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Autore: Amachodidaskalos    05/08/2015    0 recensioni
Basta poco. Basta un lampo, un fascio di luce. Il mondo, apparentemente immutato, si trova ad affrontare la peggiore delle sorti: l'isolamento. Ce la faranno i grandi eroi delle storie a salvarlo? No, semplicemente perché non esistono. Il delicato compito di portare l'equilibrio questa volta non viene affidato a paladini senza macchia o potenti stregoni dai cappelli a punta. Costretti insieme dagli eventi, un gruppo di individui dalla morale più o meno dubbia si vede consegnata tra le mani da nientemeno che la Morte in persona un'ultima disperata occasione: dodici giorni per salvare il mondo. Ma in fondo non è meglio superare la propria natura malvagia che nascere buoni?
Se avete un deja-vu, non temete: il Matrix è in ordine. Piuttosto questa storia, che era arrivata al sesto capitolo, sè stata accidentalmente cancellata, e quindi la stiamo ripostando. In realtà, Shades è il resoconto di una campagna di D&D 3.5 tuttora in corso, ma non temete, profani: è perfettamente leggibile anche per chi non sa nemmeno cosa sia un tiro sulla Tempra; per i navigati di GdR sarà solo un poco più intrigante.
BuonaLettura.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XXV: La botola

Il minuscolo stanzino era arredato in maniera povera: un singolo letto in ferro battuto arrossato dalla ruggine con fili di paglia che fuoriuscivano dal materasso tarlato occupava la quasi totalità del lato opposto all’unica finestra della camera, da cui il sole gettava la sua pallida luce sulle assi graffiate di un polveroso pavimento in legno, e su di uno scrittoio, con ancora un piccolo calamaio di vetro mezzo pieno di inchiostro ed una pila di fogli di carta di bassa qualità ad aspettare invano una mano che li adoperasse.
Tremanti e stretti l’uno contro l’altra in un angolo dietro la testata del letto, Nether e Nori ascoltavano in silenzio il loro respiro pesante riempire l’aria ferma, estranea al forte vento che soffiava fuori dalla finestra. Salire le scale era stato un incubo, viste le condizioni della Dea della Morte, ma entrambi avevano concordato che nascondersi al piano di sopra avrebbe fornito più preavviso in caso qualcuno li avesse davvero rintracciati. Chi poi sarebbe stato, non importava: vista la loro condizione, era del tutto indifferente essere inseguiti dalle guardie della città o dalla strana donna che sembrava essersi schierata in loro difesa. In preda al panico ed ad un folle senso di terrore, non erano rimasti a lungo a chiedersi se fossero semplicemente finiti in mezzo ad una battaglia che non li riguardava o se quella creatura avesse davvero avuto intenzione di proteggerli.
Nel dubbio avevano preso tutte le precauzioni di sorta, consumando ciascuno una pozione di invisibilità ed una per rendersi invisibili anche alla divinazione, che avevano avuto sufficiente buon senso di portare con sé durante la precipitosa fuga dal carretto insieme a tutti gli altri oggetti utili, ed avevano anche entrambi preparato gli incantesimi da lanciare su chiunque avesse varcato la soglia, ma nonostante tutto sobbalzarono comunque quando udirono la porta al piano di sotto spalancarsi, e si strinsero più vicini l’uno all’altra.
 
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Inizialmente, superata la frustrazione di non essere riuscita a divinare i servi di Oneko fuggiti dal carro, si era messa in testa di seguire le tracce dei non-morti, che però si disperdevano in tutte le direzioni, facendole pensare ad un tentativo di depistarla.
“Si aspettavano che li avrei inseguiti, dunque.” aveva concluso agitando nervosa la sua coda nera “Che mi conoscano anche loro?”.
Preoccupata dal nugolo di guardie che erano accorse in aiuto del loro capitano ferito e che la  guardavano fisso da sotto le celate abbassate, la strega stava quasi per rinunciare alla ricerca e ritirarsi, quando un sottile  ma penetrante odore di carne bruciata le aveva solleticato il naso. La fonte si era rivelata essere un punto preciso del carro, su cui fino a poco tempo prima, a giudicare dall’impronta sui tessuti e sulle stoffe ammassate a fare da cuscino, giaceva sdraiata una persona. Tracce di cenere e di un misterioso agglomerato nero sparpagliati sul lastricato della via alla base del carro le confermarono che qualcuno era capitombolato oltre il bordo nel tentativo di trascinare qualcosa di pesante. Un corpo quasi inerte, probabilmente. Incuriosita dall’insolita pista, aveva lasciato che il suo olfatto acuto seguisse la traccia persistente di bruciato prima che il vento la disperdesse, e quella l’aveva condotta verso nord, nel dedalo di viuzze laterali che si avviluppava intorno alla strada maestra. Non aveva dovuto percorrere molta strada: una chiazza di liquido nero qui, un odore più intenso là dove qualcuno si era appoggiato contro il muro, talvolta un’impronta malamente cancellata nel fango che si era formato nelle strade dopo una notte di pioggia, l’avevano condotta di fronte ad una sgangherata casa a due piani, completamente anonima in mezzo a tante costruzioni quasi identiche. Nel momento in cui aprì la porta, la traccia ben conservata dall’aria stantia all’interno della casa le pizzicò i sensi, ed un largo ghigno di trionfo le si allargò sul viso. “Sono qui.” esultò internamente “I servi di Oneko sono qui.”.
Entrò con circospezione, misurando attentamente i passi per non produrre alcun rumore, ma le assi schiodate del pavimento la tradirono, cigolando al minimo cambio di pressione. “Meraviglioso, così avrò un grande vantaggio di sorpresa.” bofonchiò tra sé e sé seguendo l’odore di bruciato in giro per le stanze abbandonate, fino a ritrovarsi di fronte ad una rampa di scale che salivano al secondo piano.
Percorse i gradini rapidamente, appena sfiorando il legno scricchiolante, e salì fino a raggiungere un lungo corridoio, che si allungava per tutta l’estensione della casa. Il piano di sopra aveva sette stanze,  e tutte poco più grandi di un loculo, a giudicare dalle porte ravvicinate, e non c’erano altre vie per scendere. Sondando l’aria con tutti i sensi a sua disposizione, Due-code si immobilizzò, restando in attesa del più piccolo segnale che tradisse la presenza di un essere vivente in una delle camere, ed alla fine lo trovò: un impercettibile soffio, il respiro di almeno due creature, riecheggiava da sotto l’ultima porta a sinistra.
Non appena iniziò a camminare verso il suo obbiettivo, il soffio regolare si interruppe. “Mi avete sentito, quindi,” pensò appoggiando la mano sulla maniglia, “ma non abbiate paura di morire, ho piani particolari per voi: mi servite vivi.”.
Aprì la porta con un calcio violento, per poi scattare subito sulla difensiva, evocando i suoi tentacoli per trafiggere qualsiasi cosa le sarebbe saltato addosso, ma, con sua grande sorpresa, la stanza si rivelò vuota. «Eh?» fece confusa, controllando prudentemente il soffitto, aspettandosi di vedere qualcosa piombare all’attacco, ma la minaccia arrivò dal basso: dal pavimento scaturirono quattro nerastre appendici carnose larghe quanto piccoli tronchi e lunghi circa tre metri, che dopo essersi dimenate per un istante nell’aria si avvolsero intorno al suo corpo, tentando di immobilizzarla. Due-code si divincolò con facilità dal primo attacco, aizzando i suoi tentacoli neri contro quelli che sporgevano dal terreno, ma tutti i suoi colpi rimbalzarono contro la loro superficie gommosa senza lasciare alcun danno visibile.
Imperterriti, i tentacoli rivali tornarono all’assalto, e questa volta uno di essi riuscì ad afferrarle una gamba. Con il loro compagno che le impediva di muoversi liberamente, gli altri tre ebbero gioco facile nell’avvolgersi intorno al suo torso ed ad iniziare a stritolarla come le spire di un serpente. La Divoratrice annaspò quando sentì le sue costole scricchiolare sotto l’immensa pressione a cui era sottoposta, e le si mozzò il fiato, ma la tutte le microfratture che sentiva aprirsi una dopo l’altra si rinsaldavano all’istante, senza che lei provasse il benché minimo dolore.
«Ma che cazzo…» imprecò mentre la trappola magica la sollevava in aria, lottando contro la robustezza dei suoi muscoli e la resistenza della sua pelle per spezzare il suo corpo o sbatterla contro una parete. Morse con tutta la sua forza un tentacolo che minacciava di avvinghiarsi intorno al suo collo, ma quello continuò come se nulla fosse a descrivere una spira dopo l’altra sulla sua gola sottile.
“Hanno capito che non possono schiacciarmi, ed ora cercano di soffocarmi?” si chiese mentre evocava di nuovo i suoi tentacoli per cercare di trafiggere gli altri, senza successo “No, non ha senso, non esiste una trappola magica così intelligente: l’incantatore deve essere qui vicino.”.
Il tentacolo strangolatore sgusciò via dalle sue fauci come se fosse stato coperto d’olio, e stava per tornare all’attacco puntando in direzione dei suoi occhi, quando una grande mano scheletrica mozzata all’altezza del polso, con ancora alcuni brandelli di carne penzolanti dalle giunture giallastre, si materializzò di fronte a lei come solidificatasi dall’aria, e le artigliò il viso diffondendo una violentissima scarica di gelo. Questa volta il dolore ci fu, acuto e pungente come una pioggia di nevischio invernale, che le lasciò i muscoli del collo e del volto avvolti da un torpore glaciale.
Con l’occhio sinistro completamente coperto dal palmo putrescente e la vista del destro offuscata dal semicongelamento dell’umor vitreo, l’unica cosa che Due-code riuscì a distinguere di fronte a sé attraverso l’ectoplasma che circondava la mano incantata fu la direzione in cui puntava il polso reciso della stessa: l’angolo della parete opposta alla finestra, proprio dietro la testata del letto. “Se solo riuscissi a liberare un braccio…” pensò riprendendo a divincolarsi con tutta la forza che aveva in corpo, quando un raggio di luce purpurea scaturì verso di lei, filtrando attraverso le ossa semievanescenti della mano che ancora le si stringeva sul volto ed avvolgendola in pieno. Istantaneamente, i suoi movimenti rallentarono, si fecero più difficoltosi, come se delle corde invisibili la stessero intralciando, fino a che non si bloccarono del tutto e lei si ritrovò paralizzata, del tutto inerme di fronte alla stretta letale che dei tentacoli neri, che non persero l’occasione di avvilupparsi con più forza intorno alla sua gola indifesa, occludendole quasi completamente il flusso sanguineo che correva al cervello.
“No!” si disperò mentre il suo campo visivo cominciava a stringersi ed a riempirsi di macchioline rosse, ma ad un tratto la magia cessò di colpo, ed i tentacoli mollarono la presa, avvizzendo come fiori recisi. Anche la mano spettrale si dissolse come fumo, lasciandola a terra ansimante ma libera.
«Fallo adesso!» sentì strillare una voce femminile «In fretta, la mia magia durerà al massimo ancora pochi secondi!».
Con lo scroscio del suo sangue a riempirle le orecchie, Due-code non distinse nulla della risposta che un uomo sembrava aver farfugliato, ma non appena cadde come un corpo morto sul pavimento, poté distinguere chiaramente il tocco di una mano, di una vera mano umana, che premeva sulla sua schiena. Una sensazione di bruciore intenso divampò sulla sua pelle, come se il suo organismo stesse cercando di lottare contro un potente acido, ma scomparve quasi subito, lasciando il posto ad un freddo dolore pungente.
«Oh-oh,» sentì un uomo balbettare sopra di lei «n-non ha funzionato.».
La donna che aveva parlato prima gridò, quasi sull’orlo di una crisi di nervi. «Come sarebbe “non ha funzionato”? Colpisci ancora, uccidila!».
Una scarica di energia negativa la attraversò consumando i suoi organi dall’interno: la Divoratrice inarcò la schiena, improvvisamente libera di muoversi, per poi afflosciarsi a terra, priva di sensi. L’ultima cosa che sentì fu la punta fredda di una spada che premeva sulla sua nuca.
 
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Lia posò delicatamente la punta della lingua sulla parete del castello, ritraendosi in fretta quando quella iniziò a risucchiare la sua saliva ad una velocità spropositata. «È proprio sale,» confermò pulendosi le labbra «mi ha seccato tutta la bocca in un attimo, però: forse contiene qualche incantesimo disidratante.».
«Non è impossibile,» aggiunse Timis infilandosi un guanto per scorrere la mano sulla liscia superficie bianco opaca «anche perché non vedo come sarebbe stato possibile estrarre una così grande quantità di sale senza la magia.».
Arretrò di qualche passo, rovesciando la testa all’indietro per ammirare le tre alte guglie gibbose simili a stalagmiti che si innalzavano dal tetto altrimenti piatto dell’edificio, ciascuna segnata da profonde cicatrici nella crosta esterna di sale. «Non ci sono da nessuna parte segni di lavorazione,» considerò piano, mentre le prime gocce d’acqua iniziavano a cadere dal cielo cinereo, mischiandosi agli spruzzi salati che il vento portava alla sua pelle da quaranta metri più in basso «non si vedono le linee dei blocchi e non sembra che sia stato usato alcun tipo di malta, è come se tutta la fortezza fosse stata tagliata in un unico cristallo di sale, e l’unico effetto che ha avuto il tempo è stato di accrescere in maniera irregolare il lato che da sul mare.» Aguzzò la vista, cercando di distinguere meglio gli squarci nella crosta esterna che correvano su tutte le guglie. «Quindi cosa ha fatto quei tagli?».
«Se erano tracce su un albero, dicevo che era passato un animale di recente,» osservò Leo, stringendo gli occhi con fare esperto «però nessuna volpe può salire fin lassù. Voi cosa ne pensate, maestro?».
Miros impiegò un attimo ad elaborare la domanda: benché non rischiasse più di crollare a terra, il suo colorito manteneva ancora la malsana tinta verdastra che aveva dopo il teletrasporto. «Err… non saprei, ci sono molti animali che volano,» bofonchiò poco interessato «piuttosto, la vera domanda è se il castello è abitato. Penso.».
La Falce annuì con convinzione. «E vista l’assenza di campanello, il modo più semplice per appurarlo è entrare a vedere, dico bene?».
Il portone guardava a sud, verso l’entroterra, ed in tempi migliori doveva presentarsi come una semplice porta di legno scuro, con l’architrave ed i piedritti dello stesso materiale incastonati nel minerale circostante con minuzia e precisione, ma dopo forse secoli di incuria lo stato in cui versava l’unico accesso alla fortezza era ben diverso: il legno appariva nero, bruciato, pieno di squarci e fessure che attraversavano parallele le assi rattrappite. Il chiavistello metallico ed il grande batacchio ad anello fissato nel centro erano entrambi ricoperti di una spessa crosta di ruggine e cristalli di sale, che sembravano lottare tra di loro come due avvoltoi che si azzuffano per una carcassa, e lo stesso valeva per le poche borchie di ferro che non fossero state già divelte dai loro alloggiamenti, lasciandosi dietro ciechi buchi nel legno. Le dimensioni della porta corrosa erano minuscole, per essere l’ingresso ad un palazzo tanto grande.
“Leo dovrà abbassare la testa per entrare.” considerò mentalmente la mezzelfa, che solo in quel momento realizzava di non avere la minima idea di cosa avrebbero trovato oltre quella porta “Questo castello è diametralmente opposto a quello che continuo a sognare: in cima ad una scogliera in vece che in una valle, non vicino al lago ma vicino al mare, il degrado degli elementi contro la purezza architettonica, una porta minuscola al posto di un portone megalitico…”.
Abbassò la testa, piena di dubbi. “Sono davvero nel posto giusto? Ho fatto bene a venire qui?” si chiese mordendosi il labbro.
La voce di Lupo la riscosse dai suoi pensieri. «Timis,» la chiamò, indicando sospettoso la serratura «guarda, amica: la crosta di sale sopra i cardini è spezzata. Qualcuno ha forzato questa porta di recente.».
La tartaruga aveva ragione: una sottile crepa correva nel cristallo salino che divorava i contorni della porta. Visibilmente teso, Miros slacciò il suo falcione dalla schiena, e lo usò come bastone per appoggiarsi, puntando sulla pietra dura sotto i suoi piedi il rinforzo metallico all’estremità dell’arma, ed iniziò a guardarsi intorno diffidente, aspettandosi che qualche animale sbucasse fuori all’improvviso dalla Pineta alle loro spalle.
“Ehi, chiedile se sente qualcosa con la sua capacità di percezione dei viventi.” gli sussurrò Loreth a bassa voce, come se anche altri potessero sentirla, ora che la sua presenza era stata rivelata.
«Uhm, Timis?» chiamò nervoso «Tu puoi percepire le creature viventi, vero? Senti qualcosa?».
La mezzelfa sospirò. «Non è un senso così sviluppato,» spiegò con rammarico «mi permette di identificare tutte le creature davanti a me, viventi o non-morte, e di percepire quelle vicine, ma il raggio è ristretto: non percepisco nessuna presenza di alcun tipo, ma questo non vuol dire che Roccasale sia disabitata.».
Dalla bocca della mercenaria sfuggì uno sbuffo annoiato. «Allora, vogliamo entrare o no?».
Con determinazione, Timis tirò la maniglia marcia con la mano guantata, e mosse il primo passo all’interno del castello. «Lupo, luce.» comandò, e la tartaruga verde mutò nella più agile figura del lupo argentato, che iniziò subito ad emettere un bagliore costante.
Nessuno aveva un idea precisa di come potesse presentarsi l’interno della fortezza, ma già nelle menti di tutti avevano iniziato a danzare meravigliose e surreali immagini di serpenti di mare che si attorcigliavano nei bassorilievi su tutte le pareti delle camere, o golem di sale ormai spenti in rigida guardia ai lati delle porte, con le lance di pietra incorruttibile in resta, pronti ad accogliere in silenzio i viaggiatori, ma tutti rimasero delusi quando oltre la porta la luce del druido rischiarò le pareti spoglie di una stanza senza finestre né opere scultorie: più che nell’anticamera di un castello, pareva di essersi affacciati su un ripostiglio vuoto. I cristalli di sale sulle pareti erano disposti secondo sfaccettature irregolari, e riflettevano piccole stille di luce che trapassavano le pupille della mezzelfa come minuscoli spilli, costringendola a stringere gli occhi per distinguere le sagome nella penombra. Il fatto che la stanza non avesse altre porte oltre a quella d’ingresso rendeva ancora più claustrofobico il piccolo vestibolo: l’unica cosa che facesse intuire che le camere del castello non si limitassero a quella era una piccola botola semisfondata, dalla forma vagamente circolare, abbastanza larga perché una persona per volta riuscisse a calarvisi, a patto che non avesse le spalle troppo larghe. La copriva un disco ligneo scuro, corrotto e corroso dal sale quanto la porta, ricavato dalla sezione di un unico tronco di pino. Il coperchio appariva divelto dai due piccoli cardini metallici arrugginiti infilzati nel minerale bianco come picchetti da tenda, ma era stato riposizionato con una certa cura sopra il buco.
Uno dopo l’altro si stiparono nel piccolo vestibolo, ammassandosi intorno alla botola per studiarla, con molte domande che nessuno aveva il coraggio di porre. In fondo alla fila, Lia non aveva mosso che un passo all’interno della stanza quando un odore acre e penetrante le ferì le narici. Si fermò sulla porta, ignorando la naturale repulsione che la spingeva ad arretrare e sforzandosi di concentrarsi sulla traccia. Era lieve, quasi impercettibile sotto il pesante odore salmastro dello iodio che permeava l’aria come una presenza solida e tangibile, ma era comunque inconfondibile: sangue. Sangue di un animale di grossa taglia, poté giudicare dalla fragranza, ma non era certo stato quella traccia a cui era tanto abituata a farle arrestare i suoi passi: l’odore del sangue era mescolato ad aromi ben più sgradevoli, come quello della carne marcia ed ormai sulla via della putrefazione, ed il miasma pestilente dell’acqua stagnante di palude.
Con un’occhiata rapida studiò le espressioni di tutti gli altri, attenta a cercare sui loro volti disgusto e sospetto, o un qualsiasi altro segno che potesse farle intendere che anche loro avevano percepito l’odore, ed un sorriso beffardo le si tese sul volto quando realizzò eccitata che nessuno, neanche il cane con il suo olfatto acuto, erano stati in grado di sentirlo. Sapeva bene che la spiegazione più probabile per quella singolare miscela di effluvi era che un mostro marino di qualche genere avesse eletto Roccasale a proprio nido e nascondiglio, e che vi avesse recentemente portato una nuova vittima da lasciar frollare nell’acqua stantia di chissà quale pozza salata, ma era ancora indecisa se condividere con gli altri questa sua intuizione o no. Se la sua previsione si fosse rivelata corretta, la fiducia e la considerazione che avrebbe guadagnato sul resto del gruppo sarebbero stati incalcolabili, ed a dir poco decisivi nel guadagnarsi l’accesso a quei dettagli che Coleos sembrava desiderare tanto ardentemente.
“Il lucertolone!” realizzò stringendo i pugni per non lasciarsi sfuggire neanche una scintilla “Merda, dovevo fargli rapporto ogni sera!”.
Alla sua sinistra, Leo sgomitò per guardare meglio mentre Timis e Miros spostavano il coperchio della botola con la calma timorosa di che non sa cosa aspettarsi, e Lia fu spinta fuori dal gruppo. Normalmente avrebbe come minimo fulminato l’arciere dalle orecchie a punta, ma in quel momento la sua mente era totalmente occupata da un unico pensiero.
“Merda, merda, merda,” imprecò tra sé e sé “se prova a divinarmi e mi trova così lontano dalla città penserà che sono scappata e mi darà la caccia. Devo contattarlo al più presto.”.
Il coperchio era scivolato di lato senza sforzi. «C’è dell’acqua sul fondo,» confermò Lupo Grigio dopo che ebbe colto un riflesso della sua luce brillare in profondità «e ci sono dei buchi sulla parete, per salire e scendere, a grandezza d’uomo, tipo scala a pioli.».
Lia non aveva sentito niente dopo la parola ‘fondo’. «Acqua?» chiese nervosa, dimentica di tutte le sue altre preoccupazioni «Quanta?».
Il druido scrollò le spalle. «Non saprei, amica, boh.» rispose perplesso «Almeno tre metri, non si vede il fondo. Suggerirei comunque di non lasciarsi cadere, forse è meno profonda di quanto sembra.».
Stette immobile per qualche secondo, cercando di capire cosa nascondesse davvero la domanda, fino a quando non drizzò le orecchie amichevole. «Tu hai poteri elettrici, vero? Problemi con l’acqua?» chiese, scodinzolando spensierato quando Lia annuì con una punta di imbarazzo «Tranquilla, penso di poterla spostare, se non è un abisso senza fondo: formerò una bolla d’aria intorno a te, passerai senza problemi, resterai totalmente asciutta.».
La mercenaria sorrise sollevata, ma si sarebbe sentita molto più rassicurata se il lupo non avesse aggiunto un “o quasi” alla fine della frase. In ogni caso, quando per ultima si accinse a posare il piede nel primo dei gradini scavati e cominciò la lenta discesa verso il basso, la vicinanza con l’elemento ostile si fece sentire. Poteva sentire l’acqua oscillare quindici metri sotto di lei al flebile spostamento d’aria dei loro corpi. Quel rumore portava con sé soltanto brutti ricordi: gli innumerevoli tentativi di annegarla che la gente del suo villaggio aveva compiuto prima di riuscire a buttarla nel fiume dove era sopravvissuta per miracolo, quella volta quando era rimasta intrappolata su di una nave per più di due mesi senza mai toccare terra, con la stiva che si allagava un poco ogni volta che le onde peggioravano, le minacce di Eldos per costringerla a rivelare informazioni inesistenti su chi l’avesse mandata ad uccidere suo padre, quando lei si era trovata a Myrth quasi per caso, del tutto ignara dell’immunità all’elettricità dei draghi di bronzo….
“Eldos… Coleos…”. Quei due nomi maledetti le ricordarono anche del pericolo in cui si era cacciata per colpa delle chiacchiere inutili dell’elfo che l’avevano distratta per tutta la serata. Il mezzo-drago guerriero sarebbe stato capace di inseguirla sino in capo al mondo pur di fargliela pagare: certamente non si sarebbe arreso solo perché lei aveva lasciato Myrth. Se chiudeva gli occhi poteva già sentire il suo odore e quello del fratello con gli occhiali che riempivano il cunicolo man mano che i suoi passi la guidavano sempre più vicina all’acqua.
“No, aspetta…” pensò mentre si rendeva conto che non era tutta immaginazione. Lasciò che l’aria viziata del pozzo le riempisse le narici, svelandole le cose non viste. L’odore era diverso: simile, ma diverso. La faceva sempre pensare a qualcosa di serpentesco, a qualcosa con le squame, ma invece del gradevole odore di ozono e metallo caldo che emanavano di due mezzi-drago, era legato a doppio filo con il tanfo palustre che aveva percepito prima.
“Un drago?” si chiese incerta, studiando con più cura i dettagli della traccia “No, due: un maschio e una femmina.”.






Importante: ciao. Meno importante: questo è l'ultimo aggiornamento estivo. Non che non postiamo più fino al 23 di settembre, ma per motivi vacanzieri non saremo in grado di caricare un nuovo capitolo MINIMO fino al primo mercoledì dopo il 5 settembre. Speriamo che finora la storia vi abbia quanto meno interessato. Comunque saremo disponibili per rispondere ad eventuali messaggi o recensioni fino al 10 agosto. Se vi va...

Commento del Master: Io avevo votato per il titolo "Ma che farai mai tu alle donne.", offertoci dalla spettacolare prestazione di Nether Low che ne manda al tappeto un'altra. A questo punto, aspettiamo che incontri Lia. Per il resto, è vero che è stato anche culo con i dadi, ma riuscire a sottomettere un LE 14 con un personaggio di sesto livello è di classe. Ah, i buoni vecchi Tentacoli Neri di Ervard, uno di qegli incantesimi che si utilizzano una volta nella vita. Anche Nori però provvidenziale con il Blocca Persone, eh. Peccato (o fortuna, dal punto di vista di Due-code) che Distruggere Viventi non abbia funzionato appieno.
Per il resto, abbiamo una caotica malvagia che fa la caotica malvagia. Tutto ok.

Commento dei Giocatori: Picchiare PNG è divertente. Picchiare PG lo è di più. Prepararsi, da mezzi morti, un attacco a sorpresa contro il PG che ti sta cercando ed abbatterlo non ha prezzo. Alla fine, Rigenerazione 7 e RD 16 non contano nulla contro i sani, vecchi effetti dell'energia negativa. Aspettate solo il piano geniale della coppia N&N per "sistemare" la loro inseguitrice.

Bussola del lettore: Tutto ciò è vergognoso. Ogni giuocatore di ruolo come si deve l'avrebbe sbandierato in faccia ai lettori ed ai loro vicini di casa sin dai primi capitoli. Eppure rileggendo ci siamo resi conto di non aver mai palesato l'allineamento dei personaggi, il che è spaventoso. (Forse di alcuni lo abbiamo fatto, ma facciamo finta di niente). Per oggi solo pg, dai, in ordine di apparizione.
Timis Galanodiel: Legale Neutrale.
Nether Low: Legale Malvagio.
Miros: Caotico Neutrale.
Loreth: Neutrale Malvagio.
Nori Chie: Neutrale (all'inizio Legale Neutrale, ed ora sulla buona strada per Caotico Neutrale).
Waffle Yodas Shuckle, alias Lupo Grigio: Neutrale.
Leo Noah, esterno: Caotico Neutrale.
Leo Noah, interno: Legale Malvagio.
Lia: Caotico Malvagio.
Due-code, alias Kuza: Neutrale Malvagio.

Che ne pensate? Calzano? O vi immaginavate qualcosa di diverso? Saremmo curiosi di conoscere la vostra opinione.
 
  
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