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Autore: Afaneia    03/02/2015    6 recensioni
È l'anno della prima edizione della Lega Pokémon: Samuel Oak è un valido allenatore all'inizio di una brillante carriera. Tutto ciò che vuole è affermarsi e competere con avversari del suo livello.
Agatha ha diciott'anni, è testarda e impulsiva, orgogliosa e severa con se stessa e con gli altri.
Il loro è un legame inaspettato, guidato dall'ambizione e dalla fame di avventure. Ma proprio questa ricerca di avventure finirà per condurli in una spirale di eventi agghiaccianti e irresistibili, in una tragedia di cui non volevano affatto essere i protagonisti, tanto spaventosa e irreale da essere destinata a rimanere per sempre segreta...
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agatha, Prof Oak
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Capitolo secondo – Veleno.


L'Altopiano Blu aveva richiamato a sé più di un centinaio di allenatori già il primo giorno delle iscrizioni e affluenze ancora maggiori si prevedevano per quelli a venire. Samuel, che aveva raggiunto la Sede centrale molto presto nella mattinata, il primo di maggio, fu uno dei primi a iscriversi.

Quel giorno egli rivide anche la ragazza della scommessa di Fucsiapoli.

Aveva appena completato le varie formalità burocratiche dell'iscrizione – ridicolmente brevi in confronto al tempo necessario ad arrivare lassù – e stava attraversando l'androne verso la caffetteria per procurarsi qualcosa da mangiare quando all'improvviso, da un capannello di allenatori che chiacchieravano in un angolo, una nitida voce di donna lo folgorò quasi sul posto. «Sono pronta a sfidarvi anche adesso!»

Quella frase l'aveva già sentita. Samuel si fermò là dove si trovava e cercò di scrutare nel piccolo gruppo di persone che si era raccolto attorno a un paio di divanetti, un gruppetto di soli uomini disposti quasi a cerchio: al loro centro, una piccola ragazza dal lunghi capelli castani con le braccia conserte sul petto.

Se a Fucsiapoli Samuel era stato convinto, per chissà quale motivo, che fossero stati spontaneamente gli altri allenatori presenti a provocarla, ora non ne era più così sicuro. Quella ragazza doveva avere un gran caratteraccio, per litigare con tutti ovunque andasse, pensò mentre si avvicinava quasi senza accorgersene. A ogni modo, quella ragazza, ah!, Agatha ce l'aveva fatta: aveva raggiunto l'Altopiano Blu, e già il primo giorno. Davvero piuttosto notevole.

Era evidente che nessuno degli altri aveva intenzione di accettare la sfida: Samuel osservò i loro sguardi imbarazzati, i loro cenni impacciati mentre cercavano di trovare una scappatoia alle sue parole. Si collocò alle spalle di uno di loro per seguire la scena, suo malgrado incuriosito.

«Allora?» chiese Agatha con viva impazienza. Era evidente che era in viaggio da qualche giorno: i suoi capelli avevano un aspetto impolverato e opaco, raccolti in uno stretto nodo sulla sommità del capo. Quella pettinatura, per quanto castigata e poco elaborata, esaltava la forma regolare, proporzionata, della sua testa e donava in qualche modo ai suoi tratti.

«La mia squadra è stanca» borbottò un ragazzo che dimostrava forse diciassette anni. Agatha gli gettò un'occhiataccia, sollevando un poco il mento con aria di disprezzo.

«In tal caso mi farai il piacere di non criticare più la mia.»

Che tipino, pensò Samuel senza riuscire a trattenere un sorriso. Possibile che si mettesse nei guai ovunque andasse? Le iscrizioni non erano aperte che da due o tre ore e già quella ragazza era riuscita a mettersi contro una decina di allenatori. Decisamente... bellicosa.

Spinto da una curiosità irrefrenabile, Samuel mosse un passo in avanti e disse ad alta voce: «Se sei d'accordo, accetto io la tua sfida.»

La tensione si sciolse bruscamente mentre Agatha si voltava e lo cercava con lo sguardo. Alla sua vista, i suoi occhi si riempirono di perplessità: era chiaro che non capiva perché un perfetto sconosciuto che non l'aveva provocata volesse accettare la sua sfida. «Ci conosciamo?»

«Beh... io conosco te.» Samuel si strinse nelle spalle. «Ho scommesso assieme a te a Fucsiapoli.»

«Fucsiapoli?» A giudicare dalla sua espressione, la ragazza non doveva aver più pensato alla scommessa da quel giorno... esattamente come lui. Impiegò qualche istante a ricordare. «Oh... la scommessa.»

A questo punto, Samuel non aveva più intenzione di tirarsi indietro. Aveva parlato davanti a tutti e, perdipiù, era decisamente troppo curioso di scoprire se davvero Agatha fosse tanto forte come si reputava. «Allora... accetti?»

Davanti alla prospettiva della sfida, Agatha perse la benché minima traccia di dubbio. Gli sorrise di un sorriso che era sfida e soddisfazione e domandò: «Andiamo fuori?»


Il lastricato dell'accesso monumentale alla Sede era un campo di battaglia perfetto: attorno a loro si formò rapidamente un fitto cerchio di spettatori, richiamati dalla prospettiva di poter assistere a una sfida. Samuel li fissò con vago disprezzo, domandandosi perché non lottassero a loro volta anziché limitarsi a guardare chi aveva più spirito d'iniziativa di loro. Dal canto suo, Agatha non sembrava minimamente infastidita dalla loro presenza: il suo volto stanco era eccitato e preso dall'idea della lotta.

«Desideri porre qualche condizione particolare?» gli domandò dall'altra parte del piccolo cerchio: distavano l'uno dall'altra poco più di una decina di metri. Samuel scosse il capo.

«No, ma devo avvertirti che possiedo solo cinque Pokémon.»

«Non fa alcuna differenza» assicurò Agatha. «Io ne ho tre, ma valgono per sei.»

Un fischio si levò a queste parole, ma la ragazza non perse tempo a cercare nella folla chi l'avesse emesso: doveva già sapere bene quanto lui che non l'avrebbe trovato. Samuel si sentì fremere i polsi davanti a una vigliaccheria così gratuita: i ragazzi che l'avevano provocata apertamente, sia lì che a Fucsiapoli, avevano almeno avuto il coraggio di darle modo di replicare e difendersi. Pur sentendosi profondamente irritato, si sforzò di dominarsi quando le rispose: «In tal caso, ne userò tre anch'io.»

Colse il subitaneo mutamento di espressione di Agatha nel contrarsi delle sue labbra e nello stringersi dei suoi occhi. «Non c'è alcun bisogno che tu faccia il cavaliere.»

«Ti tratto come ho sempre trattato ogni mio avversario» garantì Samuel. Stava già riflettendo rapidamente su quali Pokémon usare: avrebbe fatto piacere a tutti sgranchirsi le zampe con una lotta, ma il suo senso dell'onore era troppo radicato e forte in lui per permettergli di utilizzare più Pokémon di quanti ne possedesse un rivale. Scelse accuratamente una Pokéball dalla cintura. «Cominciamo.»

Prima ancora che Agatha potesse dargli un solo cenno di assenso, una voce dai loro spettatori la invitò sarcasticamente a far vedere a tutti il suo grazioso Wigglytuff, o qualcosa del genere. Stavolta entrambi riuscirono a identificare chi aveva parlato: un ragazzo tarchiato e grassoccio piuttosto vicino ad Agatha, ma anche stavolta ella non replicò e si limitò a gettare sul terreno una sfera.

«Vai, Vileplume!»

Certo, a modo suo, Vileplume era un Pokémon molto carino, ma Samuel aveva smesso ormai da tempo di credere, come invece sembravano fare tutti gli astanti, che fosse inoffensivo solo perché somigliava a un fiore. Si levò dal loro pubblico uno sgradevole coro di fischi alla sua volta.

Del tutto inconsapevolmente, anche Samuel aveva scelto un tipo Erba: mandò in campo il suo Exeggutor. Molto spesso qualche avversario l'aveva criticato per aver scelto un Pokémon come quello e, in generale, per la sua scelta di preferire l'Erba all'Elettro; ma Samuel aveva sempre confidato nel suo aspetto apparentemente vacuo e distratto.

«Vileplume, Riduttore!»

Agatha era passata subito all'attacco senza dargli il tempo di elaborare una strategia. Mentre Vileplume si avventava su Exeggutor con un'aggressività che aveva ben poco di femminile o grazioso o indifeso, tutto ciò che Samuel fu in grado di ordinare fu: «Exeggutor, usa Riflesso!»

Quando Vileplume lo urtò pesantemente con tutto il peso del suo corpo, Exeggutor indietreggiò di vari passi nel tentativo di ammortizzare la forza d'urto del suo colpo, ma eccezionalmente non cadde, riuscendo ad abbassare il proprio baricentro abbastanza da ribilanciarsi e rimanere in piedi. Riflesso aveva funzionato, anche se Samuel gliel'aveva ordinato all'ultimo momento, e approfittando del breve attimo di sbilanciamento del suo avversario, egli ne approfittò per gridare ancora: «Attacco Pioggia!»

Fu ora il turno di Exeggutor di scagliarsi contro il suo avversario, scrollando rumorosamente le lunghe foglie che portava sul capo con un fruscio come di stormire di vento. Fu un attacco vigoroso e violento, che per qualche istante fece crollare Vileplume a terra sotto l'infierire dei suoi colpi; ma proprio quando Samuel pensava di essere già riuscito a sconfiggere quel Pokémon, Agatha gridò seccamente: «Velenpolvere!»

Mai avvicinarsi troppo a un Pokémon Veleno, questo Samuel aveva sempre cercato di tenerlo a mente, ma per qualche istante si era lasciato prendere dalla foga della battaglia. Exeggutor sovrastava il nemico in tutta la sua altezza, ma la posizione di sottomissione di Vileplume si rivelò drammaticamente ingannevole quando il Pokémon reclinò il capo in avanti e dal bulbo che portava gli soffiò un vaporoso getto di spore dritto sui tre volti.

Exeggutor emise tre strida brucianti di dolore e balzò indietro, scuotendosi e dimenandosi nel tentativo di liberarsi gli occhi e le nari dalla polvere velenosa che cominciava già a indebolirlo. Con un sorriso di trionfo, Agatha protese un braccio in avanti per ordinare: «Acido!»

«Exeggutor, attento!» gridò Samuel istintivamente, ma invano: il Pokémon teneva gli occhi chiusi per attenuare il bruciore e il getto nero e vischioso, maleodorante che Vileplume gli spruzzò addosso lo colpì in pieno sul torso d'albero e su due delle sue tre facce. Sbilanciato e quasi acciecato, Exeggutor cadde pesantemente seduto al suolo, gemendo di dolore ma, forse proprio perché Riflesso aveva aumentato le sue difese, non ancora del tutto sconfitto.

«Ancora Acido!» esclamò Agatha furiosamente.

Vileplume era già pronto ad attaccare di nuovo, il suo capo si stava reclinando in avanti, prendendo la mira verso l'avversario: no, Exeggutor non ce l'avrebbe fatta a resistere a un altro attacco, avvelenato e semicieco com'era. Confidando nei suoi riflessi, Samuel non poté fare altro che tentare un'ultima carta. «Exeggutor, Psichico!»

Il breve attimo necessario a Vileplume per preparare il suo fluido tossico fu sufficiente: volgendo il torso di lato, Exeggutor lo fronteggiò con l'unica delle sue facce che ancora non era stata colpita dall'Acido e gli sparò contro un violento raggio violaceo che lo colpì precisamente al centro dei suoi grandi petali.

Agatha vide crollare il suo Pokémon con una viva espressione di contrarietà e stupore dipinta in viso, tuttavia non proruppe in esclamazioni o proteste. Lo richiamò freddamente nella sua sfera e si limitò a riconoscere: «Stavolta hai vinto tu, lo riconosco.»

Samuel non aveva bisogno delle risate e delle grida di scherno del loro pubblico per innervosirsi ancor più nei loro confronti: si sforzò di dominarsi e concentrarsi sulla lotta. Sì, aveva sconfitto Vileplume, ma Exeggutor non era comunque più in condizioni di lottare. Lo sostituì a sua volta con il suo Arcanine prima ancora che Agatha mandasse in campo il suo prossimo Pokémon.

«Vai, Tentacruel!»

Samuel non aveva potuto prevedere che Agatha avrebbe mandato in campo un Pokémon d'Acqua, eppure ebbe l'impressione che non si sarebbe approfittata del vantaggio di tipo che aveva evidentemente su di lui: sembrava decisamente troppo orgogliosa per vincere a quel modo. Scelse comunque di optare per una strategia di difesa: «Cominciamo con Pazienza, Arcanine!»

Agatha arricciò il naso su quella scelta. «Pazienza? Tutto ciò che intendi fare è incassare i miei colpi?» Tuttavia Samuel non le prestò attenzione ed ella esclamò bruscamente: «Tentacruel, Limitazione!»

Quando Tentacruel abbatté su di lui un enorme tentacolo viscido, Arcanine divaricò le zampe per sostenersi meglio sul terreno. Il suo avversario lo colpì violentemente sul fianco destro, con un suono secco che rincoccò in aria come un colpo di frusta, ma Arcanine resistette strenuamente rivolgendogli solo un ringhio sommesso, cogli occhi socchiusi e il muso contratto.

«Ottimo, Arcanine! Resisti ancora» lo incoraggiò Samuel: aveva sempre avuto una grande fiducia in quella strategia. Ma subito Agatha alzò la voce dall'altra parte del piccolo campo di battaglia per ordinare: «Tentacruel, Supersuono!»

Questo lo colse impreparato. Il suono che Tentacruel emise subito dopo, in risposta a quell'ordine, era evidentemente troppo alto perché egli potesse udirlo, ma colpì le orecchie canine di Arcanine con una forza tale da sconvolgerlo e confonderlo. Poiché si era già chinato in avanti per resistere a Limitazione, Arcanine ora si sbilanciò paurosamente, cadendo al suolo con un uggiolato confuso, e per qualche istante parve non sapere più dove si trovasse.

«Ottimo! Ora usa Tossina» gridò Agatha, con una profonda vibrazione di compiacimento nella voce.

A quell'ordine Samuel ebbe un involontario gesto di preoccupazione: confuso e iperavvelenato, come avrebbe potuto il suo Pokémon proseguire la lotta?

Tentacruel schizzò addosso ad Arcanine un liquido nero e denso simile a inchiostro, ma quegli era tanto confuso e spaesato che parve non accorgersene neppure. I suoi occhi erano vacui e privi: cercò di rialzarsi, con un lungo guaito di dolore e paura, ma tutto ciò che fu in grado di fare fu barcollare paurosamente sulle zampe instabili e tremanti.

A questo punto, Samuel aveva già visto abbastanza: con un sospiro, levò il braccio e lo richiamò dentro la sfera, provocando un coro di proteste tutto attorno a loro e uno sguardo perplesso negli occhi di Agatha.

«Hai vinto tu, non è più in grado di lottare» disse soltanto. Si sentiva seccato e confuso, turbato per aver perso anche un solo round, colpevole verso Arcanine per le sue condizioni. Agatha gli fece cenno di aver capito e Samuel, ben consapevole che era la sua ultima carta, mandò in campo Tauros.

Era stato il primo Pokémon che avesse catturato alla Zona Safari, dopo ore di appostamenti nel fango putrescente di una zona palustre, e Samuel confidava molto in lui. Tauros mugghiò rumorosamente contro Tentacruel, percuotendosi più e più volte con le tre code i fianchi poderosi, e Agatha sorrise con aria di superiorità.

«Non hai niente di meglio? Tentacruel, usa Tossina!»

Ma la ragazza non aveva fatto i conti con la rapidità del proprio nemico: con uno scalpitare tonante di zoccoli, Tauros si scansò decisamente dalla traiettoria del veleno, che inzuppò le pietre del lastricato con uno sfrigolio sinistro. Davanti a quel fallimento, persino Agatha si lasciò sfuggire un gemito di stizza, stringendo i pugni, ma Samuel si mosse prima di darle il tempo di reagire.

«Tauros, usa Fulmine!»

Era la sua arma segreta, era la mossa che nessuno si aspettava mai da un Pokémon Normale: Samuel ebbe la soddisfazione di vedere la bocca della sua avversaria spalancarsi di sorpresa quando il folto pelo di Tauros si rizzò per l'accumularsi dell'energia statica e una sottile, rapida saetta colpì Tentacruel prima ancora che questi potesse allontanarsi.

L'elettricità avviluppò il suo corpo come una nube statica, attanagliando i suoi lunghi tentacoli: impossibilitato a muoversi e a tenersi in equilibrio, Tentacruel oscillò pesantemente più volte, lottando per non cadere, e finì per abbattersi pesantemente al suolo dove rimase immobile, come paralizzato.

«Tauros, Pestone! Finiscilo» ordinò Samuel, ma prima che Tauros potesse obbedirgli e precipitarsi su Tentacruel coi suoi zoccoli, un fascio di luce rossa lo ricatturò di nuovo all'interno della sua sfera. Quando Samuel alzò gli occhi, vide che Agatha aveva le labbra strette e la fronte accigliata.

«Non c'è bisogno di infierire» constatò semplicemente con voce cupa, mentre riponeva la Pokéball e ne estraeva un'altra. Ora a entrambi restava un unico Pokémon, ma subito la ragazza volle precisare: «Se vuoi usare un altro Pokémon, non mi lamenterò.»

«Tauros sarà sufficiente» ribatté Samuel. Del resto, erano alla pari.

«Come vuoi, io ti ho avvertito. Vai, Nidoking!»

L'esemplare che apparve davanti a loro era semplicemente gigantesco, il più grande che Samuel ricordasse di aver mai visto, a tal punto che Tauros arretrò di qualche passo, scalpitando nervosamente mentre continuava a percuotersi i fianchi: quello non era decisamente un Pokémon femminile.

«Buono, buono... è tutto a posto» mormorò Samuel a bassa voce, per quanto in realtà comprendesse anche troppo bene i suoi timori: quel Nidoking era spaventosamente grande... Agatha lo stava fissando compiaciuta con duri occhi neri e orgogliosi: persino i suoi detrattori sembravano ammutoliti di fronte a quel colosso di nerboruta prestanza fisica che attendeva con incredibile mansuetudine gli ordini di quella piccola ragazza.

«Rinnovo la mia offerta» ribadì Agatha. «Sei sicuro di non voler chiamare un quarto Pokémon?»

«Sicurissimo» sbottò Samuel spazientito, anche se non si sentiva più così sicuro riguardo all'esito di quello scontro. Tutto sommato, Agatha sapeva davvero il fatto suo.

«In tal caso... Nidoking, Doppiocalcio!»

Agatha era furore, era attacco fisico e aggressività immediata, impulsiva. La sua strategia era un attacco continuo, scoperto e palese – curioso che una ragazza del genere avesse scelto proprio i Pokémon di tipo Veleno, un tipo infido e sottile. In qualunque caso, la tecnica di Samuel era del tutto diversa, misurata e difensiva e calcolata, ed egli non poté che esclamare: «Pazienza!»

Quando Nidoking colpì Tauros in pieno, egli dovette imporsi quasi fisicamente di non distogliere lo sguardo. Il primo calcio si abbatté letteralmente sul suo petto con un suono orrendo, tanto forte che Samuel fu tentato di interrompere la lotta seduta stante e portare di corsa il suo Pokémon al centro Pokémon, ma contro ogni aspettativa, Tauros non cadde.

«È questa la tua strategia?» gridò beffardamente Agatha. Il secondo calcio raggunse Tauros con la stessa forza del primo: stavolta il Pokémon fu sollevato di qualche centimetro, oscillando, e arretrò sulle zampe posteriori, muggendo di dolore. «Continuare a incassare i miei colpi e sperare che prima o poi funzioni?»

Ignorando deliberatamente le sue provocazioni, Samuel si limitò a seguire con lo sguardo i movimenti nervosi e lenti di Tauros: era paurosamente indebolito, ma ancora in grado di lottare e attendeva i suoi ordini.

«Adesso, Tauros!»

Dopo aver incassato senza reagire quei formidabili colpi, Tauros accolse quest'ordine più volentieri di quanto Samuel stesso si sarebbe aspettato, scagliandosi contro Nidoking con furia di vendetta. Anche sollevandosi sule zampe posteriori, non raggiungeva a malapena che il petto del suo avversario, ma non si lasciò intimidire: lo colpì colle corna, cogli zoccoli, con tutto il proprio peso, troppo rapidamente perché Nidoking potesse scacciarlo colle tozze braccia robuste... la furia incalzante del suo attacco fu tale da sbilanciarlo e farlo indietreggiare verso Agatha, spazzando rabbiosamente il terreno con la lunga coda e tentando di appoggiarvisi per non cadere.

Quando finalmente Tauros abbandonò il suo attacco serrato e tornò sulle quattro zampe, era evidente che Nidoking aveva incassato il colpo dal modo in cui vacillava. Ruggì minacciosamente, ma di un ruggito fiacco e affaticato, e per un attimo piegò faticosamente un ginocchio per appoggiarsi al suolo.

Agatha era incupita e corrucciata: scrutava la battaglia col volto scuro e il respiro trattenuto.

«Nidoking, usa Tossina!»

«Ti piace proprio questa mossa, non è vero?» esclamò Samuel, parzialmente divertito: ora che Tauros pareva aver rimontato, si sentiva assai più disposto a scherzare.

Dalla bocca di Nidoking eruttò un fiotto di veleno scuro e repellente, ma Tauros riuscì ad allontanarsi di scatto dalla sua traiettoria e appena qualche spruzzo colpì i suoi zoccoli. Era il momento: Samuel sentiva ormai di avere la vittoria in pugno.

«Tauros, Terremoto!»

La terra cominciò a tremare sotto gli zoccoli di Tauros, tanto violentemente che persino Samuel, pur trovandosi a qualche metro da lui, ne sentì le vibrazioni sotto i piedi e Agatha, ben più vicina di lui ai due combattenti, parve vacillare.

Per un tempo che a Samuel parve interminabile, Nidoking lottò disperatamente per mantenersi in piedi, ruggendo di dolore e di sgomento e battendo al suolo la lunga coda nel tentativo di reagire a quelle scosse. Ma poi vi fu una vibrazione più forte, le sue zampe incespicarono: per un istante incredibilmente lungo, Nidoking oscillò su se stesso prima di cadere al suolo con un rombo secco che echeggiò contro le pareti delle montagne che li circondavano.

Al violento tremito di Nidoking che cadeva al suolo, Samuel strinse silenziosamente il pugno in un gesto di discreto trionfo. Dignitosamente contrariata, Agatha si limitò tuttavia a richiamare il suo Pokémon nella sfera senza una parola.

Un coro di esclamazioni di ammirazione e di scherno, non troppo chiaramente distinte tra loro, si levò rumorosamente dal loro pubblico, ma Samuel li ignorò come al solito. Si precipitò verso Tauros, che ancora rimaneva in piedi quasi per miracolo, e affondò affettuosamente le dita nella folta pelliccia scura che gli copriva il petto e le spalle.

«Sei stato bravissimo» mormorò al suo orecchio. Gli accarezzò il muso, là dove il crine era più corto e ruvido, e sentì che la sua pelle era madida di sudore. «Ti ringrazio, mio caro. Tutti voi siete stati bravissimi.»

Ma quando sollevò il capo per ringraziare la sua avversaria e farle i complimenti, all'improvviso si rese conto che Agatha era scomparsa.



«Posso sapere il tuo nome?» gli chiese senza preavviso una dura voce di donna, cogliendolo di sorpresa mentre stava leggendo il giornale.

Quando Samuel alzò lo sguardo, vide che Agatha lo stava fissando con sguardo accigliato, appoggiandosi al tavolo della caffetteria dove lui stava facendo colazione. I suoi capelli erano ora di nuovo puliti e sciolti, distesi in una massa voluminosa sulle spalle e la schiena. Era davvero carina, constatò Samuel chiudendo il giornale con un sospiro, malgrado il suo sguardo truce e l'arroganza con cui si appoggiava al bordo del tavolo.

Inutile dire che non si era aspettato di vederla quel giorno: per quanto l'avesse cercata per tutto il pianterreno, il giorno precedente, non gli era stato possibile trovarla da nessuna parte. Aveva cercato di ignorare un vago senso di rimpianto alla bocca dello stomaco e di non prendersela, ripetendosi che, dopotutto, le ragazze erano fatte così, ma ora che la vedeva, era evidente che proprio come lui anche Agatha doveva aver dormito lassù per far curare i propri Pokémon durante la notte: discendere dall'Altopiano Blu senza Pokémon in grado di lottare sarebbe stato semplicemente un suicidio. Egli stesso aveva dovuto rimandare la discesa per lo stesso motivo: Charizard e Gyarados da soli sarebbero stati probabilmente in grado di scortarlo fino a Smeraldopoli, ma in ogni caso era impensabile camminare per ore con Exeggutor e Arcanine in quelle condizioni, per quanto chiusi nelle sfere.

«Prego?» chiese Samuel abbassando lentamente il giornale per osservarla a proprio agio.

«Posso sapere il tuo nome?» ripeté Agatha spazientita, aumentando nervosamente la presa sul bordo del tavolo. Samuel sorrise appena, distogliendo per un attimo il volto da lei: come aveva supposto fin dal primo momento, quella ragazza doveva avere un bel caratterino.

«Samuel Oak» disse infine, porgendole la mano. «Mentre tu sei...?»

«Agatha» rispose la ragazza in tono di sufficienza, ricambiando la sua stretta. «Ti ringrazio.» Dopodiché si voltò e fece decisamente per andarsene, senza un'altra parola di commiato.

«Aspetta, aspetta» esclamò Samuel accennandole di fermarsi. «Ieri sei scappata in fretta e non ci siamo neppure presentati. Ora per quale motivo vuoi sapere il mio nome?»

«Sarei forse dovuta restare più a lungo assieme a quegli ignoranti?» replicò Agatha con alta voce alterata, trattenendosi accanto al tavolo quasi con disgusto. «In ogni caso, volevo solo avere la possibilità di poterti chiedere la rivincita, tra qualche tempo. Mi sembra ovvio.»

Tanto ovvio non era, a dire il vero: la maggior parte degli allenatori temeva troppo una seconda batosta per chiedere una rivincita a un avversario... ma ciò che colpì Samuel fu la prima parte della sua affermazione stizzosa e d'un tratto, ripensando al giorno precedente, gli dispiacque quasi di aver vinto. Certo, egli l'aveva trattata alla stregua di un qualsiasi avversario, e per la verità era ben consapevole di aver vinto con un margine decisamente ristretto e in buona parte grazie alla fortuna: se solo l'ultima Tossina di Nidoking fosse andata a buon segno o se il Terremoto di Tauros fosse stato appena un poco più debole, molto probabilmente egli avrebbe perso. Tuttavia, Agatha non doveva vederla allo stesso modo: tutta la sua bravura, la sua strategia non avevano alcun significato per quegli allenatori che l'avevano vista perdere come una ragazzina qualunque. A quel pensiero, Samuel si sentì un po' in colpa: aveva vissuto quella sfida come una delle tante e non avrebbe mai voluto umiliarla... sì, ma come dirglielo senza mortificare ancor più il suo orgoglio?

«Certo» rispose con una lieve esitazione. «Spero che ci incontreremo di nuovo alla Lega.»

«Splendido» concluse freddamente Agatha, allontanandosi con decisione dal tavolo.

Era la sua ultima, la sua unica occasione per chiederle scusa, in qualche modo. Quasi istintivamente Samuel balzò in piedi e la superò in poche ampie falcate, tagliandole la strada: la ragazza si fermò quasi esasperata. «Sì?»

«Volevo solo dirti che sei stata davvero brava» disse in fretta Samuel. «E anche che... insomma... per me non era nulla di personale, se questo può cambiare le cose tra noi. Spero che tu non ce l'abbia con me.»

«Nulla di personale?» ripeté Agatha incrociando le braccia. Ora che Samuel la vedeva da vicino, notò che i suoi occhi erano notevolmente grandi, neri e liquidi, con un taglio particolare che dava loro una sorprendente dolcezza malgrado l'espressione altera. «Cosa vuoi dire?»

«Voglio solo dire che non ti ho sfidata perché non credevo nella tua forza a causa del tuo sesso» spiegò. Si sentiva profondamente stupido, eppure sentiva di doverle almeno quelle parole. «Tutto qui. Per me è stata una bella sfida e vorrei che potessimo ricordarla senza rancore.»

Per qualche secondo, egli temette che Agatha lo avrebbe schiaffeggiato: l'espressione dei suoi occhi era imperscrutabile. Del resto, era trascorso molto tempo dall'ultima volta che aveva parlato con una ragazza e in questo genere di cose doveva confessarsi un po' impacciato: il mondo dell'allenamento era un mondo quasi interamente maschile, un mondo immediato e trasparente dove una pacca sulla spalla significava senza rancore, eh e un pugno in faccia esattamente l'opposto, mentre per quanto ne sapeva lui, con le ragazze la faccenda era più complicata – quando si parlava con una ragazza, chi poteva dire se voleva dire oppure no?

Finalmente, dopo un tempo che a lui parve infinito, l'espressione di Agatha parve alleggerirsi un poco e le sue dita bianche, che affondavano nella stoffa del suo golfino sulle braccia in modo quasi minaccioso, si rilassarono un po'. «Oh. Capisco.» Esitò un istante, vagando con lo sguardo tutto attorno come a cercare le parole, e disse con voce improvvisamente incerta, come se fosse la prima volta che diceva una cosa del genere: «No, non ce l'ho con te. Sei stato molto... uhm, molto bravo. Anche se personalmente non apprezzo le strategie passivo-difensive.»

In quel momento, a Samuel venne in mente che come lui non era molto abituato a parlare con delle ragazze, allo stesso modo ad Agatha poteva capitare assai di rado di parlare con degli allenatori, e in effetti, se tutti si comportavano come quelli che le aveva visto attorno fino ad allora, interessati solo a deriderla o a provarci o entrambe le cose, egli non poteva biasimarla... per quanto, evidentemente, col suo carattere ella non facesse nulla per rendersi le cose più facili. Ma a differenza sua, Samuel aveva ogni giorno la possibilità di confrontarsi con qualche allenatore del suo sesso, qualcuno con cui la comunicazione fosse facile e immediata e istintiva, mentre di certo Agatha non poteva aver incontrato molte allenatrici sul proprio cammino... con ogni probabilità, doveva essere una ragazza molto sola.

«Allora... senza rancore eh?» chiese porgendole la mano. «Dai, vieni a sederti con me. Visto che non è l'ora adatta per una birra ti offro un caffè, vuoi?»

Questa volta, Agatha studiò il suo gesto con occhi incerti e perplessi, prima di stringere la sua mano senza la benché minima convinzione. Sì, concluse Samuel con una fitta lievissima di dispiacere e, forse, di rimorso: doveva essere davvero piuttosto solitaria per non conoscere quell'usanza che era la prima e più spontanea degli scontri di Pokémon, quella di bere assieme a battaglia finita. Chissà fino a che punto era lei a evitare gli uomini e quanto invece gli uomini a scansare lei; fino a che punto il suo carattere acido fosse in lei naturale e quanto invece fosse una reazione alle derisioni e all'isolamento...

Pochi minuti dopo, davanti a una colazione calda ai due lati opposti del tavolo (per Samuel si trattava della seconda colazione, ma questo non costituiva di certo un problema), egli ebbe finalmente modo di osservarla a suo agio, discretamente, e intavolare una conversazione. A suo modo, Agatha lo incuriosiva terribilmente, forse proprio perché era a prima vera allenatrice che avesse mai conosciuto.

«Allora...» cominciò schiarendosi la voce. «Ti piace il tipo Veleno, eh?»

«L'hai notato?» chiese Agatha con un lieve moto di stupore, mescolando lentamente un caffè amaro. «Non molti ci fanno caso. Comunque, sì. È il mio tipo preferito.»

«I tipi dei Pokémon sono la mia specialità» disse Samuel, sperando di non apparire troppo presuntuoso. «In generale tutto ciò che li riguarda mi affascina, è una mia passione. Spero anche di farne un lavoro, un giorno.»

«Un lavoro?» ripeté Agatha sorpresa. Bevve un lento sorso di caffè. «Lo studio dei Pokémon?»

Samuel annuì. «Esattamente, ci sono moltissime cose ancora tutte da scoprire al riguardo, anche se non sembra. Come nascono, da dove vengono... cose del genere.»

Prima che Agatha facesse in tempo a rispondere alcunché, una forte voce maschile da qualche parte alle sue spalle tuonò: «Ehi, Agatha!»

Samuel si sollevò leggermente per cercare di vedere oltre la sua testa chi avesse parlato; davanti a lui, Agatha si voltò sulla sedia ed egli la sentì dire: «Oddio.» Solo dopo qualche istante, quando finalmente vide delinearsi tra la folla un fisico tarchiato e muscolare e un paio di spalle già ustionate dal sole della primavera appena iniziata, Samuel comprese il motivo del suo sconforto. Era Jake Waters, il ragazzo della scommessa di Fucsiapoli.

«Allora, Agatha» esclamò Jake, irrompendo letteralmente tra loro e appoggiandosi al tavolo quasi con tutto il proprio peso. Sembrava irradiare eccitazione da tutti i pori. Guardandolo, Samuel non poté fare a meno di chedersi se sul suo corpo il clima fosse diverso rispetto al resto della regione – non gli sembrava ancora così caldo da indossare solo pantaloni corti e canottiera, in particolar modo a quell'altitudine, e non capiva come potesse essersi provocato quegli arrossamenti sulle guance e sul naso. «Ce l'abbiamo fatta, eh? Siamo sull'Altopiano Blu!»

«Jake» disse Agatha a bassa voce. «Che sorpresa incantevole.» Il suo tono era tanto gelido che avrebbe ucciso l'entusiasmo di chiunque, ma il sorriso di Jake non si rimpicciolì minimamente. Parve accorgersi anche di lui in quel momento.

«Ehi, mi ricordo di te! A Fucsiapoli, la sera della scommessa. Barry, giusto?»

Infrangere la sua convinzione era quasi un peccato. «Beh... non proprio. Samuel.»

Jake schioccò le dita scoppiando a ridere. «Giusto, Samuel! Scusami, sai, ma con tutti quei nomi sulla lista...»

«Sei arrivato oggi?» chiese Samuel, sforzandosi di comportarsi civilmente. Agatha stava sorseggiando il suo caffè con sguardo tanto truce che chiunque, se avesse pensato di esserne la causa, si sarebbe defilato il più in fretta possibile, ma Jake non se n'era accorto o non gli importava.

«Giusto mezz'ora fa. Ho già completato le iscrizioni e ora mi sto riposando... e magari cerco qualcuno con cui fare un po' di riscaldamento. Qualcuno di voi è interessato?» s'informò rapidamente, volgendo lo sguardo su di loro.

Il silenzio scontroso di Agatha era quasi imbarazzante. Samuel decise di prendersi la libertà di rispondere anche per lei.

«Ti ringrazio, ma i nostri Pokémon sono a riposo adesso. Ieri abbiamo lottato.»

«Ah, allora siete voi i due che si sono sfidati, ieri!» esclamò Jake. Preso dalla conversazione – anche se a Samuel non sembrava che né lui né Agatha stessero facendo particolari sforzi per renderla viva e interessante- prese una sedia da un tavolo vuoto e l'accostò a sé per sedersi con loro. «Ho sentito dei ragazzi laggiù che ne parlavano. Beh, chi ha vinto?»

Questa volta, evidentemente scocciata, Agatha aprì la bocca per rispondere, ma Samuel la precedette istintivamente. «Una sorta di pareggio, direi.»

«Ah, capisco» rispose Jake, cui del resto sembrava non importare poi molto. Tamburellò con le dita sul tavolo. «Beh, se siete qui da ieri vi sarete già iscritti. Ora che progetti avete in attesa che inizi il Torneo?»

Per qualche strano motivo, Samuel e Agatha si scambiarono uno sguardo al di sopra del tavolo, probabilmente perché entrambi, dal tono che Jake aveva usato, avevano capito che egli pensava che avessero un progetto condiviso. Samuel non era sicuro di cosa fosse meglio rispondere o fargli credere: Jake non gli stava decisamente antipatico, dato che lo conosceva così poco, ma non voleva rischiare di trovarsi coinvolto in un qualche allenamento a tre.

«Nulla di preciso» rispose ruvidamente Agatha, con un tono tanto secco da rendere superflua qualsiasi altra risposta, e Samuel si limitò a unirsi a lei annuendo.

«Meglio così» esclamò Jake, come se non avesse atteso altro che quella risposta. «Io e altri ragazzi stavamo organizzando una settimana di allenamento intensivo alle Isole Spumarine in vista del Torneo, tanto per fare amicizia e studiare un po' di strategie alternative. Dal dodici al diciannove maggio. Che ne dite, eh? Siete dei nostri?»

Sul tavolo calò il silenzio. Samuel gettò un'occhiata ad Agatha e si sentì un poco rassicurato al ricevere da lei uno sguardo incredulo in risposta. Senza una parola, era certo che entrambi stessero pensando a quali e quante ridicoli iniziative quel ragazzo amasse organizzare.

«Sarei l'unica ragazza» disse in fretta Agatha, levando le mani in segno di resa. «Non starebbe bene.»

Jake parve colpito dall'idea solo in quel momento. Le scoccò uno sguardo dispiaciuto. «Hai ragione, in effetti. Sarebbe inappropriato» ammise, prima di rivolgersi di nuovo a Samuel con aria fiduciosa. «Beh, non ha altri impegni, vero? Sarai dei nostri?»

Samuel annaspò per qualche attimo alla ricerca di una buona scusa: sapeva che Jake glielo stava proponendo in buona fede e gli dispiaceva mortificare la sua offerta con un rifiuto immotivato. In mancanza di meglio, stava per affermare nel modo più convincente possibile che era troppo abituato ad allenarsi da solo, quando Agatha disse improvvisamente: «Samuel ha promesso di allenarsi con me. Non è vero?»

Samuel si augurò che Jake non notasse il sollievo che si era dipinto nei suoi occhi. Si affrettò ad annuire con un improvviso moto di gratitudine nei confronti di Agatha, guardando Jake con espressione profondamente rammaricata. «Esattamente... ho promesso, ormai. Mi dispiace.»

«Oh.. capisco» concluse Jake, prolungando tanto quell'oh e scrutandolo con tale fissità da rendere chiaro che aveva capito molto più di quanto ci fosse da capire. Gli gettò un sorriso ammiccante prima di alzarsi dalla sedia quasi bruscamente, come se all'improvviso la sentisse bruciare. «Beh, in tal caso, non vorrei disturbarvi. Se doveste decidere di unirvi a noi solo per una giornata, sapete dove trovarci, va bene?»

«Grazie, Jake» disse finalmente Agatha con un sorriso luminoso, evidentemente sollevata e impaziente all'idea di toglierselo di torno. «Se decideremo, verremo direttamente lì.»

Di fronte all'evidenza di quel congedo, persino l'insistente presenza di Jake finì per allontanarsi attraverso la mensa. Agatha attese che l'eco del suo passo pesante fosse ben lontana prima di chinarsi verso di lui sul tavolino, spingendo via la propria tazzina ormai vuota. I suoi capelli spiovvero attorno al suo volto, giunsero a sfiorare i dorsi delle sue mani bianche appoggiate sul piano. «Spero che non ti sia dispiaciuto. Mi sembravi... in difficoltà.»

«Ti dico una cosa.» Samuel si sporse a sua volta in avanti e accostò discretamente il volto al suo per parlarle all'orecchio con aria di segretezza. La ragazza s'irrigidì appena, ma non si allontanò da lui. «Mi hai salvato.»

Agatha rise.





Buonasera a tutti!

Questo capitolo è stato per me incredibilmente impegnativo, principalmente a causa della scena di lotta. Nelle mie precedenti fanfiction ho sempre evitato di descrivere le sfide di Pokémon, ma sto disperatamente cercando di migliorare sotto vari aspetti e, visto che questa storia dovrebbe essere più di avventura rispetto alle altre, ho deciso d'impegnarmi molto. Sono perfettamente consapevole che questa non è la squadra di Agatha nei videogiochi, ma non temete: col progredire dei capitoli tutto si chiarirà. La squadra di Samuel è invece quella che avrebbe dovuto avere il Professor Oak nei videogiochi se avessero inserito questa lotta – le mosse sono una mia scelta, ma spero che mi si possa perdonare questa libertà.

Sarei molto contenta di sapere che ne pensate della battaglia, proprio perché è la prima che descrivo. È troppo lunga, troppo noiosa? Semplicemente orrenda?

Un ringraziamento e un bacio enorme a Mad_Dragon e a crystal_93 per le loro recensioni, mi hanno fatto davvero piacere!

Afaneia




   
 
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