Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Amantea    03/12/2015    9 recensioni
"Un uomo legge il giornale seduto all'interno della sua automobile, ogni mattina.
Una donna anziana non mette mai il cappotto, nemmeno nelle mattine d'inverno più fredde.
Mia madre mi tiene per mano mentre camminiamo spedite, è presto, ma non poi così presto, me lo ripete, dolcemente, mentre mi tira un po', lungo la salita, che è faticosa per le mie gambette muscolose ma corte, rispetto alle sue. Mia madre ha lunghe gambe, dalla falcata decisa, e un poco nervosa.
Salutiamo i passanti, pochi in verità, perché qui, a Neverville, come le sento ripetere spesso, ci sono poche anime, e quasi tutte perdute."
Un'avventura negli spazi infiniti, una missione da compiere, narrata dalla voce della protagonista, che non è quello che sembra, ricordando la propria infanzia, temendo quello che sarà ...
La mia prima storia originale, prendendo a prestito la fantascienza per scavare nell'animo dei protagonisti.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-6-
NEVERVILLE


-6-


Volo le scale di casa senza sentire altro che il cuore impazzito frusciare nelle orecchie, la gola riarsa, gli occhi offuscati dalle lacrime.
Spalanco il portone singhiozzando, attraverso la strada, e poi via, per il bosco, il terrore che mi spezza le vene, le ginocchia molli, la voce di mia madre che mi rimbomba nella testa,
senza sosta.
Corro senza voltarmi indietro, la ghiaia sdrucciolevole sotto alle suole, il mondo che balla scomposto davanti ai miei occhi a ogni passo.

E dietro di me, il nulla.

Finalmente arrivo alla grotta, e allora mi blocco, per non scivolare sul fango. Tremo, mi stringo contro il giaccone, mi faccio animo, mamma mi raggiungerà a breve... me lo ha promesso...
Un senso di angoscia improvviso mi mozza il fiato, e allora raggiungo la vasca, più in fretta che posso. Le mani sul bordo, mi volto, lentamente.
Mi pare che... che ci sia qualcosa, fuori dalla grotta. Non saprei dire cosa... mi sembra di sentire un brusìo, o forse è solo il frastuono che ancora fa il sangue pulsando scomposto nelle tempie... e d'improvviso... vedo dei bagliori... delle piccole lame di luce che appaiono e scompaiono, in un guizzo.
L'acqua, un posto sicuro
(1) ... Coraggio, un ultimo passo e sarò salva!

Guardo l'acqua, smossa dal rocchio che esce dalla roccia. La tocco con un dito, è gelida.
E' un attimo, e scavalco l'orlo di pietra con uno stivale. L'acqua penetra sotto le calze, imbeve i pantaloni, una gamba e poi l'altra.
Quelle strane scie fluorescenti continuano a danzare all'ingresso della grotta.
Trattengo il fiato, le spalle contro la parete di sasso, mi lascio scivolare, l'acqua che risale attraverso il giaccone, la maglia che si appiccica alla pancia. Brividi.
Stringo le ginocchia al petto, ho così freddo che i denti battono da soli tra le labbra dischiuse.
Ma qui non mi cercheranno. Qui non potranno farmi del male.

Mammina, fai veloce, che ho tanta paura.


Ciò che mi scorre nelle vene mi rende un essere anomalo.
Non nell'aspetto esteriore. Forse sono leggermente più pallida degli altri, i miei occhi hanno una rara trasparenza, sebbene screziata di verde, che non ho mai riscontrato in altre persone. E da un paio di settimane a questa parte ho un udito da pipistrello. Ma per il resto, se posso dir così, sono una ragazza come le altre.
Eppure incuto diffidenza. Un malcelato timore. Ne sono consapevole, e non biasimo coloro che mi evitano.
Ma forse se sapessero che anche io provo emozioni, formulo pensieri e ipotesi, al pari loro...
C'è stato un tempo in cui guardavo ogni cosa con occhi pieni di speranza. Poi la mia vita ha deviato il suo corso... e adesso, per la prima volta... mi accorgo che non è tanto il corpo, che reclama la sua felicità, quanto l'anima, che ci passa attraverso.

Mi fermo davanti alla porta dell'infermeria. Una leggera pressione del palmo per farmi aprire, annuncio il mio nome.
La porta scorre, disvelandomi. La dottoressa ruota il busto dallo sgabello su cui è seduta, mi sorride.
Gli esami sono una routine per me. Mi ci sottopongo ogni giorno. 
Il mio corpo è ricco di un complesso vitale che potremmo chiamare per semplicità acqua, e lo è molto più del normale. Molto più di un qualsiasi altro essere umano, modificato o no.
Ci sono voluti decenni di ricerche perché gli scienziati trovassero la "misura" giusta, creando un liquido equivalente che permettesse al corpo umano di vivere e di funzionare alla perfezione. Ma io sono l'unica che ha sforato ogni limite.
Il mio materiale organico mi rende l'arma più potente al momento conosciuta contro gli Invasori.
La verità è che ero già predisposta a essere modificata. Sono l'unica sulla faccia della Terra a possedere questa caratteristica genetica. Non replicabile. Non trasmissibile (il mio sangue è incompatibile con quello degli altri umani). 
E nessuno sa ancora il perché.


Fu chiaro quasi subito, al tempo del Primo Attacco, come stavano le cose.
Almeno per quello che ho studiato, e per come me l'hanno raccontata, ché io non ero ancora nata.
Arrivarono sulla Terra, e dopo un primo contatto fortuito e rovinoso con le acque dell'oceano, non si avvicinarono più all'acqua. Le loro astronavi, intendo. Nessuno ha mai visto come fossero fatti i piloti. Nessuno ha mai visto uno di Loro. Che io sappia, ma è solo quello che so, ripeto, non ne è mai stato catturato neppure un esemplare.
Che cosa cercassero sul nostro pianeta, non è mai stato stabilito con certezza. Forse alcune sostanze presenti all'interno del suolo terrestre. Forse alcuni tipi di elementi. Forse non sapevano quanto il nostro pianeta potesse rivelarsi venefico.
Non hanno mai rapito esseri umani. Non hanno mai cercato un "contatto". Non hanno mai comunicato, sotto nessuna forma.
L'acqua fu usata come un'arma per tenerli a distanza, ma non era sufficiente. Li danneggiava, ma solo temporaneamente.
La vera svolta fu scoprire che un pilota kamikaze aveva arrecato più danno di un'intera controffensiva aerospaziale.
Era il nostro organismo l'arma più efficace.

Gli invasori se ne andarono all'improvviso così come erano arrivati.
Al tempo del Secondo Attacco, invece, io ero nata, e vivevo a Neverville.
Chi aveva potuto farlo, volontariamente o meno, era stato spedito nelle Colonie spaziali. Gli altri erano stati trasferiti nelle metropoli infraoceaniche, specie di città costruite sotto il livello del mare, al sicuro quindi. Pochi erano restati sulla terraferma. Un nucleo di idealisti, che credevano che fosse possibile trovare il modo di convivere con gli Invasori, una manciata di vecchi (i più difficili da sradicare -o forse i più inutili da salvare), e pochi altri.
E quando Loro tornarono, e spazzarono via quel che era rimasto della superficie del pianeta, non furono molti i sopravvissuti tratti in salvo.
Le modifiche genetiche nel frattempo erano state perfezionate, era stata trovata la misura, che non indeboliva ma fortificava. Eravamo pronti per la nostra prima offensiva.  
E poi trovarono me.

La dottoressa ha origini asiatiche. Non che la razza abbia una qualche rilevanza, qui nello spazio.
La osservo, rapita dalla sua cortese efficienza, ogni volta.
Quando gli uomini hanno lasciato la superficie del pianeta il concetto di etnia o razza ha perso di significato. C'era un luogo da ripopolare, e questo era quanto. Ma non posso non notare i suoi capelli lisci e neri, le sue mani piccole, e i suoi piccoli piedi. Si muove veloce, eppure ossequiosa, gentile, gli occhi amorevoli raccolti attorno alle rughe, sottili, così come le labbra.
Io credo di essere soprattutto un mistero. Per lei, e anche per gli scienziati che mi hanno avuto in custodia per molti anni, che mi hanno studiata e rivoltata come un calzino. Che mi hanno trattata come un tesoro raro e prezioso, allenata e istruita come dovessi diventare il migliore dei soldati. Formata e cresciuta nell'idea che io avrei salvato la Terra e gli esseri umani dell'intero universo. Che io ero destinata a una morte gloriosa per la salvezza dell'umanità.

Non ho mai dubitato. Non c'è mai stato un momento, uno solo, in cui io abbia avuto paura, o abbia provato qualcosa di simile a un pentimento o un ripensamento. Non ho mai vacillato. Ho un compito. E' per questo che sono qui. Non sarei nata diversa altrimenti.

La dottoressa è attenta, quasi delicata. Mi fa entrare all'interno di una colonna trasparente, che darà in poco tempo una schermata di numeri e intervalli di valori, la lista dei parametri da valutare. Pochi istanti, e posso già sdraiarmi su un lettino.
- Come ti senti, Mina? Hai qualcosa da riferire? -, mi chiede, come ogni volta.
- Sto bene, ma c'è una novità -, annuncio subito.
La dottoressa solleva lo sguardo dagli schermi che stava controllando: -Una novità? -, ripete.
- Sì. Il mio udito è diventato molto sensibile -.
- Molto sensibile quanto? -.
- Riesco a cogliere gli scambi di battute di una conversazione, anche se non sono presente. Da un paio di settimane a questa parte -.
La dottoressa tace, sembra raccogliere i pensieri.
- Fino a che distanza riesci ad udire distintamente le parole? -, chiede infine.
A che distanza? Non saprei, davvero.
- All'interno della Motherhead, sicuramente. Non... non arrivo a cogliere conversazioni su altre astronavi -, spiego.
Che sia chiaro, non è una capacità psichica, non leggo i pensieri, sento le voci... il che mi rende discretamente folle, ma tant'è.
- Ma se ti chiedo di concentrarti, di prestare attenzione... il luogo più lontano che percepisci? La sala macchine... il deposito... cosa... -.
L'astronave è grande, decisamente. E' strutturata su più livelli. Tre, compreso quello in cui ci troviamo adesso. Dove si apre anche la Sala azzurra, la stanza del capitano, gli alloggi dei piloti e dell'equipaggio, la Sala bianca... Se mi concentro? Vediamo...
Chiudo gli occhi, lascio fluire i suoni, respiro. Ondate di voci e parole mi saettano nel cervello, sembrano confusi, si sovrappongono. Mi concentro, respiro ancora. Voci diverse che si rincorrono. Posso seguirle, ci riesco, sì, contemporaneamente.
- Mmm... voci che non riconosco, devono essere degli addetti alla revisione dei veicoli spaziali, perché stanno parlando di livelli di energia e di manutenzione. Quindi... livello 1... il più distante da qui. Direi che posso udire una qualunque conversazione tenuta in un posto qualunque dell'astronave -.
Devo gioirne?
La dottoressa prende atto delle mie parole, annuendo.
- I tuoi livelli vitali sono leggermente alterati, ma non credo che possano essere all'origine o conseguenza di questo tuo inaspettato... dono-, riferisce.
- Eseguiamo il prelievo, adesso, così avrò un quadro completo. Porgimi il braccio, Mina -, continua.

Mi denudo il braccio fino a sopra il gomito. E' bastato pensarlo. Con queste tute biosensitive è fin troppo facile, dato che rispondono agli impulsi cerebrali. Si espandono e si modellano sul corpo, creando una barriera termica, sottile eppure indistruttibile, almeno dalle armi conosciute.

Riapro gli occhi a fatica.
Devo aver perso conoscenza. 
- Il tuo corpo è diventato più sensibile, Mina -, sentenzia la dottoressa.
Mi accorgo di avere le mascelle contratte, e di sentirmi inaspettatamente debole.
- Faremo ulteriori indagini, ma non preoccuparti -.
- Okay -, rispondo, a fatica. Ho la gola secca e la voce tremolante. 
- Direi che è il caso che tu vada subito nella vasca. Ma non credo che sarai in grado di arrivarci con le tue gambe -.
La guardo, incredula. Che diavolo sta dicendo? Provo ad alzarmi dal lettino, la testa mi gira. Una mano mi blocca, costringendomi a restare giù.
- Ti ci faccio accompagnare. Devi assolutamente rigenerarti. Chiederò al Capitano di mandare qualcuno a prenderti -.
- No -, mi affretto a rispondere. Non voglio tirare in mezzo ancora il Capitano, oggi. - Fate chiamare Jody, nel caso -.
Sì, verrà di sicuro. Mi ha sempre aiutato, lo farà anche questa volta.
- E' in stanza, ma non è solo, in questo momento -, aggiungo titubante. - Ma se gli spiegate che ho bisogno di lui, verrà -.
La dottoressa fa un cenno di assenso con la testa. La vedo allontanarsi, mentre resto sdraiata, ancorata a quel lettino, incapace di muovermi.

Il mio corpo sta cambiando, mio malgrado.
Il mio corpo si sta forse ribellando? Tutti fanno affidamento su di me. Non posso cedere. Proprio non posso (2).

Jody non tarda ad arrivare. Si gratta la testa, e so che è imbarazzato quando fa così. Nutre una viscerale antipatia per la dottoressa.
Abbozza un saluto, tossicchia, e mi sorride di sotto in su, senza farsi vedere.
- Avete finito, con lei? - chiede rivolto alla donna. Lo fa con un tono aspro, e l'espressione placida della dottoressa lo innervosisce ancora di più.
- Vieni, piccola -, mi sussurra. Un braccio sotto alle ginocchia, uno dietro le spalle, e sono tra le sue braccia.
Aspetta di essere nel corridoio per parlarmi di nuovo.
- Che ti hanno fatto, stavolta? -, esordisce, la voce preoccupata.
Tengo la testa sul suo torace, il ritmo calmante del suo cuore contro il mio orecchio.
- Il solito -, mormoro.
- Beh, non l'hanno capito ancora come sei fatta, che altro devono analizzare?! -.
E' ancora arrabbiato. Mi sfugge un sorriso. Mi ha sempre difeso, per quanto ha potuto, sin da ragazzini.
A 12 anni si entra in Accademia per diventare soldati... lì ci siamo conosciuti, e non ci siamo più lasciati. Dieci anni di amicizia...
- E' il protocollo -, puntualizzo.
Sbuffa un poco, mentre il corridoio si incunea verso sinistra, e lui continua a camminare a passo non troppo spedito.
- Non devi raccontarmi niente... di Pete? -, mi chiede a bruciapelo.
- Niente che tu non sappia già -, rispondo. Non mi va di confessargli che li ho uditi, prima, nella Sala bianca.
Si ferma davanti ad una porta. Allungo una mano, perché si schiuda, e Jody varca l'ingresso, stando attento a non farmi battere i piedi contro la cornice dell'apertura.
- Eccoci qua -, commenta.
- Mi metti tu, nella vasca? -, gli chiedo. Ormai, che mi aiuti fino all'ultimo.
Mugola qualcosa, poi raggiunge il bordo e si inginocchia. Lo fa con estrema attenzione, contraendo ogni muscolo, per posarmi dentro l'acqua senza perdere l'equilibrio.
Rotolo giù dalle sue braccia, e mi immergo.
Sono a casa.








---------
(1) Dai ricordi di Mina, cap. 2.
(2) Va beh, alle Oscariane che mi seguono questa frase risulterà molto molto familiare <3

Grazie di cuore a tutti voi che leggete, seguite e commentate.
Stavolta capitoletto un po' più lungo, mi piaceva farvi vedere un po' meglio Jody :)
Credo che adesso il quadro sia un po' più chiaro ... se riuscirete a pazientare ci sarà anche un po' di azione (no, non intendo tra Pete e Mina, hahaha) ...
A presto!
Amantea
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Amantea