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Autore: Reiko88    17/03/2009    3 recensioni
- Suona per me, esprimi ciò che io non riesco a fare con le parole, e io scriverò per te ciò che non riesci a gridare.-
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota 6 :

Nota 6 :

***

- Sono stanca, non c’è la faccio più stare a con te. -
Cos’era?
La settima o l’ottava volta che udivo quelle parole ?
Avevo perso il conto ormai. Anche lei se ne sarebbe andata, come tutte del resto, e non l’avrei biasimata, anzi l’avrei lasciata andare senza fare una piega, senza alzare un braccio per afferrare il suo polso e farla ritornare nelle mie braccia.
Queste cose succedevano solo nei film e nei libri.
- Spiegami solo una cosa, non l’ho mai compresa…cosa c’è più importante dell’amore ? -
La guardai stupito, e poi feci dei miei occhi due fessure.
- Detesto le persone come te, siete vuote e così banali.
Siete solo delle persone tristi, che credono di riempire quel vuoto di personalità con qualcosa come “ l’amore “ e cercate disperatamente qualcun’ altro da amare, per illudervi di non essere più soli. -
Presi il suo mento tra l’indice il pollice e mi piegai il mio viso verso il suo, per sibilagli la realtà vicino ad un suo orecchio
- Vuoi sapere cos’è l’amore?
è quella cosa che decanti tanto all’inizio ma che poi finisce in un insulto,
è un sentimento che vuoi provare perché non ne hai altri,
è quella parola che vuoi dire, perché l’hanno detta tutti.
è questo l’amore -

La risposta fu più che scontata, uno schiaffo in pieno in viso dalla donna che mi aveva detto “ sei tutta la mia vita “
Poi andando via, mi disse le sue ultime parole
- Tu non sei un artista, in realtà sei solamente un egoista ! -
sfiorai la mia guancia con un sorriso beffardo in volto, poi mentre la sua esile schiena scomparse alla mia vista, guardai a terra con frustrazione.
Solo lei, con quella breve frase, riuscì a capire cos’ero veramente.

***

 

Fu uno dei tanti pomeriggi, il ticchettio dei tasti e le note del pianoforte era l’unico “rumore” che si sentiva in quella casa, e spesso i minuti si facevano ore, e nessuno dei due si separava da quello che era per noi qualcosa di infinitamente importante.
Laris, a voce, parlava ancora molto poco, e c’erano giorni in cui non pronunciava una sola sillaba,
si può dire che quel giorno, in cui avevamo discusso su quello strano libro che gli era piaciuto tanto, potevo ritenermi fortunato, ma la cosa non mi importava più molto , facevo comunque domande e dicevo cose che non ottenevano risposta, perché più parlavo con lui in quel modo, e più sapevo di avere chance in una sua risposta.
Era solito pensare di una persona che rispondeva solo con brevi “ si “ e “ no “ veniva definita associale, ma forse, con un  po’ di perseveranza, senza abbandonare al primo monosillabo, si poteva invece scoprire una persona diversa da come lo era in superficie.
Perché in genere sono le persone  silenziose, sono  quelle che in realtà parlano di più, e poi con tutte quelle note che emetteva, era impossibile definirlo silenzioso.
Dopo che furono passate abbondanti ore, sentii la sua rara voce, uscì quasi impacciata dalla sua gola, ma fu bella comunque.
- Che costa state scrivendo ? -
La parola che stavo battendo al computer si fermò a metà, e la mia risposta non fu immediata.
-Non lo so.- risposi guardandolo, mentre si fece lievemente sorpreso.
Avevo dato una risposta stupida, lo sapevo benissimo e i suoi occhi color del ghiaccio ne volevano un'altra.
-…è uguale alle altre trame, sto scrivendo una storia d’amore, niente di che.-
dissi con noncuranza.
Ci fu un silenzio, ma fu diverso, fu un silenzio sospeso.
-…Se mi dite la trama, potrò suonare meglio…non vi pare ? – fu sempre il suo profilo che vidi, ma quella volta diverso, con un vago sorriso  e con espressione che si poteva definire a tratti “altezzosa” .
Riassumei con una semplice parola quella bella espressione sul suo volto che sembrava avere preso vita , gli diedi l’ attributo di“ curiosità “, feci capovolgere quel accennato discorso a mio favore.
- è segreta. E rimarrà tale fino alla pubblicazione di questo libro, quindi neanche te,  che suoni per darmi ispirazione, la saprai.-
detto questo crebbi che non ci fosse stata replica, e invece, arrivò, con tono placato e sicuro.
- Non credo sia giusto questo comportamento, datemi quanto meno un accenno. -
Il suo modo di parlare mi faceva sorridere, di dolcezza, perché credevo fosse stato di un'altra epoca, e che quando fosse finita, scelse di non proferire più parola, e poi un giorno, quando finalmente aveva deciso di far risentire la sua voce, ne uscivano parole che si erano fermate in un epoca lontana in quella che aveva vissuto, e il risultato era quello di un ragazzo, strano per la sua età e troppo elegante nelle sue movenze.
-Aaah continua a suonare, tanto lo leggerai quando verrà pubblicato … forse… dato che non ne posso stare certo… sai… racconta di una di quelle storie proibite ….-
gli disse mentre lo guardavo dalla mia postazione, naturalmente lo feci apposta a dire quello per aumentare la sua curiosità, non si scompose, solo che notai chiaramente una smorfia nel suo bel viso che in genere era impassibile, credo che se avessi mai avuto una discussione con Laris, mi sarei divertito, dato che era terribilmente permaloso.
Difatti continuò a suonare, con meno enfasi, come replica alla mia decisione, ma scrivevo comunque, tranquillo, davanti al mio monitor e all’immancabile tazza di caffé  posata sulla scrivania, passavano così le giornate, ma c’era un momento particolare che stavo incominciando ad amare.
Forse si poteva definire “ merenda “ non saprei, era quel momento dove cercavo di vivere un barlume di realtà, andando in cucina, e facendo accenno a Laris di seguirmi, per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, non potevo di certo stare a fissare solo il monitor nella mia giornata.
Riempi di altro caffè la caffetteria, Laris sembrava non volere mai nulla, eppure la mia domanda
“ vuoi niente ? “ la ripetevo ogni giorno.
Eravamo sempre distanti l’uno dall’altra, lui doveva essere una di quelle persone che non amava particolarmente essere toccato, avevo come questa sensazione, dal canto mio invece, non mi avvicinavo troppo a lui perché avevo paura dell’influenza del mio libro, e con la mente che mi ritrovavo avrei sicuramente pensato qualcosa del tipo
“ per scrivere una scena reale , devo sapere cosa si prova “ e gli sarei saltato addosso.
Mi misi una mano per tirarmi indietro i ciuffi di capelli che erano sfuggiti alla mia piccola coda che puntualmente mi facevo ogni giorno.
Da una parte non vedevo l’ora di finire quel racconto.
Dopo essermi riempito la tazza, esitai prima di poggiarla alle labbra, e lo puntai, ora che pronunciava qualche frase, mi serviva sapere una cosa.
- Che cosa provi ? -
alzò il viso che teneva basso e mi guardò perplesso.
Certo che anche io non mi spiegavo molto bene.
Riformulai la domanda, quella volta più chiara.
- Che cosa provi suonando il piano, a parole non me l’hai ancora spiegato.-
Come risposta il silenzio, ma era quello che prendeva prima di rispondere, come ho detto, faceva ancora fatica.
- Quello che provate voi scrivendo.- mi disse.
… e avrei aspettato all’infinito e nel silenzio per sentire le risposte che mi dava.
- Così è troppo facile.-
replicai sorseggiando la tazza di caffé bollente, mentre mi balenò uno strano pensiero alla mente.
- Ti propongo una cena. - e quella volta non rimase  del tutto indifferente
 Ti prenderai tutto il tempo necessario per rispondermi, voglio sapere che cosa provi, mi serve saperlo, come ti ho già detto… -
feci un passo verso la sedia su cui era, composto naturalmente, e posai una mia mano sul tavolo, per piegare di poco la schiena e avvicinarmi a lui, che d’istinto, si ritirò indietro

 – …i pianisti mi affascinano.- ancor di più se erano belli e misteriosi quanto lui.
Mi allontanai e gli voltai la schiena per riprendere in mano la tazza di caffè che stavo bevendo
-….Ma io…non le ho detto ancora di si! – mi disse protestando, e io mi voltai verso di lui, ribattendo a come facevo ad ogni possibile rifiuto
– Quindi è un no ? -
-…Non ho detto questo….- rispose chiaramente confuso.
Avevo davvero un brutto carattere, ma mi serviva per ottenere tutto ciò che volevo.
Feci nuovamente per andarmene dicendogli
- Allora è un si. –
ma quella non era una domanda come la prima, ma nuovamente fui fermato dalla sua preziosa voce che a tratti vacillava e si faceva più bassa..
- A una condizione … - la sua espressione era seria, eppure c’era sempre qualcosa di insicuro nel suo tono quando si rivolgeva a qualcuno.
- Dimmi pure.- avrebbe potuto continuare la sua frase, ma mi sembrava che stesse aspettando un mio accenno.
-…mi direte il motivo per cui scrivete, e io vi dirò cosa provo suonando.-
Pochi nella mia vita avevano mosso la mia curiosità , nessun essere umano mi interessava particolarmente, hai miei occhi mi sembravano tutti uguali,  ma di quel pianista mi ritrovai a pensare che volevo sapere tutto.
Era semplice curiosità, e forse quando avrei soddisfatto questa, anche lui mi sarebbe parso simile a tutti quelli che avevo incontrato …. solo che quel momento a quanto pare non era ancora arrivato.
Volevo udire la sua voce, sapere del suo dolore,
sentire la sua musica, scrivere con le sue note,
e lambire le sue labbra che parevano sigillate.
-Accetto-
gli dissi con un sorriso spavaldo mentre allungai una mia mano verso di lui.
-Una cena tra artisti dunque? –
dissi con scherno, dato che erano gli altri a definirmi tale, io sicuramente non mi reputavo tale.
Come le sue parole, anche il suo gesto fu infinitamente lento ed esitante, ma poi strinse la mia mano, e mi accorsi in quel momento di quanto il suo polso fosse esile, e fu strano quel dettaglio, dato che le sue noti erano sempre così decise.
Poi in quel giorno non proferì più nessuna parola, e si limitò a tornare a suonare, e quando lasciò la grande casa, faceva sempre un piccolo inchino.
Chissà che razza di educazione aveva ricevuto per essere così gentile nei suoi comportamenti, o forse gli venivano del tutto naturali, pensai mentre lo guardai ala soglia della porta, sperando che il giorno successivo arrivasse più in fretta.

Non avevo di certo timore nello portarlo fuori, ne di stare in silenzio di fronte ad un tavolo, se fosse stato necessario avrei parlato solamente io.
Questo fu il pensiero mentre su internet guardavo i ristoranti che Parigi offriva, non ero francese, ma mi trasferii in quella città da quando decisi di andarmene di casa.
Ma il mio passato non era molto importante né interessante.
Il problema è che non sapevo dove portarlo, ero un cliente di cibi precotti non di certo da ristoranti, inoltre quando ci andavo era quasi sempre per lavoro, conferenze e cose di questo tipo.
Non amavo particolarmente quei posti, e non solo per il conto salato, ma perché farmi servire, avere qualcuno che mi riempiva il bicchiere appena finivo di bere, mi faceva sentire una specie di invalido.
Chiusi la pagina di internet con un sospiro e alla fine presi la mia decisione, passarono altri due giorni, il primo per darli la data e l’ora, il successivo per andare fuori insieme.

Non era di certo entusiasta del mio invito , e se lo era di certo non lo dimostrava, ma l’importante era che ero riuscito a strapparli quel “ si “ dalle labbra.
Manco fosse una promessa di matrimonio.

Riportai in vita dalle ceneri, dato che non la usavo mai, la mia macchina di cui andavo estremamente fiero, era un suv nero metallizzato, quando lo vidi capii che eravamo fatti l’una per l’altra, niente di troppo pacchiano si intende, ma neanche di troppo fine.
Da quel giorno, da quando era venuto a suonare non pronunciò nessuna parola, ma solo note.
Lo portai davanti al locale che avevo scelto, alla fine tra i tanti consultati in internet, non scelsi nessuno di quelli, presi una decisione di testa mia, senza stare a guardare nessun commento o recensione su come facevano il cibo quei ristorante di sfarzo.

Ci ritrovammo davanti a quel tavolo, che di pregiato non aveva nulla, un locale come tanti, che faceva sia primi che secondi che tavola fredda, che apriva fin dalla mattina e chiudeva dopo la mezzanotte. Qualche quadro sparso qua è là, qualche pianta, e la radio sempre accesa per tenere compagnia chi veniva a mangiare un boccone e andare via subito.
 Poi ci fu la sua voce che mi aveva negato da ben due giorni.
-Vi ringrazio.-
e ci volle qualche istante prima che continuò quella frase
-Vi ringrazio per non avermi portato in un ristornate di lusso.- disse abbassando lo sguardo .
Forse stavo incominciando a capire perché mi piacevano gli uomini, costavano di meno ed erano meno complicati delle donne.
-Non mi sarei sentito a mio agio nemmeno io. -
gli risposi, mentre lo guardavo, stava esaminando il menù, i suoi occhi scorrevano lentamente sulle portate da ordinare, poi notai un suo lieve sorriso che mi motivò
-Dovrebbe non trovarsi a mio agio con me, non di certo in un ristorante.-
quello che diceva era vero, ma scrivendo avevo imparato a vedere tutto in un modo diverso.
-Pensaci, in fondo si dice che le persone parlano sempre di sé stesse, che troppe volte mettono nelle loro frasi la parola “ io “, stare con te , lo reputerei perfetto.-
E dato che davo a me stesso un importanza enorme, non avrei mai potuto trovarmi in sintonia con una persona egocentrica.
-Perfino chi dice di essere gentile, alla fine non fa che parlare solo di sé stesso elencando le sue ipocrite qualità -
Alzò gli occhi dal menù.
-Potrei esserlo anche io.-
disse e come spesso faceva, motivava quelle sue mezze risposte tra una pausa di lunghi istanti  
– In fondo amo far ascoltare la mia musica.-
Feci un sorriso beffardo.
-Oh, ma quello è un egocentrismo diverso.- quello lo amavo mica lo odiavo.
- I pianisti radunano intere folle per farsi ascoltare in grandi posti, e non contenti, fanno anche in modo che li si possa ascoltare ovunque registrando un loro brano.
Si in fondo, credo, che tra tutti gli artisti quelli più egocentrici siete voi.-
Dissi con il mio tono sicuro , sfogliando il menù , anche se in realtà avevo già deciso cosa prendere, lo feci solamente perché almeno la cameriera non prenotasse subito le ordinazioni e mi lasciasse più tempo per guardare Laris a volto chino.
Poi la sua risposta ai miei pensieri che gli dicevo ad alta voce.
-E gli scrittori ? Loro invece non lo sono ?-
il suo volto si alzò , e nonostante quello sguardo impassibile, il suo colore di occhi così particolare, così azzurro da non poterlo non accostarlo al ghiaccio mi faceva sempre esitare qualche millesimo di secondo.
- Ah per loro è diverso.-
dissi con tono beffardo, come se stessi parlando di qualcun altro e non di certo riferendomi a me
– Loro vogliono solo parlare senza essere interrotti.-
forse era per quello che con quel pianista andavo stranamente d’accordo.
E non poteva di certo immaginare di che interi monologhi facevo nascere dalla mia testa, alla fine un libro, era solo un intero discorso, scritto unicamente da una persona che parlava da sola nella sua testa.
Poi arrivò la cameriera, non con un sorriso del proprio smagliante, e si poteva notare dai suoi occhi la stanchezza e le ore di sonno che aveva accumulato.
- Buonasera, cosa vi porto ? –
chiese prendendo il block notes e portando fuori la penna dalla tasca della camicia che era posizionata sul petto.
Chiusi il menù e non diedi peso alla mia dieta che ignoravo tutti i giorni, e ordinai della pasta, per secondo della verdura cotta e del pesce, e naturalmente del formaggio, quello in Francia non mancava mai.
Poi la cameriera guardò quel pianista dai capelli neri e dalle labbra sigillate … che appunto furono tali.
La cameriera chiese con voce stanca quello che probabilmente aveva ripetuto tutto il giorno
- Lei cosa desidera ? –
disse guardando da tutt’altra parte aspettando una risposta che non arrivò.
Ero stato uno sciocco.
Non avevo minimamente pensato il perché di quella esitazione nell’ accettare il mio invito e di quanta fatica gli costò uscire con me.
La sua mano che era sul tavolo si strinse in un pugno, e se ci fosse stata una melodia che avrebbe potuto suonare, sicuramente avrebbe espresso la rabbia.
- La stessa cosa che ho ordinato io. -
dissi,  alzò ad un tratto il suo  bel viso, con espressione colpevole
-Va bene Laris ? –
annuì lievemente con il capo, poi lo sguardo della cameriera su di lui mentre prendeva la stessa ordinazione, fu di compassione, credendo probabilmente che era muto, e in un certo senso agli occhi degli altri lo era.
Perché bastava solo che una persona non parlasse per definirla muta.
Perché bastava solo che una persona facesse qualche battuta cinica per essere definito arrogante.
Fu quando la stanca cameriera se ne andò e quando passarono dieci minuti abbondanti che sentii il sospiro di Laris , si posò una mano sulla fronte, e quel gesto mi ricordò me, quando alla notte avevo esaurito le mie idee da scrivere, oppure pensavo cose che io stesso definivo assurde.
-Sapevo che l’avrei messa in imbarazzo. Non avrei dovuto accettare.-
disse a voce molto bassa con una nota di frustrazione.
E sempre il sorriso malizioso troneggiava sulle mie labbra, solo pochi erano riusciti a togliermi quell’espressione beffarda .
-Ci vuole ben altro per mettermi in imbarazzo.-
e sicuramente non era il comportamento di Laris a farlo.
-Ho paura a chiedervi cosa. - 
rispose mentre posò lo sguardo fuori dalla finestra mentre le strade stavano incominciando a farse buie, ma non troppo, dato che nel cielo la luna era piena e splendente.
-...Forse tipo una pratica sadomasochista con oggetti strani, ecco questo mi metterebbe in imbarazzo.-  guardai fuori anche io – oppure ancora una frase del tipo “ grazie di esistere “.-
Portò una sua mano sulle sue labbra per coprire il suo sorriso, e nuovamente scoprii altre sfumature di quella voce, quella di quel giorno fu di “ rimprovero “.
-Ma non potete accostare le due cose insieme.-
ci pensai seriamente su ma non trovai risposta
– Dici ?-  non ero del tutto convinto.
Poi si ammutolì ancora una volta, ma non ci diedi peso, la sua presenza mi calmava e non mi annoiava di certo, avevo avuto cene dove le persone non facevano altro che parlarmi, e io , voltavo lo sguardo , a volte annuivo, con una mano coprivo qualche sbadiglio, mentre avevo nelle orecchie una voce non ascoltavo.
Era molto meglio un silenzio che udivo perfettamente, che qualcuno che mi parlava inutilmente.
Ovvio, mi piaceva la sua voce, ma adoravo anche il suo silenzio.
 Le portate arrivarono, e la cameriera dalla coda alta , mi sembrò improvvisamente più gentile verso Laris, gli rivolse anche un sorriso dolce, stanco, ma fu tale augurò un – Buon appetito -  e se andò verso un altro tavolo di clienti che aspettavano di ordinare.
-….è sempre così ? – dissi guardandolo, e lui aveva già capito a cosa mi riferivo.
Annuì con il capo, se poteva risparmiare a dire anche un “ si “ in genere lo faceva, ma c’è la stava mettendo tutta per formulare intere frasi, con ancora fatica e lentezza
-è compassione, non gentilezza.- ribatté, ma non ci fu astio nella voce, ma una specie di rassegnazione
-ovunque io vada vengo compatito.- neppure quello disse con rabbia – ma non posso lamentarmi di questo, è ciò che ho voluto.- assaggiò un primo boccone della sua portata.
Pensai invece al mio comportamento che avevo nei suoi confronti.
-… Io ti devo davvero sembrare un maleducato- dissi con mezzo sorriso, mentre anche io mi accingevo a mandare giù il primo boccone.
-Probabile.-
il boccone mi si fermò tra la gola. In genere ottenevo come risposta “ No, non dica così “.
-… ma almeno non cercate di essere qualcun’ altro.-
Rivolse lo sguardo alla signorina che ci aveva servito e mi sembrò che mi invitò a fare lo stesso.
Prese le ordinazioni  ritornò indietro, fu dietro al bancone, e quel mezzo sorriso che aveva in viso scomparse ad un tratto, la sua espressione divenne scocciata e si lasciò andare anche uno sbuffo,
in quel momento arrivò un signore, distinto, doveva essere sicuramente il suo superiore, gli stava parlando, non era un tono alto di voce, e noi dalla nostra posizione non sentimmo niente, ma potevamo vedere lei chinare la testa, come per scusarsi, lo fece più volte,  poi quel signore di mezza età, spazientito, la lasciò al suo lavoro e se ne andò.
Lei posò i gomiti sul bancone e si mise le due mani sulla fronte massaggiandosi le tempie, disse qualcosa a denti stretti in una smorfia, e non erano di certo parole gentili, poi qualcuno la chiamò, si sorprese, chiuse gli occhi per qualche attimo, e ancora una volta, il suo sorriso dolce, e la frase “ arrivo subito “ , mentre si incamminava verso il tavolo dei clienti.
-…è normale che faccia così, sta lavorando d’altronde, se si mostrasse misantropa , la licenzierebbero subito.- gli feci notare, e senza che lo volessi davvero, ci fu arroganza nella mia voce, come di chi crede di sapere tutto, ma anche il lieve sorriso, che mi diede come risposta avrei potuto definirlo tale.
- Ma non è stata pagata per trattare con falsa bontà me, non ne aveva motivo.
Voi invece mi trattate  in un modo dove se io parlo o non parlo, non fa differenza.- 
Due frasi insieme, non potei farlo a meno di non notarlo.

-Probabilmente siete una di quelle persone che chiederebbero ad una persona senza una gamba, come ha fatto perderla per il gusto di soddisfare la sua curiosità-  
Seconda frase, quella volta più vicina dalla prima.
Fantastico davvero fantastico, mi si illuminarono gli occhi, ma non tipo come quelli di un bambino che a natale scarta il regalo più grande tenuto per ultimo , per poi vedere ciò che aspettava da tempo, il mio sguardo era più simile ad  un predatore che tra una folla, avesse notato la più elegante e la più bella delle prede.
Risi sommesso.
-Bhe mi sembra ovvio.- mandai giù un altro boccone e arrivai al dunque, come al solito, senza girarci intorno.
-Ma non mi va di parlare di me, continuo a farlo tramite i miei personaggi nei miei libri, piuttosto, parlami di te e del pianoforte.-
era impossibile parlare di Laris senza accostarlo a suddetto strumento, e improvvisamente è come se avesse perso tutta quella sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento, se voleva apparire tale , doveva esserlo mille volte più di me, impresa davvero difficile, dato la mia sicurezza sfiorava ormai la superiorità, ed ero arrivato perfino a pensare “ mi si dovrebbe pagare solo per il semplice fatto che esisto “, e i miei discorsi finivano sempre in un punto, e non quello interrogativo, e le mie risposte erano divenute affermazioni.    
-Avevamo un patto.-
mi ricordò, e il suo tono tornò nuovamente lento, come se si dovesse ricordare ogni parola che doveva dire prima di pronunciarla.
-Oh, non preoccuparti, ti dirò il motivo per cui scrivo, alla fine di questa serata.-
gli dissi rassicurandolo e ingannandolo allo stesso tempo.
Prese un po’ di tempo, come per “ riposarsi “ da tutte le parole che aveva detto quella sera, ma non fui preoccupato, lui al contrario di me, sembrava una di quelle persone che alla parola
“ te lo prometto “ ci credeva davvero.
Fece in tempo ad arrivare la seconda portata, e già mi sentivo quasi sazio, dato che il primo fu abbondante, e feci altrettanto in tempo a finirne metà tra il silenzio che regnava nel tavolo poi si interruppe al suono della sua voce, che tanto accostavo alla sonorità di un pianoforte.

- Non provo niente.-

incominciò a dire, ma non rimasi stupito, conoscevo quel tono, era come l’intro delle sue melodie, era come un cielo bianco, che presto avrebbe pianto neve trasformando qualunque paesaggio in un luogo meraviglioso.
Gli diedi tutto il tempo necessario per continuare
- Siete voi, scrittori, pittori, scultori  che trasformate ciò che provo in ciò che è reale, che date una forma a quello che provo suonando quei tasti, non posso dirvi ciò che provo, non perché io non voglia, ma perché non saprei cosa dirvi.-

si ammutolì ancora una volta, ricordando le parole che aveva dimenticato per chissà quale ignoto e affascinante motivo
- Ovvio che provo “ rabbia “ o “dolore “ ma è troppo superficiale definire così i miei sentimenti mentre creo ciò che non si può spiegare, ho immagini nella mia mente quando cerco di creare un brano, ma non ho le parole, nel pianoforte esistono solo note. -
Forse incominciavo a capire, era qualcosa assolutamente di diverso dallo scrivere.
-Come vi ho detto, io non sono un grande lettore, ma mi riferivo ai libri, in realtà leggo molto spartiti, seppur io mi trova meglio ad andare orecchio.
Suono, ma non c’è nessuna frase e nessun discorso in cui io possa aiutarla a comprendere ciò che provo suonando quei tasti che per me sono come corde vocali . -
Non avrei mai potuto quindi scrivere di un personaggio che suonava il pianoforte, ma non aveva importanza, avevo sentito Laris parlare più del dovuto, e lo fece con grande sforzo, e quell’espressione immutabile come se tutto gli fosse stato scontato , prese vita come spesso faceva quando si metteva davanti a ciò che probabilmente amava di più al mondo.
E come ogni melodia, anche quella aveva una fine, ma dimenticavo, che in ogni suo brano, la prolungava sempre, facendola finire in un modo meraviglioso.
Quella sera fece lo stesso e probabilmente non se né accorse neppure, e ancora una volta mi ritrovai a fissare il suo bel profilo, coperto da alcuni ciuffi scuri che risaltavano la sua carnagione diafana e i suoi occhi troppi azzurri che guardavano al di là dell’ampia finestra e non solo.
Poi un suo sorriso, lieve e triste, e il suo sguardo lontano.
- Suono parole che non hanno ancora inventato,
e pronuncio monologhi che non hanno ancora scritto-
e la mia espressione altezzosa e il sorriso arrogante si fecero meno marcati sul mio viso, pensando che forse, oltre a fare il pianista, avrebbe potuto fare il poeta.
Lui quantomeno avrebbe scritto frasi in cui credeva al contrario del sottoscritto, che poteva scrivere qualcosa di estremamente bello, ma poi schernirlo con ciò che pensava realmente.
Mi chiesi se quello triste tra i due non fossi per caso io.
Quando ritornò con lo sguardo su di me, la maschera che avevo sul volto si posò su di me, e come al solito una mia battuta per “spezzare “ il tutto.
- Ah se continui a fare frasi simili potresti rubarmi il lavoro.
Se te la ricopio mi denunci per “diritti d’autore ? “ -
Mi guardò, eppure, notai che il suo sguardo era uguale per tutti perfino per me, hai suoi occhi non dovevo essere sicuramente non  più di uno sconosciuto.
Era freddo sotto ai suoi modi gentili, pensai, mentre lo stavo scrutando,  eppure bastava solo parlare o rivolgerli parole che non si aspettava per smuoverlo.
Come vi ho detto, Laris dava l’impressione di una persona che non si sarebbe mossa da dov’era neppure se stesse cadendo il mondo, o ci fosse stata qualunque altra catastrofe naturale, lui con impeccabile eleganza e senza nessun sorriso sulle labbra, non avrebbe mosso un muscolo, e se qualcuno gli avrebbe gridato di scappare avrebbe risposto che correre o restare fermi non ci sarebbe stata differenza, eppure , sarebbe bastato dirgli “ se morirai non potrai più suonare il piano che ami tanto “ la paura si sarebbe dipinta nei suoi occhi,le sue mani perfettamente ferme avrebbero incominciato a tremare e in qualunque modo, avrebbe fatto in modo di salvarsi.
Ai miei occhi questo era Laris.
….e mi chiedevo perché non potevo limitarmi anche io come a tutti i semplici esseri umani a pensare cose del tipo “ è simpatico “ oppure ancora “ è altruista “ e cose di questo genere, su ogni persona che incontravo ai miei occhi dovevo sempre tracciarne un profilo, come esattamente facevo con i personaggi dei miei libri.
Ritornai sulla terra alla sua risposta.
- Eccellete nel vostro campo, non avete bisogno delle mie stupide frasi.- disse per ritornare anche lui in quel locale dove l’avevo portato – e mi dispiaccio se non so spiegarmi meglio – ritornai con la mente alla lettera che mi aveva consegnato, e diedi il tono che usò in quel momento a quelle righe che aveva scritto.
-Non ha importanza, anzi, va bene così.- mi potevo ritenere soddisfatto.
Non mi chiese perché mi serviva saperlo, e mentalmente lo ringrazia, altrimenti avrei dovuto raccontare un'altra bugia.
Arrivò anche il dessert, che avevo ordinato, per me, dato che Laris mi fece cenno di no con il capo per farmi capire che non lo voleva,  e lo finii senza che più una sola sillaba venne pronunciata, e tutte quelle parole che aveva detto chissà quanti giorni di silenzio mi sarebbero costate.
Poco male, a tenermi compagnia, c’era comunque l’altra sua voce, quella che mi dava ispirazione, che mi faceva immaginare, e che ascoltavo pensando che non c’era sottofondo migliore per la trama che stavo scrivendo.
Poi feci per alzarmi dal tavolo e dissi – Vado a pagare –  ero abituato a dirlo dato che tutte le volte che uscivo dovevo sempre farlo.
Prese il mio polso senza nessuna parola e mi fermai perché lo volli, la sua presa, non fu abbastanza forte per definirla tale.
-Ti ho proposto io di uscire, è logico che paghi il sottoscritto. -
gli risposi alla sua muta affermazione.
Non mi ascoltò e tirò fuori la metà del conto, probabilmente dal menù aveva guardato i prezzi e con un rapido conto mentale aveva tirato fuori la somma che risultava il cinquanta per cento  del conto
-Non sono una donna.- disse e lasciò la sua debole presa.
Un leggero ghigno si  fece largo tra le mie labbra, avevo svariate risposte da dare, la prima che mi venne in mente fu
“ vogliamo verificare ? “

e la seconda
“ sarebbe meglio se tu lo fossi “…. quantomeno ci sarebbero stati meno problemi.
Ma forse era meglio così, il mio libro quella volta sarebbe stato un po’ più “reale “ nei limiti naturalmente.
-Ok ok- dissi con un tono fintamente arrendevole e presi la metà che posò sul tavolo, andai alla cassa e pagai, guardai l’orologio, sicuramente per chi faceva orari lavorativi doveva essere molto tardi, decisi quindi che era meglio accompagnare Laris, e sapevo che non era una donna, era molto più bello, per questo vagamente mi preoccupai di riaccompagnarlo, e quantomeno sarei stato sicuro che sarebbe ritornato.
Ma la verità era solo una. Ero curioso, magari scoprendo dove abitava, potevo sapere di più sulla sua vita, ovvio che non mi aspettava una cosa del tipo “ Vuoi salire su ? “, ma quantomeno da fuori avrei cercato di capire.
Fantastico, ora giocavo anche a fare il detective.
Ritornai al tavolo, e Laris era già pronto nel suo capotto, fuori faceva abbastanza freddo, il periodo era ancora quello invernale, quello che più amavo.
-Spero sarai soddisfatto.
Se andavamo a mangiare sushi, credo che non avresti tirato fuori la metà così volentieri .-
dissi mentre ci avviammo all’uscita per poi andare alla macchina, il mio secondo amore.
Salimmo e l’unica cosa che mi disse era dove abitava, sembrò non farsi problemi, il suo profilo era tranquillo, anche se io cercavo ogni movimento sospetto del suo volto per scoprire qualcosa.
Bene, l’unica cosa che scoprii era un altro lavoro che non potevo di certo fare, dato che nel tragitto in macchina non avevo ancora ricavato nessuna informazione.
Mi fermai al numero civico che mi aveva detto, non gli lo feci ripetere una seconda volta e cercai di ricordarmelo, frenai e dissi – Bene, allora ti aspetto domani. -.
Si voltò lentamente , di tre quarti, e quella volta, fu un sorriso diverso, quasi di sfida.
- Ditemelo Zefir.-
Lo guardai, seriamente quella volta …. non ero mai stato brillante nelle mie confessioni d’amore e avrei sicuramente pronunciato qualcosa del tipo
“ Si mi piaci, vorrei provare, ma non sono del tutto dell’altra sponda, è l’influenza del libro, devi credermi, per questo sto diventando vagamente gay….ma se magari mi tolgo lo sfizio ridivento etero. “
Fortunatamente pronunciò prima qualcosa lui prima di me.
- Non mi avete ancora detto perché scrivete.- disse quasi con aria malinconica.
Trassi un sospiro di sollievo.
Menomale, si trattava solo di quello, distrattamente mi portai una mano sul petto.
Sentii battere il mio cuore …..bhe quello era logico, altrimenti sarei morto … ma batteva stranamente  più veloce… all’inizio pensai che oltre la scoliosi non diagnosticata mi avrebbero anche detto che soffrivo di tachicardica.
- Zefir ? –
al mio nome , il cuore riprese a battere più forte e capii, tolsi immediatamente la mia mano come se il mio petto scottasse e il mio sguardo a terra divenne freddo pensando di me stesso che ero ridicolo.
Non eravamo in un mio ridicolo romanzo.
-… Perché scrivo ?-  la mia voce uscì distante, come se mi avesse chiesto una cosa che non si poteva assolutamente domandare.
Portai indietro dei ciuffi neri e guardai da tutt’altra parte tranne che nei suo occhi.
- L’ho detto, è per pagare le mie spese e per mantenermi, questo è tutto, non c’è nessuna nobile ragione, come la tua, è triste forse da dire e scoprire, ma sono i soldi che mi fanno fare quello che faccio, non c’è null’altro oltre a questo. – non potei fare a meno di usare una voce fredda.
Perché tutti si aspettavano qualche profonda ragione ?
Perché pretendevano frasi che scrivevo soltanto nei miei romanzi ?
- Non credo nell’amore, o almeno in quello per le persone, ma non lo dico perché sono stato ferito o sciocchezze simili, ma è un tema che a tutti piace leggere, è quello che porta più successo e più soldi, per questo motivo opto sempre per quest’ultimo. -
Non ero in grado di dare una motivazione come la sua, lui era un artista, io invece, ero un bugiardo .
Avevo sicuramente usato un tono duro, ma non ero irato con lui, non lo sarei mai stato, solo che per una volta volevo far capire, che non avevo serie motivazioni per scrivere.
Quando ritornai al suo sguardo di ghiaccio, pensavo ad un espressione delusa, di chi magari si era aspettato chissà quale poetica risposta, e invece …. era tranquilla come sempre, anzi sembrava quasi che se l’aspettasse, che non avessi detto nulla da diverso da quello che si era forse immaginato Aprì lo sportello della macchina.
Ero stato uno stupido, avrei sicuramente dovuto dire qualcosa del tipo “ è la mia ragione di vita “.
-Perdonatemi se vi dico che non vi credo.
Se non volete dirmelo non importa, cercherò di comprenderlo.
Se davvero lo fate per soldi, e non credeste in ciò che scrivete, siate certo, non mi sarei fermato un solo minuto nella vostra casa. -
Gli sorrisi di comprensione  e conclusi con un sospiro, poi gli dissi l’ultima cosa di quella serata.
- Laris…- si voltò appena, e aspettò sulla soglia della macchina prima di chiudere la portiera
– So che se ti dicessi di darmi del “ tu “ mi ignoreresti, ma quantomeno … se ti riesce puoi darmi del lei?  Mi fai sentire vecchio e mi sembra di ritornare nel settecento, andrà a finire che per calarmi nella parte incomincerò a mettere camicie con maniche a sbuffo e ornate di pizzi. -
Il suo accenno mi bastò.
Ci salutammo in quel modo, di altre parole non ne servivano.
Alla fine, vinse lui al mio gioco del “detective “ , rimisi in moto la macchina , curvai e andai nella direzione opposta, nella casa vuota, e a quel pensiero è come se sentii un miagolio, quello di Neve, per ricordarmi che solo non ero.
Laris abitava in una via di periferia, non era né troppo povero né ricco a giudicare dal quartiere, ma non avevo scoperto  nulla più di questo, tranne che sapeva pronunciare frasi meravigliose che sembravano scritte da un poeta, e che i suoi occhi alla sera, sembravano ancora più azzurri e più belli.
Venti minuti di macchina per arrivare a casa, trenta per trovare parcheggio, e poi finalmente davanti alla mia porta che però non aprii subito, i ricordi del passato, si fecero largo in quel presente che stavo vivendo.
“ Sei talmente egoista, che morirai triste e solo “
mi ricordò quella maledetta voce, di cui avevo dimenticato il viso
“ Non sai fare niente di speciale, sarai uguale come tutti “
ma la ignorai,era inutile ripensarci dopo tanto tempo, e aprii quella porta, dove ad accogliermi, ci fu il mio gatto nero, che mi rubò con un basso miagolio un vero sorriso e i miei personaggi immaginari, mi donarono un espressione che si avvicinava alla tristezza.
Chissà com’era entrare in una casa e sentirsi dire “ Bentornato “.

In genere i miei quesiti di fine giornata erano di questo tipo:
Chissà dove fanno i loro bisogni gli eschimesi ? “
oppure
Chissà se ritroveranno Atlantide. “
ma quella sera c’è ne fu uno diverso di cui conoscevo appieno le risposte.

Perché scrivevo ?

Scrivevo per sconfiggere la mia solitudine,
perché c’erano cose che a parole non riuscivo a pronunciare,
perché cercavo di ingannarmi di avere ancora dei sentimenti,
per rivalsa a chi mi aveva detto “ Non diventerai mai uno scrittore “
ma soprattutto c’era il motivo più importante di tutti, banale e scontato, che mi sembrava ridicolo perfino dirlo, scrivevo perché non sapevo fare null’altro che quello.
Senza, era spacciato.

 

 

Continua

 

  
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