Capitolo
3: Hero
Le lezioni erano terminate, era
finalmente il momento della
pausa pranzo. Amaya prese al guinzaglio la sua cagnolina e si diresse
in
centro, decisa a saltare le ore pomeridiane. Capitava spesso che
portasse Belle
in università, lasciandola alla compagna esperta cinofila
che si esercitava con
la cagnolina.
La giornata era piuttosto fresca,
nonostante fosse
mezzogiorno. La mora si chiuse nel lungo cappotto scuro e si avvolse la
sciarpa
blu attorno al collo, camminando sul marciapiede per raggiungere il
parco amato
da Belle. Aveva deciso di uscire prima e di fare una passeggiata con la
sua
cara cagnolina per sfogare il suo nervosismo. In mattinata, si era
vista con
Bart per un caffè prima che le lezioni ricominciassero. Da
un paio di settimane
aveva dubbi sulla loro relazione, ma cercava di andare avanti fingendo
che
tutto fosse a posto. Eppure, quella mattina, aveva capito che qualcosa
si era
spezzato tra loro. Le cose non funzionavano più
così bene come un tempo e, per
la prima volta in tre anni, aveva seriamente riflettuto sul chiudere
definitivamente quella storia. Ricordava perfettamente come si era
sentita dopo
le parole che lui le aveva rivolto qualche ora prima: “se non
vieni ci andrò
con qualcun'altra”. Amaya grugnì al solo pensiero
di quella esclamazione. Le
sembrava assurdo aver litigato solo perché lei non voleva
andare ad una stupida
festa di universitari. Più ci pensava, più capiva
quanto la loro relazione
fosse agli sgoccioli. Belle abbaiò, scuotendola dai suoi
pensieri. L’husky
puntò con il tartufo il parco a qualche metro da loro e
cominciò a tirare per
raggiungerlo più velocemente, scodinzolando felice. Tentando
di trattenere il
cane, Amaya inciampò nel marciapiede, cadendo, e il
guinzaglio le sfuggì di
mano. Un verso di dolore le uscì dalle labbra. Ma non aveva
tempo di
preoccuparsi della botta. Spaventata all’idea che Belle
potesse finire sotto
una macchina, si rialzò di corsa ma di lei non
c’era traccia.
-Belle!- urlò, cercando di
richiamarla a sé. Mentre la
preoccupazione le attanagliava lo stomaco, pensò di
dirigersi al parco. La
chiamò un’altra volta ma lei non arrivava. Proprio
mentre cominciava a pensare
al peggio, avvertì un abbaiare a lei molto famigliare. Si
voltò e corse in
quella direzione. La vide in lontananza e, a quel punto,
tirò un sospiro di
sollievo vedendo la sua cagnolina accucciata sull’erba. Poi,
si accorse del
ragazzo seduto accanto a lei che teneva stretto il guinzaglio.
Corrugò la
fronte, era sicura di conoscerlo.
-Credo che ti sia scappata-
esclamò, tirandosi in piedi e
porgendole il guinzaglio che teneva tra le mani. Aveva un dolce sorriso
e le
gote leggermente arrossate.
-Grazie. Lei è il
poliziotto del caso di Julia…- lui
sorrise, felice che si ricordasse.
-Chiamami Tom. E non darmi del lei-
Amaya abbassò il viso
timidamente, apparendo estremamente tenera agli occhi del ragazzo.
Allungò la
mano verso di lui, rendendo ufficiale la presentazione.
-Io sono…-
-Amaya- continuò lui, dopo
averla interrotta. Le strinse la
mano e il suo viso assunse un velo di imbarazzo, vedendo
l’espressione sorpresa
di lei; -Il cartellino sul grembiule da lavoro- continuò,
ritirando la mano con
un mezzo sorriso e grattandosi la nuca. Lei sorrise, gentile,
trovandolo molto
dolce.
-Ti presento Belle-
esordì, dopo un breve silenzio, dando
una pacca leggera sul muso della cagnolina intenta a rosicchiare la
palla che
la padrone le aveva lasciato.
-Ѐ davvero bellissima- si
chinò all’altezza della cagnolina
porgendole la mano, affinché l’annusasse. Belle
allungò il naso verso la mano,
l’annusò con noncuranza, dunque tornò a
rosicchiare il suo giocattolo senza
degnarlo di altre attenzioni.
-Già, bella quanto
vanitosa- Tom ridacchiò e si rimise in
piedi, senza forzare nuovamente il cane.
-Oggi, giornata libera, ispettore?-
lui le lanciò
un’occhiata ammonitrice e lei si corresse velocemente con un
sorriso; -Volevo
dire, Tom-
-In teoria, avrei la giornata
libera… In pratica, sono
andato in centrale per prendere dei documenti da studiare a casa- Amaya
rise e
Tom fu incantato dal suono di quella risata. Lei prese il guinzaglio di
Belle e
si diresse verso una panchina, facendo cenno a Tom di seguirla.
-Hai un nome particolare-
sentenziò, con curiosità. Lei
annuì ed entrambi si sedettero sulla panchina.
-Mia madre è antropologa.
Ha studiato molte culture. Il mio
è un nome giapponese, significa “Pioggia
nella notte”- tolse il guinzaglio a Belle,
lasciandola con la pettorina, e
le lanciò la palla.
-In effetti, è un
bellissimo nome con un bellissimo
significato. Amaya…- Belle corse verso di loro masticando la
pallina colorata.
La ragazza la prese dalla bocca del cane e la lanciò di
nuovo.
-No. Chiamami Amy-
-Va bene… Amy- sorrise.
Belle tornò verso di loro. La mora
le prese nuovamente la palla e, questa volta, la passò a
Tom, intimandogli di
provare. Lanciò la palla all’animale, che
abbaiò contenta mentre la prendeva al
volo.
-Fai qualcos’altro, oltre a
lavorare alla tavola calda?- le
domandò, curioso.
-Sì, studio Medicina
Veterinaria. Sono al terzo anno. Ho
ancora molto davanti a me- ridacchiò. Tom annuì,
interessato.
-Sei una brava persona. Chi ama a tal
punto gli animali,
deve esserlo per forza- Amaya sorrise, abbassando lo sguardo, con una
punta di
imbarazzo. Aprì la bocca per rispondere, ma un urlo
attirò la sua attenzione. I
due ragazzi si voltarono verso l’altro lato della strada,
nella direzione del
suono. Altre urla si levarono. Amaya aggrottò la fronte,
mentre Tom era già
scattato in piedi. Una scura nube di fumo si allargò da un
palazzo. Amaya
affiancò Tom e, di fretta, rimise il guinzaglio a Belle.
-Devo vedere che succede- disse, poco
prima di correre al di
là della strada. Alcune persone erano radunate davanti
all’entrata e parlavano
animatamente tra loro. Altre uscirono di corsa dal palazzo. Due signori
anziani
corsero fuori, tossendo. Poi uscì un uomo con una donna in
braccio che tossiva
con forza. Tom gli si avvicinò, chiedendo se stavano bene.
Sembravano scossi ma
non feriti. La donna continuava a tossire, tentando di parlare.
-Mia figlia- tossì; -Vi
prego, aiutatela, è ancora dentro. Al
secondo piano- urlò tra la tosse e le lacrime. Tom si
voltò verso Amaya, che
nel frattempo l’aveva raggiunto.
-Chiama i pompieri- disse di fretta,
subito dopo si lanciò
all’ingresso.
L’ispettore si
lanciò all’interno dell’edificio,
coprendosi
la bocca e il naso con un fazzoletto. Lanciò qualche colpo
di tosse mentre
correva sulle scale, diretto al secondo piano.
-Ehi!- urlò;
-C’è qualcuno?- nessuna risposta, solo il
crepitare del fuoco che inghiottiva tutto intorno a lui.
Tossì di nuovo, con
gli occhi offuscati dal fumo.
-Piccola, dove sei? Sono un
poliziotto- riprovò. Una voce
flebile giunse alle sue orecchie. Fu solo un sussurro. Tom si
voltò dove
proveniva la voce, ma il corridoio era lunghissimo e le stanze troppo
numerose.
-Piccola, fai un rumore. Batti su
qualcosa- udì un forte
colpo di tosse, si preoccupò. Finalmente avvertì
dei colpi. Cominciò a correre
con la vista che non poteva più aiutarlo e
l’ossigeno che cominciava a mancare.
Doveva sbrigarsi.
-Continua a battere piccola,
continua- urlò di nuovo. I colpi
non smisero e lui cominciò a correre sentendo quel suono. Il
rumore dei suoi
colpi di tosse, si confondeva con quello del fuoco e dei colpi al muro.
Le lacrime
bagnavano la vista. Il fumo lo avvolgeva. Temeva di non farcela.
-Aiuto- fu un sussurro, ma
bastò a Tom per cominciare a
correre. Avvertì i colpi più vicini e finalmente
si fermò davanti a una porta chiusa.
-Sono qui piccola, stai lontana dalla
porta- prese un
respirò e calciò la porta. Bastarono due colpi e
questa cadde rovinosamente. La
nube nera era sempre più alta. Tom sentiva mancare le forze.
Doveva pensare in
fretta, doveva salvare quella bambina. Si coprì gli occhi,
cercando la piccola
tra le macerie. Vide una chioma bionda, accanto al muro, coperta
dall’intonaco
del soffitto che era caduto. Corse da lei.
-La prego, mi aiuti- pianse.
-Sono qui, piccola. Ora usciamo-
sussurrò, togliendole ciò
che la copriva.
-La mia gamba- disse con una smorfia.
Tom la scoprì e guardò
l’arto: era rotto.
-Ok, tesoro come ti chiami?-
domandò, cominciando a
prenderla tra le braccia.
-Beatrice- mormorò tra le
lacrime. Tom si sollevò,
stringendola, ma le sue gambe cominciavano a cedere.
-Va bene, Beatrice. Ascoltami. Noi
usciamo da qui, devi
chiudere gli occhi e coprirti il viso con la mia maglietta. Va bene
piccola?-
la bimba annuì e fece come le aveva detto. Lui aveva paura.
Si guardò in giro e
lo sguardo cadde sulla finestra. Era l’unica soluzione. Corse
alla finestra e
la alzò. La folla sotto li guardava, urlando. I pompieri
erano appena arrivati
e stavano cercando di spegnere il fuoco.
-Ehi!- urlò; -La bambina!
Prendete la bambina!- i pompieri
corsero verso di lui con la scala. Caricò la piccola tra le
braccia,
intimandole di respirare ma lei era debole e faticava.
-Bea, stai sveglia! Resta sveglia,
respira tesoro. Respira-
le intimò, tenendola fuori. Gli agenti posizionarono la
scala e uno di loro
cominciò a salire. Finalmente, Tom si sentì
più tranquillo e ignorò le lingue
di fuoco che si alzavano dietro di lui. Porse la bambina
all’uomo che gli
domandava se stessero bene. Prima che Tom potesse rispondere, Beatrice
si
strinse al suo petto.
-Non lasciarmi, non lasciarmi-
singhiozzò. Tom sorrise,
osservandole il volto coperto di lacrime e fuliggine.
-Bea, devi andare con questo signore
che ti porterà dalla
tua mamma. Stai tranquilla, piccola. Sei salva- lei annuì,
con gli occhi lucidi
e il labbro inferiore di fuori.
-Grazie- sussurrò a voce
così bassa che Tom non era certo l’avesse
detto davvero. Lei sorrise leggermente, mentre l’uomo
scendeva gli scalini,
salutando con la sua manina da bimba di cinque anni. Quando raggiunsero
terra,
Tom salì sulla scala, scendendo a sua volta. I pompieri lo
raggiunsero subito,
posandogli una mascherina sulla bocca. Sorrise, mentre lo
accompagnavano sul
furgone dell’ambulanza per controllarlo: tutti erano salvi.