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Autore: The Ghostface    15/06/2015    2 recensioni
Sono passati tredici anni…tredici lunghissimi anni da quando Ghostface è stato rinchiuso nel Tartaro.
Di lui non resta che un vago ricordo, voci, leggende urbane…tutto sbiadito dal tempo…dalla magia…
Sulla Terra le cose sono cambiate, nonostante il tempo trascorso i Titans sono rimasti uniti…e con un membro in più, un vecchio rivale pentito…
Alcuni si sono sposati, alcuni hanno avuto dei figli…alcuni nascondo terribili segreti nel profondo del loro animo che mai mai e poi mai dovranno essere svelati.
Il ritorno in circolazione di un noto avversario da un occhio solo terrà alta la guardia dei nostri eroi.
Ma quello che tutti loro non sanno…e che sono finiti tutti nel mirino dell’ormai leggendario…Ghostface.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Ghostface, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rigor Mortis'
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CAPITOLO 19
 
BB guardava incredulo il contenuto dello zainetto appartenuto a Terra.
-C-c’è proprio tutto!- esclamò dopo aver esaminato ogni singolo dettaglio di quanto la moglie gli aveva portato, aveva anche guardato ad una ad una tutte le foto salvate sulla chiavetta che ora reggeva tra le dita.
L’appoggiò sul tavolo assieme al resto e si voltò verso la moglie.
-C’è proprio tutto- ripeté abbassando lo sguardo sul sinistro detonatore posato assieme agli altri oggetti, lo osservò come ipnotizzato.
-Visto?! Che ti avevo detto?!- gli rinfacciò Corvina sorridente –Penso che lì in mezzo ci sia anche il tuo buon senso, da qualche parte- assunse la solita aria di superiorità che prendeva ogni volta che umiliava il marito, quindi abbastanza spesso, solo che stavolta era intensificata per mille.
-Penso che tu mi debba delle scuse…e un anello con diamant…-
Non fece in tempo a finire la frase, il mutaforma si era già fiondato su di lei circondandole la vita con entrambe le braccia, stritolandola in un fortissimo abbraccio, la fece volteggiare per aria una, due, tre…mille volte! Finché le braccia muscolose non gli dolsero e anche dopo!
-Scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami, scusami!!!- riprese fiato –Sono un coglione! Il re degli idioti!-
-Sì lo sei- sorrise dolcemente la maga quando poggiò nuovamente i piedi in terra –Ma sei il mio idiota, e nonostante tutto ti amo…- lo baciò saltandogli al collo. -…anche se non te lo meriti affatto-
-È il compleanno di qualcuno!!-
April irruppe nella stanza nella stanza saltellando allegramente, di solito il giorno del suo compleanno la madre la svegliava con un bacio sulla fronte e suo padre portava in braccio la sua “principessa” fino al tavolo della colazione, che trovava imbandito di ogni leccornia e prelibatezza dolce e salata, fresca e calda…tutte ovviamente comperate.
Poi venivano i Titans, gli amici, la festa, i regali… (ma mai i parenti).
Tuttavia quel giorno i suoi genitori avevano cose più urgenti ed importanti di cui occuparsi, entrambi la ignorarono troppo presi da quel che avevano per le mani.
-Dobbiamo dirlo subito agli altri! Adesso!-
-Chi compie gli anni oggi??-
-Hai ragione BB. Dobbiamo assolutamente dire a Robin che sappiamo, che abbiamo il detonatore, che non dovrà più ubbidire ai ricatti di Ghostface!-
-Quattordici! Quattordici! Quattordici anni! È proprio un bel numero!- trillò incessante la vocetta della ragazzina desiderosa di attenzioni.
BB continuò a rigirarsi tra le dita i vari oggetti e a riporli poi sul leggero tavolino di legno –Come hai fatto a procurartele?- domandò rivolto alla moglie.
Un tasto dolente che Corvina avrebbe preferito rimanesse intoccato.
Che rispondergli? Che dire? Che fare?
Doveva raccontargli tutto di Terra?
Essere sinceri, ecco cosa avevano giurato sull’altare…ma dirgli che per provare di non averlo tradito con Ghostface, gli aveva messo le corna con Terra non era forse la migliore delle idee, specie ora che si erano appena riconciliati.
Lo avrebbe fatto, si promise…più avanti.
-BB, amore mio…- sospirò mesta passandosi una mano sul volto stanco e provato da molte fatiche e da troppo dolore –Sapessi che prezzo è stato pagato per portartele…e la parte maggiore non l’ho neppure pagata io…-
-Che vuoi dire?- domandò lui senza capire.
I due continuarono imperturbati la loro conversazione, BB desideroso di sapere, Corvina desiderosa di omettere; alla fine riuscì a sfornagli una versione plausibile tralasciando ogni dettaglio riguardante la bionda…ma dentro di sé sentiva accrescersi il dolore che dalla morte della sua amante non l’aveva più abbandonata.
Dovette usare tutto il suo autocontrollo affinché nulla trasparisse.
Intanto la cantilenante voce della neo-quattordicenne faceva da sottofondo ai discorsi dei due, cercando in tutti i modi di ricordargli che giorno speciale era quello.
April si dondolava avanti e indietro attaccata di peso alla maniglia della porta canticchiando ad alta voce “tanti auguri a me, tanti auguri a me…” per farsi notare…il che funzionò ma non come lei avrebbe voluto.
La madre la folgorò con lo sguardo –Vuoi stare zitta?! Io e tuo padre stiamo cercando di parlare di cose importanti!- esclamò esasperata coi nervi facciali e i muscoli contratti in una smorfia acida – Hai quattordici anni? Allora mantieni un comportamento adeguato!-
April sbuffò, la stavano rimproverando così duramente il giorno del suo compleanno e ciò la irritava molto, ma fu abbastanza saggia da restare in silenzio.
< I quattordici anni della vostra primogenita non sono importanti?> pensò senza però osar spiccicar parola, si spinse un’ultima volta in avanti, con tutto il suo peso che gravava sull’inadeguato sostegno, diede un forte strattone alla porta: fu troppo per il povero pomello che, gravato dal peso della ragazza, cedette.
Improvvisamente priva d’appiglio, la ragazzina si trovò a cadere verso il pavimento a meno di un metro da lei, istintivamente protese le braccia in avanti , aggrappandosi disperatamente alla prima cosa che le capitò sottomano: il leggero tavolino di legno su cui erano appoggiato le tanto famigerate prove.
Ma il mobiletto anziché sostenerla venne giù con lei, trascinato dal peso dell’adolescente, e cadde verso destra.
April battè forte la testa e le prove furono sbalzate via.
BB e Corvina rimasero ammutoliti, immobili, a fissarle volteggiare nell’aria per tutti quegli interminabili attimi, tutto durò un battito di ciglia ma sembrava che non dovessero toccar terra mai più.
Caddero nel lavello.
-Il tritarifiuti!!- strillò Corvina disperata mentre BB si slanciava in avanti cercando di afferrare il salvabile: fu tutto inutile.
Prima che il verde potesse intervenire sia la chiavetta, sia il copione, sia la lettera firmata da Stryker e Slade, sia le chiavi del covo segreto erano già state risucchiate nello scarico e trasformate in coriandoli.
Fu solo grazie a un miracolo che il mutaforma riuscì ad afferrare, appena in tempo, il detonatore, tenendolo sospeso tra l’indice e il medio sopra il trita-rifiuti.
Pochi millimetri più in basso e anche quello sarebbe divenuto una manciata di inutili rottami.
Il tempo si fermò.
In pochi istanti la maga aveva visto entrambi i suoi gemelli morti, il cuore aveva cessato di batterle, solo quando BB si tirò al petto il detonatore, stringendolo saldamente con un respiro di sollievo, il cuore della mezzo-demone riprese a pulsare al doppiò dell’intensità, facendole salire la pressione…e la rabbia.
-Che cazzo ti è saltato in mente!!??- tuonò coi capelli drizzati sulla testa, con gli occhi pieni d’ira da sembrare una Furia, e le dita serrate tanto da far sbiancare le nocche e affondar le unghie nella carne.
Afferrò April per il bavero della maglia e le tirò un ceffone tale che le girò la faccia dell’altro lato.
Sentì la guancia andarle a fuoco, il dolore era lancinante, improvviso, e l’impronta rossa e pulsante delle 5 dita della madre spiccava evidente sulla pelle perlacea della ragazzina.
Tutto ciò si sommava al dolore che la caduta le aveva procurato, sentiva la fronte pulsare violentemente regalandole ogni volta profonde fitte da farle stringere i denti.
Sentì le lacrime salirle agli occhi, lottò affinché non uscissero.
Persino BB si bloccò smarrito da tale gesto –Corvina, amore…- cercò di calmarla.
-TACI- lo zittì lei, senza però schiodare lo sguardo cagnesco delle iridi profonde, traslucide, spaventate e nerissime della figlia.
-Ti rendi conto del danno che hai fatto?! Della tragedia che per poco non hai causato!?! No, sei troppo stupida per capirlo!!-
April trattenne i lucciconi ricacciandoli indietro.
-Perché l’hai fatto?!- le urlò in faccia la madre, con tono crudo e inquisitore –Dimmi perché diavolo l’hai fatto!!?-
-È…è…è stato u-un i-i-incidente…- balbettò a stento April tentando se non di giustificarsi almeno di difendersi.
Corvina conficcò le sue pupille in quelle della giovane come dei pugnali –TU SEI UN INCIDENTE!!!-  strillò con quanto fiato aveva in gola, fino a farsi male alle corde vocali.
Parole dure, non semplici parole crudeli atte a ferire: erano parole crudeli…e sincere.
April l’aveva capito benissimo, anche lei era un’empate, sua madre stava dicendo la verità, quindi…quindi lei…lei era solo un incidente di percorso, uno sbaglio forse dovuto alla fretta o alla disattenzione, un peso che aveva bloccato le vita da novelli sposi dei suoi genitori, non l’avevano voluta…erano stati costretti dal destino a tenerla.
Quindi, se fosse dipeso da loro…lei non sarebbe mai nata.
In tutti questi anni April era sempre stata certa di essere stata a lungo desiderata dai suoi, per i gemelli era stato così, tutto era pronto per loro prima ancora che Corvina restasse gravida…ma lei…lei era solo un incidente.
Una storpiatura non un dono, qualcosa di fastidioso non di desiderato.
Le si aprirono gli occhi e capì cos’era sempre stata per i suoi genitori: solo un peso.
Peso che erano stati costretti a portare e che probabilmente non avrebbero mai voluto.
Non potevano dirle cosa peggiore.
Anche Corvina lo capì, e quando si rese conto di cosa aveva detto era già troppo tardi.
April era lì, ferma immobile, pallida, fredda… tutto il suo entusiasmo di poco prima era svanito nel nulla…un cadavere in piedi.
Gli occhi erano vacui, spenti, puntati a terra.
Le mani ciondolavano morte lungo i fianchi.
Silenti lacrime che le solcavano le gote erano l’unica cosa che desse segni di vita, oltre al debole movimento del torace che si alzava ed abbassava al ritmo di un respiro impercettibile.
Corvina sentì il cuore della figlia spezzarsi in mille frammenti all’interno del suo giovane petto…e sentì anche la stretta impietosa del rimorso attanagliare il suo, strizzandolo come una vecchia spugna lacera da cui sprizzava sangue e veleno.
-A-April, ti prego…aspetta…- mormorò in direzione della primogenita che pareva isolata in un mondo a parte.
La voce fievole, strozzata dalle lacrime, della madre parve riscuoterla dalla sua trance; alzò lo sguardo e fissò la donna che l’aveva involontariamente generata con occhi gonfi di dolore –Perché?- disse con tono quasi impercettibile, la sua voce era un sussurro spezzato ancor più delicato di quello della madre, un battito d’ali di falena.
-Sei stata costretta ad aspettare quest’ “incidente” per nove mesi…non voglio più esserti di peso-
Prima che la mezzo-demone potesse aggiungere qualcosa la quattordicenne si era già dissolta nell’aria.
Quando April usava i suoi poteri illusionistici era impossibile trovarla.
Corvina cadde in ginocchio, a nulla servirono le parole del marito, cadde in ginocchio e restò lì.
 
Sola.
Ecco cos’era, lo era sempre stata: sola.
Sua madre la odiava, suo padre non la voleva, i suoi compagni la ignoravano, i Titans la sopportavano a stento solo perché era figlia di chi era figlia.
Tre soli amici aveva avuto…e ora neppure uno.
Iella era morta.
Bruce…oh Bruce, l’aveva cercato disperatamente, chiamandolo ogni minuto del giorno: nulla.
Nessuno sapeva dove fosse.
E Jonathan…anche lui l’aveva abbandonata.
Aveva saltato l’ultimo appuntamento e non si era più fatto sentire, probabilmente ea venuta a noia anche a lui.
Voleva solo piangere.
E lo faceva, lo faceva ormai da ore rannicchiata contro le mastodontiche ali di granito della Roccia del Gufo, in cerca di riparo, di protezione dal freddo che iniziava a calare con la sera, dal dolore che la consumava.
Desiderò che l’enorme uccellone di pietra si animasse per portarla via, lontano, sulla Luna, via da tutto e da tutti, lontana dal dolore e dalla sofferenza.
Come in risposta alle sue preghiere qualcosa le sfiorò i capelli, non erano gelide penne di roccia, era una mano, una calda mano che l’accarezzava dolcemente.
-Buon compleanno- disse una voce calda, rassicurante…che conosceva molto bene.
April si voltò verso l’uomo che aveva parlato, asciugandosi gli occhi col palmo della mano.
-J-Jonathan?-
-In carne ed ossa- sorrise il vecchio.
April non ricambiò il sorriso, anzi si girò e tornò a nascondere la testa tra le ginocchia.
-Vattene via-
Ma lui non le diede retta e si sedette accanto a lei.
Restarono in silenzio per alcuni minuti finché Ghostface non fece la prima mossa.
-Mi dispiace non esser venuto al nostro appuntamento, April, e ancor di più non aver potuto avvisarti…-
-Per tre ore!- esclamò la ragazzina voltandosi di scatto verso di lui, carica di rabbia repressa da sfogare sul primo che passa – Ti ho aspettato per tre ore! E tu niente!! NIENTE!-
-Scusami…- disse lui asciugandole le lacrime con un dito –Ho avuto un “imprevisto”-
Solo allora April notò la bianca benda sull’occhio destro di Jonathan, e per la prima volta vide quello sinistro senza la lente nera davanti.
Era bellissimo.
Nero come lo spazio siderale, più scuro del buio, più penetrante di qualsiasi altra cosa, ipnotico.
Faticò un attimo a distogliere lo sguardo da quella pupilla che pareva risucchiare tutto come un buco nero.
-C-cos’hai fatto all’occhio?- chiese un po’ imbarazzata per il comportamento di prima.
-Fa parte dell’imprevisto- rispose quello.
-Pensavo che tu potessi rigenerare ogni parte del tuo corpo…- commentò April, con una puntina di scetticismo.
-Questo è un occhio, piccola, non stiam parlando di un dito o un polmone, è un organo delicato, ci vuole un po’ di tempo- e aggiunse- Inoltre in questi giorni ho scoperto che mi hanno somministrato un sacco di robaccia senza che me ne accorgessi, per qualche giorno resterò arrugginito.
Ma non abbastanza da non poterti spolverare il fondoschiena, all’occasione-
April sorrise, un sorrisetto debole ma divertito e vero.
-Sei una brava allieva, April, la migliore che ho avuto. Impari in fretta e diventi sempre più abile. Oggi però niente botte per te, dobbiamo festeggiare i quattrodici anni di qualcuno, no?- disse alzandosi in piedi, le tese la mano.
La maghetta sollevò il capo, lei e Jonathan parlavano molto durante l’addestramento, avevano imparato a conoscere molto l’uno dell’altra.
Ma c’era una parte del vecchio che April completamente ignorava.
Non si aspettava un simile invito…ma forse avrebbe potuto risollevarle il morale dopo una simile giornataccia…anche se dubitava fortemente che potesse ritrovare l’allegria dopo quello che sua madre le aveva detto.
Afferrò la mano bianca e forte.
Si trovarono uno di fronte all’altra.
-Avanti, cucciola- sorrise lui lisciandole i capelli pieni di foglioline arancioni e rosse –Vatti a cambiare, ti porto fuori a cena.  E mi raccomando, non farti notare-
Si scambiarono una complice occhiata d’intesta poi April svanì.
-Nessuno s’accorgerà di me- disse la voce di lei, che pareva provenire da ogni albero del bosco.
-Ti aspetto tra mezz’ora- rispose il vecchio con le mani in tasca, col sorriso furbesco sul volto e l’occhio nero che scrutava ogni angolo della piccola Radura del Gufo.
 
Poco dopo April si era cambiata d’abito, indossava un bel vestito bianco, senza spalline, tenuto su solo dai seni acerbi, le arrivava al ginocchio, anche le scarpette con appena un accenno di tacco erano bianche, portava attorno all’esile collo una collanina d’argento donatale da Bruce il suo scorso compleanno, e dalle spalle scoperte le pendeva una piccola borsetta lunga e stretta, completamente nera.
Era apparsa dal nulla lungo la strada che costeggiava il bosco, Ghostface la stava aspettando a cavallo dell’Alighieri.
Anche lui in borghese, con una camicia bianca le cui maniche erano arrotolate fino ai gomiti, mettendo in risalto i fasci di muscoli che ricoprivano gli avambracci, e pantaloni lunghi e neri.
I capelli bianchi gli cadevano sulle spalle, il viso era scoperto, immacolato se non per l’iride scura dell’occhio buono.
April si chiese perchè tenesse sempre nascosti occhi così belli, forse nascondere il suo sguardo gli dava un senso di sicurezza.
-Come sto?- chiese la maghetta appena divenne visibile.
-Ai miei tempi una neo-quattordicenne non si sarebbe mai vestita così- replicò quello scuotendo la testa con falso disappunto.
-Tu sei vecchio- ribatté la ragazzina sforzandosi si salire sulla moto senza far vedere troppa carne a chi li avrebbe visti passare, ma sedersi su quell’enorme sellino con quel vestito era una vera impresa.
Si calò il più possibile il tessuto sul sedere e lungo le cosce poi, avvinghiandosi attorno alla vita del guidatore, esclamò –Andiamo!-
Jonathan era stato gentile con lei, molto gentile, e non avrebbe permesso che sua madre le rovinasse quella festa insperata, giurò a se stessa che non avrebbe fatto trasparire nulla del dolore che covava dentro sé.
 
La portò alla fiera sempre brulicante di persone che animava il molo di Jump City.
April adorava quel posto, pieno di bei ricordi.
-Ti sei vestita fin troppo elegante- sbuffò il vecchio appoggiato al tavolino di un chiosco stile “Old Wild West”.
Lei rispose con una linguaccia –Vedrai che ti ricrederai entro la fine della serata- e con fare molto adolescenziale e poco signorile addentò la bistecca che aveva davanti al naso, pur non volendo ammetterlo April moriva di fame, quel giorno aveva saltato pranzo e colazione a causa di quel…di quel…di quel “litigio”.
Quella confessione.
<Cazzo>
Per un attimo le odiose parole pronunciate da sua madre le erano passate di mente, ma ora erano tornate più forti di prima, sentì lo stomaco attorcigliarsi e il cuore salirle in gola, soffocandola.
Smise di masticare e si sforzò di ingollare il boccone, ancora quasi intero, dopodiché allontanò il piatto da sé con ancora la carne quasi intera.
-Non ho fame- disse mesta, con gli occhi bassi, incupitasi nei suoi pensieri.
Ancora non ci credeva…come poteva averle detto una cosa simile, lei, sua madre! Come poteva verla chiamata “incidente”…il suo giovane cuoricino probabilmente non sarebbe mai guarito da un simile colpo, ora una cicatrice indelebile lo sfregiava e l’avrebbe sfregiato per sempre, una cicatrice può sbiadire…ma non scompare mai.
E ciò che più di tutto la faceva soffrire era che era stata sua madre a infliggerle quella ferita.
Se le avessero detto che era nata per una disattenzione dei suoi genitori…sicuramente non l’avrebbe presa bene ma dopo un primo momento di depressione si sarebbe ripresa senza troppe conseguenze, un sacco di gente era nata così in fondo, e loro l’amavano comunque.
Ma l’espressione, il tono la voce con cui sua madre glielo aveva detto, anzi con cui l’aveva accusata di essere nata…questo l’aveva distrutta.
Sembrava che Corvina gliene facesse una colpa e quel che è peggio era che April se ne assumeva la responsabilità: si era convinta di essere un peso, un errore, di essere indesiderata, che i suoi genitori sarebbero stati più felici se lei non fosse mai nata.
Sua madre aveva ragione, era rea del più atroce dei delitti…esisteva.
 
Ghostface non era stupido, pazzo certamente, la sua mente malata si alternava da momenti di folle esibizionistica impulsività, raptus di furia omicida, sadica ilarità e totale imprevedibilità a periodi di una lucidità abbagliante, di una freddezza inumana, in cui una logica gelida e stringente , crudele e approfittatrice, prendeva il controllo della sua mente.
Quelli erano i momenti peggiori, quando ragionava era dieci volte più pericoloso di quando agiva d’istinto.
Quando accadeva era ancor più imprevedibile, e in più riusciva sempre sempre sempre ad anticipare le mosse del suo avversario, anche di giorni.
Ma per quanto variegata, contorta e multiforme era innegabile l’acuta l’intelligenza nascosta dietro quegli occhi di vetro, era impossibile non notare la fine astuzia che lo animava, forse la più letale delle sue armi, un  astuzia resa ancor più pericolosa dal fatto che sapeva di possederla e dalla piena capacità di controllo che Ghostface aveva su essa.
Jonathan era un pazzo, un genio…ma non uno stupido.
Al suo notevole intuito non potè sfuggire la profonda crisi interiore che logorava l’animo e il corpo di April.
-Sei turbata-
-No…tranquillo, sto bene- rispose lei senza alzare gli occhi.
-Non era una domanda. Tu sei turbata-
Stavolta la ragazza sollevò lo sguardo incrociandolo con quello dell’anziano individuo, ricordandosi della promessa fatta a se stessa cercò di assumere un’aria più serena possibile, ma non le riuscì granché –Davvero, John, sto bene. Sono solo un po’ stanca…- 
A dispetto di quel che poteva sembrare Ghostface sapeva trattare con le adolescenti, dei suoi 27 figli alcuni li aveva seguiti lungo la loro crescita, non tanti quanti avrebbe voluto, ma aveva imparato lo stesso qualcosa dall’esperienza.
-Voi donne finirete tutte all’inferno per le bugie che dite…ti va di raccontarmi cos’è successo? O se preferisci, cosa provi adesso?-
Guardando quell’unico occhio così nero e comprensivo, April sentì sciogliersi, le inibizioni e la timidezza che sempre l’accompagnavano si dileguarono come ombre nella notte.
-Ho…ho litigato con mia madre…- ammise dopo pochi secondi di silenziosa incertezza.
Lui rimase in silenzio, accarezzandosi il ciuffo di peli bianchi sul mento, da quel che sapeva i litigi tra April e Corvina erano tutt’altro che rari…se aveva reagito così doveva esserci sotto qualcosa di delicato.
-Su cosa avete litigato?-
Una domanda ben posta, con una risposta molto più criptica –Non…non abbiamo esattamente litigato… mi ha più accusata di…di “una cosa”…-
-Che cosa?- insistette lui.
-Una cosa!…dovevi vederla...come mi ha aggredita…io…io la odio!- April distolse lo sguardo da quell’occhio color carbone- Non mi va di parlarne, ora come ora…voglio solo dimenticare-
I denti aguzzi e luccicanti dell’assassino strapparono la carne infilzata sul coltello, quanto adorava le bistecche al sangue, quanto adorava il sapore della morte.
Lo gustò appieno quel boccone di carne grigliata ma ancora intrisa di sangue.
-Quando avevo dodici anni e provavo a rubare qualcosa dalla dispensa…lo sai cosa faceva mio padre se mi beccava?- domandò affettando un altro pezzo di carne.
-Ti spediva a letto senza cena?- azzardò lei ripensando alle punizioni peggiori che subiva a quell’età.
Lui ridacchio scuotendo il capo –No, no…magari l’avesse fatto…mi spaccava la schiena con un bastone. E come le dava…a quei tempi credevo di odiarlo.
Poi a quindici anni litigai con lui e scappai di casa, mi rifugiai nel fienile di alcuni vicini.
Pochi giorni dopo tornai, non potevo fare altrimenti, avevo fatto una cazzata con una ragazza del luogo*, ero sicuro che mi avrebbe ammazzato di botte…invece non fui io a morire.
Era il 1940, appena iniziata la Guerra, ci fu un rastrellamento…trovai mio padre impiccato a un lampione sulla via del ritorno.
E sai cosa feci? Divenni partigiano per lui, per vendicarlo…solo quando lo vidi appeso per il collo, con gli occhi sbarrati e la lingua di fuori, il viso gonfio e livido, solo allora mi resi conto di quanto tenessi a lui.
Solo quando lo persi.
Ci sono cose che diamo per scontato, April, parole che diciamo senza pensare: amore, odio, morte…inferno…quante volte abusiamo di questi termini? Quante volte le pronunciamo incuranti del loro vero significato? Troppe, bimba mia…troppe.
La gente sottovaluta l’enorme significato che certe parole racchiudono, e le sua senza pensare a ciò che dice…tu non sai cosa vuol dire odio, April…e ti auguro di non scoprirlo mai-
Un'altra fetta di carne sparì tra quelle labbra sottili e fredde.
-Quando torni a casa, va da tua madre e non importa come ma fa la pace con lei, dille che la ami e vedrai che lei farà lo stesso.
Hai sperimentato quanto rapidamente possono colpire le tragedie, se qualcuno o qualcosa vi separasse e l’ultimo vostro ricordo fosse un litigio, credimi: non te lo perdoneresti mai-
Chissà come avvenne, sarà che mentre pronunciava quelle parole, Ghostface aveva gli occhi bassi, sarà che erano effettivamente molto vicini l’uno all’altra…ma tutto d’un tratto il vecchio sentì qualcosa di soffice e caldo cingergli il petto.
Un calore a lungo dimenticato…a lungo desiderato.
Un abbraccio.
April lo stava abbracciando.
Per poco il boccone non gli andò di traverso.
-Grazie…- mormorò lei strusciando quel musetto da gattina contro le spalle larghe del vecchio.
Sì, ancora una volta Ghostface ebbe conferma dell’enorme potere le parole.
Un po’ adagio, forse impacciato, forse imbarazzato anche lui ricambiò l’abbraccio, stringendo forte ma con delicatezza quell’esile figura così fragile e così piena di voglia di vivere.
Sciocca!
Non aveva idea di cosa l’aspettava.
April gli ricordava terribilmente Stella Rubia, quando ancora andavano d’accordo, tanti e tanti anni addietro, allora lo abbracciavano entrambe le sue nipotine, ma le dita pallide dell’anziano fluivano gentili solo tra i capelli rossi della secondo genita…per Stella Nera c’erano sempre stati gli artigli, sia che si mettesse a destra o a sinistra.
Ogni tanto la sognava ancora…le chiedeva scusa…scusa per essere stato così insofferente nei suoi confronti, per averla usata, per averla schierata contro la sua famiglia, per averla abbandonata…per averla uccisa.
Ma ogni sua supplica, ogni invocazione restava sorda all’orecchio della defunta nipote, che restava immersa come l’omerico Aiace in uno sferzante silenzio, aleggiando pallida di ragnatela lunare assieme alla moltitudine di spettri che popolavano i suoi incubi.
Come con suo padre, Ghostface si era reso conto troppo tardi i quanto fosse legato alla sua piccola Amalia, fiore nero, dopotutto erano molto, troppo, simili.
<Se solo potessi tornare indietro…>
Ma del senno di poi son piene le fosse…questo lui lo sapeva bene.
<Perché mi hai salvato, Terra? Sarebbe stato meglio per tutti, per te soprattutto, se fossi rimasto a morire in quella tomba di cemento…ma ora sono libero, con un obbiettivo davanti che dovrò portare a termine…troppo codardo per suicidarmi, troppo determinato per desistere, troppo sicuro di me per fermarmi>
-Jonathan- la voce squillante di April lo riscosse dai suoi tetri pensieri.
-Jonathan- lo chiamò di nuovo lei richiamandone l’attenzione.
Quando l’occhio nero di lui fu di nuovo posato sulle iridi ancor più scure della quattordicenne, essa riprese a parlare –S-so che non ci conosciamo da molto….ma…ma tu mi hai salvata- balbettò timidamente, giocando nervosa con una ciocca di capelli come fosse una ragazzina, cosa che effettivamente era –Mi hai salvata senza sapere il perché, o chi fossi, l’hai fatto e basta… ti voglio bene-
-Anch’io- sorrise il vecchio passandole le dita callose sulla nuca, quei lunghi capelli setosi erano identici a quelli di Corvina, solo molto più lunghi.
-Tu…tu per me sei molto più di un maestro, più di un amico…tu per me sei qualcosa di speciale, qualcosa di…di diverso. Sei come un…un…-
-Un padre?- azzardò lui interrompendola.
-Un padre? Naaa- sorrise April con una smorfia-Quello ce l’ho già, e poi sei troppo vecchio. Tu sei come un nonno, per me-
-Già…un nonno- ripeté Jonathan con lo sguardo basso, dal tono sembrava quasi deluso.
 -Devi volergli bene a tuo padre- aggiunse –Ne ha a fatti di sacrifici per te…-
<E molti ancora ne farà>
Si diedero un’ultima abbracciatona e poi si separarono, nel farlo April notò un numero marchiato sull’avambraccio di Ghostface.
7389965.
-Cos’è questo?- domandò ingenuamente indicandolo col dito.
Se avesse riflettuto un attimo probabilmente si sarebbe risposta da sola ma invece era andata a toccare quel tasto dolente.
-Un ricordo…- rispose Ghostface posando la pupilla su quel numero impresso su di lui.
-Un marchio che ho portato con me dai lager…- a quelle parole April sbiancò, anche se vista la sua carnagione fu un cambiamento impercettibile, come poteva essere stata così scema da chiedergli di un simile argomento??!!
-Io adoro Dante…- riprese il vecchio –Tuttavia c’è un difetto nella Divina Commedia: Il Purgatorio e il Paradiso saran come ha detto lui…ma l’Inferno…quello l’ha completamente sbagliato.
L’inferno io l’ho visto, l’ho vissuto.
L’inferno è aver fame e non poter mangiare, aver sete e non poter bere, aver freddo ed essere nudi, chiedere aiuto e trovare botte, vedere la morte che sempre ti cammina a fianco senza sapere quando colpirà te o la persona che hai a lato, essere esausti e restare in piedi per ore al freddo pregando di evitare l’ennesima fucilazione, fare una doccia e venire divorati dall’angoscia che anziché gelida acqua esca gas, vedere cadaveri putrefatti ammassarsi ogni giorno di più, stagliarsi contro il debole sole che vedi solo da dietro le barriere di filo spinato fino a nasconderlo, cercare un viso amico e trovare solo altre decine, centinaia, migliaia di topi, un tempo uomini, messi l’uno contro l’altro, che lottavano a morte nel fango per un tozzo di pane, che come te vagano disperati nella neve, scheletri ricoperti di pelle che tossiscono per il fumo dei fuochi che alimentano coi loro stessi corpi, fuochi che non scaldano, fuochi che bruciano e avvelenano.
Quanti orrori…cose che nemmeno puoi immaginare, i documentari, i resti dei campi, le testimonianze di chi come me è sopravvissuto…non sono niente rispetto a quello che si passava in quei ritagli d’Inferno.
Ho visto angeli cadere sul filo spinato, soffocare…nelle camere a gas.
Ho visto padri, madri, figli, nonni, fratelli…come bestie sui treni partire…come Cristi con le loro croci arrivare… come fumo nel vento li ho visti salire, svanire sospinti da un gelido vento che spezzava le ossa a chi ancora respirava e spargeva quelle ceneri su tutta la terra-
April era spaventata, come poteva non esserlo dopo aver udito quelle cose, a scuola e a casa le avevano raccontato molto dell’argomento ma quello che vedeva riflesso nell’occhio di Jonathan, al rievocare di tali ricordi…era qualcosa di angosciante, indescrivibile.
-Se ti stai chiedendo se rifarei le stesse scelte, la risposta è sì, dalla prima all’ultima.
Diventare un Gufo Nero mi ha portato ad Auschwitz, ma ho combattuto a lungo sulle montagne, ho salvato vite…altre ne ho uccise.
Soldati tedeschi e italiani non più vecchi di me, alcuni probabilmente non avevano mai conosciuto le cosce di una donna, all’inizio mi sentivo in colpa, poi quando le rappresaglie delle SS si intensificarono, allora mi sentivo un eroe.
Dopo che mi deportarono non rividi più nessuno dei miei compagni partigiani, li ho cercati per decenni e non ne ho più saputo nulla.
Quelle persone erano mugnai, contadini, postini, calzolai, ladri, disertori…ma erano liberi, liberi e coraggiosi. Indomiti -
April aveva ascoltato assorta ogni singola sillaba del racconto del vecchio, gli occhi le brillavano di ammirazione, rimase in silenzio per il tempo che le parve opportuno, lasciando cadere la testa sulle spalle muscolose…
-Jonathan, non te l’ho mai detto…ma da quella note nel capannone, dove quei…quei pervertiti volevano stuprarmi, da allora anche se eri un perfetto sconosciuto, tu sei diventato il mio eroe…-
Ghostface sbuffò scettico vuotando metà del boccale di birra mentre ancora la giovane gli cingeva la vita, appoggiata contro le sue spalle ampie.
-Gli eroi non uccidono- borbottò portando nuovamente il bicchiere alle labbra, bianche di schiuma e di antico pelo.
-Sono un assassino. Posso insegnarti a difenderti, a diventare un’arma che respira…ma non ad essere un’eroina-
-Io non voglio essere un eroina- rispose April fissandolo dritto negli occhi, seria, glaciale…irremovibile.
Quelle parole erano una ferma decisione fatta a suono.
-Mia madre è un’eroina, mio padre è un eroe, sconfiggono i cattivi poi loro ritornano e li fanno soffrire…tanto soffrire, invece, quelli che tu hai ucciso nel capannone, quelli non daranno più fastidio a nessuno.
C’è un nuovo criminale in città, Ghostface lo chiamano, anche lui è stato sconfitto ed è ritornato.
Ha fatto cose orribili ai miei cari, a me, alla mia famiglia…
Io voglio essere sicura che la prossima volta che lo incontreremo…non torni più-
 
 
*vedi capitolo 15 Ghostface
 
Ok, mi scuso per l’enorme ritardo, ma nonostante siano iniziate le vacanze ho un sacco di roba per le mani, perdonatemi ma il 17 parto ancora per la route del mio gruppo scout (non posso mancare) e prima del 22 non penso ci saranno altri aggiornamenti di questa storia (posso provare a fare un capitolo e postarlo domani ma dubito) quel che più mi dispiace è che dovrete attendere per leggere il seguito di questo capitolo…perché infatti, per la prima volta nella Trilogia del Rigor Mortis, c’è un capitolo diviso a metà, questa è solo la prima parte!
(l’ho fatto semplicemente perché era troppo lungo)
Spero vi sia piaciuto, e scusate ancora, mi rifarò in un futuro molto prossimo.
Mi permetto di anticiparvi che la parte due sarà molto meno “blablablosa” e molto più “WTF?!”
Conoscerete un lato molto particolare dei nostri due personaggi…non dico di più.
 
Ghostface
  
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