alle ragazze?
Non bene.
Soprattutto all'inizio.
Avevo vissuto per un sacco di tempo in piena fase di negazione.
Ma alla fine, perfino io avevo capito cosa stava succedendo. Nonostante la mia esperienza pari a zero nelle relazioni interpersonali.
Avevo capito che le farfalle allo stomaco che provavo quando parlavo con una ragazza, già, quella non era esattamente amicizia. Più qualcosa sulla linea di 'attrazione'.
Quello era stato durante il mio primo anno di liceo.
Poi avevo dovuto farci i conti. E neanche quella parte era stata esattamente una passeggiata. All'inizio avevo pensato che avrei anche solo potuto ignorarlo per il resto della mia vita. Finché mi ero resa conto che era meglio essere me stessa che essere qualcuno che non conoscevo e non avrei voluto essere. Avevo capito che la mia famiglia molto cattolica non aveva il diritto di zittire una parte così importante di me. Avevo capito che non si può ignorare questo genere di cose, finiranno solo per crescere e crescere, finché non occuperanno una parte così grande del tuo cervello da minacciare di farlo scoppiare.
Ed era stato allora che mi ero chiusa in me stessa. Già prima ero molto riservata, avevo pochi amici, andavo bene a scuola. Ma dopo, dopo non avevo più amici se non quelli con cui studiavo di tanto in tanto, preferivo passare il mio tempo da sola.
Avevo paura che chiunque si fosse avvicinato abbastanza a me da conoscermi davvero, sarebbe stato in grado di vedere improvvisamente quella parte di me che stavo tentando disperatamente di nascondere al mondo.
Ma forse, riflettei, avrei potuto trovare delle persone a cui non avrei dovuto necessariamente nasconderla. Persone che avrebbero capito.
Quando iniziò ad essere più caldo, troppo caldo per continuare a correre per molto ancora, decisi di tornare indietro.
Rallentai un paio di case prima della nostra. Dall'altra parte della strada, una ragazza dai capelli biondi stava parlando con un ragazzo biondo, più alto di lei di diversi centimetri.
L'aveva colpito sul petto con forza. Il ragazzo indietreggiò, subendo il colpo. Lei lo colpì di nuovo e lui le afferrò i polsi, bloccandola.
Lei gli disse qualcosa e poi scosse la testa, allontanandosi di scatto da lui.
Fu allora che mi vide.
E fu allora che notai le lacrime che le avevano riempito gli occhi.
Le feci un cenno con la testa, indicandole la mia destra.
Lei, senza dire neanche un parola al ragazzo, mi venne incontro.
“Vieni” le dissi solamente. Lei non rispose. Ma mi seguì.
La portai dentro casa mia e le mostrai la mia camera.
Si sedette sul letto, senza dire niente. Mi inginocchiai difronte a lei, cercando di afferrare il suo sguardo con il mio.
“Vuoi raccontarmi che è successo?”
Scosse la testa negativamente.
“D'accordo. Vuoi parlare di qualcosa?”
Fece di nuovo cenno di no.
“Ok, ti offrirei un abbraccio, ma ho appena corso e sono sudata, quindi non credo che sarebbe una buona idea. Ma forse potremmo...” pensai a cosa avrebbe fatto stare meglio me “...andare a fare un paio di tiri. Potresti insegnarmi qualcuna delle tue mosse.”
Lei finalmente mi guardò negli occhi.
Mi guardò a lungo e forse vide qualcosa nei miei occhi, nel modo in cui la guardavo, o dentro di me, perché sussurrò un debole assenso, prima che mi alzassi e le porgessi la mano. La accettò senza esitare.

Avevamo riso come non ricordavo di aver mai riso in vita mia.
Continuavamo a cadere a terra, visto che non ci stavamo impegnando nel rimanere concentrate, e continuavamo a ridere di tutto.
Alla fine, dopo l'ennesima caduta, nessuna delle due trovò la forza di rimettersi in piedi.
Così rimanemmo lì, in silenzio, a guardare il cielo.
“Non sei scappata.”
Io la guardai, confusa.
“Di solito la gente scappa. Quando la verità su di me viene fuori, la gente scappa.”
“Oh” sussurrai, afferrando ciò che stava tentando di dire.
Ma tu non sembri turbata dalla cosa. Sembra andarti bene. Ma come puoi notare ho aggiunto il sembra, perché a un sacco di persone sembra andar bene, finché non...”
“Dev'essere stato difficile” la bloccai, guardando di nuovo verso l'alto. “E deve essere ancora difficile.”
“Non sempre. Non con tutti.”
“Chi è scappato?” chiesi, tornando a guardarla.
Lei fece spallucce e distolse lo sguardo. “Alcuni dei miei più vecchi amici adesso non mi parlano più. Mia nonna pensa che i miei genitori siano impazziti per essere dalla mia parte. Uno dei miei professori ha cambiato totalmente atteggiamento nei miei confronti, costringendomi a cambiare corso e passare da biologia semplice al corso avanzato. La gente si allontana. Joanne...”
“La tua ragazza?” chiesi prima di riuscire a frenare la mia stupida lingua.
“Non era...” scosse la testa, continuando a guardare altrove. “Ma anche lei, sì. Se n'è andata senza lottare per rimanere. Le persone scelgono la strada più facile. E chi può dargli torto?”
“Io penso che abbiano torto” conclusi, sospirando. “La strada più difficile, il novantanove percento delle volte, è quella più bella. È quella che ti fa provare più emozioni, che ti fa arrivare più in basso che mai e più in alto che mai. È come andare sulle montagne russe. La maggior parte delle persone, scelgono quelle normali, perché si sentono più sicuri, perché quelle fanno meno paura. Cinque minuti, qualche curva, e tutto è finito. Ma c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che vanno da zero a cento in due secondi. Anche se hanno paura, anche se il loro cervello vorrebbe prenderli a calci nel culo, c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che fanno tre volte il giro della morte. Perché, anche se quando sei sopra hai così paura da voler scappare, e la cosa che vorresti di più al mondo è urlare con tutta te stessa ma la velocità te lo impedisce e ti senti soffocare, quando scendi senti la scarica di adrenalina che ti scorre nelle vene più forte che mai. Ti senti girare la testa e hai voglia di vomitare. Ma, qualche giorno dopo, cosa daresti per fare un altro giro...”
Lei rise piano.
“Nella mia vita ci sono state solo salite. Credo sia questo il punto. Per me non c'è mai niente in discesa. Niente giro della morte. Niente da zero a cento in due secondi.”
Io la guardai.
“Vedrai che ti succederà. E spero che un giorno succederà anche a me” aggiunsi, alzandomi.






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