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Autore: Ginny Jane    17/07/2015    9 recensioni
Tutti facciamo progetti: che siano per mantenere il nostro mondo in equilibrio o per abbatterlo e crearne uno nuovo....più semplicemente, per costruire le nostre vite. Ma quando le premesse cambiano? Quando risvolti inattesi trasformano il Sogno in un Incubo? La vita, poi, va dove vuole.
Di ritorno dalla Svezia, dopo il Terrore, Fersen si scontra con un una Francia cambiata, ma il cambiamento potrebbe essere molto più profondo di quanto si aspetta: che cosa ne è stato di Oscar? I loro mondi potranno coincidere ancora, come in passato, o si muovono ormai su orbite sfalsate?
Ecco la continuazione di "Sul muretto", che ne è diventato il primo capitolo, che alterna momenti comici e riflessioni tendenti al tragico, con la complicità di qualche piccolo personaggio nuovo. Mi sento in dovere di avvertire che il Fersen da me creato ha preso una piega un po' OOC. Spero che vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito la mia storia incoraggiandomi a continuarla.

Questo capitolo ha preso, me ne rendo conto, una piega più comica che ironica, e risulta meno profondo del precedente. Forse, il ritmo narrativo è un po' lento. Vi prego di considerarlo un capitolo di raccordo.

Sono altresì consapevole che le riflessioni che ho attribuito a Fersen, probabilmente, porteranno ad incrementare esponenzialmente l'antipatia generale di cui già gode. Il mio obbiettivo non è quello di calcare la mano sulla sua presunta lentezza di comprendonio, ma di mostrare quanto un'unione legittima fra due persone di diverso ceto sia, per la sua mentalità, inconcepibile.

Buona lettura

Ginny Jane

 

Enciclopedia del Mondo Nuovo:

La fauna della Normandia

 

Giungendo nelle vicinanze della villa, Fersen si sentiva ad ogni passo meno sicuro della sua impresa: rallentava impercettibilmente; le spalle e la schiena, generalmente dritte in un una postura marziale, si incurvavano via via verso il basso, i pensieri facevano fatica a prendere forma. Solo il cuore si dimostrava anarchico rispetto al processo di pietrificazione che sembrava colpire lentissimamente e inesorabilmente ogni altro organo del suo proprietario, e accelerava. Erano passati all'incirca sei anni dall'ultima volta che aveva visto madamigella Oscar. Le beau Fersen si trovava, forse per la prima volta, nell'impossibilità di stabilire come una donna avrebbe reagito alla sua presenza. Quando era tornato dall'America lo aveva accolto entusiasticamente, ma nel frattempo era sicuramente cambiata, come testimoniava la sua adesione alla causa dei sovversivi. E nel frattempo la loro amicizia....forse non ne restava davvero più nulla, dopotutto. Eppure, l'ultima volta che si erano incontrati le aveva salvato la vita...questo fatto avrebbe pure pesato sulla bilancia, no?

 

Improvvisamente, qualcosa attirò la sua attenzione e lo fece fermare. Qualcosa tale da assorbirlo totalmente, tanto che non si rese nemmeno conto che il bambino che lo seguiva, di cui si era, negli ultimi minuti, completamente dimenticato, gli era andato a sbattere contro a causa del brusco arresto e ora sedeva per terra nel punto in cui era atterrato, a massaggiarsi il nasino guardandolo con un misto di indignazione e curiosità.

Fersen si riprese rapidamente, ritrovando la sua andatura baldanzosa.

Aveva visto Oscar uscire da una porta secondaria e camminare attorno al cortile, sotto alle strutture lignee costruite per proteggere le carrozze e gli attrezzi agricoli, come alla ricerca di qualcosa nascosta nella paglia o dietro le casse sovrapposte.

Non gli venne alcun dubbio che fosse lei: come avrebbe potuto non riconoscerla, anche se relativamente da lontano? I capelli di quel biondo particolare, dorato, anche se più lunghi di come li ricordava, erano inconfondibili. Così come l'andatura, marziale e rigida, ma con un'eleganza intrinseca a cui nessun altro soldato avrebbe mai potuto aspirare.

Non sembrava cambiata; man mano che si avvicinava, Fersen poteva distinguere altri dettagli familiari: gli abiti maschili dal taglio severo, quasi borghese, che era solita indossare a casa; un modo caratteristico di spostarsi i capelli dalla spalla destra, gesto che aveva da tempo imparato ad attribuire alla stizza...e infine la voce: stava parlando, forse chiamando qualcuno. Le parole non gli arrivavano ancora chiare, ma il timbro, profondo e gradevole, sì.

No, non era cambiata affatto: era il suo “amico” di sempre, solo un po' abbronzato. Una costatazione forse un po' avventata, ma sicuramente rincuorante, che lo spinse ad accelerare il passo, sinceramente emozionato nel rivederla sana e salva dopo tanto tempo, tanta paura, tanto sangue.

 

-Pierre? Pierre?! Ma si può sapere dove ti sei cacciato?! Rispondimi!- La voce era alterata e

non appena il significato delle parole giunse alla distanza a cui si trovavano, Fersen si vide superare dal marmocchio, in corsa a rotta di collo lungo il lieve pendio.

-Sono qui mamma! Non arrabbiarti, sono qui!-

 

Mamma? Mamma?! MAMMA?!!!

 

Il processo di pietrificazione, che sembrava essersi arrestato e svanito, giunse improvvisamente al suo apice, inchiodando l'uomo nel punto in cui si trovava, con un braccio alzato a reggere le redini del cavallo, che nel frattempo gli erano scivolate dalla mano, e un piede sospeso a metà di un passo.

Quando, nel 1768, l'esploratore britannico James Cook aveva compiuto la prima visita approfondita dell'arcipelago della Nuova Zelanda, doveva essersi imbattuto in una piccola iguana, chiamata dai nativi Tuātara, che ha fatto dell'immobilizzarsi completamente, in qualunque posizione si trovi, una strategia di sopravvivenza. Fersen, avendo assunto una sfumatura verdina, sembrava deciso a diventare membro onorario di questa specie.

 

-Mamma, guarda che cosa ho trovato - esclamò il bambino indicandolo eccitato -Un cittadino conte della Spezia! Era sul muretto dal bosco!”

-Ma che dic....- Le parole le morirono in gola quando, alzando lo sguardo, incrociò finalmente un ben noto paio di occhi blu, sbarrati. Occhi che appartenevano, indubbiamente, a un certo conte di Spezia.

Sgomenta, ebbe solo la forza di sussurrare, dopo qualche istante:-Svezia, tesoro. Svezia....-

 

Rimasero così per diversi minuti , Oscar ancora semi-inginocchiata accanto a Pierre, a fissarsi attraverso il cortile, ciascuno immerso nello scroscio di pensieri che l'incontro aveva generato.

Fu lei a muovere i primi passi, indirizzando al suo ospite inaspettato un ampio sorriso.

-Fersen! Che piacere...da quanto tempo! Che cosa vi porta qui?-

La risposta al suo saluto cortese non fu certo quella che ci si sarebbe aspettata da un elegante uomo di mondo:-A...Av...Avete un figlio?!-. Oscar si fermò, spostando lo sguardo dall'uomo al bambino (il quale intanto aveva trovato una nuova fonte di interesse nel cagnolino che inseguiva una gallina, sfuggita al pollaio), e viceversa.

-Ehm....sì. Sì, io...ho un figlio.-

-Ma come...ma mi ha detto...suo padre!..non...-

 

-Fersen...- La donna sembrava vagamente imbarazzata. Si rendeva gradualmente conto di quanti avvenimenti il conte si era perso. Quanti cambiamenti cruciali della sua vita aveva da raccontargli! E quanto gli sarebbero sembrati sconcertanti....

Gli sorrise:- Amico mio, sono successe parecchie cose da quando ci siamo visti l'ultima volta. Ne ho molte da raccontarvi, e sono sicura che voi ne avete altrettante. Immagino abbiate fatto un lungo viaggio. Vi prego, non volete accomodarvi in casa?-

Ancora qualche battito di ciglia, poi l'uomo ritrovò qualcosa della sua originale compostezza: -Ma certo! Perdonatemi Oscar, perdonatemi. Sono terribilmente contento di rivedervi! Sì, io...sono venuto a trovarvi. Spero di non arrecarvi disturbo....-

-Niente affatto! Bene, allora- e il “generale di brigata”, ritrovando il suo proverbiale spirito pratico e autoritario, fece arrivare un ragazzo perché si prendesse cura del cavallo e del bagaglio di Sua Signoria, la quale venne amabilmente fatta entrare nel salotto.

 

La stanza in cui si ritrovarono a sedere era uno strano miscuglio di passata raffinatezza e praticità agreste. La carta da parati cineseggiante, le poltrone e il divano damascati e qualche altro mobile erano parzialmente danneggiati: le decorazioni, probabilmente in avorio, erano state rotte e rubate; alcune parti delle intelaiature lignee erano state grattate per poter ricavare la foglia d'oro che le rivestiva. Le suppellettili, quali porcellane, specchi, orologi e statue, spiccavano per la loro assenza. In tutta evidenza, la villa aristocratica non era stata risparmiata dai pesanti saccheggi avvenuti in tutta la Francia all'indomani della Rivoluzione. Un robusto tavolo di legno, ingombro di carte e giornali, attorno al quale erano raccolte tre rozze sedie, tutte diverse, completava il mobilio, mentre la decorazione era affidata a mazzetti di fiori di campo profumati infilati in bicchieri, bottiglie e semplici vasi. Un gatto dormiva, per qualche sua personalissima quanto misteriosa scelta, acciambellato nel camino spento.

Nonostante la sua povertà e incoerenza, l'ambiente non ispirò sentimenti di pietà nel conte: era pulito, a suo modo curato, trasmetteva un'impressione di informalità e...leggerezza d'animo.

 

-Posso offrirvi qualcosa da mangiare? E magari un bicchiere di buon vino?-

Il senso di confusione e malessere, che aveva momentaneamente allentato la sua morsa, tornò a tormentare il conte non appena il marmocchio, con qualche piuma di gallina fra i riccioli, fece il suo ingresso passando dalla finestra, e interrompendo la sua risposta.

Il rimbrotto severo della madre non si fece attendere: -Dannazione, Pierre! Ma ti sembra il modo di comportarti?! Davanti a un ospite! Non ti abbiamo impartito nessuna educazione, forse?- poi, notando il pallore di Fersen aggiunse, suo malgrado sogghignando:-Forse gradireste qualcosa di più forte del vino?-

Ma Sua Signoria non sembrava nelle condizioni di cogliere la leggera ironia della frase, e rispose con gratitudine che qualcosa di un po' forte era esattamente ciò di cui necessitava.

Fu così che, dopo aver spedito Pierre in camera sua perché si ripulisse (-non capisco proprio come tu faccia ad avere la terra anche dentro le orecchie!-), Oscar salpò verso le cantine promettendo un liquore di cassis e lasciando così modo al conte di riflettere in solitudine su quanto stava avvenendo.

 

Il marmocchio era figlio di André.

Oscar aveva un figlio ed era il suddetto marmocchio.

Una volta accettata questa verità, era necessario metterla in prospettiva.

 

Non si sarebbe mai e poi mai aspettato di trovare la sua algida amica in una situazione del genere. Un figlio...di André poi! Ma che cosa le era passato per la mente?!

Le vite di tutti, in quegli anni, erano state stravolte: forse Oscar si era resa conto, parecchio prima che arrivasse lui a farglielo notare, di aver condotto una vita troppo solitaria, di non aver mai voluto mettere a frutto la sua femminilità... André era per lei un caro amico; un'amicizia, per quanto poco rispettabile che fosse, di cui non avevano mai fatto mistero. E dotato di un aspetto piacente, stando agli apprezzamenti che aveva spesso sentito proferire da una dama o l'altra, fra una corridoio e l'altro di Versailles. Era sempre un passo dietro di lei, a proteggerla, a prendersene cura.... In un'ottica un po' cinica, era...a portata di mano.

Per un attimo, Fersen ebbe il fastidioso pensiero che quella stessa femminilità a lui era stata offerta eccome, e per primo. Non l'aveva accolta. Lo avesse fatto nulla di tutto ciò sarebbe successo....Si disse che né la Storia, né la vita, si facevano con i “ma” e con i “se”. C'era solo da ringraziare ogni santo del cielo (ops, pardon! L'Essere Supremo, secondo una delle più belle pensate di quel criminale, Robespierre, che finalmente avevano giustiziato) che Oscar non gli avesse sbattuto la porta in faccia per questo. Non sembrava affatto arrabbiata...ma non le aveva ancora comunicato la ragione del suo viaggio...

 

Volendo essere obbiettivo la situazione, sebbene delicata, non era poi drammatica. Non era certo la prima nobildonna a mettere al mondo il bastardo di un inserviente. Era un genere di incidenti che, da che mondo è mondo, capitava...(non a lui! Non che sapesse, almeno...). Spesso, queste gravidanze venivano interrotte sul nascere, bevendo intrugli a base di prezzemolo* e altre erbe, ad esempio: una pratica diffusa che, a dirla tutta, lo aveva sempre messo a disagio. Non si stupiva che Oscar non avesse optato per una soluzione simile.

 

“Dev'essere lontana la cantina...”

 

La sua proposta? Sarebbe stato necessario pensarci con prudenza.... ma non c'erano gli estremi per accantonarla direttamente.

Era sconcertante il modo in cui Oscar aveva deciso di tenersi in casa sia il bambino sia, a quanto aveva intuito dai discorsi di questo, suo padre. E soprattutto, il modo in cui si prendeva cura del moccioso....si lasciava chiamare pubblicamente “mamma”! (Che cosa da popolani! Avrebbe almeno dovuto pretendere di essere chiamata “madre”....) Anche questo era in linea con il suo carattere, un'evidente prova del suo buon cuore. Se avesse accettato di sposarlo avrebbero dovuto parlarne....ma se gli era affezionata non aveva alcuna intenzione di toglierglielo: aveva visto Antonietta soffrire troppo per non poter allevare i suoi figli come averebbe voluto, a causa dell'etichetta e degli impegni di corte, per non sapere quanto profondo è l'attaccamento di alcune madri. La sua non era stata ascrivibile a questa categoria.... ma dopo aver asciugato le lacrime della sua amante per un figlio morto, non avrebbe rischiato di farne versare nemmeno una alla sua amica per un figlio che, a Dio piacendo, avrebbe vissuto. Al contrario, era venuto intenzionato a renderla felice. Gli venne la magnifica idea che avrebbe anche potuto offrirsi di adottarlo dopo il matrimonio. Non era in grado di proporle un matrimonio d'amore, quindi, d'altro canto, poteva anche tollerare di accogliere in casa sua il figlio di un altro. Avrebbe dovuto parlare con un notaio per informarsi su come adottarlo senza includerlo nella linea ereditaria, ma era sicurissimo che si potesse fare.

 

“Eppure, non torna...ma quanto sarà lontana questa cantina?”

 

No, la situazione non era affatto disperata. Pensandoci bene, che Oscar avesse accettato pienamente la sua femminilità lo liberava dal timore che potesse ridergli in faccia sentendo una proposta di matrimonio, cosa che aveva fatto, gli avevano raccontato, quando si era presenta ad un ballo in suo onore indossando l'uniforme.

 

“Ma perché non ci ha mandato quel suo attendente a prendere da bere... o non è ufficialmente più questa la sua utilità in questa casa?” si ritrovò a pensare acidamente, vergognandosene però subito dopo. E rendendosi conto che rimaneva ancora un punto particolarmente incerto su cui riflettere: se e in che grado Oscar avrebbe accettato di separarsi dal suo attendente.

Arrovellarsi ancora su queste questioni, prima di averle parlato, era totalmente inutile.

 

Aveva appena raggiunto questa conclusione, quando la porta si aprì...ma non la attraversò nessuno.

Almeno, non per quanto lui potesse vedere dalla posizione in cui si trovava. Dovette alzarsi per realizzare che, nascosto ai suoi occhi dal divano, un secondo bambino, biondo questa volta, era entrato caracollando nella stanza.

Questo esemplare umano dimostrava due o tre anni, non avrebbe saputo dirlo con certezza, non essendo affatto un esperto di bambini. Il piccolo, la cui testa ciondolante sembrava, al conte, vagamente sproporzionata, puntò immediatamente verso al camino. Ivi giunto, si inginocchiò per abbracciare il gatto, che, non esattamente entusiasta di questa dimostrazione di affetto, si ingegnò per riempire entrambi di cenere, riservandone una giusta dose per il pavimento circostante.

Solo dopo essere riuscito, con immane fatica, ad estrarre il felino dal focolare e a portarlo, in parte in braccio in parte trascinandolo, al centro della stanza, il moccioso-numero-due sembrò prendere atto della presenza di un estraneo, e prese a fissarlo con aria grave.

Rimasero a scrutarsi in silenzio, evidentemente tanto sorpresi l'uno dell'esistenza dell'altro da non badare ai miagolii della povera bestia, ancora intrappolata fra le braccia del bimbo.

Infine questi, forse avendo individuato, in base alla sua attenta osservazione, un potenziale nuovo amico, si esibì in un grande sorriso.

 

Fersen si ritrovò a pregare con tutto se stesso che Oscar ricomparisse, con una buona dose di risposte...e di alcolici.
 

*Il prezzemolo, in grandi quantità, è tossico e può provocare l'aborto.

   
 
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