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Autore: Neferikare    11/03/2016    2 recensioni
Dopo il Torneo Chojin Kid pensa di essere ufficialmente il campione dei campioni, di aver finalmente messo fine alla tirannia della dmp e di poter dichiarare finalmente una nuova era di pace e serenità.
Fino a quando i sovrani indiscussi della vecchia organizzazione nemica non ritornano con lo scopo di regolare i conti con la famiglia Muscle ed estinguere la loro stirpe una volta per tutte: le semifinali del Torneo si rifaranno e Kid dovrà soccombere, è questo l'ordine di Oregon e Cassandra, imperatori di un intero pianeta e genitori di Ricardo, unico erede al trono della dmp.
Il loro sarà uno scontro ben poco ad armi pari: da una parte la volontà di mettere a tacere i nemici della Muscle League con la forza della giustizia, dall'altra un potere immenso capace di spazzare via decenni di vittorie dei Kinniku in una manciata di secondi.
Che la guerra inizi.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kid Muscle, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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E alla fine venne il giorno.
Purtroppo.
Nonostante fosse tornato a dormire appena da qualche ora, con la speranza di risvegliarsi dopo l’incoronazione, quando Hanzo aveva aperto gli occhi si era reso conto che la realtà era ben diversa ed era giunta l’ora di fare i conti con le responsabilità che aveva tentato inutilmente di tenere nascoste nei meandri della propria mente per anni consumando inesorabilmente le poche forze che il suo stile di vita gli aveva lasciato: appena qualche ora ed avrebbe avuto in mano le redini di un intero pianeta, avrebbe dovuto iniziare a sedere all’Aeternum insieme agli altri consiglieri ed ai propri genitori, a smettere di essere così dannatamente impulsivo per riuscire a guidare un esercito in guerra.
E ne era terrorizzato, lo era sempre stato: il terrore, quello reale, Hanzo non lo aveva mai provato veramente, nemmeno quando aveva toccato il fondo più profondo che conosceva, eppure la paura di non essere all’altezza lo stava soffocando dal primo istante in cui aveva messo piede nella sala del trono, ed era la stessa sensazione che ora avrebbe bussato alla porta della sua coscienza.
Fortunatamente la porta alla quale sentì bussare fu ben altra, e cioè quella della sua stanza:
«Buongiorno Vostra Altezza Reale, con permesso.» annunciò una voce maschile poco prima di entrare chiudendosi la porta alle spalle accompagnando il tutto da un sonoro tintinnio metallico; Hanzo aveva impiegato giusto qualche minuto per mettere a fuoco la losca figura che aveva temuto trattarsi di suo padre, ma quando aveva messo a fuoco la cosa aveva anche tirato un profondo respiro di sollievo: Daisuke era ben lungi dall’essere l’Imperatore in persona, lui era più l’umile servo che suo padre gli aveva regalato come dimostrazione che se voleva iniziare ad immedesimarsi nella vita di corte avere uno schiavo personale era il minimo.
Se non fosse che ad Hanzo fregava di tutto tranne che di continuare a sfogare le proprie frustrazioni su qualcuno che non fosse il vecchio Bone, per cui si limitava a fargli fare qualcosa quando ne aveva davvero bisogno e comunque, sinceramente parlando, non riusciva nemmeno a far fare ad uomo di mezza età ciò che avrebbe benissimo potuto fare lui con la metà dello sforzo.
Quella mattina però, per quanto si fosse sforzato a fare presa con il braccio sulla parete, Hanzo aveva dovuto fare affidamento al vecchio servitore per riuscire ad alzarsi e mettersi in piedi, anche se a giudicare dalla fitta lancinante che gli aveva percorso la gamba arrivando fino alla spalla nell’istante in cui l’aveva poggiata a terra forse sarebbe stato decisamente meglio dormire ancora un po’:
«Vi sentite bene, mio signore? Volete che chiami il medico di corte?» gli aveva chiesto senza lasciarsi sfuggire la smorfia di dolore apparsa sul suo volto per qualche secondo, ma se c’era una cosa che Hanzo voleva evitare era di essere compatito, non in quel giorno:
«Non ho intenzione di vedere nessuno, vedrò fin troppa gente oggi: piuttosto dammi quella fottutissima armatura e facciamola finita una volta per tutte con questa dannata cerimonia, mi si stanno scartavetrando le palle a furia di pensarci.» gli ordinò trascinandosi non senza fatica fino alla finestra per crogiolarsi ancora qualche istante nella vita da persona normale.
Più o meno normale, va beh.
L'uomo lo aveva guardato con uno sguardo confuso per qualche istante tuttavia, quando aveva capito che Hanzo era irremovibile sulle sue posizioni, si era prontamente ritirato nell’insistere:
«Comprendo la vostra intenzione di non chiedere nulla, mio signore, ma avete bisogno di aiuto per indossare la vostra armatura? La vostra spalla non è ancora completamente guarita, non vorrei che un eccessivo sforzo possa compromettere la guarig…­»
«Sto bene, ti ringrazio per l’interessamento ma sto bene: vai pure, penso di essere ancora in grado di vestirmi da solo.» rispose stizzito senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, così l’altro si limitò ad un breve inchino e si dileguò velocemente.

Compassione, ecco cos’era quella sensazione, pura e caritatevole compassione verso la sua persona: d’altronde poverino, lui era quello cresciuto con disturbi mentali perché non aveva ricevuto l’amore di una famiglia, quello che era passato dal freddo cemento di una cella ad un letto imbottito con le piume recuperate dalla muta stagionale delle fenici e cuscini tessuti con la soffice pelliccia dei branchi di honoki delle stalle reali.
La gente parlava e Hanzo, suo malgrado, la sentiva fin troppo bene.
E faceva male.
Ma avrebbe cambiato le cose quel giorno, sarebbe riuscito a far capire che lui non era ciò che tutti avevano creduto che fosse fino ad ora: lui era il figlio dei sovrani del pianeta, era il principe ereditario di Iga, non il criminale che le persone si ostinavano a vedere, non del tutto almeno.
E forse era stato proprio per dimostrare a se stesso di essere cambiato davvero che si era ostinato a volersi infilare in quel groviglio di acciaio e oro da solo, senza dover fare affidamento su nessuno che non fosse se stesso, il tutto nonostante le fitte che sentiva ad ogni più piccolo movimento del braccio: Daisuke aveva ragione nel dire che non si era ancora ristabilito del tutto, ma l’idea di doversi abbassare al chiedere aiuto ad un servo gli faceva ghiacciare il sangue nelle vene, soprattutto quel giorno, quello in cui avrebbe dovuto dimostrare ad un intero pianeta la propria volontà di diventare il sovrano di un cumulo di roccia, uccelli abnormi e unicorni alati parlanti.
Eppure, per quanto fosse disturbato da quello spiacevole pensiero, alla fine aveva dovuto cedere quando aveva sentito un dolore lancinante in mezzo al petto che lo aveva fatto piegare in due da quanto era stato intenso: non oggi, non adesso, pensò fra sé e sé, vedi di resistere almeno qualche ora, poi possiamo anche morire e dimenticarci tutto.
Aveva impiegato qualche minuto per riuscire a rimettersi in piedi e ritrovare l’equilibrio, poi si era deciso a chiamare Daisuke sperando che fosse ancora nei paraggi per dargli una mano a indossare quella fottutissima armatura che suo padre aveva tanto preteso di vedergli addosso:
«Avrai anche il sangue di tuo padre nelle vene, ma la testardaggine l’hai presa decisamente dal sottoscritto, e se devo essere sincero mi commuove questa notizia.» aveva sentito dire da una voce che non era chiaramente quella del servo, che tra l’altro non si sarebbe mai potuto permettere certe osservazioni senza rischiarci una mano.
E infatti era suo nonno Akihiro che lo guardava stizzito con le braccia incrociate standosene comodamente poggiato sullo stipite della porta di ingresso della sua stanza:
«Finirai per ammazzarti se continui ad essere così ostile al farti aiutare da qualcuno che non sia tu, te stesso e te medesimo, è così difficile da capire?» domandò ottenendo come risposta solo un sospiro annoiato, ma Hanzo non sembrava interessato a parlare anche con lui:
«Se sei venuto a farmi la predica anche tu puoi anche risparmiartela, non voglio sentire un’altra persona che viene qui a raccomandarmi di seguire tutto questo teatrino, penoso aggiungerei.» rispose malamente continuando imperterrito a fare ciò che stava malamente facendo.
L’uomo non si era fatto problemi ad entrare chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore, poi si era avvicinato al nipote e gli aveva preso di mano il pezzo dell’armatura nera che stava ancora maneggiando con una certa insicurezza:
«Vuoi una mano o preferisci fare da solo? Non vorrei essere nei tuoi panni se dovessi arrivare in ritardo, soprattutto con Ignis in giro.» disse ridendo, umorismo che però Hanzo non riuscì proprio a cogliere nonostante ci avesse anche provato:
«Sono abbastanza grande da essere capace di infilarmi nei vestiti con le mie mani, non sopporterò l’umiliazione di essere ricordato come quello che non è nemmeno riuscito a indossare la propria armatura, non so se tu e il tuo perbenismo lo capite.» rispose malamente facendo per riprendersi ciò che gli era appena stato tolto, ma il solo sbilanciarsi per allungarsi un po’ gli aveva provocato una fitta all’anca che per poco non lo aveva fatto spiaccicare male a terra, ma fortunatamente Akihiro ebbe la prontezza di tendergli la mano per aiutare a riprendere l’equilibrio:
«Allora, la vuoi una mano o no?» chiese un’ultima volta, l’ennesima durante la quale calò il silenzio.

Non avrebbe dovuto accettare, non doveva farlo: era capace di fare tutto da solo, non serviva l’aiuto di qualcuno che non fosse lui stesso per assolvere un compito così stupido, lo avrebbe dimostrato a tutti, si sarebbe ripreso il minimo di dignità che gli spettava.

E invece no, come per un gesto involontario aveva annuito tenendo la testa bassa, abbastanza per non incontrare lo sguardo di pietà dell’altro ma non tanto da risparmiargli quella scena pietosa: aveva cercato di annullare ogni sensazione che fosse umana quando aveva sentito il freddo pungente scavare solchi invisibili sulla pelle nuda, di estraniarsi da quell’involucro vuoto che si trascinava dietro da ventisette anni e di rifugiarsi solo per qualche istante in un angolo buio della sua mente che teneva sgombro dal suo tormentato passato, ma nonostante lo sforzo quando l’acciaio gli aveva sfiorato la profonda cicatrice rosea e lucida che attraversava diagonalmente il petto la sua coscienza era tornata al suo posto e, come era solita fare, aveva iniziato a tormentarsi riportando a galla troppi ricordi.
Mentre l’altro gli sistemava un pezzo di metallo dopo l’altro, Hanzo era impegnato a chiedersi se anche suo nonno si fermasse davanti ad ogni singolo taglio che gli si presentava davanti come invece aveva fatto Mizuki la prima volta che lo aveva visto: sommergerlo di domande non era certo stato il modo migliore per approcciarsi con il figlio che non vedeva da ventidue anni, eppure non si era fatta problemi a rigirare il coltello nelle ferite fino a quando non era riuscita ad annichilire quel poco di dignità che sette anni di catene gli avevano concesso di tenersi.
Akihiro no, lui sembrava stranamente a suo agio con il nipote che non aveva mai conosciuto, non faceva domande né richiedeva risposte che sapeva già non avrebbe avuto, e ad Hanzo la cosa andava più che bene, almeno quel giorno:
«Abbiamo quasi finito, ancora un po’ di pazienza e ti lascio libero.» gli aveva detto mentre stringeva e bloccava con cura la placca pettorale dell’armatura nemmeno fosse il corsetto di una nobildonna di altri tempi, forse anche con troppa cura a giudicare da quanto stava stringendo:
«Devo allentare la presa o va bene?» si permise di domandare con prudenza notando che forse era decisamente troppo stretto ma Hanzo, forse per rispetto dell’unica persona che sembrava capirlo o forse per semplice noia, aveva scosso la testa limitandosi a trattenere il respiro un po’ più del solito, il tutto ovviamente senza proferire parola.

Alla fine della complicata operazione, durata poco più di una ventina di minuti con l’aiuto di suo nonno rispetto all’ora buona che avrebbe impiegato se avesse deciso di fare tutto da solo, Hanzo aveva sentito l’ansia pre-incoronazione attanagliargli lo stomaco più di quanto avesse fatto fino a quel momento perché adesso non si tornava più indietro, non c’era modo né voglia di farlo.
E, per quanto si stesse sforzando di nascondere la preoccupazione, l’altro l’aveva notata già da un pezzo, motivo per cui stava già ponendo rimedio:
«Sbaglio o qui qualcuno sta pensando di non varcare la porta della propria camera?» chiese dandogli una pacca sulla spalla che per poco non lo aveva fatto sobbalzare
«Non è così difficile ciò che devi fare: arrivi, fai un’entrata trionfale, te ne stai in piedi qualche decina di minuti ad ascoltare tua madre che ti legge il giuramento, dici due cazzate in croce per convincere gli ambasciatori, che in un modo o nell’altro ti accetteranno per forza di cose alla guida di Iga, e prendi la spada che ti spetta, assicurandoti che tuo padre te la passi per l’elsa piuttosto che per la lama, quell’uomo farebbe di tutto per non vederti costantemente seduto sul tuo regale trono.
Semplice no? Devo ripeterti qualche passaggio?».
No, non avrebbe dovuto ripetere nulla, odiava l’idea di dover far perdere altro tempo a suo nonno, che sicuramente aveva in mente progetti ben più interessanti dello stare ad ascoltare le lagne di un povero disgraziato come suo nipote: perché Hanzo non era interessato a parlare, non voleva fare o sentire nulla che non fosse lo starsene da solo rinchiuso fra quelle quattro mura che, almeno fino ad ora, non gli avevano fatto mancare nulla.
Nulla, certo, nulla se non la sensazione di essere a casa, quella non l’aveva mai avuta.
Poi, proprio quando l’altro era intento a continuare a parlargli voltato di spalle e girovagando per la stanza, gli era improvvisamente caduto lo sguardo su una delle spade solitamente appese alla parete fra le quali una, forse per uno strano scherzo del destino, era invece poggiata su un tavolino distante nemmeno un braccio: se avesse allungato la mano probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla, e nel caso… no, non doveva pensare a quel genere di cose, non ancora.
O forse sì, chissà… di certo nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, i suoi genitori no di certo, magari Chiharu si sarebbe messa a versare qualche lacrima, ma alla fine lo avrebbe dimenticato come si dimentica il primo amore: nessuno era indispensabile, nemmeno lui.
Non capì se era stato l’istinto a muovergli le dita per stringere l’impugnatura fino a quando le nocche non avevano iniziato a fargli male, come anche non seppe mai quale voglia primordiale di mettere fine alla sua vita lo avesse assalito proprio ora che aveva tutto ciò che poteva desiderare, stava di fatto che si era trovato in modo quasi inaspettato gli artigli di ghiaccio dell’acciaio che abbracciavano il calore del sangue mentre la carne molle faceva spazio a quella danza mortale della quale Hanzo non sembrava nemmeno consapevole, almeno a giudicare dal suo sguardo perso nel vuoto.
Uccidersi avrebbe risolto tante cose, anche troppe: Chiharu non avrebbe più dovuto nascondersi e avrebbe potuto trovare qualcuno da amare alla luce del Sole, Soichiro non si sarebbe più preoccupare che qualcuno gli rubasse la corona, Mizuki forse sarebbe tornata ad occuparsi delle sue sacerdotesse piuttosto che di quella palla al piede che lui era diventato con il tempo, magari anche Akihiro avrebbe trovato sollievo nel dedicarsi a qualcosa o qualcuno di più vivo di suo nipote.
Hanzo voleva solo morire, morire e basta, non avrebbe chiesto nulla di più.
E sarebbe anche riuscito nel suo intento se l’altro non si fosse girato per il rumore metallico che aveva sentito e gli avesse stretto il polso in una morsa che gli aveva fatto cadere la spada dalle mani: avanti, non poteva nemmeno morire in pace?
Perché tutti lo volevano vivo?
Perché tutti dovevano decidere cosa fare della sua vita, tutti tranne lui?

Akhiro lo aveva sbattuto con una violenza che non pareva appartenergli contro il muro tenendolo inchiodato alla parete senza curarsi del sangue che colava sul metallo lucido dell’armatura disegnando intricate forme rosso vivo:
«Cosa diavolo ti salta in mente? Cosa vuoi dimostrare?» gli urlò in faccia afferrandogli il mento per costringerlo a guardarlo, ma quell’aria assente continuava a persistere:
«Ti vuoi ammazzare? E’ questo ciò che vuoi? Rispondimi! Fallo o giuro che ti ammazzo io!» gli chiese furioso mollando la presa e costringendolo a cercare qualcosa per reggersi che potesse compensare l’improvviso calo di pressione che gli aveva fatto perdere le forze per un istante che era parso infinito ad entrambi.
Ed era proprio mentre Hanzo si accingeva ad afferrare più o meno saldamente il bracciolo della poltrona lì vicina per rimettersi in piedi che aveva sentito fin troppo chiaramente la mano di Akihiro schiantarsi con una certa violenza contro la sua guancia in uno schiaffo che, umiliazione più umiliazione meno, lo aveva quasi fatto crollare in ginocchio:
«Non ti azzardare mai più a buttare via la tua vita in un modo così dannatamente stupido, abbi un minimo di rispetto per te stesso almeno!» insistette mantenendo l’aria severa di poco prima, ma era durata ben poco quando l’altro era riuscito a rialzarsi alla bene e meglio ed aveva incontrato il suo sguardo accusatorio:
«Smettila di farti del male Hanzo, per favore: hai già abbastanza cicatrici da sfoggiare, probabilmente anche più di quante ne abbia tuo padre, non meriti altri dolore, non oggi.»
Oh invece sì che lo meritava, lo aveva sempre meritato: lo meritava quando era venuto al mondo senza chiederlo togliendo a sua sorella e suo fratello il diritto al trono, lo meritava quando era sopravvissuto ad entrambi, lo meritava quando era riuscito a farla franca anche dal carcere grazie ai complotti tra una lucertola abnorme e quella marionetta di suo padre.
Aveva sempre meritato di soffrire, lo sapeva fin troppo bene, ma Akihiro aveva tutt’altra idea su cosa suo nipote si meritasse dalla gabbia dorata in cui lo avevano rinchiuso:
«Ciò che sei non è colpa tua, anche se probabilmente tuo padre pensa il contrario: ora che ci penso mi ha sempre rimproverato di aver conservato i geni giusti per te piuttosto che per lui.» osservò lasciandosi scappare una risata;
«Geni giusti? Tu li chiami seriamente geni giusti? Se papà vuole i miei poteri glieli cedo volentieri, non è che mi servano a molto negli ultimi tempi, in realtà non me ne sono mai fat-»
«Oh sì, decisamente giusti, abbastanza perché non ti abbiano ancora ucciso male come è successo a qualcuno dei tuoi antenati, ma smettiamola di preoccuparci del passato e preoccupiamoci più del fatto che stai sanguinando come se non ci fosse un domani: avanti, stai fermo e fammi vedere quella fottuta gola prima che ti cada per terra la trachea.» asserì afferrando un pezzo di stoffa che aveva trovato lì vicino e avvicinandosi ad Hanzo per fermare almeno la perdita di sangue.
O almeno lo avrebbe fatto se per ogni passo che l’altro faceva per avanzare lui ne faceva uno indietro fino a quando non si era trovato con la schiena al muro:
«Non credo ce ne sia bisogno, davvero: sto bene no? Sono vivo, vivo e vegeto, non c’è bisogno di insistere con il dover controllare chissà cosa, sul serio.» fece notare mentre la mano che teneva premuta contro la gola si colorava di dense gocce rosso-bluastre che strisciavano fra le dita;
fu allora che Akihiro, con un’espressione a metà fra il compiaciuto e l’ammiccante, gli si avvicinò ulteriormente afferrandogli il polso noncurante del sangue che colava:
«Cosa c’è Hanzo, qualcosa che non dovrei sapere forse?» domandò mentre il poveretto, nel vano tentativo di sopportare quello sguardo accusatorio, stava letteralmente sbiancando:
«Non c’è nulla, non ho nulla: ora, con il tuo permesso, devo andare perché si sta facendo tard-»
«Oh no, non è mai troppo tardi per assicurarsi che il proprio nipote stia bene: sposta la mano avanti, non fare il bambino!»
«Ma perché? Ti ho detto che sto bene!»
«Smettila o te la stacco quella mano!»
«No! Ho detto di no ed è no!»
«Taci e fai la persona adulta, è solo una dannata mano! Se non hai nulla da nascondere allora fammi vedere la tua fottutissima gola!»
«Non ho intenzione di cedere a certi ricat-»
E invece Hanzo cedette, oh se lo fece, soprattutto quando suo nonno gli aveva stretto così tanto il polso che aveva sentito un brivido freddo corrergli lungo il braccio; l’uomo lo aveva guardato incrociando le braccia e annuendo soddisfatto e, al contrario di ciò che pensava Hanzo, del tutto poco sorpreso dalla situazione:
«Come pensavo, non sei così stupido da suicidarti inutilmente, d’altronde…» gli disse tastando con la mano la pelle ed i muscoli macchiati di sangue che lasciavano intravedere delle striature bianco avorio che, anatomicamente parlando, non avrebbero dovuto trovarsi lì:
«Tu sapevi fin dall’inizio che non saresti morto.»

Il gelo.
Silenzioso, cupo e  irritante gelo.
E quella faccia soddisfatta, era quella ciò che gli stava facendo accapponare la pelle: lui sapeva, sapeva tutto, Akihiro aveva sempre saputo tutto.
Ma non gli aveva detto nulla, né aveva lasciato intendere che fosse a conoscenza di qualsiasi cosa che non avrebbe mai dovuto sapere: aveva osservato, lo aveva lasciato fare e niente, gli aveva fatto capire che se Soichiro fosse venuto a conoscenza di quello probabilmente avrebbe anche potuto trovarsi un altro posto in cui vivere, o meglio sopravvivere.
E forse fu proprio per quel terrore che Hanzo cercò rifugio premendo la schiena contro il muro fino a quando non sentì le vertebre imprecare per il trattamento che gli stava riservando, il respiro che gli si smorzava in gola e gli occhi sbarrati nemmeno fosse un cerbiatto davanti ai fari di un’auto che lo stava per investire; Akihiro, a giudicare dall’espressione confusa e dispiaciuta che aveva assunto, aveva colto le condizioni psicologicamente pietose in cui versava il nipote:
«Se la tua paura è che dica a tuo padre di quello che sta avvenendo qua dentro smettila di preoccuparti, a differenza sua non sono il genere di persona interessata a rovinare la vita agli altri» lo aveva rassicurato togliendogli un gran peso dallo stomaco e permettendogli di tornare a respirare più o meno normalmente.
Ma era chiaro che non si era lasciato scappare la cosa, ovviamente:
«Da quanto?» domandò secco lasciandogli il tempo per capire e rispondere alla domanda, ma la verità era che Hanzo sapeva già cosa voleva e pretendeva di conoscere adesso; dopo qualche istante di esitazione si era convinto che continuare a stare sulla difensiva sarebbe stato inutile quanto controproducente per lui e per la fiducia che suo nonno sembrava disposto a dargli, così si decise a rilassarsi e sedersi sul letto con lo sguardo verso il pavimento:
«Sette anni, mese più mese meno… è stato sette anni fa, ma brucia come allora: lo fa sempre, ogni dannata volta, quella fottuta… cosa o come diavolo si chiam-
»
«Osteogenesi rigenerativa, prego, diamo il giusto nome alle cose» lo interruppe ridendo, ma Hanzo non sembrava troppo d’accordo con quell’interruzione:
«Come? Da quando sei anche medico?»
«Ammetto di non conoscere la medicina, ma se c’è una cosa che conosco fin troppo bene sono le conseguenze dei tuoi poteri, o almeno di ciò che ne rimane, che poi sono anche i miei quindi beh, ne so abbastanza per dirti che sei già fortunato a non essere morto per un polmone perforato da una costola che si è ramificata decisamente troppo, tutto qui.» spiegò come se quelle parole avrebbero dovuto dargli sollievo
«Purtroppo per me non ho tutte queste qualità nipote caro, i miei poteri si sono limitati a rendermi un sociopatico che ha instaurato una tirannia su Iga per decenni, ma non so quanto avrei voluto essere al tuo posto per farmi crescere ossicine random senza control... ti sto mettendo a disagio, vero?
«Abbastanza.» rispose semplicemente distogliendo lo sguardo.
In quella situazione non era ben chiaro chi fosse più imbarazzato dal discorso fra i due, ma alla fine fu Akihiro a rompere nuovamente il ghiaccio:
«Allora la smetto, mi dispiace figliolo ma è passato tanto tempo dalla mia incoronazione e ricordare gli sguardi della gente quando ha capito che sarebbe stata la pecora nera della famiglia a dettare legge sul pianeta non è piacevole nemmeno per me, sono cose che ho pregato e pregherai anche tu di scordare... quegli sguardi.» si scusò mentre i suoi occhi assumevano una piega di malinconia che durò poco più di un secondo, sostituita subito dopo da un sorriso che, se era seriamente falso, allora era davvero ben falsificato:
«Dimmi un po', hai un cavallo con il quale arrivare al tempio per la cerimonia?
«Sì, certo, ho Aerand-»
«Aerandir è il cavallo di tua madre, non vale.»
«L’ho sempre cavalcato io, è il mio caval-»
«Solo perché lei gli ha ordinato di farsi cavalcare, non credere che quell’equino ti sarà fedele: certamente, se Mizuki gli dice di proteggerti e diventare il tuo animale domestico lui lo fa, ma non è a te che ha giurato fedeltà, capito?» domandò mentre l’altro lo guardava confuso e amareggiato allo stesso tempo: avanti, ora non aveva nemmeno un cavallo tutto suo?
Akihiro però aveva la soluzione a tutto, anche alla mancanza di una cavalcatura:
«Non arriveremo al lago Yuna in tempo se andiamo a piedi, e di certo l’erede al trono non può arrivare senza nemmeno un animale da sella: che dici, facciamo attendere la plebe e andiamo a procurarcene uno, Vostra Maestà?» propose entusiasta.
Hanzo non aveva nessuna dannatissima idea di cosa suo nonno avesse in mente, ma il solo fatto di ritardare ulteriormente quell’umiliante cerimonia gli aveva fatto salire un’improvvisa voglia di rischiare la pelle in chissà quale impresa così, dopo aver dato un’ultima sistemata all’armatura ed essersi assicurato che fosse tutto al proprio posto, aveva seguito l’altro fino alle stalle reali dove Soichiro e Mizuki tenevano i loro animaletti da soma personali insieme a quelli dei rispettivi eserciti.


Appena entrati erano stati accolti dai nitriti sorpresi di alcuni degli stalloni di Mizuki intenti a sgranocchiare carote e fieno che li avevano guardati sprezzanti per qualche istante, per poi subito dopo emettere una serie non meglio definita di sbuffi annoiati da quell’improvvisa visita non programmata; Akihiro si era mosso con cautela fra quegli animali, cercando di tenersi il più lontano possibile dalle giumente gravide per non scatenare l’ira dei maschi, chiedendo ogni volta ad Hanzo se ce ne fosse uno che gli piacesse particolarmente.
Ma la risposta, ahimè, era stata sempre la stessa: un secco e freddo no, nulla di più.
Scartati i cavalli di sua madre erano allora passati agli honoki, creature simili a grossi cervi che Soichiro amava particolarmente utilizzare in guerra per la loro estrema fedeltà e resistenza, per non parlare dell’aggressività con la quale reagivano se il loro padrone era in pericolo:
«Te ne piace qualcuno?»
«Io non credo di… cioè… non è che non mi piacciano, ma… non fanno per me, tutto qui: probabilmente ho dei problemi mentali, ma no, non me ne piace nessuno… mi dispiace.» rispose senza nascondere un certo imbarazzo per avergli fatto perdere tutto quel tempo per aiutarlo ma Akihiro, anziché assumere quell’espressione severa che Hanzo si era aspettato a causa della pazienza che gli aveva fatto consumare, sembrava invece fin troppo felice alla notizia dell’ennesimo rifiuto:
«Pensi di riuscire a camminare con la gamba in quello stato diciamo, un chilometro o poco meno?» domandò curioso facendo per uscire dalle stalle
«Sì, o almeno credo… ma anche se non dovessi riuscirci mi obbligherò a farlo, di questo non devi preoccuparti: ce la faccio, decisamente.»
«E allora iniziamo a incamminarci, prima arriviamo meglio sarà: ho io quello che fa per te, e ti assicuro che sarà ammmore a prima vista, nipote caro.»


E in effetti era stato proprio così.
Akihiro lo aveva fatto camminare poco più di un paio di chilometri, che gli erano parsi un’eternità a causa della gamba che pulsava mentre lui cercava di concentrarsi su ben altro, il tutto per arrivare alle stalle del proprio castello, poste dietro di esso e leggermente nascoste da una coltre di ciliegi in fiore, e la differenza rispetto a quelle di suo padre e sua madre era decisamente evidente: più che stalle quelle di Akihiro erano vere e proprie strutture a cupola di dimensioni mastodontiche, sicuramente cinque o dieci volte le semplici costruzioni degli equini da guerra della famiglia reale, costituite da spesse pareti di roccia che sembravano emergere direttamente dal suolo come se fossero un’appendice dello stesso, la quale si fondeva nella parte superiore da quelle che sembravano essere lastre di vetro con un’apertura circolare sulla parte superiore.
La visione di quella struttura così imponente aveva fatto sentire Hanzo terribilmente insignificante dinanzi a tanta magnificenza, e certo la camminata regale di suo nonno nel dirigersi verso l’entrata di quell’edificio non lo aveva aiutato a sentirsi a proprio agio; dopo gli ultimi sforzi per arrivare dinanzi a quello che doveva essere il portone d’ingresso, però, Akihiro lo aveva fermato:
«Nessuno ha mai approvato il mio metodo per combattere una guerra, nè ho cercato l’approvazione per applicarlo al fine di compiacere qualcheduno, ma ti posso dire una cosa: davanti al mio esercito si sono inchinati interi popoli, con la loro approvazione o senza non mi è mai interessato, ma se scegli di seguire questa via non aspettarti complimenti da nessuno, mai.»
«Non ho mai ricevuto complimenti, nonno, e non ne voglio nemmeno: per ciò che ho ottenuto ho dovuto sputare sangue giorno e notte, non sarà certo il piacere derivato dal sentirsi osannare a farmi decidere cosa e come farlo, su questo puoi levarti ogni dubbio.»
«E allora avanti, ormai sei abbastanza grande per vedere come lavorano i signori della guerra.» concluse entusiasta spalancando finalmente le grosse porte, anch’esse fatte da rocce grigiastre coperte qua e là da macchie nere liquefatte, e aprendo ad Hanzo un intero mondo.

No, non era abbastanza grande.
No, non era proprio pronto.
Sì, quello era il modo migliore per far inchinare un popolo.

Appena aveva messo piede nell’enorme complesso era subito stato assalito da un intenso odore di zolfo misto a terra bruciata, reso ancora più pesante e soffocante dalle temperature decisamente elevate dell’aria presente, che sembrava impregnare ogni singola trave di legno, ferro o roccia che fosse fino a far dimenticare il loro vero odore, una nebbiolina semi-trasparente simile a vapore che risaliva l’edificio fino ad uscire dall’apertura superiore; ed era lì che li aveva visti, prima nascosti da quella coltre vaporosa che era andata dissolvendosi quando la porta aveva fatto entrare aria più pulita, uno dopo l’altro, uno più magnifico dell’altro: draghi, draghi ovunque si girasse, un numero che secondo le sue stime sfiorava il mezzo migliaio, di tutte le dimensioni e forme che la fantasia umana potesse immaginare.
La maggioranza di quelle creature, ovvero quelle che non erano occupate a nutrirsi di carogne fin troppo simili a resti umani o quelli invece placidamente addormentati nei loro spazi, si era subito girata quando aveva sentito il cigolio delle porte, motivo per cui Hanzo si era presto trovato circondato da draghi che schioccavano le mascelle minacciosi mandando ringhi ben poco rassicuranti, altri che erano scesi in picchiata verso il terreno sollevando un gran polverone, altri ancora intenti a spalancare le ali nella speranza di spaventare gli intrusi.
O meglio l’intruso, dal momento che appena Akihiro aveva alzato una mano verso quelle creature la maggior parte di loro si erano calmate ed erano tornate a farsi gli affari propri, sempre mantenendo un certo sospetto verso il nuovo arrivato; una minoranza invece, giusto una decina di quelli più grandi e massicci che aveva notato, erano rimasti al loro posto senza arretrare e si erano invece avvicinati frustando l’aria con la coda e ruggendo:
«Io non rimango s-se devo m-morire male, ti avvis-»
«Non ti faranno nulla, stai a guardare.» lo rassicurò suo nonno per poi, avvicinate le dita alle labbra, emettere un fischio acuto che non sembrava aver sortito nessun effetto su quelle bestie.
Deve essere proprio schizzato di cervello se crede di mettersi a controllare quei cosi fischiettando amabili canzoncine, pensò Hanzo tutt’altro che certo di riuscire ad uscire vivo da quel posto ma invece, contro ogni sua più rosea previsione, quel suono aveva assolto i propri doveri alla perfezione.
Fu questione di pochi secondi prima che un incessante rumore di battere d’ali si diffondesse in tutta la struttura con così tanta violenza e prepotenza da scuotere le vetrate circostanti, un suono infernale che venne poco dopo accompagnato da un ruggito così grottesco da essere del tutto simile a quello di un corno da guerra di un altro tempo: una sinuosa figura nerastra era allora entrata dall’apertura superiore della cupola ed era scesa verso terra planando con un movimento circolare fino a quando, nel raggiungere il terreno, aveva allungato le lunghe zampe posteriori dotate di grossi artigli ricurvi ed aveva iniziato a sbattere violentemente le ali per trovare l’equilibrio necessario a toccare la superficie in un modo così tremendamente aggraziato per un essere che sembrava l’incarnazione della distruzione fatta drago.
O meglio draghessa.
La creatura si era pericolosamente avvicinata ad Hanzo e Akihiro a lunghe falcate tenendo le grandi ali che sostituivano le zampe anteriori parallele al terreno come se fosse pronta a spiccare nuovamente il volo da un momento all’altro, il tutto mantenendo le zanne color avorio dalle quali pendevano qua e là brandelli di carne appartenuti a chissà chi pericolosamente snudate pronte a strappare qualsiasi cosa capitasse; quell’avanzata apocalittica era continuata fino a quando la dragonessa non si era trovata con l’imponente corpo a pochi metri dai due spalancando nuovamente le immense ali e lanciando l’ennesimo ruggito: al solo sentire quel suono persino i draghi più grandi e minacciosi di prima ora si erano allontanati lanciando ringhi impauriti o erano indietreggiati con la testa bassa e le ali abbandonate a terra con la coda fra le zampe in segno di sottomissione.
E Hanzo capiva perché lo facessero, oh se lo capiva: nonostante le dimensioni mastodontiche il suo corpo era incredibilmente sinuoso e aerodinamico rispetto alla costituzione massiccia degli altri lì intorno, una gamma di colori che andavano dal beige al rosso mattone fino al grigio antracite delle striature che correvano dalla sommità del capo fino alla punta di coda ed ali, la testa coperta da una moltitudine di corna a spirale posizionate quasi a formare un’improbabile quanto inquietante corona nerastra simile a quelle che ricoprivano parte del collo e delle esili ma robuste zampe posteriori mentre la coda, di una lunghezza spropositata rispetto al resto, nella parte anteriore sembrava la continuazione delle appuntite membrane alari che andavano diradandosi per finire con una sottile quanto letale frusta scarlatta.

Akihiro allora, giusto per stare in tema di prese per il culo inerenti alla giornata, aveva ripreso con discreta violenza il polso al nipote e gli aveva allungato la mano fino a quando non si era trovata ad un metro scarso dal muso di quella creatura; le imprecazioni furono inevitabili:
«Cosa cazzo stai facendo? Mollami! Mollami o ti ammazzo male! Ti ammazzo malissim-»
«Taci o ti rompo il braccio come ha fatto il tuo amico mercenario, ma non ci metterò tutto l’ammmore che ci ha messo lui, chiaro figliolo?»
«Non me ne frega nulla! Staccami un braccio, fallo! Staccamelo ma non avvicinarmi quella lucertola o giuro che mi faccio salire l'omicidio!»
«Sssh, finirai solo per farla agitare» gli suggerì mentre la draghessa aveva evidentemente sviluppato un certo interesse verso quella mano ed aveva chinato il muso iniziando ad annusare circospetta:
«Non ti farà del male, fidati di quello che ti dico: un drago non attacca se non ha motivo di farlo, né ti darà la sua fiducia se prima tu non gli dai la tua.» continuò facendo per mollare la presa e giustamente, vedendo che Hanzo aveva una certa voglia di tirarla indietro appena ne avrebbe avuto l’occasione, decise di specificare la cosa:
«Se tiri indietro la mano la prenderà come un’offesa che non lascerà sicuramente correre, se ti va bene ti troverai carbonizzato in qualche secondo senza poterti rendere conto dell’accaduto, se ti andrà male beh… non ho mai sperimentato di persona, ma so per certo che Sheki’nah ha un caratterino niente male per essere una dragonessa da guerra.»
Sheki’nah, ora quel rettile aveva anche un nome, per niente rassicurante tra l’altro.
Riuscire a resistere alla tentazione di fare marcia indietro e fuggire fino a quando ne aveva ancora la possibilità era difficile, tremendamente difficile, soprattutto quando la draghessa lo aveva osservato con quelle fessure rossastre qualche secondo prima di spalancare le mascelle ruggendogli praticamente in faccia: aveva sentito il terrore attanagliargli ogni singola fibra del corpo fino a non consentirgli più di ragionare sul da farsi, ma alla fine Hanzo aveva costretto le proprie gambe a rimanere dov’erano anziché andare da sole verso l’uscita sperando di sopravvivere.
I secondi che erano passati da quel ruggito a quando Sheki’nah aveva avvicinato ulteriormente le proprie fauci alla sua mano gli erano sembrati interminabili, anche perché ogni secondo in più significava una possibilità sempre maggiore che quella signorina cambiasse improvvisamente idea e volesse fare uno spuntino, ma la scelta di restare al proprio posto era subito risultata la migliore: fu questione di pochi attimi prima che Hanzo si vedesse la propria mano accarezzare senza volerlo il grosso muso della dragonessa, la quale nel frattempo aveva assunto un’espressione rilassata e stranamente compiaciuta da tutte quelle moine, che se ne stava bellamente a proprio agio mentre l’altro per poco non si prendeva un infarto.
Akihiro gli si era affiancato sorridendo soddisfatto:
«Direi che gli piaci più di quanto mi aspettassi, di solito un assaggio alla carne lo da sempre: è stato così terribile come pensavi?» domandò curioso mentre Hanzo, con la dovuta cautela, continuava a passare la mano fra le squame lucide quasi ci avesse preso gusto:
«No, non è male, oserei quasi dire che è… terapeutico.» azzardò sembrando però decisamente più tranquillo di prima, poi però ebbe come una cupa illuminazione:
«Quando dicevi che avremmo trovato una cavalcatura per me non intendevi lei, vero?
No perché, amore a parte, non è che mi ispiri troppo eh, senza offesa ovviamente…» chiese per poi ritirare la mano sfregandola nervosamente sull’altra.
Akihiro lo aveva guardato qualche secondo, poi era scoppiato a ridere:
«Oh avanti, seriamente credi che ti faccia cavalcare proprio lei? Davvero?» domandò ridendo di gusto, poi si riprese tornando serio e prese la testa della draghessa fra le mani appoggiando la propria fronte su quella dell’altra:
«Sheki’nah è la dragonessa ideale per quanto riguarda fedeltà e forza di combattimento, ma è anche difficile da gestire se non si ha una certa esperienza e sangue freddo: non preoccuparti, non ti darò una bestia simile come cavalcatura, sarebbe un suicidio per entrambi se dovesse perdere l’assetto di volo e spiaccicarsi contro una roccia… proprio un peccato, già…» spiegò continuando a ridere e facendosi da parte ed avviandosi in fondo all’immensa cupola, seguito ovviamente da Hanzo e dalla dragonessa che, come aveva ironicamente notato, quando camminava ed utilizzava le ali per sostenersi assumeva un’andatura alquanto buffa simile ad un enorme pollo:
«Ho in mente qualcosa di meno impegnativo di questa signorina, ma non sono proprio certo che faccia per te quindi te lo dico subito: non sfidare la pazienza di un drago, se senti che non fa per te lascia stare e torniamo alle stalle dei tuoi genitori vedendo di farti andar bene un cavallo o magari un honoki, ma ti prego di tirarti indietro se sai di non poterlo gestire, capito?» domandò mentre continuavano a camminare e l’altro, per quanto avesse la mente annebbiata da una valanga di dubbi, aveva quasi inconsciamente annuito.

Proprio nel mezzo di quella camminata circondati da rettili che sonnecchiavano o si contendevano cadaveri animali non meglio definiti l’attenzione di Hanzo era stata catturata da un punto indistinto dove Sheki’nah li aveva preceduti ed aveva spalancato le ali ruggendo con violenza, ruggito al quale ne era seguito uno altrettanto intenso, così si era fermato insieme alla draghessa sporgendosi da dietro una delle sue grosse zampe, e allora si era preso un mezzo infarto: in quel piccolo angolino angusto se ne stava un drago di dimensioni più contenute rispetto alla sua nuova amica squamosa, il corpo snello e robusto che andava da un verde appena accennato al verde smeraldo man mano che si avvicinava alle spesse placche che andavano da sotto il muso fino all’attacco della coda, la quale era sovrastata e parzialmente coperta da una specie di lungo e largo nastro di varie sfumature d’azzurro recante il marchio della casa di suo nonno, una soffice peluria verde chiaro che spuntava qua e là dalla parte posteriore delle zampe e in quella superiore della lunga coda a frusta, la testa ornata da una folta criniera verdastra che lasciava intravedere appena un paio di corna affusolate ed altre due grosse corna ricurve da ariete, il tutto completato, nemmeno fosse una presa per il culo, da un paio di quelli che sembravano essere a tutti gli effetti degli orecchini con disegni identici al nastro che ricadeva sulla coda.
E catene, soprattutto quelle: alle zampe, al collo, intorno alla vita e forse precedentemente, vedendo a terra un pezzo di metallo dorato semi liquefatto, anche sul muso.
Quel drago non sembrava pericoloso, era quella la prima cosa che aveva pensato, non quanto Sheki’nah almeno, eppure era certo che se Akihiro aveva deciso di incatenarlo lì e non lasciarlo libero come gli altri allora un motivo doveva esserci, e lo aveva scoperto presto: c’era voluto poco perché il drago passasse dal semplice ringhiare al lanciare una fiammata di fuoco color smeraldo contro la draghessa, e c’era voluto altrettanto poco tempo perché questa rispondesse con una cascata di fiamme scarlatte così scure da sembrare quasi nere in una danza che, Hanzo ne era certo, sarebbe stata mortale.
Nonostante l’altro uomo avesse continuato a camminare doveva essere stato attirato dai ruggiti infernali delle due bestie che, se non fosse stato per le catene che stridevano ad ogni affondo di artiglio del drago più piccolo, si sarebbero sicuramente ammazzate a vicenda:
«Shangri-La no! No! Stai buona santo cielo, buona! Avanti!» era intervenuto Akihiro dando uno strattone alle catene ancorate alle zampe posteriori facendole l’equilibrio costringendo quindi la dragonessa a terra:
«Ho detto di stare buona, stai solo peggiorando le cose! Shangri-La no, smettila cazzo!» aveva insistito ma, vedendo che quella continuava a dimenarsi furiosa, si era avvalso dell’aiuto con l’aiuto di Sheki’nah, che aveva posato i propri grossi artigli sull’altra per tenerla ferma, per bloccarle ogni movimento con una spessa catena recuperata all’ultimo minuto.
C’erano voluti diversi istanti perché si decidesse a calmarsi, se si poteva intendere calmo un rettile di sei metri che continuava ruggire dimenando la coda pericolosamente, e la cosa aveva lasciato Hanzo abbastanza interdetto e con ancora più dubbi di quanti ne avesse prima:
«Era lei, il drago di cui parlavi?» chiese a suo nonno, che nel frattempo stava passando le mani fra le molteplici corna della propria draghessa per riportarla alla calma a sua volta:
«Cosa? No, assolutamente no, non riesco nemmeno io a domarla, figurati cosa farebbe a chiunque altro che provi anche solo ad avvicinarsi: stai a guardare.» rispose con tono severo assumendo un’aria cupa, poi appoggiò appena una mano sul muso di Shangri-La prendendosi di rimando un ruggito accompagnato da delle sottili fiammelle verdastre appena visibili fra le fessure delle zanne:
«E’ troppo pericolosa per tutti, me compreso, e forse anche per se stessa: lasciala perdere se ci tieni alla pelle, dico sul serio.» consigliò al nipote alzandosi e facendogli strada.
Ma Hanzo non voleva vedere altri draghi, non dopo aver notato i due grossi anelli argentei dai quali pendeva un nastro decisamente più lungo con disegni e colori identici a quelli del nastro che copriva la coda che sembrava simile a delle briglie, anelli che le penetravano la carne nei punti in cui avrebbero dovuto trovarsi le ali ma che ora, a giudicare dalle cicatrici presenti prima nascoste dalla lunga criniera, erano ridotte a due monconi appena accennati; Akihiro aveva notato come il nipote guardasse quei segni, e forse era stato per quello che si era girato sospirando:
«Quando l’ho trovata nella foresta le avevano strappato le ali, gli uomini che l’hanno fatto sono finiti arrosto mentre imploravano la mia pietà: la mia gliela avrei anche data, ma ho lasciato a Sheki’nah la scelta, e lei era d’accordo con ucciderli molto, molto male, abbastanza per fargli provare quello che un drago sente quando gli togli ciò per cui è nato… ma non stiamo qui a dilungarci su quanto i miei sforzi nel far sì che lei si fidasse di me siano stati vani, piuttosto andiamo a scegliere il tuo drag-»
«Io voglio lei, nessun altro drago: lei e basta, niente discussioni.»
E allora Akihiro era diventato di pietra.

Nessuno aveva proferito parola in quella circostanza, persino Shangri-La aveva smesso di ruggire e muoversi furiosamente, forse per l’imbarazzo generale o forse per adattarsi all’espressione perplessa e preoccupata dell’uomo:
«Hanzo, fai il serio, ti prego… ho abbastanza draghi fra cui puoi scegliere, ma non lei, assolutamen-»
«Ho detto niente discussioni, toglile quelle catene e lasciami fare.»
«Non se ne parla» disse assumendo uno sguardo severo «Stammi a sentire, se ti dico che è meglio lasciar perdere quella dragonessa allora tu la lasci perdere, chiaro?»
«Non costringermi, per favore, non farlo.»
«A fare cosa?» domandò preoccupato, ma non ci volle molto perché le azioni rispondessero al posto delle parole: forse Akihiro era particolarmente sprovveduto quel giorno, ma ad Hanzo non c’era voluto molto per sfilargli la spada dal fodero che portava sul fianco e tenerla davanti a sé
«Nessuno mi dice cosa devo fare, nemmeno tu: mi dispiace, davvero.» si lasciò scappare per poi tirare un fendente ai punti dove le catene erano ancorate al terreno spezzandole di netto, ovviamente liberando la draghessa che si era subito impennata sulle zampe posteriori sputando un muro di fuoco verso Sheki’Nah sfiorandola di poco.
O gli andava bene o moriva carbonizzato, le alternative erano poche.
Se fosse stato minimamente interessato al continuare quella misera vita che lo aspettava dietro le sbarre d’oro di quel castello forse Hanzo avrebbe continuato a portare con sé la spada nel momento in cui si era pericolosamente avvicinato a quella creatura che scalpitava furiosamente fendendo l’aria con le fauci, ma dato che a lui di tutta la burocrazia di corte interessava ben poco aveva abbandonato la lama a terra trovandosi ad appena qualche decina di centimetri da lei, che nel frattempo era decisamente troppo occupata a lanciare artigliate all’altra.
Akihiro lo aveva guardato sconvolto per qualche istante, quelli che gli erano bastati per rendersi conto che era troppo tardi per convincere suo nipote che non sarebbe servito a nulla cercare di domare quel mostro come lui non era riuscito a fare in anni ed anni di impegno costante che gli erano costati solo graffi e ustioni ben difficilmente dimenticabili; ci aveva anche provato ad aizzare Sheki’nah contro quella belva famelica, ma la dragonessa si era improvvisamente tirata indietro con le mascelle serrate e le fiamme che ancora le lambivano le estremità delle ali, motivo per cui aveva capito fin troppo bene che, volente o nolente, quella era una questione che si sarebbe disputata solo fra Shangri-La ed Hanzo: doveva avere fiducia in lui, o almeno provarci.
Era stata questione di attimi perché una fiammata verdognola lo costringesse ad indietreggiare dietro la propria draghessa per proteggersi dall’attacco alzando una sorta di anello infuocato che lo aveva definitivamente diviso dall’altro, e allora gli aveva preso un’ansia terribile: ora era da solo, doveva cavarsela senza il suo aiuto, senza l’aiuto di chi con i draghi ci aveva a che fare da quando era venuto al mondo.

Ma Hanzo era abituato a cavarsela da solo, anche troppo: nonostante avesse chiaramente avvertire nelle vene il terrore più puro alla vista di tutte quelle dannatissime fiamme che lo avevano praticamente accerchiato, aveva raccolto tutta la buona volontà che gli era rimasta in corpo e si era lentamente avvicinato a quella creatura misurando ogni passo per cercare di non finire arrosto come immaginava fosse toccato a tanti altri prima di lui; non c’era voluto molto perché lei lo notasse e gli piantasse addosso quegli occhi color smeraldo pieni di rabbia digrignando i denti, ma nemmeno quello era servito a farlo indietreggiare, anzi era servito a tutto il contrario:
«Non ho nulla con me, non credo di poterti ammazzare anche se lo volessi» aveva azzardato alzando le mani in segno di resa per poi muovere qualche altro passo insicuro:
«Cerchiamo di collaborare per favore, non fare scherzi e proviamo a trovare un accor-» non fece in tempo a finire che una sottile fiammella dello stesso colore dei suoi occhi gli passasse ad appena qualche centimetro dal braccio.
Ok, forse quello non era il modo migliore per approcciarsi con una draghessa selvaggia che voleva solo ridurlo ad un adorabile involtino arrosto, ma provare non costava nulla.
Tranne la vita, ma quello era un optional.
Non si era fatto scrupoli, come anche non se ne era fatti quando aveva gettato la propria esistenza dietro delle dannate sbarre d’acciaio come se nulla fosse, e forse era proprio per quello che era riuscito, fra una minaccia di azzannarlo e l’altra, a raggiungere Shangri-La fino a poterla sfiorare con la mano se solo lo avesse voluto; Hanzo non sentiva più nulla intorno a se stesso se non un’ansia crescente che sembrava aver preso il sopravvento sul coraggio che aveva fino a qualche istante prima tuttavia, nonostante i ringhi sommessi e la voglia lampante negli occhi di lei di sbranarlo senza ritegno, non si era mossa più di tanto e lo aveva anzi lasciato avvicinare assumendo una strana espressione compiaciuta che lo aveva fatto calmare solo un po’.
Giusto per evitare dubbi aveva aspettato ancora qualche momento prima di tentare il tutto per tutto, ma alla fine si era deciso ed aveva allungato lentamente, molto lentamente, il braccio premurandosi di controllare che fosse ancora a suo posto ad ogni centimetro che guadagnava; c’era stato un momento durante il quale l’altra aveva snudato le zanne bianche ringhiando in modo quasi impercettibile senza però opporsi ed anzi mostrandosi interessata.
Era stato allora che Hanzo aveva avuto la conferma che, infondo in fondo, non erano poi così diversi, lui e Shangri-La: nessuno dei due aveva mai conosciuto la vera libertà, quella che si provava quando non si avevano le ali strappate da uomini troppo crudeli o da una vita dissoluta passata a fottersene male del proprio futuro, e a dire il vero né l’uno né l’altra erano riusciti a trovare il loro posto nel mondo, lo stesso mondo che aveva ridotto lei a diventare un lupo, o un drago, solitario che sapeva circondarsi solo di catene e lui a perdere ogni interesse in una vita che non gli era mai appartenuta.
L’aveva guardata per qualche istante, quelli che erano bastati per perdersi in quegli smeraldi pieni di dolore nei quali se si impegnava riusciva ancora a scorgere un minimo di speranza, la stessa che probabilmente provava verso di lui: non sapeva se fosse solo una sua impressione o se fosse davvero così, ma gli sembrava che in quel momento gli stesse dicendo “Aiutami, portami via da qui, portami via da tutti questi sconosciuti, andiamocene entrambi da questa prigione dorata e torniamo a casa.”
Era stato fermo per minuti che gli erano parsi infiniti poi, quasi come un istinto ancestrale che aveva sopraffatto la draghessa famelica di qualche istante prima rendendola decisamente più calma, Hanzo aveva sentito chiaramente la testa di Shangri-La poggiarsi nell’incavo del suo collo strusciando il robusto collo coperto dalla morbida criniera sul braccio dell’altro quasi stesse cercando un rifugio sicuro da tutto il mondo che la circondava, lasciando Akihiro visibilmente sconvolto.

L’uomo aveva osservato la scena sbigottito per un tempo che era sembrato infinito, persino la sua dragonessa aveva assunto un’espressione confusa e sorpresa allo stesso tempo, e quando aveva fatto per avvicinarsi al nipote era stato accolto solo da un minaccioso ringhio da parte della sua nuova compagna di giochi; Hanzo aveva temuto di perdere il controllo della situazione fin troppo presto, così aveva subito afferrato il muso di Shangri-La fra le proprie mani e se lo era stretto al petto:
«Buona avanti, stai buona, non ti vuole fare del mal… ok, ti ha tenuta incatenata come un animale ma ehi, era anche colpa tua se ti comportavi come una sociopatica, vero?» la rimproverò accennando appena un sorriso, forse l’unico vero fra tutti quelli che aveva sfoggiato fino a quel momento.
Ed era allora che Akihiro non aveva più avuto dubbi, solo conferme di ciò che pensava, motivo per cui si era girato verso l’altro ed aveva finalmente allungato una mano per accarezzare la draghessa:
«Considerala il mio regalo per la tua incoronazione, d’altronde sei l’unico in tutti questi anni con cui vada d’accordo per cui avanti, ora che hai una cavalcatura possiamo anche andare a vantarcene con tuo padre e quei suoi cervi, non credi?» gli aveva detto con una serenità disarmante.
Gli stava davvero regalando Shangri-La?
Gli aveva davvero concesso una delle sue dragonesse da guerra?
A lui?
Hanzo non aveva saputo rispondere in modo decente a quell’affermazione se non balbettando qualche parola senza senso, ma alla fine aveva deciso che abbracciarlo doveva essere il minimo sindacale per un gesto di quel calibro; ok, forse gli abbracci non erano il suo forte, ma Akihiro non si era affatto sottratto a quel contatto umano così intimo, probabilmente uno dei pochi che aveva ricevuto nell’ultimo periodo:
«Santo cielo figliolo, sei peggio di tua madre in fatto di sdolcinerie!» rise divincolandosi dall’altra che, giusto per sentirsi parte della famiglia, aveva avvolto la vita dell’uomo con la coda in un modo che aveva rasentato il soffocamento:
«Come non detto, come non detto… ma se fossi in te risparmierei tutte queste coccole da piccioncini per un'altra, di piccioncina.»
Ecco, quella parola quella singola parola, aveva subito fatto suonare un campanello d’allarme nella mente di Hanzo, lo stesso che aveva già sentito quando Mizuki gli aveva detto che lei sapeva tutto di Chiharu e della loro relazione:
«P-piccioncina? Io non vedo… p-piccioncini, proprio… no, no: ma i p-piccioni sì, i piccioni sono o-ovunque.. sotto i letti, per esemp-» cercò di giustificarsi strappando all’altro una risata che gli aveva fatto accapponare la pelle:
«Ti serve molto più che un alleato su questo pezzo di roccia per proteggere quella ragazza… come si chiama? Chinaru? Chicaru? Cacaru? Cacatua? Cacamia?»
«Chiharu, si chiama Chiharu.»
«Ah sì, quella lì, proprio lei» disse girandogli intorno fino a trovarsi al suo fianco per poi fare spallucce ammiccando in un modo inquietante:
«Un uccellino, un uccellino infuocato di quindici metri buoni, mi ha detto che cerchi di nascondere la vostra relazione con tutte le forze che hai in corpo, uno sforzo che ti costa buona parte delle giornate che potresti invece passare con lei a crogiolarti in giardino» insistette mentre Hanzo lo osservava tremante, il terrore che anche lui lo potesse dire a suo padre che gli attanagliava le viscere:
«O a scopartela selvaggiamente, dato che da quel che ho visto sei messo decisamente meglio di tuo padre: dimmi un po’, secondo te il culo te lo da o devi pregarla in ginocchio?
Ora che ci penso in ginocchio iniziereste a fare altro, ma in fond-»
«Non dirlo a papà, per favore: farò tutto ciò che mi chiedi ma ti prego, non dirglielo.»
Hanzo sapeva di essere penoso a pregare suo nonno di tenere la bocca chiusa con suo figlio, ma era anche vero che se per salvare Chiharu dalla morte certa allora doveva abbassarsi a tanto allora lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto senza fiatare.
Akihiro aveva scosso la testa sorridendo, poi gli aveva appoggiato una mano sulla spalla:
«Non guadagnerei nulla col dire a tuo padre di questa relazione clandestina, nipote caro, se non vedere l’ennesimo cadavere in piazza: mi è già passato abbastanza sangue tra le mani, sangue che avrei preferito lasciare ad altri, non voglio anche quello di una ragazza colpevole solo di essersi innamorata di un uomo che se ne sta ben sopra al suo livello nella piramide sociale, senza contare che le sacerdotesse non dovrebbero avere compagni ma ehi, tua madre a quelle ninfomani non dice nulla.» disse con l’intento di tranquillizzarlo, intento non proprio raggiunto.
E forse fu proprio per quel motivo, dopo aver notato che il nipote tranquillo non lo era affatto, che decise di afferrargli il polso e trascinarlo fuori, seguito a ruota da Sheki’nah che camminava in modo alquanto buffo imitando un pollo e Shangri-La che sbuffava annoiata mentre trotterellava dietro i due fuggiaschi superando l’altra draghessa con un ruggito soddisfatto e strafottente:
«Dove accidenti mi stai portando?» domandò all’uomo che però non rispose, così anche lui si mise il cuore in pace e si diede al pacato mutismo ed alla mesta rassegnazione.
Mutismo e rassegnazione che finirono per costargli il respiro mozzato in gola appena aveva messo il piede fuori dalle stalle di suo nonno.

Akihiro era impazzito.
Chiharu era impazzita.
Tutti erano impazziti.

Quando Hanzo aveva incontrato il suo sguardo non aveva sentito più niente che non fosse un immenso senso di gratitudine nel rivederla, le preoccupazioni per la corona che venivano spazzate via dall’amore che lo teneva legato a quella ragazza da sette anni.
Sette anni, nemmeno gli sembrava che fosse passato così tanto tempo dalla prima volta che si erano incontrati, eppure eccola là: non la vedeva da quasi due mesi ormai, e la cosa gli pesava per quanto evitasse di farlo notare agli altri ma alla fine, come le ripeteva lei, se era riuscito a sopportare di vederla sì e no qualche ora al mese quando se ne stava dietro le sbarre allora non doveva essere un problema, ma lo era.
Lo era eccome.
Chiharu aveva aspettato qualche secondo prima di ricambiare lo sguardo piantandogli quelle sfere d’oro liquido addosso, ma c’era voluto poco perché gli si avvicinasse e si fiondasse a cercare rifugio appoggiandosi al suo petto mentre l’altro gli cingeva i fianchi con una delicatezza che non sembrava appartenergli, poi si erano guardati per un tempo che sembrò infinito ad entrambi: lei per cercare l’approvazione della persona che aveva davanti, lui per capire se potesse meritarsi ancora la sua fiducia dopo che l’aveva lasciata nella tana dei leoni, o delle fenici, per tutto quel tempo.
Hanzo non era mai stato un tipo da baci e abbracci, era più da accoltellamenti e omicidi, ma Chiharu aveva il potere di renderlo più docile di un agnellino e far uscire da quel pezzo di marmo che aveva al posto del cuore i sentimenti che il dolore di tutta una vita aveva sepolto sotto chilometri di rancore e rabbia che però, quando c’era lei, finivano sempre per essere rimpiazzati da un senso di iperprotettività e amore incondizionato che teneva in piedi la loro relazione da così tanti anni, carcere o meno che fosse, ma dall’altra parte aveva sempre una certa difficoltà nel manifestare i propri sentimenti anche a lei.
Chiharu lo sapeva, d’altronde era per quello che era sempre lei a fare il primo passo, ed anche questa volta aveva fatto lo stesso senza protestare: le sue mani si erano intrecciate intorno al collo dell’altro, il rosa pallido della pelle liscia di quelle esili dita che incontravano in un violento contrasto cromatico le lucide chiazze lasciate dalle profonde cicatrici rossastre, poi gli aveva preso il volto fra le mani e lo aveva tenuto stretto a sé in un bacio appassionato di quelli che si concedevano così di rado da rendersi conto solo ora di quanto ne avessero bisogno entrambi.
Il tempo sembrava essersi fermato in quegli istanti, in quei rari momenti dove Hanzo dimenticava tutte le volte in cui avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco e Chiharu si ricordava del motivo per cui lo aveva aspettato per sette anni senza cercare un altro uomo che, se solo lei avesse voluto, avrebbe potuto starle vicino ogni minuto di ogni giorno, a differenza di Hanzo stesso.
Quando lui aveva fatto per staccarsi dopo qualche minuto, ma lei lo aveva trattenuto ancora un attimo per godersi quel minimo di tregua fra tutte le preoccupazioni del mondo che li circondava; quegli istanti però, per quanto lei si convincesse che sarebbero stati eterni, durarono solo fino all’istante in cui il compagno interruppe quello scambio di effusioni per stringerla a sé guardandola negli occhi, poi le prese le mani fra le proprie:
«Ti amo con tutte le mie forze, non smetterò mai di ripetertelo piccola.»
«Sappiamo entrambi che è così, e vorrei stare qui a parlarne per ore intere, ma ora devi andare: se qualcuna delle sacerdotesse ci vede è la fine per te e la tua coron-»
«Non voglio la corona, non è quella che mi interessa» le sussurrò accarezzandole i capelli come se si fosse perso in quell’oceano fatto di sottili filamenti azzurrini:
«Se non puoi essere la mia regina io non farò il re di questa fredda roccia, non pensarci nemmeno: se mi vogliono qui devono accettare anche te, altrimenti possono anche prendere quel pezzo di latta ed infilarselo dove nemmeno le fiamme di Ignis arrivano.»
A quelle parole la ragazza era rimasta spaesata e terribilmente confusa, motivo per cui tentò di allontanarsi dal compagno senza volersi staccare davvero:
«Se ci scoprono siamo rovinati, te ne rendi conto?» gli disse con il terrore negli occhi
«Tu perdi tutto ciò per cui hai sputato sangue fino ad oggi, ed io… io…»
«Non possono farti del male fino a quando non hanno me, sono indispensabile a mio padre per firmare l’alleanza con quelle lucertole troppo cresciute: stai tranquilla Chiharu, non devi preoccuparti di come sopravvivere fra le sacerdotesse, penserò io a coprirti le spalle» disse mentre Shangri-La, con un curioso tempismo ed un’improbabile comportamento che ricordava vagamente quello di un gatto altezzoso, si era avvicinata e si era interposta fra lei ed Hanzo ringhiandole addosso:
«Volevo dire noi, ci pensiamo noi a coprirti le spalle, vero signorina?» domandò alla dragonessa che, soddisfatta, lo ringraziò con una leccata decisamente meno delicata dei baci di Chiharu.
Hanzo non aveva paura, non ne aveva mai avuta: la corona sarebbe stata di sicuro il modo perfetto per riscattarsi da tutto ciò che aveva dovuto sopportare fino a quel giorno, ma Chiharu non era il prezzo da pagare; non aveva colpa di tutto quel puttanaio che si stava scatenando per mandarlo al trono, ma vi si era trovata invischiata ed ora doveva iniziare anche lei a recitare il proprio ruolo nel leggendario gioco che la sua famiglia portava avanti da chissà quante generazioni per mantenere l’assoluto controllo su Iga intera.
Perché al gioco del trono, Hanzo lo sapeva bene, o si vince o si muore.


Buio, il buio più totale: niente luce, niente suoni, niente colori.
Niente di niente, il nulla più totale.
Da milioni di anni.
Poi c’era stato un rombo sordo, un ruggito che aveva riempito l’aria di una sofferenza nemmeno lontanamente immaginabile all’orecchio umano.
Ma non all’orecchio di un drago, ovviamente.
E allora l’aria si era improvvisamente riempita di una moltitudine di rumori, luci e sensazioni finora sconosciute a quel luogo così tetro rivelando un paesaggio alquanto sovrannaturale: centinaia e centinaia di rocce nerastre galleggiavano nell’etere sospese da filamenti diafani di un azzurro elettrico caricando di un pungente quanto frizzante odore di zolfo, lo stesso che si avverte dopo un violento temporale estivo.
Probabilmente era a causa della carica statica prodotta da quei sottili fulmini formato tascabile che anche il terreno di quella specie di grotta, un’immensa e sterile distesa di rocce appuntite e stalattiti grandi come case, fosse cosparso di intricati disegni azzurrognoli che parevano recare antiche iscrizioni dimenticate dal mondo, un labirinto degno di Dedalo in persona che sfociava in un’ampia stanza, se così si poteva chiamare quell’enorme atrio con una sola apertura verso l’alto.
Il silenzio vigeva sovrano in quel luogo, o almeno lo aveva fatto fino al momento in cui un rumore metallico si era fatto strada fra le orecchie delle pietre circostanti: le spire che si srotolavano una dopo l’altra in una danza ipnotica, le squame dure come diamanti che sfregavano le une contro le altre che tagliavano come se nulla fosse il duro cuore di granito delle rocce, gli immensi veli azzurri delle ali che riempivano lo spazio a loro disposizione ergendosi in tutta la loro imponente grandezza accompagnando la fierezza e la ferocia contenuta nelle due sfere che riflettevano il colore delle profondità più remote degli oceani poste sul capo, praticamente non osservabile da chi l’avesse guardato standosene a terra.
Dunque il momento era giunto, la tempesta era arrivata: lo aveva chiamato, alla fine, si era finalmente deciso a rinunciare ad uno scontro ben poco alla pari ed aveva fatto uno squillo interdimensionale agli alti vertici.
Che non si erano certo tirati indietro, ovviamente.
Aveva alzato il muso verso le stelle un'ultima volta prima di portarsi sulla grande apertura superiore innalzandosi in tutta la sua imponenza verso le vaste terre che si intravedevano all'orizzonte, prima di apparire come un obelisco sulla sommità di quella grotta con le ali spalancate e la propria ombra che oscurava i soli di quel pianeta:
«A myrn hain gavénnir taur aglàr elenath, Draego-Orn, na medui mòrnie estelie adartha ustùlie» il ruggito si levò alto, accompagnato da altri che sembravano delle risposte:
«Lasto beth lamèn vinya, Naer-Sk'owa: atlantièr orath telithàr vinya urulooke, indyo silque ataui devithà sikke Terrakion, na palan-diriél endòrenna.
Aska'roth, Naer Sk'owa, ad erynna darthanner.»
Ora niente poteva fermarli.


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Angolino dell'autrice

CE L'HO FATTA.
HO AGGIORNATO.
FINALMENTE.
Comunque sia, sono felice di essere finalmente riuscita ad aggiornare quest’adorabile fan fiction, ci tenevo parecchio dato che ero impaziente di scrivere i capitoli che verranno dopo questo di intermezzo: lo ammetto, i capitoli di transizione non sono proprio ciò che amo fare, soprattutto se non contengono sangue e draghi sputafulmini gigaenormi, ma alla fine sono riuscita a completarlo e mi soddisfa non poco :D
Cosa dire su questo capitolo: ho preparato il terreno per l’incoronazione di Hanzo e per altre entrate trionfali che si vedranno nel prossimo capitolo, sono così emozionata nel poterlo finalmente iniziare (anche se in realtà un pezzo l'ho già fatto), e vogliamo discutere su questa scena di amore stile Hiccup e Sdentato? xD
Non voglio dirvi altro, tranne che no, non accadrà nulla di ciò che può essere considerato decisamente scontato né sulla Terra né su Iga :3
Ma soprattutto: cosa vogliono dire le ultime frasi?
Chiamate Adam Kadmon e lo saprete (?)
Detto questo, vi lascio con le draghesse di Akihiro ed Hanzo, rispettivamente Sheki'nah (la simil viverna) e Shangri-La (quella verde): non sono adorabili? :D


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