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Autore: Ilarya Kiki    30/03/2016    5 recensioni
La vita dopotutto è come un puzzle, no? Fatta di tanti piccoli tasselli che si incastrano perfettamente l'uno nell'altro: capita però che a volte questi tasselli si perdano, e poi chissà dove cavolo vanno a finire, lasciando un sacco di buchi. Anche la tua vita è un puzzle, un milk puzzle: mancano fin troppi tasselli, e rappresenta solo e soltanto una cosa: il niente. Rassicurante, eh? Il nulla totale. Tanta fatica e poi nessuna immagine, così funzionano i milk puzzle.
O, almeno, così piacerebbe a te.
Dopotutto, il latte fa pure bene alle ossa.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frisk, Sans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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*Primo tassello.


Sanshine.

 

Eh.
Certo che il sole è proprio una bella invenzione. Non che l’abbia inventato qualcuno, credo. O forse sì; chissà. In ogni caso mi piace, è sempre bello goderselo finché dura: non penso di aver mai trovato un posto migliore dove schiacciare un pisolino in orario lavorativo che non fosse la spiaggia, sopra una bella sdraio. O anche sulla sabbia, magari, che restituisce il calore assorbito durante il giorno contro la schiena riscaldando queste vecchie ossa. L’unico problema della sabbia è che poi si appiccica in posti poco raggiungibili e resta lì incollata a dar fastidio per tutto il giorno, e dato che nessuno ha mai voglia di pagare un ombrellone a uno stabilimento, e di conseguenza non posso nemmeno farmi una doccia, mi tocca aspettare la sera per scrostarmela di dosso, a casa mia.
Di fare un bagno in mare non se ne parla. Si sa, gli scheletri non galleggiano.
Mi piace starmene qui, sdraiato senza fare niente, con gli occhi chiusi contro la luce feroce e accecante a prendere fuoco immerso nei raggi del mezzogiorno.
Vorrei che questa sensazione mi restasse dentro, vorrei poterla averla ben presente sempre, così come sto facendo ora.
 
Sento dei passi lievi sulla sabbia.
Forse pensa che sto dormendo. Nah, lo sa benissimo che la sto aspettando; dovrebbe aver imparato a conoscermi molto bene, ormai.
…quanto tempo sarà passato…? Uno, due mesi…? Ho smesso di fare la conta dei giorni, mea culpa. So solo che è estate, e il clima del mondo esterno non ha fatto altro che diventare sempre più secco e bollente, cosa che è sembrata andare molto a genio a Undyne, la quale ha iniziato a pretendere sempre più insistentemente che io la seguissi nelle sue scampagnate insieme a mio fratello. Ma no, io preferisco starmene qui a prendere il sole. Giorno dopo giorno, torno sempre qui a chiudere gli occhi.
Insomma, la aspetto.
Che senso avrebbe fare qualsiasi altra cosa? Dopotutto, io lo so già. È successo così tante volte che nemmeno vale la pena di ricordarsele tutte – come se fosse impresa facile, tra l’altro. E, sinceramente, sono stanco. Non ho proprio le energie di esplorare il nostro nuovo mondo con le vere stelle al posto del soffitto insieme agli altri, anzi, probabilmente seguirli mi metterebbe solo più tristezza.
In ogni caso, eccola qui.
La stavo aspettando e finalmente è arrivata.
Decido di aprire gli occhi.
 
“Ciao ragazzina.”
Strofina i piedi contro le dunette della spiaggia, dimostrando forse un po’ di ritrosia. La sua pelle esposta è cotta dall’abbronzatura, mentre i suoi capelli castani sono sbiaditi già da un po’ in quelle sfumature di miele chiaro, stoppose, che procurano gli eccessi di sole e sale.
“Ciao Sans.”
Tiene le manine incrociate dietro la schiena. Nonostante tutto, è davvero un esemplare di umano adorabile, non ci posso fare niente: con quei suoi modi posati dà sempre l’impressione di voler esporre solo il lato migliore di sé, per non deludere mai nessuno e farsi amare. Sarà che mi ricorda mio fratello quando aveva la sua età, chissà. In qualche modo mi fa sempre nascere l’istinto di proteggerla, e quando sua maestà mi chiede di risparmiarle la vita, ammetto di accettare molto volentieri di stringere la promessa, mi sento quasi liberare da un peso: dopotutto io non sono cattivo.
Creature bizzarre, gli umani.
“Dimmi, hai qualche buon motivo di interrompere la mia attività scientifica?”
“…attività? Ma se non hai fatto niente per tutto il giorno!”
“…non direi, qualcuno deve pur fare ricerca. Alphys mi ha chiesto di partecipare ad un esperimento per scoprire quanto tempo ci mettono le ossa a evaporare al sole, e come vedi ci sto lavorando con impegno. Mica mi posso muovere da qui, eh, salterebbe tutto!”
Sul suo visino si stiracchia un sorriso. Non è scoppiata a ridere come fa di solito, e questa per me è la conferma di un fatto che davo per scontato già da prima. Peccato.
Per una volta, mi era quasi tornata la speranza.
“…Frisk?”
 
“A volte mi chiedo proprio come fai, le tue battute idiote sopravvivono a tutto.”
“Eh, sai com’è. In qualche modo devo tirare avanti pure io. La risata è una buona arma di difesa contro certi mostri.”
“…non mi pare. Al massimo li fa innervosire ancora di più.”
“…cosa che potrebbe rivelarsi divertente per me.”
“Sei strano, di solito a questo punto hai già perso la voglia di ridere. Non mi chiedi più dov’è finito tuo fratello, e perché fa tardi a tornare dal giro sugli scogli con Undyne? No? Immagino che ormai lo sai già. Le situazioni cambiano ma il succo è lo stesso. Sai, questa è la quattordicesima volta, qui in superficie, eppure sei ancora capace di sorprendermi, Sans.”
“Te le ricordi bene tutte, tu, eh? Infame bastarda.”
“…oh, così mi piaci. Perché, tu no? Ah, già, forse me l’avevi pure detto, una volta… incubi, no? Deja-vù. Ricordi gli eventi a pezzi e confondi le partite l’una con l’altra. Che vita patetica. Ti ho ucciso un sacco di volte e non ho nemmeno la soddisfazione di sapere che le hai tutte a mente come si deve.”
“…preferisco ricordarmi le volte in cui io ho ucciso te, Frisk. Che se non mi sbaglio sono molte di più.”
“Molte e inutili, amico mio. E comunque, non sono Frisk.”
Solo ora, con gli occhi abituati finalmente alla luce, mi rendo conto della polvere bianca che di fatto le è rimasta attaccata fin sulle braccia, macchiandole il corpicino nudo coperto solo da un costumino blu.
Tra le sue mani vedo qualcosa brillare.
 

 
Uno strappo al respiro mi trascina giù in caduta libera e mi sveglio di soprassalto nel momento in cui mi schianto al suolo, ricoperto di sudore.
Camera mia.
Il mio soffitto. Il mio materasso. Le mie calze sparse in giro.
Cerco di calmarmi mentre catalogo tutto il mio piccolo mondo con lo sguardo, oggetto dopo oggetto, illuminato dalla debole luce del sottosuolo che filtra dall’imposta sbarrata alla finestra.
Rumori in cucina mi comunicano che mio fratello è già in piedi da un bel po’ e si sta dando da fare per nutrire la nostra piccola famiglia di due per almeno altri tre mesi. Mi raggiunge un aroma non ben definito di pomodori bolliti. Bene.
Si ricomincia.
Le immagini vivide di poco fa già si stanno dissolvendo, come fumo al vento: come sono morto stavolta? Mi sono difeso…?
Sono stanco. Stanco.
Vorrei che Frisk non si fosse mai lasciata sedurre dal Demone, nemmeno quella volta. Ci ha condannati tutti, perché se il tempo cancella tutto, non può cancellare il Demone.
Faccio nota mentale di passare a controllare le rilevazioni alla macchina per avere le idee più chiare, più tardi, ma ora proprio non ce la faccio. Ogni volta è sempre più difficile… meglio non pensarci, o questa è la volta buona che impazzisco sul serio, e sarebbe un disastro.
Richiudo gli occhi e tento di calmare il respiro. Papyrus non se la prenderà se mi prendo ancora una mezzora.
 
L’oscurità mi avvolge di nuovo, presentandosi consolante come sempre: per ora, nessun incubo mi attende, ma riposo e forse qualche sogno.
Finalmente sono nel nulla: solo un calore resta, intenso e bruciante, che mi è rimasto ancora qui dentro, come un antico abbraccio o il ricordo di una stella,
infuso nelle ossa…

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*Sì, il titolo è scritto così apposta.
*Spero che la lettura vi sia piaciuta, ne arriveranno sicuramente altre. La storia non finisce. Mai.
*A presto.

*Kiki

 

 

 

 

  
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