Nota 6 :
***
- Sono stanca, non c’è la faccio più stare a con te. -
Cos’era?
La settima o l’ottava volta che udivo quelle parole ?
Avevo perso il conto ormai. Anche lei se ne sarebbe andata, come tutte del
resto, e non l’avrei biasimata, anzi l’avrei lasciata andare senza fare una
piega, senza alzare un braccio per afferrare il suo polso e farla ritornare
nelle mie braccia.
Queste cose succedevano solo nei film e nei libri.
- Spiegami solo una cosa, non l’ho mai compresa…cosa c’è più importante
dell’amore ? -
La guardai stupito, e poi feci dei miei occhi due fessure.
- Detesto le persone come te, siete vuote e così banali.
Siete solo delle persone tristi, che credono di riempire quel vuoto di
personalità con qualcosa come “ l’amore “ e cercate disperatamente qualcun’
altro da amare, per illudervi di non essere più soli. -
Presi il suo mento tra l’indice il pollice e mi piegai il mio viso verso il
suo, per sibilagli la realtà vicino ad un suo orecchio
- Vuoi sapere cos’è l’amore?
è quella cosa che decanti tanto all’inizio ma che poi finisce in un insulto,
è un sentimento che vuoi provare perché non ne hai altri,
è quella parola che vuoi dire, perché l’hanno detta tutti.
è questo l’amore -
La risposta fu più che scontata, uno schiaffo in pieno in viso dalla donna che
mi aveva detto “ sei tutta la mia vita “
Poi andando via, mi disse le sue ultime parole
- Tu non sei un artista, in realtà sei solamente un egoista ! -
sfiorai la mia guancia con un sorriso beffardo in volto, poi mentre la sua
esile schiena scomparse alla mia vista, guardai a terra con frustrazione.
Solo lei, con quella breve frase, riuscì a capire cos’ero veramente.
***
Fu uno dei tanti pomeriggi, il ticchettio dei tasti e le
note del pianoforte era l’unico “rumore” che si sentiva in quella casa, e
spesso i minuti si facevano ore, e nessuno dei due si separava da quello che
era per noi qualcosa di infinitamente importante.
Laris, a voce, parlava ancora molto poco, e c’erano giorni in cui non
pronunciava una sola sillaba,
si può dire che quel giorno, in cui avevamo discusso su quello strano libro che
gli era piaciuto tanto, potevo ritenermi fortunato, ma la cosa non mi importava
più molto , facevo comunque domande e dicevo cose che non ottenevano risposta,
perché più parlavo con lui in quel modo, e più sapevo di avere chance in una
sua risposta.
Era solito pensare di una persona che rispondeva solo con brevi “ si “ e “ no “
veniva definita associale, ma forse, con un
po’ di perseveranza, senza abbandonare al primo monosillabo, si poteva
invece scoprire una persona diversa da come lo era in superficie.
Perché in genere sono le persone
silenziose, sono quelle che in
realtà parlano di più, e poi con tutte quelle note che emetteva, era
impossibile definirlo silenzioso.
Dopo che furono passate abbondanti ore, sentii la sua rara voce, uscì quasi
impacciata dalla sua gola, ma fu bella comunque.
- Che costa state scrivendo ? -
La parola che stavo battendo al computer si fermò a metà, e la mia risposta non
fu immediata.
-Non lo so.- risposi guardandolo, mentre si fece lievemente sorpreso.
Avevo dato una risposta stupida, lo sapevo benissimo e i suoi occhi color del
ghiaccio ne volevano un'altra.
-…è uguale alle altre trame, sto scrivendo una storia d’amore, niente di che.-
dissi con noncuranza.
Ci fu un silenzio, ma fu diverso, fu un silenzio sospeso.
-…Se mi dite la trama, potrò suonare meglio…non vi pare ? – fu sempre il suo
profilo che vidi, ma quella volta diverso, con un vago sorriso e con espressione che si poteva definire a
tratti “altezzosa” .
Riassumei con una semplice parola quella bella espressione sul suo volto che
sembrava avere preso vita , gli diedi l’ attributo di“ curiosità “, feci
capovolgere quel accennato discorso a mio favore.
- è segreta. E rimarrà tale fino alla pubblicazione di questo libro, quindi
neanche te, che suoni per darmi
ispirazione, la saprai.-
detto questo crebbi che non ci fosse stata replica, e invece, arrivò, con tono
placato e sicuro.
- Non credo sia giusto questo comportamento, datemi quanto meno un accenno. -
Il suo modo di parlare mi faceva sorridere, di dolcezza, perché credevo fosse
stato di un'altra epoca, e che quando fosse finita, scelse di non proferire più
parola, e poi un giorno, quando finalmente aveva deciso di far risentire la sua
voce, ne uscivano parole che si erano fermate in un epoca lontana in quella che
aveva vissuto, e il risultato era quello di un ragazzo, strano per la sua età e
troppo elegante nelle sue movenze.
-Aaah continua a suonare, tanto lo leggerai quando verrà pubblicato … forse… dato
che non ne posso stare certo… sai… racconta di una di quelle storie proibite ….-
gli disse mentre lo guardavo dalla mia postazione, naturalmente lo feci apposta
a dire quello per aumentare la sua curiosità, non si scompose, solo che notai
chiaramente una smorfia nel suo bel viso che in genere era impassibile, credo
che se avessi mai avuto una discussione con Laris, mi sarei divertito, dato che
era terribilmente permaloso.
Difatti continuò a suonare, con meno enfasi, come replica alla mia decisione,
ma scrivevo comunque, tranquillo, davanti al mio monitor e all’immancabile
tazza di caffé posata sulla scrivania,
passavano così le giornate, ma c’era un momento particolare che stavo
incominciando ad amare.
Forse si poteva definire “ merenda “ non saprei, era quel momento dove cercavo
di vivere un barlume di realtà, andando in cucina, e facendo accenno a Laris di
seguirmi, per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, non potevo di certo
stare a fissare solo il monitor nella mia giornata.
Riempi di altro caffè la caffetteria, Laris sembrava non volere mai nulla,
eppure la mia domanda
“ vuoi niente ? “ la ripetevo ogni giorno.
Eravamo sempre distanti l’uno dall’altra, lui doveva essere una di quelle
persone che non amava particolarmente essere toccato, avevo come questa
sensazione, dal canto mio invece, non mi avvicinavo troppo a lui perché avevo
paura dell’influenza del mio libro, e con la mente che mi ritrovavo avrei
sicuramente pensato qualcosa del tipo
“ per scrivere una scena reale , devo sapere cosa si prova “ e gli sarei
saltato addosso.
Mi misi una mano per tirarmi indietro i ciuffi di capelli che erano sfuggiti
alla mia piccola coda che puntualmente mi facevo ogni giorno.
Da una parte non vedevo l’ora di finire quel racconto.
Dopo essermi riempito la tazza, esitai prima di poggiarla alle labbra, e lo
puntai, ora che pronunciava qualche frase, mi serviva sapere una cosa.
- Che cosa provi ? -
alzò il viso che teneva basso e mi guardò perplesso.
Certo che anche io non mi spiegavo molto bene.
Riformulai la domanda, quella volta più chiara.
- Che cosa provi suonando il piano, a parole non me l’hai ancora spiegato.-
Come risposta il silenzio, ma era quello che prendeva prima di rispondere, come
ho detto, faceva ancora fatica.
- Quello che provate voi scrivendo.- mi disse.
… e avrei aspettato all’infinito e nel silenzio per sentire le risposte che mi
dava.
- Così è troppo facile.-
replicai sorseggiando la tazza di caffé bollente, mentre mi balenò uno strano
pensiero alla mente.
- Ti propongo una cena. - e quella volta non rimase del tutto indifferente
– Ti prenderai tutto il tempo necessario
per rispondermi, voglio sapere che cosa provi, mi serve saperlo, come ti ho già
detto… -
feci un passo verso la sedia su cui era, composto naturalmente, e posai una mia
mano sul tavolo, per piegare di poco la schiena e avvicinarmi a lui, che
d’istinto, si ritirò indietro
– …i pianisti mi
affascinano.- ancor di più se erano belli e misteriosi quanto lui.
Mi allontanai e gli voltai la schiena per riprendere in mano la tazza di caffè
che stavo bevendo
-….Ma io…non le ho detto ancora di si! – mi disse protestando, e io mi voltai
verso di lui, ribattendo a come facevo ad ogni possibile rifiuto
– Quindi è un no ? -
-…Non ho detto questo….- rispose chiaramente confuso.
Avevo davvero un brutto carattere, ma mi serviva per ottenere tutto ciò che
volevo.
Feci nuovamente per andarmene dicendogli
- Allora è un si. –
ma quella non era una domanda come la prima, ma nuovamente fui fermato dalla
sua preziosa voce che a tratti vacillava e si faceva più bassa..
- A una condizione … - la sua espressione era seria, eppure c’era sempre qualcosa
di insicuro nel suo tono quando si rivolgeva a qualcuno.
- Dimmi pure.- avrebbe potuto continuare la sua frase, ma mi sembrava che
stesse aspettando un mio accenno.
-…mi direte il motivo per cui scrivete, e io vi dirò cosa provo suonando.-
Pochi nella mia vita avevano mosso la mia curiosità , nessun essere umano mi
interessava particolarmente, hai miei occhi mi sembravano tutti uguali, ma di quel pianista mi ritrovai a pensare che
volevo sapere tutto.
Era semplice curiosità, e forse quando avrei soddisfatto questa, anche lui mi
sarebbe parso simile a tutti quelli che avevo incontrato …. solo che quel
momento a quanto pare non era ancora arrivato.
Volevo udire la sua voce, sapere del suo dolore,
sentire la sua musica, scrivere con le sue note,
e lambire le sue labbra che parevano sigillate.
-Accetto-
gli dissi con un sorriso spavaldo mentre allungai una mia mano verso di lui.
-Una cena tra artisti dunque? –
dissi con scherno, dato che erano gli altri a definirmi tale, io sicuramente
non mi reputavo tale.
Come le sue parole, anche il suo gesto fu infinitamente lento ed esitante, ma
poi strinse la mia mano, e mi accorsi in quel momento di quanto il suo polso
fosse esile, e fu strano quel dettaglio, dato che le sue noti erano sempre così
decise.
Poi in quel giorno non proferì più nessuna parola, e si limitò a tornare a
suonare, e quando lasciò la grande casa, faceva sempre un piccolo inchino.
Chissà che razza di educazione aveva ricevuto per essere così gentile nei suoi
comportamenti, o forse gli venivano del tutto naturali, pensai mentre lo
guardai ala soglia della porta, sperando che il giorno successivo arrivasse più
in fretta.
Non avevo di certo timore nello portarlo fuori, ne di stare in silenzio di
fronte ad un tavolo, se fosse stato necessario avrei parlato solamente io.
Questo fu il pensiero mentre su internet guardavo i ristoranti che Parigi
offriva, non ero francese, ma mi trasferii in quella città da quando decisi di
andarmene di casa.
Ma il mio passato non era molto importante né interessante.
Il problema è che non sapevo dove portarlo, ero un cliente di cibi precotti non
di certo da ristoranti, inoltre quando ci andavo era quasi sempre per lavoro,
conferenze e cose di questo tipo.
Non amavo particolarmente quei posti, e non solo per il conto salato, ma perché
farmi servire, avere qualcuno che mi riempiva il bicchiere appena finivo di
bere, mi faceva sentire una specie di invalido.
Chiusi la pagina di internet con un sospiro e alla fine presi la mia decisione,
passarono altri due giorni, il primo per darli la data e l’ora, il successivo
per andare fuori insieme.
Non era di certo entusiasta del mio invito , e se lo era di
certo non lo dimostrava, ma l’importante era che ero riuscito a strapparli quel
“ si “ dalle labbra.
Manco fosse una promessa di matrimonio.
Riportai in vita dalle ceneri, dato che non la usavo mai, la
mia macchina di cui andavo estremamente fiero, era un suv nero metallizzato,
quando lo vidi capii che eravamo fatti l’una per l’altra, niente di troppo
pacchiano si intende, ma neanche di troppo fine.
Da quel giorno, da quando era venuto a suonare non pronunciò nessuna parola, ma
solo note.
Lo portai davanti al locale che avevo scelto, alla fine tra i tanti consultati
in internet, non scelsi nessuno di quelli, presi una decisione di testa mia,
senza stare a guardare nessun commento o recensione su come facevano il cibo
quei ristorante di sfarzo.
Ci ritrovammo davanti a quel tavolo, che di pregiato non
aveva nulla, un locale come tanti, che faceva sia primi che secondi che tavola
fredda, che apriva fin dalla mattina e chiudeva dopo la mezzanotte. Qualche
quadro sparso qua è là, qualche pianta, e la radio sempre accesa per tenere
compagnia chi veniva a mangiare un boccone e andare via subito.
Poi ci fu la sua voce che mi aveva
negato da ben due giorni.
-Vi ringrazio.-
e ci volle qualche istante prima che continuò quella frase
-Vi ringrazio per non avermi portato in un ristornate di lusso.- disse
abbassando lo sguardo .
Forse stavo incominciando a capire perché mi piacevano gli uomini, costavano di
meno ed erano meno complicati delle donne.
-Non mi sarei sentito a mio agio nemmeno io. -
gli risposi, mentre lo guardavo, stava esaminando il menù, i suoi occhi
scorrevano lentamente sulle portate da ordinare, poi notai un suo lieve sorriso
che mi motivò
-Dovrebbe non trovarsi a mio agio con me, non di certo in un ristorante.-
quello che diceva era vero, ma scrivendo avevo imparato a vedere tutto in un
modo diverso.
-Pensaci, in fondo si dice che le persone parlano sempre di sé stesse, che troppe
volte mettono nelle loro frasi la parola “ io “, stare con te , lo reputerei
perfetto.-
E dato che davo a me stesso un importanza enorme, non avrei mai potuto trovarmi
in sintonia con una persona egocentrica.
-Perfino chi dice di essere gentile, alla fine non fa che parlare solo di sé
stesso elencando le sue ipocrite qualità -
Alzò gli occhi dal menù.
-Potrei esserlo anche io.-
disse e come spesso faceva, motivava quelle sue mezze risposte tra una pausa di
lunghi istanti
– In fondo amo far ascoltare la mia musica.-
Feci un sorriso beffardo.
-Oh, ma quello è un egocentrismo diverso.- quello lo amavo mica lo odiavo.
- I pianisti radunano intere folle per farsi ascoltare in grandi posti, e non
contenti, fanno anche in modo che li si possa ascoltare ovunque registrando un
loro brano.
Si in fondo, credo, che tra tutti gli artisti quelli più egocentrici siete
voi.-
Dissi con il mio tono sicuro , sfogliando il menù , anche se in realtà avevo
già deciso cosa prendere, lo feci solamente perché almeno la cameriera non
prenotasse subito le ordinazioni e mi lasciasse più tempo per guardare Laris a
volto chino.
Poi la sua risposta ai miei pensieri che gli dicevo ad alta voce.
-E gli scrittori ? Loro invece non lo sono ?-
il suo volto si alzò , e nonostante quello sguardo impassibile, il suo colore
di occhi così particolare, così azzurro da non poterlo non accostarlo al
ghiaccio mi faceva sempre esitare qualche millesimo di secondo.
- Ah per loro è diverso.-
dissi con tono beffardo, come se stessi parlando di qualcun altro e non di
certo riferendomi a me
– Loro vogliono solo parlare senza essere interrotti.-
forse era per quello che con quel pianista andavo stranamente d’accordo.
E non poteva di certo immaginare di che interi monologhi facevo nascere dalla
mia testa, alla fine un libro, era solo un intero discorso, scritto unicamente
da una persona che parlava da sola nella sua testa.
Poi arrivò la cameriera, non con un sorriso del proprio smagliante, e si poteva
notare dai suoi occhi la stanchezza e le ore di sonno che aveva accumulato.
- Buonasera, cosa vi porto ? –
chiese prendendo il block notes e portando fuori la penna dalla tasca della
camicia che era posizionata sul petto.
Chiusi il menù e non diedi peso alla mia dieta che ignoravo tutti i giorni, e
ordinai della pasta, per secondo della verdura cotta e del pesce, e
naturalmente del formaggio, quello in Francia non mancava mai.
Poi la cameriera guardò quel pianista dai capelli neri e dalle labbra sigillate
… che appunto furono tali.
La cameriera chiese con voce stanca quello che probabilmente aveva ripetuto
tutto il giorno
- Lei cosa desidera ? –
disse guardando da tutt’altra parte aspettando una risposta che non arrivò.
Ero stato uno sciocco.
Non avevo minimamente pensato il perché di quella esitazione nell’ accettare il
mio invito e di quanta fatica gli costò uscire con me.
La sua mano che era sul tavolo si strinse in un pugno, e se ci fosse stata una
melodia che avrebbe potuto suonare, sicuramente avrebbe espresso la rabbia.
- La stessa cosa che ho ordinato io. -
dissi, alzò ad un tratto il suo bel viso, con espressione colpevole
-Va bene Laris ? –
annuì lievemente con il capo, poi lo sguardo della cameriera su di lui mentre
prendeva la stessa ordinazione, fu di compassione, credendo probabilmente che
era muto, e in un certo senso agli occhi degli altri lo era.
Perché bastava solo che una persona non parlasse per definirla muta.
Perché bastava solo che una persona facesse qualche battuta cinica per essere
definito arrogante.
Fu quando la stanca cameriera se ne andò e quando passarono dieci minuti
abbondanti che sentii il sospiro di Laris , si posò una mano sulla fronte, e
quel gesto mi ricordò me, quando alla notte avevo esaurito le mie idee da
scrivere, oppure pensavo cose che io stesso definivo assurde.
-Sapevo che l’avrei messa in imbarazzo. Non avrei dovuto accettare.-
disse a voce molto bassa con una nota di frustrazione.
E sempre il sorriso malizioso troneggiava sulle mie labbra, solo pochi erano
riusciti a togliermi quell’espressione beffarda .
-Ci vuole ben altro per mettermi in imbarazzo.-
e sicuramente non era il comportamento di Laris a farlo.
-Ho paura a chiedervi cosa. -
rispose mentre posò lo sguardo fuori dalla finestra mentre le strade stavano
incominciando a farse buie, ma non troppo, dato che nel cielo la luna era piena
e splendente.
-...Forse tipo una pratica sadomasochista con oggetti strani, ecco questo mi
metterebbe in imbarazzo.- guardai fuori
anche io – oppure ancora una frase del tipo “ grazie di esistere “.-
Portò una sua mano sulle sue labbra per coprire il suo sorriso, e nuovamente
scoprii altre sfumature di quella voce, quella di quel giorno fu di “
rimprovero “.
-Ma non potete accostare le due cose insieme.-
ci pensai seriamente su ma non trovai risposta
– Dici ?- non ero del tutto convinto.
Poi si ammutolì ancora una volta, ma non ci diedi peso, la sua presenza mi
calmava e non mi annoiava di certo, avevo avuto cene dove le persone non
facevano altro che parlarmi, e io , voltavo lo sguardo , a volte annuivo, con
una mano coprivo qualche sbadiglio, mentre avevo nelle orecchie una voce non
ascoltavo.
Era molto meglio un silenzio che udivo perfettamente, che qualcuno che mi
parlava inutilmente.
Ovvio, mi piaceva la sua voce, ma adoravo anche il suo silenzio.
Le portate arrivarono, e la cameriera
dalla coda alta , mi sembrò improvvisamente più gentile verso Laris, gli
rivolse anche un sorriso dolce, stanco, ma fu tale augurò un – Buon appetito - e se andò verso un altro tavolo di clienti che
aspettavano di ordinare.
-….è sempre così ? – dissi guardandolo, e lui aveva già capito a cosa mi
riferivo.
Annuì con il capo, se poteva risparmiare a dire anche un “ si “ in genere lo
faceva, ma c’è la stava mettendo tutta per formulare intere frasi, con ancora
fatica e lentezza
-è compassione, non gentilezza.- ribatté, ma non ci fu astio nella voce, ma una
specie di rassegnazione
-ovunque io vada vengo compatito.- neppure quello disse con rabbia – ma non
posso lamentarmi di questo, è ciò che ho voluto.- assaggiò un primo boccone
della sua portata.
Pensai invece al mio comportamento che avevo nei suoi confronti.
-… Io ti devo davvero sembrare un maleducato- dissi con mezzo sorriso, mentre
anche io mi accingevo a mandare giù il primo boccone.
-Probabile.-
il boccone mi si fermò tra la gola. In genere ottenevo come risposta “ No, non
dica così “.
-… ma almeno non cercate di essere qualcun’ altro.-
Rivolse lo sguardo alla signorina che ci aveva servito e mi sembrò che mi
invitò a fare lo stesso.
Prese le ordinazioni ritornò indietro,
fu dietro al bancone, e quel mezzo sorriso che aveva in viso scomparse ad un
tratto, la sua espressione divenne scocciata e si lasciò andare anche uno
sbuffo,
in quel momento arrivò un signore, distinto, doveva essere sicuramente il suo
superiore, gli stava parlando, non era un tono alto di voce, e noi dalla nostra
posizione non sentimmo niente, ma potevamo vedere lei chinare la testa, come
per scusarsi, lo fece più volte, poi
quel signore di mezza età, spazientito, la lasciò al suo lavoro e se ne andò.
Lei posò i gomiti sul bancone e si mise le due mani sulla fronte massaggiandosi
le tempie, disse qualcosa a denti stretti in una smorfia, e non erano di certo
parole gentili, poi qualcuno la chiamò, si sorprese, chiuse gli occhi per
qualche attimo, e ancora una volta, il suo sorriso dolce, e la frase “ arrivo
subito “ , mentre si incamminava verso il tavolo dei clienti.
-…è normale che faccia così, sta lavorando d’altronde, se si mostrasse
misantropa , la licenzierebbero subito.- gli feci notare, e senza che lo volessi
davvero, ci fu arroganza nella mia voce, come di chi crede di sapere tutto, ma
anche il lieve sorriso, che mi diede come risposta avrei potuto definirlo tale.
- Ma non è stata pagata per trattare con falsa bontà me, non ne aveva motivo.
Voi invece mi trattate in un modo dove
se io parlo o non parlo, non fa differenza.-
Due frasi insieme, non potei farlo a meno di non notarlo.
-Probabilmente siete una di quelle persone che chiederebbero
ad una persona senza una gamba, come ha fatto perderla per il gusto di
soddisfare la sua curiosità-
Seconda frase, quella volta più vicina dalla prima.
Fantastico davvero fantastico, mi si illuminarono gli occhi, ma non tipo come
quelli di un bambino che a natale scarta il regalo più grande tenuto per ultimo
, per poi vedere ciò che aspettava da tempo, il mio sguardo era più simile
ad un predatore che tra una folla, avesse
notato la più elegante e la più bella delle prede.
Risi sommesso.
-Bhe mi sembra ovvio.- mandai giù un altro boccone e arrivai al dunque, come al
solito, senza girarci intorno.
-Ma non mi va di parlare di me, continuo a farlo tramite i miei personaggi nei
miei libri, piuttosto, parlami di te e del pianoforte.-
era impossibile parlare di Laris senza accostarlo a suddetto strumento, e
improvvisamente è come se avesse perso tutta quella sicurezza che aveva
ostentato fino a quel momento, se voleva apparire tale , doveva esserlo mille
volte più di me, impresa davvero difficile, dato la mia sicurezza sfiorava
ormai la superiorità, ed ero arrivato perfino a pensare “ mi si dovrebbe pagare
solo per il semplice fatto che esisto “, e i miei discorsi finivano sempre in
un punto, e non quello interrogativo, e le mie risposte erano divenute
affermazioni.
-Avevamo un patto.-
mi ricordò, e il suo tono tornò nuovamente lento, come se si dovesse ricordare
ogni parola che doveva dire prima di pronunciarla.
-Oh, non preoccuparti, ti dirò il motivo per cui scrivo, alla fine di questa
serata.-
gli dissi rassicurandolo e ingannandolo allo stesso tempo.
Prese un po’ di tempo, come per “ riposarsi “ da tutte le parole che aveva
detto quella sera, ma non fui preoccupato, lui al contrario di me, sembrava una
di quelle persone che alla parola
“ te lo prometto “ ci credeva davvero.
Fece in tempo ad arrivare la seconda portata, e già mi sentivo quasi sazio, dato
che il primo fu abbondante, e feci altrettanto in tempo a finirne metà tra il
silenzio che regnava nel tavolo poi si interruppe al suono della sua voce, che
tanto accostavo alla sonorità di un pianoforte.
- Non provo niente.-
incominciò a dire, ma non rimasi stupito, conoscevo quel
tono, era come l’intro delle sue melodie, era come un cielo bianco, che presto
avrebbe pianto neve trasformando qualunque paesaggio in un luogo meraviglioso.
Gli diedi tutto il tempo necessario per continuare
- Siete voi, scrittori, pittori, scultori
che trasformate ciò che provo in ciò che è reale, che date una forma a
quello che provo suonando quei tasti, non posso dirvi ciò che provo, non perché
io non voglia, ma perché non saprei cosa dirvi.-
si ammutolì ancora una volta, ricordando le parole che aveva
dimenticato per chissà quale ignoto e affascinante motivo
- Ovvio che provo “ rabbia “ o “dolore “ ma è troppo superficiale definire così
i miei sentimenti mentre creo ciò che non si può spiegare, ho immagini nella
mia mente quando cerco di creare un brano, ma non ho le parole, nel pianoforte
esistono solo note. -
Forse incominciavo a capire, era qualcosa assolutamente di diverso dallo
scrivere.
-Come vi ho detto, io non sono un grande lettore, ma mi riferivo ai libri, in
realtà leggo molto spartiti, seppur io mi trova meglio ad andare orecchio.
Suono, ma non c’è nessuna frase e nessun discorso in cui io possa aiutarla a
comprendere ciò che provo suonando quei tasti che per me sono come corde vocali
. -
Non avrei mai potuto quindi scrivere di un personaggio che suonava il
pianoforte, ma non aveva importanza, avevo sentito Laris parlare più del
dovuto, e lo fece con grande sforzo, e quell’espressione immutabile come se
tutto gli fosse stato scontato , prese vita come spesso faceva quando si
metteva davanti a ciò che probabilmente amava di più al mondo.
E come ogni melodia, anche quella aveva una fine, ma dimenticavo, che in ogni
suo brano, la prolungava sempre, facendola finire in un modo meraviglioso.
Quella sera fece lo stesso e probabilmente non se né accorse neppure, e ancora
una volta mi ritrovai a fissare il suo bel profilo, coperto da alcuni ciuffi
scuri che risaltavano la sua carnagione diafana e i suoi occhi troppi azzurri
che guardavano al di là dell’ampia finestra e non solo.
Poi un suo sorriso, lieve e triste, e il suo sguardo lontano.
- Suono parole che non hanno ancora inventato,
e pronuncio monologhi che non hanno ancora scritto-
e la mia espressione altezzosa e il sorriso arrogante si fecero meno marcati
sul mio viso, pensando che forse, oltre a fare il pianista, avrebbe potuto fare
il poeta.
Lui quantomeno avrebbe scritto frasi in cui credeva al contrario del
sottoscritto, che poteva scrivere qualcosa di estremamente bello, ma poi
schernirlo con ciò che pensava realmente.
Mi chiesi se quello triste tra i due non fossi per caso io.
Quando ritornò con lo sguardo su di me, la maschera che avevo sul volto si posò
su di me, e come al solito una mia battuta per “spezzare “ il tutto.
- Ah se continui a fare frasi simili potresti rubarmi il lavoro.
Se te la ricopio mi denunci per “diritti d’autore ? “ -
Mi guardò, eppure, notai che il suo sguardo era uguale per tutti perfino per
me, hai suoi occhi non dovevo essere sicuramente non più di uno sconosciuto.
Era freddo sotto ai suoi modi gentili, pensai, mentre lo stavo scrutando, eppure bastava solo parlare o rivolgerli
parole che non si aspettava per smuoverlo.
Come vi ho detto, Laris dava l’impressione di una persona che non si sarebbe
mossa da dov’era neppure se stesse cadendo il mondo, o ci fosse stata qualunque
altra catastrofe naturale, lui con impeccabile eleganza e senza nessun sorriso
sulle labbra, non avrebbe mosso un muscolo, e se qualcuno gli avrebbe gridato
di scappare avrebbe risposto che correre o restare fermi non ci sarebbe stata
differenza, eppure , sarebbe bastato dirgli “ se morirai non potrai più suonare
il piano che ami tanto “ la paura si sarebbe dipinta nei suoi occhi,le sue mani
perfettamente ferme avrebbero incominciato a tremare e in qualunque modo,
avrebbe fatto in modo di salvarsi.
Ai miei occhi questo era Laris.
….e mi chiedevo perché non potevo limitarmi anche io come a tutti i semplici
esseri umani a pensare cose del tipo “ è simpatico “ oppure ancora “ è altruista
“ e cose di questo genere, su ogni persona che incontravo ai miei occhi dovevo
sempre tracciarne un profilo, come esattamente facevo con i personaggi dei miei
libri.
Ritornai sulla terra alla sua risposta.
- Eccellete nel vostro campo, non avete bisogno delle mie stupide frasi.- disse
per ritornare anche lui in quel locale dove l’avevo portato – e mi dispiaccio
se non so spiegarmi meglio – ritornai con la mente alla lettera che mi aveva
consegnato, e diedi il tono che usò in quel momento a quelle righe che aveva
scritto.
-Non ha importanza, anzi, va bene così.- mi potevo ritenere soddisfatto.
Non mi chiese perché mi serviva saperlo, e mentalmente lo ringrazia, altrimenti
avrei dovuto raccontare un'altra bugia.
Arrivò anche il dessert, che avevo ordinato, per me, dato che Laris mi fece
cenno di no con il capo per farmi capire che non lo voleva, e lo finii senza che più una sola sillaba
venne pronunciata, e tutte quelle parole che aveva detto chissà quanti giorni
di silenzio mi sarebbero costate.
Poco male, a tenermi compagnia, c’era comunque l’altra sua voce, quella che mi
dava ispirazione, che mi faceva immaginare, e che ascoltavo pensando che non
c’era sottofondo migliore per la trama che stavo scrivendo.
Poi feci per alzarmi dal tavolo e dissi – Vado a pagare – ero abituato a dirlo dato che tutte le volte
che uscivo dovevo sempre farlo.
Prese il mio polso senza nessuna parola e mi fermai perché lo volli, la sua
presa, non fu abbastanza forte per definirla tale.
-Ti ho proposto io di uscire, è logico che paghi il sottoscritto. -
gli risposi alla sua muta affermazione.
Non mi ascoltò e tirò fuori la metà del conto, probabilmente dal menù aveva
guardato i prezzi e con un rapido conto mentale aveva tirato fuori la somma che
risultava il cinquanta per cento del
conto
-Non sono una donna.- disse e lasciò la sua debole presa.
Un leggero ghigno si fece largo tra le
mie labbra, avevo svariate risposte da dare, la prima che mi venne in mente fu
“ vogliamo verificare ? “
e la seconda
“ sarebbe meglio se tu lo fossi “…. quantomeno ci sarebbero stati meno
problemi.
Ma forse era meglio così, il mio libro quella volta sarebbe stato un po’ più
“reale “ nei limiti naturalmente.
-Ok ok- dissi con un tono fintamente arrendevole e presi la metà che posò sul
tavolo, andai alla cassa e pagai, guardai l’orologio, sicuramente per chi
faceva orari lavorativi doveva essere molto tardi, decisi quindi che era meglio
accompagnare Laris, e sapevo che non era una donna, era molto più bello, per
questo vagamente mi preoccupai di riaccompagnarlo, e quantomeno sarei stato
sicuro che sarebbe ritornato.
Ma la verità era solo una. Ero curioso, magari scoprendo dove abitava, potevo
sapere di più sulla sua vita, ovvio che non mi aspettava una cosa del tipo “
Vuoi salire su ? “, ma quantomeno da fuori avrei cercato di capire.
Fantastico, ora giocavo anche a fare il detective.
Ritornai al tavolo, e Laris era già pronto nel suo capotto, fuori faceva
abbastanza freddo, il periodo era ancora quello invernale, quello che più
amavo.
-Spero sarai soddisfatto.
Se andavamo a mangiare sushi, credo che non avresti tirato fuori la metà così
volentieri .-
dissi mentre ci avviammo all’uscita per poi andare alla macchina, il mio
secondo amore.
Salimmo e l’unica cosa che mi disse era dove abitava, sembrò non farsi
problemi, il suo profilo era tranquillo, anche se io cercavo ogni movimento
sospetto del suo volto per scoprire qualcosa.
Bene, l’unica cosa che scoprii era un altro lavoro che non potevo di certo fare,
dato che nel tragitto in macchina non avevo ancora ricavato nessuna
informazione.
Mi fermai al numero civico che mi aveva detto, non gli lo feci ripetere una
seconda volta e cercai di ricordarmelo, frenai e dissi – Bene, allora ti
aspetto domani. -.
Si voltò lentamente , di tre quarti, e quella volta, fu un sorriso diverso,
quasi di sfida.
- Ditemelo Zefir.-
Lo guardai, seriamente quella volta …. non ero mai stato brillante nelle mie
confessioni d’amore e avrei sicuramente pronunciato qualcosa del tipo
“ Si mi piaci, vorrei provare, ma non sono del tutto dell’altra sponda, è
l’influenza del libro, devi credermi, per questo sto diventando vagamente
gay….ma se magari mi tolgo lo sfizio ridivento etero. “
Fortunatamente pronunciò prima qualcosa lui prima di me.
- Non mi avete ancora detto perché scrivete.- disse quasi con aria malinconica.
Trassi un sospiro di sollievo.
Menomale, si trattava solo di quello, distrattamente mi portai una mano sul
petto.
Sentii battere il mio cuore …..bhe quello era logico, altrimenti sarei morto …
ma batteva stranamente più veloce…
all’inizio pensai che oltre la scoliosi non diagnosticata mi avrebbero anche
detto che soffrivo di tachicardica.
- Zefir ? –
al mio nome , il cuore riprese a battere più forte e capii, tolsi
immediatamente la mia mano come se il mio petto scottasse e il mio sguardo a
terra divenne freddo pensando di me stesso che ero ridicolo.
Non eravamo in un mio ridicolo romanzo.
-… Perché scrivo ?- la mia voce uscì
distante, come se mi avesse chiesto una cosa che non si poteva assolutamente
domandare.
Portai indietro dei ciuffi neri e guardai da tutt’altra parte tranne che nei
suo occhi.
- L’ho detto, è per pagare le mie spese e per mantenermi, questo è tutto, non
c’è nessuna nobile ragione, come la tua, è triste forse da dire e scoprire, ma
sono i soldi che mi fanno fare quello che faccio, non c’è null’altro oltre a
questo. – non potei fare a meno di usare una voce fredda.
Perché tutti si aspettavano qualche profonda ragione ?
Perché pretendevano frasi che scrivevo soltanto nei miei romanzi ?
- Non credo nell’amore, o almeno in quello per le persone, ma non lo dico
perché sono stato ferito o sciocchezze simili, ma è un tema che a tutti piace
leggere, è quello che porta più successo e più soldi, per questo motivo opto
sempre per quest’ultimo. -
Non ero in grado di dare una motivazione come la sua, lui era un artista, io
invece, ero un bugiardo .
Avevo sicuramente usato un tono duro, ma non ero irato con lui, non lo sarei
mai stato, solo che per una volta volevo far capire, che non avevo serie
motivazioni per scrivere.
Quando ritornai al suo sguardo di ghiaccio, pensavo ad un espressione delusa,
di chi magari si era aspettato chissà quale poetica risposta, e invece …. era
tranquilla come sempre, anzi sembrava quasi che se l’aspettasse, che non avessi
detto nulla da diverso da quello che si era forse immaginato Aprì lo sportello
della macchina.
Ero stato uno stupido, avrei sicuramente dovuto dire qualcosa del tipo “ è la
mia ragione di vita “.
-Perdonatemi se vi dico che non vi credo.
Se non volete dirmelo non importa, cercherò di comprenderlo.
Se davvero lo fate per soldi, e non credeste in ciò che scrivete, siate certo,
non mi sarei fermato un solo minuto nella vostra casa. -
Gli sorrisi di comprensione e conclusi
con un sospiro, poi gli dissi l’ultima cosa di quella serata.
- Laris…- si voltò appena, e aspettò sulla soglia della macchina prima di
chiudere la portiera
– So che se ti dicessi di darmi del “ tu “ mi ignoreresti, ma quantomeno … se
ti riesce puoi darmi del lei? Mi fai
sentire vecchio e mi sembra di ritornare nel settecento, andrà a finire che per
calarmi nella parte incomincerò a mettere camicie con maniche a sbuffo e ornate
di pizzi. -
Il suo accenno mi bastò.
Ci salutammo in quel modo, di altre parole non ne servivano.
Alla fine, vinse lui al mio gioco del “detective “ , rimisi in moto la macchina
, curvai e andai nella direzione opposta, nella casa vuota, e a quel pensiero è
come se sentii un miagolio, quello di Neve, per ricordarmi che solo non ero.
Laris abitava in una via di periferia, non era né troppo povero né ricco a
giudicare dal quartiere, ma non avevo scoperto
nulla più di questo, tranne che sapeva pronunciare frasi meravigliose
che sembravano scritte da un poeta, e che i suoi occhi alla sera, sembravano
ancora più azzurri e più belli.
Venti minuti di macchina per arrivare a casa, trenta per trovare parcheggio, e
poi finalmente davanti alla mia porta che però non aprii subito, i ricordi del
passato, si fecero largo in quel presente che stavo vivendo.
“ Sei talmente egoista, che morirai triste e solo “
mi ricordò quella maledetta voce, di cui avevo dimenticato il viso
“ Non sai fare niente di speciale, sarai uguale come tutti “
ma la ignorai,era inutile ripensarci dopo tanto tempo, e aprii quella porta,
dove ad accogliermi, ci fu il mio gatto nero, che mi rubò con un basso miagolio
un vero sorriso e i miei personaggi immaginari, mi donarono un espressione che
si avvicinava alla tristezza.
Chissà com’era entrare in una casa e sentirsi dire “ Bentornato “.
In genere i miei quesiti di fine giornata erano di questo
tipo:
“ Chissà dove fanno i loro bisogni gli
eschimesi ? “
oppure
“ Chissà se ritroveranno Atlantide. “
ma quella sera c’è ne fu uno diverso di cui conoscevo appieno le risposte.
Perché scrivevo ?
Scrivevo per sconfiggere la mia solitudine,
perché c’erano cose che a parole non riuscivo a pronunciare,
perché cercavo di ingannarmi di avere ancora dei sentimenti,
per rivalsa a chi mi aveva detto “ Non diventerai mai uno scrittore “
ma soprattutto c’era il motivo più importante di tutti, banale e scontato, che
mi sembrava ridicolo perfino dirlo, scrivevo perché non sapevo fare null’altro
che quello.
Senza, era spacciato.
Continua