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Autore: Colli58    22/02/2015    5 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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I benefici di un’ottima serata di sesso erano generalmente sottovalutati, se si escludeva l’opinione di Lanie: lei ne era una gran sostenitrice. Prima che Rick entrasse nella sua vita, Lanie l’aveva spesso esortata a buttarsi in una relazione anche solo carnale per i benefici fisici che ne derivavano. Non l’avrebbe mai ammesso, ma Lanie aveva sempre avuto ragione. La sera precedente Rick stesso aveva messo in pratica quella sua speciale abilità nel mandarla fuori giri. Eh sì, era bravo eccome.
A quel pensiero Kate sorrise furba mordendosi un labbro. Indubbiamente le avrebbe fatto piacere avere anche le forze necessarie per essere più partecipe e ricambiare l’entusiasmo con cui Rick si era prodigato a renderla la donna rilassata che sentiva di essere quella mattina. Ma lui non aveva chiesto nulla in cambio, dedicandole attenzioni fino a che non era crollata. Non si ricordava nemmeno quando, ma era sicura che fosse ancora aggrappata a lui, mentre la stava accarezzando dolcemente. Si ricordava con nitidezza le mani calde e il torpore che era sopraggiunto dopo il piacere. Era rimasta per il resto della notte solo una donna, coccolata dal suo uomo come aveva chiesto a Rick. Era anche un po’ sorpresa di sé stessa, della reazione appassionata con cui gli aveva parlato. In fondo non era mai stato il suo forte essere comunicativa, quello era il pezzo forte di Rick. Lui però l’aveva cambiata nel tempo. In due anni di vita matrimoniale non si era mai annoiata e non aveva avuto dubbi o ripensamenti. Rick si era dimostrato sempre amorevole, l’uomo che desiderava, con i suoi difetti che adorava allo stesso modo dei suoi pregi. E lei aveva riacquistato la libertà di essere semplicemente una donna, riuscendo ad aprirsi e ad essere sé stessa, mantenendo un ottimo equilibrio con il suo essere un poliziotto. Una volta lui, scherzando, l’aveva definita come un foglio di cotone da un lato e carta vetrata dall’altro.
La sera prima era rimasto presente solo il lato cotone. La maternità imminente la stava ammorbidendo molto, soprattutto nel suo bisogno di stare accanto a Rick. Negare che la possibilità di un suo allontanamento dal distretto la rendesse triste era impossibile. Aveva anche fatto un passo avanti, magari prematuro chiedendogli del suo passato con Meredith ma, in un susseguirsi di pensieri e azioni, Rick aveva dimostrato di volere non solo il meglio per il suo futuro e per la sua carriera, allo stesso tempo voleva impegnarsi con lei a occuparsi del loro bambino dandole lo spazio necessario per restare al passo.
Non aveva nemmeno messo in dubbio la cosa e lei sentiva che non fosse giusto del tutto.
In passato aveva accettato l’FBI e Washington. Aveva vissuto ogni cosa dandole lo spazio, tempo, possibilità e opportunità.
Però Rick era uno scrittore di successo e aveva anch’esso bisogno dei suoi tempi, della sua ispirazione e perché no, delle follie fatte insieme durante le indagini. L’ultima cosa che desiderava era di ingabbiarlo in un ruolo paterno come aveva fatto Meredith in passato, in nome della propria carriera, annichilendo la sua persona, il suo essere scrittore che lei amava allo stesso modo dell’uomo.
Di quello che sapeva e aveva capito sul suo divorzio e dell’aver cresciuto Alexis da solo, era che Rick nascondeva il lato difficile di ciò che aveva vissuto. Parlava dei momenti felici, ma era ben conscia che non c’erano stati solo quelli. Non parlava mai della sofferenza e della paura di non essere all’altezza. Di quello se n’era accorta dalle fotografie dei suoi svariati album. Nei suo occhi azzurri c’erano anche smarrimento e ansia, vividi tanto che lei si era sentita in colpa per qualcosa che nemmeno aveva fatto. Ma era certa di non voler fare.
Magari stavolta sarebbe stato più spavaldo, però lei non voleva commettere un errore del genere. La sua vena egoistica aveva scelto la maternità prima ancora di parlarne con lui che l’aveva accolta nel migliore dei modi, senza nemmeno recriminare sul fatto che non ne avessero parlato, almeno non di recente se non si andava indietro di qualche anno fino ad arrivare al caso del piccolo Cosmo.
In ogni modo lei avrebbe voluto andare a fondo, per vivere quel periodo in modo sereno, per entrambi la serenità era importante e Rick, da attento osservatore qual’era, non mancava di trovare modi per farla stare bene. Come quella notte, nonostante fosse stanco e assonnato, l’aveva voluta accontentare ascoltandola con attenzione e poi aveva fatto in modo che nessun altro pensiero si mettesse tra loro, nell’intimità della loro camera da letto.
Così quella mattina si era alzata senza il panico della mattina precedente per l’insorgere delle nausee. Rick invece si era rotolato un po’ nelle lenzuola piagnucolando come suo solito durante le levatacce, lo aveva lasciato tranquillo perché si meritava ben di più di qualche minuto a poltrire nel letto. Le endorfine ancora in moto nel suo corpo le stavano calmando i conati. Aveva vomitato soltanto una volta, la crisi era stata meno intensa, ma dopo si era presa un antiemetico così che la colazione reggesse nello stomaco abbastanza tempo per essere digerita, per darle le energie necessarie ad affrontare l’essere che aveva di fronte. Un uomo crudele, freddo e con un’espressione di disgusto stampata in viso.
Un volto così trasudava colpevolezza anche senza interrogatorio, torchiarlo era il minimo.
L’avevano trovato nella zona dell’aeroporto, in un motel di terz’ordine, in tasca un biglietto aereo per Las Vegas. Magari voleva solo farsi un week end di scintille. Oppure qualcuno lo aveva avvertito di levare le tende della città, perché in fondo per il gioco d’azzardo bastava Atlantic City. La sua macchina era stata trovata nel parcheggio di uno sfasciacarrozze poco distante dalla sua abitazione. Non era ancora stata fatta sparire probabilmente grazie a qualche errore di valutazione sulla capacità della polizia di scovare indizi.  La scientifica stava passando al setaccio ogni centimetro di quel mezzo. Avevano trovato tracce di terriccio e anche di sangue.
Se avessero trovato la corrispondenza esatta con il dna di Frederick il – simpatico - signor Molnhar sarebbe stato spedito al fresco.
Era anche chiaro che non era lui il mandante, lui era solo il sicario. Sarebbe stato difficile dimostrare la colpevolezza di Bass, ma dubitare che non ci fosse un nesso tra loro era ormai impossibile.
Era già stata a trovare il signor Bass. Un uomo non meno meschino di Keeler.
Lei e Castle ci erano andati di prima mattina, portando con sé le copie delle fotografie. Il politico aveva messo su la sua miglior faccia da poker, inscenando una curiosa reazione, stizzita e disgustata. Le illazioni sul fatto che le fotografie fossero fasulle se l’erano aspettate, ovviamente prima di fare domande in merito erano state analizzate dalla scientifica ed erano risultate originali. Nessun ritocco, nessuna modifica fatta attraverso sistemi informatici.
Bass dall’alto della sua boria non aveva abboccato al loro tentativo di farlo mettere a disagio. In realtà né lei né Castle avevano mai avuto dubbi sul fatto che quella visita fosse solo un atto dovuto e non avrebbe spaventato il sospettato, il quale aveva sfoggiato subito una serie di classiche recriminazioni: avvocati e diffamazione. Lei stessa lo aveva redarguito sul fatto che semplicemente volevano conoscere i rapporti con cui i due uomini stavano. Niente di più che un semplice chiarimento, e sul perché Frederick deteneva quelle foto. A sua discolpa Howard Bass aveva asserito che Frederick lo aveva contattato sì, ma per chiedergli aiuto nei rapporti con il padre. Sembrava piuttosto informato della loro differenza di vedute. Lui stesso non approvava così non lo aveva aiutato. Riguardo alle foto non aveva nemmeno idea della loro esistenza. Mentiva, indubbiamente, ma non c’erano prove tangibili.
Bastava una mail di richiesta, una telefonata registrata a provare la sua implicazione. Frederick ingenuamente non aveva previsto la ferocia con cui tutto si sarebbe rivoltato contro di lui.
Castle aveva esordito con una risata sarcastica ed era stato quasi buttato fuori dall’ufficio di Bass con le cattive. Solo il distintivo del dipartimento di polizia, che Kate aveva sfoggiato, lo aveva salvato.
Il politico non sembrava intimidito, non sarebbe cascato in un tranello da poco, facendo telefonate scomode dopo la loro uscita di scena. Una vecchia volpe non si prende con poco.
La sua spocchia aveva reso ombroso Castle, che si era in qualche modo sentito in dovere di sottolineare come la crudeltà di due uomini come lui e Keeler avevano portato alla morte prematura di un ragazzo. Una presa di posizione che era pura facciata, come li aveva definiti? Sepolcri imbiancati?
Aveva dovuto trascinare Castle via con sé prima che Bass lo facesse pestare. Sarebbe stato un ottimo modo per dimostrare pubblicamente il suo lato oscuro e il suo scarso rispetto per le opinioni altrui, ma teneva troppo alla salute di suo marito per poterglielo permettere.
Kate lesse velocemente il fascicolo sul loro principale indiziato, non prima di aver rivolto uno sguardo e un sorriso complice a Rick che se ne stava seduto con ritrovata calma alla sua scrivania, leggendo voracemente tutto il materiale reperito. Rientrando al distretto aveva parlato delle implicazioni del caso, divagando sulle possibilità. Stava cercando mentalmente un appiglio, qualcosa per trovare il proverbiale ago nel pagliaio.
In quel momento pensare che Bass ne fosse fuori completamente era impossibile.
Castle le aveva detto che probabilmente non avrebbero vinto. Lo aveva detto senza la solita spavalderia, consapevole che qualsiasi risultato avessero raggiunto, la verità non sarebbe venuta a galla del tutto.
Anche lei lo pensava, sapeva già come funzionava quel mondo. Ma entrambi erano determinati a provare, a cercare quel punto debole che avrebbe fatto crollare l’intero bastione.
Uno dei possibili tasselli era proprio davanti a lei.
Dimitri Molnhar era un’altra bestia senza scrupoli come il suo compagno d’armi Orvak.
Niente riusciva a farle uscire dalla mente la convinzione che i due avessero lavorato in coppia.
Molnhar apparentemente lavorava per un’impresa di noleggio auto, ma quella non era una macchina qualunque, aveva usato la sua berlina, la macchina che normalmente usava quotidianamente al lavoro.
Le circostanze dimostravano poco, ma se l’uomo era privo di alibi, allora forse l’avrebbero inchiodato.
Se aveva un alibi, allora doveva ben sapere chi fosse a guidare l’auto la sera dell’omicidio.
Le sue finanze erano state passate al vaglio, pagamenti non del tutto chiari rendevano il comportamento dell’uomo già sospetto. La provenienza era varia, si trattava di agenzie recupero crediti per una piccola parte e per la fetta più sostanziosa da diverse società finanziarie. Agenzie di transazioni finanziarie e di speculazione assicurativa. Per risalire ai veri mandati di pagamento la ricerca sarebbe durata al lungo. Però quello era un ottimo specchietto: Molnhar era un sicario e quelle transazioni erano possibili pagamenti per il lavoro svolto.
Era anche un evasore fiscale. Alla peggio la soluzione -Al Capone- poteva funzionare per tenerlo dentro, ma non era quello il suo obiettivo.
Kate si morse le labbra concentrandosi. Non lo avrebbe certo spaventato. Ma doveva almeno studiare le sue reazioni. Si voltò e si avviò alla sua scrivania.
“Vieni?” Chiese a Castle che salto dalla sua sedia logora con una certa rapidità un sorriso sghembo stampato in viso.
“Facciamolo nero.” Esclamò divertito.
Lei scosse il capo e scambiò con Ryan uno sguardo di comprensione.
Girò sui tacchi e si avviò alla saletta interrogatori.
Quando entrarono, Castle rimase in silenzio come Kate. Sedette al tavolo e attese che lei facesse la sua mossa. Era un uomo preparato dalla crudeltà della guerra e dalla ferocia di un popolo che aveva visto compiere carneficine e violenze quindi difficilmente impressionabile. Castle osservò con attenzione la sua espressione sprezzante e disgustata.
Kate mise sul tavolo la foto della berlina nera presa dal video della sorveglianza dell’Atlantis.
Lui la degnò di un solo fugace sguardo, poi lo rialzò per guardare Beckett.
“Signor Molhnar, questa è la sua macchina?”
L’uomo tentennò. Non emise fiato e Castle puntò i suoi occhi con attenzione. Erano le piccole reazioni a contraddistinguere l’emotività di un uomo freddo come quello.
Kate proseguì chiedendo della sera del delitto. Se avesse un alibi.
Molhanr si prese tutto il tempo per rispondere.
“Ero a casa, non ero di turno quella sera.” Rispose con un marcato accento dell’est.
“C’era qualcuno con lei o qualcuno che possa provarcelo?” Kate stava facendo le domande di rito.
L’uomo negò.
“Allora perché la sua macchina si trovava all’una presso il locale Atlantis, ad Alphabet City?”
L’uomo alzò le spalle negando. “Me l’hanno rubata.”
“Ma non ha denunciato il furto.” Incalzò Kate. L’uomo la guardò con freddezza.
“Era una macchina da buttare. Non valeva la pena…” Replicò serafico.
“Quindi il ladro ha pensato di farle un favore portandola da Joggler, lo sfasciacarrozze che dista un paio isolati da casa sua…”
Castle osservò la reazione di sorpresa repentina negli occhi di Molnhar, qualcosa di fugace che però non ebbe ripercussioni sulla sua flemma. Allungò una mano sotto il tavolo e toccò leggermente la gamba di Kate.
Un invito a continuare su quella strada. Lei si voltò appena ad osservarlo e lui annuì.
“Così lei se ne stava a casa da solo, mentre le rubavano una macchina e dopo aver commesso un omicidio a una decina di km di distanza, gliela portavano giusto dietro casa per demolirla…”
“Qualcuno ha il senso dell’umorismo.” Rispose senza una smorfia né un sorriso.
Kate sorrise. Puntò gli occhi nei suoi.
“Le farò il punto e poi vedrà quanto umorismo ho io.” Disse.
“Non ha un alibi per la notte in cui è stato commesso l’omicidio di Frederick Keeler. La macchina di sua proprietà è stata vista fermarsi presso un locale denominato Suprema, poi è ripartita seguendo il taxi su cui era salita la vittima. Il taxista ha rilasciato una dichiarazione in cui il suo cliente è sceso e salito su un auto che corrisponde alla sua. Dopo poco, ha raggiunto un altro locale, l’Atlantis.” Indicò una foto presa dal controllo del traffico, la targa nitida mentre svoltava verso il parcheggio del locale. Poi indicò la foto della stessa berlina che entrava nel parcheggio e andava a nascondersi dietro al container dei detriti.
“Il locale è chiuso per lavori, un cantiere dove nessuno avrebbe potuto sentire qualcosa...” Puntualizzò Castle.
“Sulla sua macchina sono state trovate tracce di dna della vittima… Il ragazzo che lei ha massacrato di botte e buttato in una vasca per pesci, per conto di chi?” Kate lo guardò fisso e Molnhar non reagì.
“Qualcuno le ha pagato un bel gruzzolo che l’aspetta a Las Vegas, non è così?
Castle osservò un'altra fugace reazione dell’uomo. Un guizzo della mascella. Kate sorrise al suo nuovo tocco.
“Sappiamo come funziona. Un viaggio a Las Vegas o a Reno. E lei torna con una bella vincita a poker? Lei è uno con la faccia da poker, ma scommetto che se giocassimo tra noi potrebbe non essere così bravo.” Buttò lì Castle con nonchalance, giocherellando con una penna.
“Un buon modo per pulire soldi. Un classico.” Incalzò Beckett con un’aria decisa. Il suo sorriso era duro e aveva qualcosa di feroce.
“E poi signor Molhnar, lei non ha nemmeno chiesto perché si trova qui!” Replicò Castle con uno sguardo dubbioso. “Lo sapeva già immagino. Gliel’hanno detto?” Disse infine Kate.
“Io non ho fatto niente.” Replicò Molnhar sporgendosi in avanti. “Voi americani fate sempre troppe domande. Noi non siamo tanto curiosi.” Dichiarò tornando a sedere.
Castle provò a fare di più.
“Forse, ma non ha nemmeno fatto obiezioni sul conoscere o meno la vittima.”
“Non so chi sia questa persona. Voglio un avvocato.”
“Abbiamo alcune prove che dicono il contrario. Se non ci dice come stanno le cose veramente lei non ha via di uscita.” Kate tamburellò le dita sul fascicolo aperto.
In realtà aveva bleffato un po’, calcando la mano su risultati che ancora non aveva, ma doveva farlo.
Mise davanti a Molnhar la foto di Frederick Keeler, ma non si ritrasse. La morte faceva parte della sua vita da molto. Un cadavere in più o in meno non faceva differenza.
“No? Proprio niente?” Di nuovo Beckett avvicinò a Molnhar la foto. Lasciò che passassero altri minuti.
“In che rapporti sta con il signor Zed Orvak?” Chiese quindi cambiando linea di attacco.
L’uomo negò con il capo. “Non lo conosco.”
Kate guardò Castle e lui fece una smorfia.
“Ma davvero pensa che non sappiamo che eravate commilitoni ed è stato lui a trovarle il lavoro che svolge ora?” Kate si spostò indietro sulla sedia e osservò attentamente l’uomo privo di difese.
Non aveva apparentemente alibi. Negava l’evidenza. O era davvero uno sprovveduto oppure era disposto a coprire ogni traccia.”
Molnhar scosse il capo. “E’ stato in passato. Un’altra vita.”
“Orvak le ha passato un contatto? Le ha passato un lavoro che non poteva fare lui stesso. Quando l’ha chiamata?”
Dalla vetrata a specchio Ryan ed Esposito osservavano la scena accanto all’agente Brady.
Esposito aveva lanciato a Ryan uno sguardo interrogativo ma lui aveva fatto spallucce. Che cosa avesse da osservare non lo sapevano, Brady era al distretto per il caso di Denver, ma sembrava interessato all’operato dei coniugi Castle osservando Beckett con interesse. Lo guardò perplesso.
“C’è qualcosa che non va?” Domandò quindi a Brady indicando la collega.
“Quando fa così di solito li inchioda tutti.” Spiegò. Brady si limitò ad annuire senza togliere gli occhi dal vetro.
Esposito fece segno a Ryan di averci provato e l’amico gli restituì un’occhiata storta.
Ryan decise quindi di tornare a fare ricerche. Avevano già raccolto dati come lei aveva voluto anche grazie ad alcuni colleghi della squadra di Johnson. La morte di Lopez li aveva uniti maggiormente e l’aiuto offerto dalla squadra di Beckett aveva ricevuto una gradita ricompensa con una mano in più nel fare ricerche sul caso Keeler.
Con l’aiuto dei colleghi avevano fatto un giro di chiamate con gli alberghi di Las Vegas. Ci era voluta tutta la mattina ma un colpo di fortuna li aveva indirizzati bene, scoprendo che Molnhar aveva una stanza prenotata proprio a Las Vegas. Una suite per giocatori al Monte Carlo per gli eventi della settimana. Qualcosa di troppo fuori scala per un tipo come quello. Avevano già ricevuto la lista delle telefonate sul numero personale, era stata analizzata con attenzione. C’erano molti numeri usa e getta, troppi per qualcosa di pulito. Ma come aveva speculato Castle, prima di fiondarsi con Beckett nella sala interrogatori, c’era anche il famoso numero che aveva chiamato Frederick poco prima dell’essere ucciso. Le telefonate erano più di una ed erano tutte antecedenti la data dell’omicidio. Si erano infittite negli ultimi giorni. La prima era stata fatta la sera stessa del giorno in cui Keeler aveva contattato Bass al suo ufficio. Una coincidenza? Nessuno dei detective ne era convinto.
Esposito e Ryan attendevano solo l’ok della scientifica per comunicare i dati a Kate, ma quello che avevano era già schiacciante. Chiunque avesse chiamato Frederick quella sera, aveva organizzato il necessario per levarlo di mezzo. Il primo sospettato era qualcuno nell’organizzazione di Howard Bass o lui stesso. Trovare quel numero addosso ad uno dei suoi sarebbe stato un colpaccio, ma fino a quel momento erano solo speculazioni. Ci sarebbero volute valanghe di mandati che non avrebbero avuto.
Bass doveva essere in mezzo. Lui aveva movente e opportunità, date dal fatto che, spiando il figlio, Keeler sapeva sempre dove si trovava, il suo autista e guardia del corpo Orvak era sempre informato e poteva quindi comunicare il necessario al sicario scelto. Una fetta anche per lui e il suo sogno di vivere per conto proprio negli hemptons si sarebbe avvicinato. Il dodici metri ormeggiato nel marina yatch poteva concretizzarsi in qualcosa di più. Ma come fare a legare le due cose? Era così evidente, ma le prove scarseggiavano. A parte l’amicizia e il passato dei due non c’era nulla che li legasse. Inoltre Orvak era anche più furbo di Molnhar, i suoi pagamenti erano dichiarati come prestazioni di servizio per serate ed eventi. Frodava il fisco ma la provenienza era più limpida.
I capi d’imputazione ai danni di Molnhar erano abbastanza da incastralo ma a lui mancava il movente. Non aveva ragioni per uccidere Keeler. Solo l’essere pagato per farlo.
La loro posizione era di stallo.
Ryan indicò a Esposito di portare quei dati a Kate. Bussò quindi alla porta ed entrò dando alla collega la cartella con quanto avevano raccolto.
Kate l’aprì e condivise il contenuto con Castle. Poi abbassò il capo. Avevano il primo nesso per incastrarlo: il legame con la vittima. La scientifica doveva portare il resto.
“Lei ha ricevuto telefonate dallo stesso numero usa e getta che ha chiamato Keeler la sera stessa che è stato ucciso. Chi l’ha contattata? Di chi è questo numero?”
Buttò davanti all’uomo il listato telefonico e lui tornò a guardarla. “Voglio un avvocato.”
“Lei non ha capito.” Kate si alzò e Castle rimase fermo, seguendo ogni movimento.
“Non sto cercando prove, io ne ho abbastanza per spedirla dentro per tanti anni che se uscirà forse avrà qualche mese di tempo prima di morire di vecchiaia.” Ringhiò abbassandosi verso di lui.
“Crede che noi qui ci beviamo la sua flemma? Conosciamo la sua freddezza, identica a quella di molti altri venuti dall’est a mettere a disposizione di ricchi e potenti la loro crudeltà e l’abitudine alla violenza…” Si mosse camminando lentamente.
“Di quelli come lei New York è piena. E vi conosciamo bene voi sicari.” Disse modulando la voce. Bassa, strafottente quel tanto da farla sembrare divertita. Castle sorrise compiaciuto. Quel modo di fare da poliziotta dura lo mandava in estasi tutte le volte.
“E se lei pensa di cavarsela per non avere movente sappia che non mi interessa. Una sola cosa la può salvare da una intera vita in prigione: dirci chi l’ha pagata per farlo.”
Molnhar deglutì ma non rispose.
“I suoi conti sono sporchi Dimitri. Così sporchi che sapremo presto da chi arrivano quei soldi, perché certe cifre non sono proprio al livello di un semplice autista.” Continuò Kate. L’idea che l’avesse in pugno doveva entrargli nella testa come un tarlo.
“Un autista di una media impresa di noleggio quanto può guadagnare a serata? Un paio di centinaia di dollari? Forse se sta in giro tutta la notte?” Kate sorrise.
“Mathias lo pago di meno per una notte.” Valutò Castle annuendo. “Per certe serate meglio l’autista, così se uno ci dà dentro con l’alcol…” Spiegò innocentemente all’uomo con la sua faccia da sberle migliore.
Brady da dietro il vetro rise facendo sussultare Esposito che era tornato per un ultimo sguardo prima di abbandonare del tutto la sala.
Beckett provò a distrarlo. “Ha mai lavorato per quest’uomo?” Spinse la foto del politico in avanti così che la potesse vedere bene. Un'altra negazione, un altro guizzo nella mascella.
“Quell’uomo vale veramente la sua fiducia, il suo sacrificio? Oppure ha paura delle ritorsioni?” La freccia scoccata da Kate andò a segno. L’espressione sul volto di Molnhar si fece più tesa. Il disprezzo sembrò scemare dando adito ad un velo di preoccupazione.
“Lui non la salverà. Ci deve anche lui alcune spiegazioni… e quanto a Orvak, sappiamo ormai che ha più di un padrone. Tra poco avrà abbastanza soldi da ritirarsi a vita privata. Ma lei è il cane al guinzaglio di uno dei due. Ci dica chi…” Insistette Kate. “Bass, Orvak? Chi l’ha pagata per eliminare il ragazzo?”
L’uomo sembrò pensare.
“Sappiamo che sono persone pericolose. La lasceranno a marcire in galera mentre si godranno la tranquillità con tutti i loro soldi. Ha fatto il lavoro sporco per loro. E sa chi ha ucciso? Un ragazzo incapace difendersi. Una cosa semplice infierire su qualcuno che non sa nemmeno fare a pugni.” Aggiunse con disprezzo.
Molnhar guardò Beckett con un ghigno nervoso.
“Beh, non è certo qualcosa di cui vantarsi. Doveva per forza ucciderlo o dargli solo una lezione? Forse le cose le sono sfuggite di mano?” Rincarò la dose Castle.
Stavano dando apertamente del vigliacco ad uno che non avrebbe accettato la cosa di buon grado, sfidandolo a reagire. L’uomo si irrigidì piantandosi le dita nelle ginocchia. Aveva autocontrollo ma non abbastanza da sopportare lo sfottò.
“Non ho fatto nulla. Ero a casa mia e dormivo.” Insistette Molnhar replicando quella cantilena.
“Lo racconterà in tribunale. Manderò tutto al procuratore. Intanto per lei i capi di accusa sono omicidio volontario, evasione fiscale e intralcio alla giustizia. Il suo avvocato avrà qualcosa per cui essere pagato.” Si alzò lasciando il tempo all’uomo di pensare. Poi si voltò con un’abile mossa. Indicò le mani dell’uomo, segnate da lividi ed escoriazioni.
“Anche queste sono dovute ad una serata in casa?” Disse ed uscì dalla porta seguita a ruota da Castle.
Si diresse verso il retro della saletta per osservare il sospettato. Fu sorpresa di trovarci Brady.
“Agente…” Lo salutò. Castle al seguito fece solo un cenno con il capo.
“Pensa che cederà?” Chiese curioso l’agente, voltandosi verso di lei intenta ad osservare Molnhar nella stanza accanto. Sembrava teso e stavolta le spalle persero la rigidità inclinandosi in avanti.
“Ha paura delle ritorsioni.” Disse Castle. “Non cederà se pensa di poter essere ammazzato dal suo ex commilitone.”
Brady lo guardò. “Crede?”
Castle annuì.
Kate sbuffò. “Orvak l’ha portato qui, gli sta dando lavori importanti. Ma non è stato furbo quanto lui a pararsi il culo finanziariamente e legalmente. E’ un pesce piccolo, era probabilmente il suo braccio destro. Ma non è di polso come Orvak. No, Molnhar è impreparato. E’ un anello debole, ma piuttosto di sputtanare Orvak si farà la galera.”
“Meglio in galera che morto.” Sottolineò Castle passandosi il dito sul collo.
Brady scosse il capo. “Lo avete capito dall’interrogatorio?”
“Ovvio…” rispose Castle e Kate scosse il capo passandogli il fascicolo che aveva ancora in mano con le ricerche svolte da Ryan ed Esposito.
“Ci sono molte cose che ha ignorato volutamente. Ma ignorandole ha dimostrato premeditazione nel gestire le risposte. Sapeva cosa gli avremmo chiesto. Lui non ha avuto nessuna di quelle reazioni che hanno di solito le persone normali. Conosce tutti quelli di cui abbiamo parlato.”
“Non è facile capirlo, tende a stringere la mascella e a immobilizzare i muscoli del viso. Ma le cose che lo toccavano da vicino gli facevano cambiare espressione per poco.” Spiegò Castle.
“Mi scusi?” Chiese Brady Incredulo.
“Mai visto Lie to me?” Chiese di rimando Castle e Kate si mise la mano sulla fronte.
Castle si voltò verso di lei. “Direi di no.”
Brady sorrise divertito e anche un po’ perso.
“Se non ho capito male la vostra linea d’accusa, voi mirate a incastrare Bass come mandante dell’omicidio, perché lui era stato ricattato da Keeler con quelle foto. Ora mi chiedo come mai Bass non ha cercato di avere le fotografie. Non si è mosso per recuperare prove scomode… Non vi sembra manchi qualcosa?”
Kate sorrise mordendosi un labbro.
“Orvak e Molnhar lavorano insieme. Chi meglio di uno come Orvak, un uomo di fiducia della famiglia, avrebbe potuto mettere mani su quel materiale e distruggerlo. Ma con calma, non c’erano ragioni di allarmarsi. Robert Randall, il ragazzo di Frederick, in fondo è sul libro paga di Keeler e sotto controllo di Orvak. Di Judith crediamo che nessuno sapesse nulla…”
L’agente Brady annuì. “Pensate che il padre sappia?”
Castle scosse il capo. “Credo che nemmeno lui conosca a fondo la ferocia e la freddezza del suo bodyguard. Per quanto Keeler sia un uomo odioso, non so se possa essere davvero capace di uccidere il proprio figlio.”
“Ma non era lei credeva fosse possibile che lui avesse fatto uccidere il figlio per questioni politiche?” Chiese a Castle curioso.
“Beh, le cose sono un po’ cambiate. Frederick ha lasciato una traccia delle sue intenzioni alla sua migliore amica, come prova di quello che stava facendo e rischiando. Perché lo sapeva che si sarebbe infilato in un guaio. Questo cambia le cose. Gli indizi portano ad una direzione ben precisa. Ed in mezzo abbiamo due cavalieri dall’anima nera, disposti a tutto per un po’ di occidentale benessere.” Spiegò.
Brady sorrise annuendo. “Un tassello alla volta?”
“Esatto.” Rispose Beckett osservando Molhnar restare fermo nella saletta accanto.
“Ma se gli si offrisse una possibilità di protezione?” Domandò Brady indicando il vetro. Le trattative con criminali disposti a parlare pur di avere attenuanti erano all’ordine del giorno.
“Inserirlo in un programma di protezione testimoni? Ha commesso un omicidio a sangue freddo ma non ci sono ragioni così forti perché possa entrarci.  Non sarà neppure il solo omicidio commesso… Non può evitare del tutto la galera semplicemente denunciando il mandante. Sarebbe una proposta allettante per lui, ma quanto crede che riusciremo ad andare avanti? Sarà la sua parola contro quella di un politico? Abbiamo bisogno di prove certe e se non ne ha da darci...” Lo guardò indicando con le mani qualcosa andare in fumo. “Potrebbero passare anni e risolversi in poco o nulla”.
“Una vittoria di Pirro.” Chiarì Castle. “Per andare contro gente così c’è bisogno di qualcosa di più che sospetti. Nessuno ascolta veramente una congettura, l’ascoltano tutti quando qualcosa è successo e un proverbiale
- te l’aveva detto - rende scomoda la situazione.
“Ha paura di andare a fondo?” La spronò Brady. Beckett si voltò verso di lui con uno sguardo di ghiaccio.
“Crede che io non abbia le palle di proseguire? Bass non mi spaventa e non ho la minima intenzione di mollare. Non mi tiro indietro, ma ho abbastanza cicatrici sul corpo per sapere che senza una prova concreta andremmo solo a tirare palline di mollica contro i mulini a vento.”
Brady espirò sorpreso e anche ammirato, trattenendo un mezzo sorriso. Beckett era davvero grintosa, senza spocchia. Percepiva la sua sincerità. L’aggressività latente che mostrava non era di impiccio al suo cervello che elaborava il quadro della situazione con dettagli e attenzioni.
Victoria Gates trovava in quella donna qualcosa di lei stessa, del suo passato e del suo modo pulito di andare avanti senza quelle mezze misure dietro a cui tanti altri si nascondevano.
Kate si umettò le labbra notando che la sua risposta diretta aveva reso Brady pensieroso.
“Ci serve solo una prova, il pagamento. Se è Bass a dover pagare Molnhar, forse davvero lo avrebbe fatto a Las Vegas mentre era al Monte Carlo. Lui stava andando là. Suite giocatori per i pokeristi del casinò…”
Castle sorrise sornione. “Se volesse collaborare… e lui ci andasse a Las Vegas?”
Brady osservò i due guardarsi con intensità. Era una sensazione strana essere lì in mezzo perché sembrava che loro lo stessero del tutto ignorando.
“Potremmo scoprire la fonte del pagamento e incastrare il vero mandante!” Esclamò Kate. Sorrise a Castle.
“Potremmo provare…”
“Ma non abbiamo giurisdizione nel Nevada.” Commentò Brady.
Castle si girò verso di lui. “Non dobbiamo per forza andarci noi, ma se chiediamo la collaborazione della polizia della città potremmo fare di meglio che ottenere una vittoria di Pirro.”
Kate camminò lentamente. “Una parte del pagamento però dovrebbe averla già incassata…” Valutò
“Un anticipo? Ci manca comunque di sapere il modo.”
Kate annuì e poi spalancò gli occhi. Fece un paio di forti respiri. Castle si avvicinò vedendola impallidire.
“Ehi…” Chiese osservandola con attenzione.
Kate si prese un momento per appoggiarsi al muro. Tenne la testa diritta senza muovere gli occhi.
“Capogiri. Finito l’effetto dell’antiemetico.” Disse semplicemente.
Brady ancora una volta si sentì di troppo.
“Chieda al capitano se vuole trattare oppure andiamo a testa bassa contro di lui. E un’opzione.” Disse Kate rivolta a Brady.
“Io?” l’agente non pensava di essere parte dell’indagine.
“Ho la nausea... Vorrei non dover vomitare direttamente sulla scrivania della Gates se fosse possibile.” Castle annuì spalancando i suoi occhi e Brady si diresse con calma oltre la porta per raggiungere l’ufficio del capitano, scuotendo il capo, sorpreso, divertito e anche un po’ imbarazzato.
Era stato drasticamente inquadrato. E lui stava obbedendo gli ordini che quella donna gli aveva imposto senza nemmeno averne diritto.
“Ti accompagno in bagno.” Disse Castle con dolcezza, un volta soli. Kate annuì.
“Lo hai masticato. Brady…” Mormorò Castle con un aria divertita.
Kate sorrise tenendosi una mano in fronte. “Non mi prenda in giro. Non voglio lasciar perdere. Ma…”
Castle le accarezzò i capelli. “Ma non vinceremo se non troviamo altre prove…”
“Ho imparato qualcosa. Vedi… ma non ho paura. So solo che questa cosa non la dimenticheremo nonostante tutto.”
Castle strinse le labbra e strabuzzò gli occhi “Tigre, sei fantastica.” Mormorò prendendola sottobraccio.
“Ci prendiamo il tempo necessario per scavagli la fossa…” Ribadì Kate.
“Brady andrà dalla Gates a raccontare tutto. Perché lui è qui per te.”
“Lo so.”
“Gli descriverà la tua sfuriata. E sa cosa ti dico?” Si fermò e sorrise alla sua musa. “Le piacerà la tua risposta.”
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Ogni tanto tornano! Un abbraccio a tutti e scusate il ritardo.
Qui è sempre peggio. E l'ansia certe sere mi divora tanto che non mi fa nemmeno pensare. Non è un bel campare. Che vitaccia eh... :(
Ma dopo i doppio episodio di Castle, che mi ha dato adrenalina, ho ripreso in mano la correzione della mia storia. Siamo quasi alla fine.
Grazie del supporto. Sto leggendo gli arretrati. Mi dedicherò a voi tutti, ai vostri pezzi, ai vostri commenti che sono un toccasana per il mio umore!

 
  
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