Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: _armida    02/09/2015    2 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo VII: Il Conte, parte II

“Sono Girolamo Riario…”; la voce del Conte le giunse lontana; era di una freddezza disarmante e  da essa non traspariva alcuna emozione. La lentezza con cui scandiva ogni singola parola era esasperante.
Inizialmente Elettra si sentiva ancora stordita da quella sostanza sconosciuta che aveva respirato e che l’aveva messa KO, senza quasi rendersene conto. Le palpebre erano molto pesanti e, per quanto si sforzasse, non riusciva ad aprirle. 
Ad un certo punto sentì un tonfo, come di un corpo che cadeva a terra; poi sentì la voce di Nico, non capiva cosa dicesse, ma era interrotta spesso da singhiozzi e lamenti. Qualsiasi cosa stesse succedendo, intorno a loro, lo terrorizzava.
Decise di non muovere un muscolo, finchè non fosse riuscita ad aprire gli occhi. Meglio se la credevano ancora addormenta.
Le urla di dolore di Nico la riportarono completamente alla realtà. Aprì gli occhi di scatto, guardandosi intorno. Ai suoi piedi vi era la testa mozzata della guardia della notte; rimase per un attimo interdetta, ma si riprese subito. Era la giusta fine che quel traditore si meritava.
Il luogo dove si trovavano lo conosceva bene: quel tipo di rovine romane non distavano molto da dove aveva avuto il primo colloquio con il Turco. Delle persone presenti, invece, riconobbe solo un volto: aveva avuto modo di parlare con il cardinale Lupo Mercuri due anni prima, a Roma, durante la cerimonia per la consacrazione di suo fratello a vescovo; Aramis era infatti il suo segretario personale. Aguzzò la vista, nel tentativo di scorgere anche lui, ma non lo vide. Ripensandoci meglio, era ovvio che non fosse lì; se ci fosse stato avrebbe di sicuro convinto Riario a lasciarla andare subito. 
Cercando di ignorare le urla di Nico, che le trapanavano la testa impedendole quasi di pensare lucidamente, analizzò la situazione. C’erano almeno una decina di guardie svizzere nelle immediate vicinanze; la cosa positiva era che o le davano le spalle, o erano troppo concentrate su quello che il Conte stava facendo, per prestare attenzione a lei. Anche Riario le dava le spalle, seduto su una sedia a pochi metri di distanza. Un altro elemento a suo favore era il fatto che non l’avevano legata stretta, come era successo a Nico; si erano solamente limitati a metterle delle manette. Probabilmente, nonostante avesse neutralizzato due uomini, non veniva considerata come una reale minaccia. Avevano commesso un grosso errore, a sottovalutarla.
Senza dare troppo nell’occhio, Elettra riuscì a prendere una delle forcine che teneva affrancate alle maniche della camicia; dopodiché la inserì nel lucchetto che teneva chiuse le manette. Le ci volle un po’, per aprirle. Lavorare con una mano sola non era facile. Alla fine, capì come fare e, senza fare il minimo rumore, fece scattare la serratura.
Si guardò nuovamente intorno. Nessuno l’aveva notata.
Senza pensare neanche un attimo alle possibili conseguenze che quel folle gesto avrebbe comportato, si alzò di scattò e con un gesto fulmineo rubò la spada alla guardia svizzera che le si trovava più vicina. Poi, approfittando del momentaneo stupore che aveva paralizzato le file romane, si scagliò contro il Conte.
Cogliendolo alle spalle, gli puntò l’arma al collo, facendo leggermente pressione con la lama. L’altro non fece neanche una piega, rimanendo imperturbabile anche quando era la sua vita, ad essere in pericolo. 
Mercuri diede ordine alle guardie di colpirla, ma dovette rimangiarsi presto le sue parole. Elettra aumentò ancora di poco la pressione della lama sulla gola di Riario, causandogli un piccolo taglio, poco più di un graffio, da cui uscirono alcune gocce di sangue. Sul volto del Conte, per un attimo, si formò una smorfia di dolore.
Quel gesto, agli occhi delle milizie romane, significava che la ragazza faceva sul serio.
Per Elettra, invece, quello che aveva fatto era stata solo una dimostrazione; sperava tanto di non doverne fare un’altra. Non ne sarebbe stata in grado. Non aveva mai ucciso un uomo e non lo avrebbe di certo fatto quel giorno, anzi, sperava di non doverlo fare neanche in futuro. Riario le serviva vivo; sarebbe stato il lasciapassare suo e di Nico verso la libertà.
“Tieni, Nico”, gli disse porgendogli il pugnale che aveva preso dalla cintola del Conte, “Liberati e muoviamoci a filare via da qui”.
Una piccola distrazione, per controllare che il suo amico non si ferisse, ed era lei, a trovarsi dalla parte sbagliata di quell’affilatissima lama che poco prima aveva puntato alla gola di Riario. Non riusciva neanche a capacitarsi, di come quell’uomo aveva ribaltato la situazione così in fretta. Era finita con le spalle premute contro quel tavolino dove, fino ad un attimo prima, ci stava lo strumento di tortura usato su Nico. Il ragazzo, dal canto suo, appena capito la situazione, aveva lasciato cadere l’arma a terra ed alzato le mani in segno di resa. 
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, le disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo. 
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave. 
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”, le chiese, facendo un sorriso freddo e distaccato che aveva come unico intento quello di intimorirla.
“Andate al diavolo!”, gli rispose lei guardandolo fisso negli occhi con aria di sfida.
Riario si lasciò sfuggire una risatina. “Non siete nella pozione l’ideale, Madonna, per usare quel tono”, le fece notare. “Non importa, per ora. Dopo che avremo recuperato la chiave dalla bottega di Da Vinci, potremo parlarne più nei dettagli”, aggiunse.
Ora Elettra cominciava davvero ad avere paura. E il Conte se ne accorse, soddisfatto di sé stesso.
 
***

Elettra chiuse gli occhi, per non vedere l'ennesimo scaffale rovesciarsi e i preziosi schizzi di Leonardo finire a terra. Le milizie romane stavano mettendo sotto sopra la bottega, in cerca di quella maledettissima chiave.
Riario non si era mai staccato da lei, non l'aveva legata, le teneva semplicemente i polsi dietro la schiena con una tale forza che probabilmente le avrebbe lasciato non pochi lividi.
Elettra poteva sentire il suo respiro sul collo, talmente le era vicino. E lui poteva sentire il profumo di vaniglia del sapone che usava ogni giorno.
Nico, invece, se ne stava immobile, piantato come un palo, in mezzo alla stanza. Aveva gli occhi fissi su un punto non ben definito del muro, due lacrime che gli solcavano perennemente il viso e continuava a massaggiarsi la mano ferita.
Elettra doveva sbrigarsi, a trovare una buona idea per fuggire di li. Sapeva benissimo che la chiave l'aveva Leonardo al collo. Quando anche Riario lo avrebbe capito, se la sarebbe presa con loro due. Poi le venne in mente della cassa dove Leonardo teneva i suoi progetti più importanti; al suo interno, oltre a qualche foglio di carta, vi era diversa polvere da sparo. La cassa era progettata per esplodere, se si provavava a forzarla. Sarebbe stato rischioso, ma ne valeva la pena.
Cominciò a fare cenni a Nico con lo sguardo; doveva essere lui a prendere l'iniziativa perchè, se avesse parlato lei della cassa, si sarebbero insospettiti tutti e avrebbero fiutato l'odore di bruciato. 
Niente. Non la notava.
"C'è qualcosa che volete dire a tutti noi?", chiese Mercuri sottolineando quel 'tutti noi'; si era accorto che Elettra tentava di attirare lo sguardo del ragazzo.
"Assolutamente no", gli rispose con un grande sorriso che aveva solo lo scopo di prenderlo in giro. Come conseguenza di ciò, Riario rafforzò la stretta sui suoi polsi. Cominciava a farle davvero male. 
"Trovate quella chiave", sibilò ai suoi uomini. La ragazza aveva capito che si stava innervosendo.
Comunque non tutto era stato vano; era riuscita ad avere l'attenzione di Nico. Controllando che nessun altro la stesse osservando, indicò all'amico un punto del muro. Inizialmente parve non capire, poi le sorrise.
Aspettò un po' e, dopo l'ennesino scaffale finito a terra, si fece coraggio e decise di agire. "Fermatevi! Non ci riuscirete mai", disse. Quando ebbe gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, andò verso il muro dove estrasse una mattonella. Nello spazio lasciato vuoto vi era una leva. La tirò e una parete si spostò, lasciando intravedere la cassa. "Quello che cercate è li dentro", disse rivolto a Riario. L'altro fece segno a due guardie svizzere di prenderla e metterla su di un tavolo.
"Aprila". Aveva un tono di voce se possibile ancora più freddo e distaccato che in precedenza, ma Nico riuscì a reggere bene il gioco. "Non posso, è siggillata", gli rispose.
"Proteste forzare la serratura, Madonna", disse il Conte a Elettra , mentre affondava il viso nella bionda chioma della ragazza per l'ennesima volta. Aveva davvero un buon profumo.
"Prima di tutto mi servono le mani libere, per farlo, e secondo io non vedo serrature da forzare", gli rispose cercando di apparire il più sicura possibile nonostante fosse terrorizzata. Ai presenti apparve solo più impertinente del solito.
"Fatela a pezzi, allora" 
"Ci siamo", pensò Elettra. Cercò con lo sguardo qualcosa dietro cui riparasi ma non trovò nulla, nelle immdiate vicinanze. 
Tra un colpo di spada e l'altro alla cassa, vide Nico prepararsi all'impatto. Aveva un espressione seria e decisa sul volto che Elettra non gli aveva mai visto.
Riario, nel frattempo, aveva puntato tutta la sua attenzione sui comportamenti dei due giovani. Capì troppo tardi che qualcosa non tornava. "Fermatevi!", urlò agli uomini che stavano tentando di aprire la cassa. Fu inutile.
Un battito di ciglia prima che l'onda d'urto li colpisse, Girolamo fece un gesto che Elettra non si sarebbe mai aspettata: con un movimento fulmineo spostò la ragazza dietro di sè, facendole da scudo con il prorpio corpo.
Vennero entrambi scagliati all'indietro e finirono a terra. Elettra cadde di faccia, ma ebbe la prontezza di mettere le mani in avanti e riuscì così a non sbattere il naso contro il duro pavimento in pietra. Il Conte le ricadde sulla schiena con tutto il suo dolce peso.
Mentre Riario si alzava a fatica fiondandosi su Nico, che finì schiacciato con la schiena contro un tavolo rimasto miracolosamente integro, Elettra sgattaiolò via, nascondendosi dietro ad una parete. Lo sentiva inveire verso il giovane apprendista di Da Vinci, ma non riusciva a staccarsi da quel muro. Si raggomitolò su sè stessa,  nella speranza che nessuno la notasse; era terrorizzata, non riusciva a muoversi e respirava a fatica.
"Leonardo!", era la voce di Andrea. Non era mai stata felice come in quel momento di sentirla.
"Via!", urlò Riario mettendosi a correre. Erano stati scoperti.
Poco prima di sparire oltre la porta della bottega, si voltò ad osservare la ragazza. Nonostante stesse tremando sembrava apperentemente in salute. L'esplosione non l'aveva ferita, fortunatamente. Gli aveva tenuto testa per tutto il giorno; non era un fatto che gli capitava spesso. Si sentiva uno stupido a non averle chiesto neanche il suo nome.
Per un istante soltanto, i grandi occhi azzurri di lei si specchiarono in quelli color nocciola di lui.

"Va tutto bene?", chiese il Verrocchio irrompendo di corsa nella stanza. Si fermò a pochi passi dalla soglia, guardandosi intorno con gli occhi fuori dalle orbite. "Cos'è successo qui?!", ora il suo tono di voce era decisamente preoccupato. Poi vide Nico disteso su quel tavolo polveroso e andò ad aiutarlo a rimettersi in piedi. Era ancora molto scosso.
"Quegli uomini sono spie del Papa", disse Leonardo facendo il suo ingresso insieme a Zoroastro.
"Non ti bastava scontrarti con i Medici ora anche... Leonardo stai parlando del Papa!", Andrea era scioccato.
"Che potrebbe fare? Strapparci le viscere con una forchetta arrugginita?", aggiunse Zororoastro guardandosi intorno. Pio la vide. Elettra se ne stava là, con la schiena appoggiata contro quella parete; aveva gli occhi chiusi e respirava a fatica. L'aveva già vista così, più di una volta, ma era successo tantissimo tempo prima. Credeva che l'avesse superato, ormai. 
"Va tutto bene", le disse avvicinandosi. Lei aprì gli occhi e si sforzò di sorridergli. "Sono andati via", le ripetè accovacciandosi di fronte a lei e mettendole le mani sopra le ginocchia che la ragazza teneva strette al petto. "Ora puoi calmarti". 
Sentì Leonardo parlare con Nico dell'accaduto; era anche lui molto preoccupato.
"Nico è messo peggio di me", disse Elettra tentando di tirarsi in piedi, aggrappandosi al muro. Non fu una buona idea. Una volta in posizione eretta, il mondo aveva preso a vorticare velocemente. Si costrinse a rimanere lucida e, con le gambe che ancora le tremavano, si azzardò a fare qualche passo. Fortunatamente Zoroastro era al suo fianco e riuscì a sorreggerla, altrimenti sarebbe caduta immediatamente a terra.
Riuscì a raggiungere il tavolo dove vi erano Nico e Leonardo, appoggiandosi ad esso con tutto il suo peso.
Nella penombra, Zoroastro non lo aveva notato, ma ora il viso di Elettra era in piena luce. "Cosa hai fatto alla faccia?!", le  chiese preoccupato.
In quel momento, ne era certa, il suo cuore mancò un battito. Si portò una mano tremante sullo zigomo, sentendo del sangue ormai raggrumato sotto i polpastrelli. "E' tanto grave?". Aveva paura a sentire la risposta. 
Si staccò dal suo appoggio e si diresse verso una specchiera, sulla parete più lontana dal punto d'origine dell'esplosione. Nonostrante mostrasse molte crepe, sulla sua superfice, era miracolosamente ancora in piedi. Si avvicinò, osservandosi la ferita. 
"Porca puttana, Zo!", gli urlò arrabbiata, "E tu mi fai quasi venire un infarto per questo graffietto? A vedere la tua espressione credevo di esssere stata sfregiata a vita!".
Leonardo diede un coppino sulla nuca dell'amico. Se l'era davvero meritato. 
"Questa quì è una ferita di guerra di cui andare fieri!", aggiunse Elettra ridendo. 
Se aveva la forza di fare battute sull'accaduto allora voleva significare che stava decisamente meglio.
"E anche Riario ha la sua, di ferita di guerra", rivelò Nico. Gli stava davvero bene a quel bastardo.
"Sei riuscita a ferire Riario?", il tono di voce di Leonardo era tornato preoccupato.
"Alla gola", si intromise Nico, "Peccato che non sei andata più in profondità. Avresti fatto meglio ad ucciderlo".
"Ma siete impazziti tutti e due?!", urlò Andrea, "Si vendicherà appena ne avrà l'occasione!"
"Gli avete fatto vedere quanto valete. Avete fatto qualcosa di veramente eccezionale. E siete riusciti a salvarvi la vita.", nonostante anche Leonardo fosse pienamente consapevole della situazione, era fiero di loro due. 
"Dobbiamo informare il Magnifico dell'accaduto", disse ad un tratto il Verrocchio.
"Prima però lasciatemi  tornare a casa e, per favore, non fate il mio nome, quando gli racconterete i fatti. Non voglio che mio zio lo venga a sapere. Si preoccuperebbe talmente tanto che sarebbe capace di togliermi il mio incarico", quella di Elettra era una supplica.
"Gli manderò un messaggio domani mattina", disse Leonardo. "Tu stanotte domirai qui. E non lamentarti, chiaro? Ci saranno delle ripercussionie e non ti voglio sapere a casa da sola.", aggiunse rivolto ad Elettra.
Alla ragazza non le restò altro che annuire.
 
***

Leonardo era stato bravissimo con lei. Le aveva medicato le ferite, l'aveva aiutata a fare un bagno per lavare via tutta la polvere e la stanchezza di quel giorno. E l'aveva messa pure a letto.
Ora Elettra era là, nel letto dell'artista, completamente avvolta nelle coperte. Non riusciva a prendere sonno. Continuava a pensare agli avvenimenti di quel giorno. Le guardie svizzere al mercato, le urla di Nico, l'esplosione... E poi la faccia di Girolamo Riario. Non riusciva a togliersela dalla testa. Quell'uomo era cinico e spietato, eppure, non riusciva a spiegarsi quel gesto. Perchè le aveva fatto da scudo con il suo corpo? Non lo capiva e, forse, non lo avrebbe mai fatto.
Tutti i suoi pensieri si dissiparono, quando Leonardo arrivò e si sdraiò vicino a lei.
Si rigirò su un fianco in modo da poterle vedere meglio il volto. Fortunatamente se la sarebbe cavata solo con qualche livido e qualche leggera escoriazione. Anche la ferita sullo zigomo sarebbe presto andata via. 
Le si fece ancora più vicino, abbracciandola.
Protetta e cullata dal rassicurante calore che il corpo di Leonardo, a contatto con il suo, le dava, Elettra riuscì finalmente a prendere sonno.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: _armida