Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: S h a d o w h u n t e r _    03/05/2016    9 recensioni
AU // Malec //
Eppure, glielo avevano detto.
L’avevano avvertito del fatto che una volta accettato, non si sarebbe più potuto tirare indietro.
Eccome, se glielo avevano detto: mai fare un patto col diavolo.
******
« Sei nervoso fiorellino? » gli sussurrò suadente all’orecchio, passandogli un dito smaltato su tutta la lunghezza della schiena.
Alec non era affatto nervoso, nel modo più assoluto. Semmai, cosa ben diversa, era terrorizzato.
Cosa diamine gli era passato per la mente quando aveva deciso di accettare una proposta così.. fuori dal comune?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic


Deal With The Evil.



Secondo Capitolo - When The Troubles Haunt You..

Un dolore lancinante alla testa costrinse Alec ad aprire gli occhi.   
Tirandosi su a fatica, pervaso da un insolita sensazione di nausea, il ragazzo si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse, riconoscendo poi l'ambiente confortevole della sua stanza.
Non che non fosse felice di essere di nuovo a casa, ma come diavolo aveva fatto ad arrivare fin lì?
L'ultima cosa che riusciva a ricordare era il sapore dell'alcool che gli scivolava giù per la gola e le luci stroboscopiche di quell'assurdo locale, in cui, i suoi fratelli lo avevo costretto a passare la serata.
Per un attimo fu tentato di buttarsi nuovamente sul letto, assecondando quel senso di malessere che si sentiva addosso e lasciando così a un secondo momento quei pensieri.
Il sole che filtrava dalla finestra però, lo riportò alla realtà, facendogli presente che il giorno era già sorto da un pezzo e che per quanto desiderasse solo restare lì rannicchiato al riparo dal resto del mondo, doveva alzarsi immediatamente per non rischiare di arrivare di nuovo in ritardo.
Non se lo poteva permettere, non per ben due giorni di fila.
Appena cercò di alzarsi in piedi, fu assalito da una fitta di dolore ad un fianco.
Confuso, si avviò lentamente di fronte allo specchio nella sala da bagno, per capire quale fosse il problema.
Non ci mise poi molto: un grosso livido violaceo spiccava sulla sua pelle candida, contribuendo a rendere il suo aspetto scarmigliato ancora più pietoso.
Ma questo era nulla di fronte alla certezza che, quel segno, soltanto la sera prima, non era lì.
Come aveva fatto a ridursi così?
Sperò che Isabelle o Jace potessero in qualche modo dissipare la nebbia che sembrava avvolgere i suoi pensieri, anche se non era del tutto sicuro di voler realmente sapere.
Tutto perché per l'ennesima Volta si era lasciato convincere da quei due.
Se fosse rimasto al sicuro in casa, in compagnia del suo amato libro, niente di tutto ciò sarebbe successo.
Difficilmente un libro può fare del male a qualcuno, a meno che non si decida di tirarglielo in testa.
Per un attimo gli passò per la mente il desiderio di prendere l'Ulisse di Joyce e utilizzarlo come clava contro di Jace, per ringraziarlo di quella stupenda serata. Ma per quanto la cosa avrebbe potuto farlo sentire meglio, non gli sarebbe comunque stata di alcun aiuto.
Fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
A quel punto tanto valeva farsi una bella doccia, sperando che l'acqua lavasse via il suo intorpidimento e l'aiutasse a schiarirsi la mente.
Poi, sarebbe andato a cercare sua sorella.




Ce la poteva fare.
Doveva solo spingere la porta ed entrare in cucina, dove, a giudicare dall'odore di caffè e dal chiacchiericcio allegro dei suoi fratelli, i due ragazzi stavano facendo colazione.
Quanto mai poteva essere difficile una cosa del genere?
Eppure, per motivi che neanche lui era in grado di spiegarsi, al momento un così piccolo gesto gli appariva come una montagna insormontabile.
Visto lo stato in cui si era risvegliato quella mattina, era più che evidente che la sera precedente doveva in qualche modo aver tirato fuori il peggio di sé; e non osava immaginare cosa avrebbero potuto dirgli quei due.
Ben consapevole del fatto che non avrebbe potuto evitarli in eterno, alla fine entrò nella stanza, cercando di darsi un tono allegro e sperando disperatamente che lo lasciassero in pace.
« Buongiorno ragazzi! Ma che bravi mi avete preparato la colazione! » esclamò, maledicendosi subito dopo.
Come accidenti se ne era uscito? Allegro.  
Certo, come no, perfino un idiota non ci avrebbe creduto.
E difatti la risposta di Isabelle non tardò ad arrivare: « Wow fratellone, allora sei ancora tra noi! Sembri veramente in forma per uno che fino a poche ore fa vegetava in stato comatoso! Vero Jace? »
« Per l'angelo Iz, hai ragione! Sembra perfino in grado di camminare senza ondeggiare come se si trovasse sul ponte di una nave! Sono sinceramente colpito. » rispose l'altro, facendo diventare Alec, se possibile, ancora più rosso di quanto già non fosse pochi istanti prima.
« Io cioè.. non ero in nessuno stato comatoso! Almeno credo. Non che io me lo ricordi poi così bene.. » cercò di difendersi, balbettando.
« Oh, sì che lo eri! Mi hai perfino sbavato sulla maglia mentre ti trasportavo di peso su per le scale. » gli rispose il biondo, che si stava visibilmente sforzando di trattenere le risate.
« Non ci trovo niente da ridere! Vi dispiacerebbe smetterla di prendermi in giro e dirmi una buona volta che cosa è successo? » sbottò Alec, esasperato da quella situazione.
« Mi dispiace caro Alexander, ma ho tutti i diritti di infierire su di te! Non solo mi hai costretto a portarti in giro come un sacco di patate, cosa di cui la mia povera schiena non è per nulla felice, ma per colpa tua ho anche perso la ragazza dei miei sogni! »
« Quella biondina insipida la ragazza dei tuoi sogni? Scherzi vero? E poi che c'entro io? Che avrei.. » gli rispose l'altro, sempre più perplesso.
« Non mi riferivo a quella, ma alla rossa da urlo che era insieme allo sfigato che hai cercato di picchiare! » fu subito interrotto dal fratello.
« Okay te lo stai inventando, ora ne sono certo. Non ho mai picchiato nessuno in vita mia! Non posso aver fatto una cosa simile! » si rifiutò categoricamente.  
« Oh, sì che lo hai fatto. Anche se sei riuscito solo a fare fuori un tavolo innocente! » detto questo, Jace iniziò a saltellare in quella che Alec presumeva fosse una posizione di guardia, ma che in realtà gli ricordava terribilmente lo zampettare di una papera in agonia.
Isabelle scoppiò a ridere fragorosamente, imitando il tipico gesto del "fatti avanti".  
« Ora ti faccio vedere io! Vieni a.. conoscere il mio pugno.. codardo! » riuscì a malapena a dire, tra una risata e l'altra.
« Avresti dovuto vedere la tua faccia quando sei crollato a terra con le gambe all'aria! Non avevo mai visto niente di più buffo! » oramai anche Jace era in preda ad un riso incontrollabile tanto da avere le lacrime agli occhi.
« Ora basta maledizione! Hai dieci secondi per raccontare ogni cosa, o per l'Angelo giuro che ti metto le anatre nel letto! » gridò il moro, al limite della sopportazione.
All'udire quella minaccia, l'altro ridiventò improvvisamente serio, e dopo avergli scoccato un'occhiata truce, gli si rivolse con un ironia che grondava da ogni singola parola: « Vuoi sapere cosa è successo? Ti sei ubriacato in un modo che, francamente, reputo scandaloso.  E mentre tua sorella cercava di portarti fuori da quel luogo che era riuscito a corrompere la tua pura e casta anima, ti sei avventato contro un disgraziato che ha avuto l'ardire di guardare Isabelle. Inutile dire che eri talmente sbronzo che invece di colpire quel tizio hai finito col distruggere metà del locale. Siamo dovuti scappare prima che il proprietario mettesse fine all'idillio con un evento spiacevole come il non so.. chiamare la polizia. »
A quelle parole Alec arretrò barcollando, mentre una serie di flash della serata lo investirono brutalmente.
Oddio, suo fratello aveva ragione: aveva davvero fatto quelle cose.
Lui, sempre rispettoso delle regole e attento a tenere in riga gli altri.
Alexander Gideon Lightwood, sempre ligio al dovere, trasformato in un alcolizzato senza cervello.
E se lo avessero veramente denunciato? A che sarebbero serviti tutti quegli anni di studi e di fatica?
Probabilmente si sarebbe ritrovato a fare il gelataio in un remoto angoletto di Central Park.
Giurò a se stesso che quella sarebbe stata la prima e ultima volta.
Non avrebbe mai più perso il controllo di sé, né delle sue azioni per nessun motivo.
Chi lo avrebbe mai detto che qualche bicchierino colorato fosse sufficiente a fargli perdere la testa in quel modo?
Beh, almeno adesso sapeva perché si era risvegliato stravolto e dolorante.
Anche se, ancora non riusciva a capacitarsene.
All'improvviso ebbe una fugace visione di una palla da discoteca terribilmente vicina alla sua faccia.
« Ehm.. Non mi sono aggrappato a quelle cose piene di brillantini, vero? » chiese a sua sorella, spaventato a morte dalla risposta.
Jace produsse un suono che assomigliava ad una risatina strozzata, ed iniziò ad osservare il piatto di fronte a lui con estremo interesse, nell'ovvio tentativo di trattenersi.
« Ci hai provato, ma stai tranquillo! Sono riuscita ad impedirtelo. Almeno una piccola parte della tua dignità è ancora intatta. » gli rispose lei, scoccandogli un’occhiata che Alec interpretò come un misto di pietà e divertimento.
Era abbastanza convinto del fatto che quei due avrebbero continuato a prendersi gioco di lui per i prossimi vent'anni.
Non che li potesse biasimare, perché vista da fuori certamente la storia doveva essere esilarante, se non al limite del ridicolo.
Per un secondo quasi valutò la possibilità di indagare oltre, magari chiedendo che ne era stato del nerd che aveva "aggredito"; o ancora meglio, come avevano fatto a sfuggire al proprietario di quella sottospecie di bordello.
Quel barlume di razionalità ancora presente in lui, però, lo invitò a desistere: non voleva affatto ulteriori informazioni.
Decise dunque di affrontare quella situazione nell'unico in modo che conosceva, ovvero calandosi nel ruolo del burbero guastafeste.
« Se voi due avete finito, magari potremmo muoverci. Non ho intenzione di arrivare in ritardo per colpa vostra. » esordì, ancora più acido del previsto.
I fratelli si scambiarono uno sguardo ricco di significati e, a quanto pareva, decisero che l'ultima cosa di cui lui aveva bisogno in quel momento erano ulteriori commenti da parte loro.
Alec gliene fu grato: stava cercando di rimuovere dalla mente quei pensieri o sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta.
« Siamo pronti a partire, giusto Iz? » esclamò il biondo, con finto entusiasmo.
« Ma certo, andiamo! Sapete che odio arrivare tardi a lezione. » rispose lei, avviandosi a grandi passi verso la porta d'ingresso.
Era una bugia e lo sapevano tutti, tuttavia nessuno fiatò.
Alec prese un respiro profondo e li seguì.  
Sarebbe stata una lunga, lunghissima giornata.



Il suono penetrante della campanella rischiò quasi di fargli aprire la testa in due.
Era sempre stata così fastidiosa? Anzi, a dir poco insopportabile?
La sensazione che aveva avuto quella mattina era più che corretta: era in piedi solo da poche ore e sognava già il momento in cui, finalmente, avrebbe potuto distendersi al riparo da tutti quei rumori che al momento apparivano amplificati nelle sue orecchie.
Troppo distratto da quelle riflessioni, non si rese nemmeno conto della presenza del professore a pochi passi da lui.
« Lightwood, ti senti bene? » gli chiese, un' espressione preoccupata delineata sul volto.
« Sì certo. Cioè, in realtà non molto.. ma non si preoccupi, sto bene. » gli rispose Alec, cercando di ignorare il fastidioso pulsare alle tempie.
« Non mi sembra affatto. Magari è meglio se vai in infermeria a farti vedere. Non voglio veder gente svenire durante le mie lezioni. » disse l'altro, in tono perentorio.
« E intendo che devi andarci immediatamente. » aggiunse poi, vedendo che il ragazzo cercava di obbiettare.
Dato che non sembrava avere altra scelta, si alzò lentamente, dirigendosi fuori dall'aula.
Ed infermeria sia, pensò con un sospiro.
Mentre procedeva lungo il corridoio per poi ritrovarsi a salire la rampa di scale che conduceva al terzo piano, fu felice di constatare che, a parte qualche bidello di passaggio, in giro non c'era praticamente nessuno.
Dopotutto era pur sempre un orario di lezione.
"E bravo Alec," si disse tra sé e sé "non solo ti ubriachi e fai a botte, ma salti anche le lezioni. Quale sarà la prossima mossa? Scippare le vecchiette? Prendere a calci i cuccioli?"
Considerando quello che aveva combinato nelle ultime ventiquattro ore, quelle ipotesi non gli apparivano poi così assurde.
Se Jace non lo avesse letteralmente portato via mentre si trovava in quello stato, magari avrebbe finito col fare uno spogliarello per poi mettersi a ballare nudo sul bancone a forma di gatto.
Quello che avrebbe dato spettacolo.
Reprimendo un brivido al pensiero, ormai arrivato a destinazione si costrinse ad entrare nella stanza, interamente arredata di bianco.
« Ehm.. c'è nessuno? » chiese, schiarendosi la voce.
Immediatamente si ritrovò di fronte una ragazza dal volto noto: era quella con cui solo la sera prima si era scontrato al Pandemonium.
« Tu! Che ci fai qui? » le chiese Alec, sbigottito.
La ragazza inarcò le bionde sopracciglia curate, guardandolo perplessa.
« Io e te ci conosciamo? Hai un aria familiare, anche se non credo di ricordarmi di te.. »
« Ci siamo visti ieri sera in quel locale.. Tu mi hai.. rovesciato il drink addosso. » le rispose il ragazzo, imbarazzato.
Il viso di lei si illuminò all'improvviso: « Oh sì, certo! Scusami ancora! Comunque io sono Catarina, l'infermiera della scuola. Tranquillo, non sono così sbadata anche nel mio lavoro. - scherzò - E tu sei? » gli chiese sorridendo.
« Alec Lightwood. Mi hanno mandato qui per prendere qualcosa per il mio mal di testa. » disse il moro.
« Bene Lightwood, seguimi. »



Alec si svegliò di soprassalto quando sentì sbattere forte la porta dell’infermeria.
Si stropicciò gli occhi, mettendo a fuoco la tendina bianca che separava ogni letto, poi si alzò a sedere, tenendosi la testa con una mano.
Gli faceva ancora un po’ male, anche se la pasticca che l’infermiera gli aveva dato stava cominciando a fare i suoi effetti.
« Ma che modi sono questi! » gridò quest’ultima, richiudendo la porta.
« Dobbiamo parlare Catarina, è successo un guaio. » parlò l’ultimo arrivato, con una voce che Alec avrebbe definito vellutata.
Vellutata? La voce di un uomo? Altro che drink, era sempre più convinto di essersi letteralmente drogato, in quel maledetto locale.
« Immagino si tratti di quello che è successo ieri sera, vero? Sei riuscito a capire chi fossero quei tizi? » gli domandò, mettendosi seduta sulla sua sedia e facendo cenno all'altro di fare altrettanto.
Alec spiò dalla fessura della tenda e, vide un uomo di spalle accomodarsi vicino a lei, per poi infilarsi una mano tra i capelli.. glitterati?
Sbatté gli occhi perplesso, cercando di realizzare se quello che vedeva era frutto degli stupefacenti - sì, ormai ne era convinto - che aveva preso, oppure se fosse la realtà dei fatti.
Ebbene no, erano seriamente pieni di brillantini.
« Quei disgraziati, ovvio che no! Ho controllato tutte le persone registrate e quei farabutti non c'erano! Dovevano avere per forza un documento falso! » gridò l’altro, in preda all’ira.
Catarina gli fece cenno di abbassare la voce.
Alec sentì la gola stringersi, mentre un dubbio, alquanto fondato, faceva capolino nella sua mente.
E se stesse parlando di loro?
« Beh, ma hai detto di averli visti in faccia, no? » gli chiese allora, accavallando le gambe.
Ecco, ora sì che era letteralmente fottuto.
« E quindi? Che dovrei fare? Andare a suonare ad ogni campanello di Brooklyn dicendo di star cercando dei buzzurri che hanno letteralmente distrutto il mio locale? Va bene che non ho nulla da fare durante il giorno, ma il mio tempo è assai prezioso. » disse con ironia il glitterato, muovendo le mani in gesti a dir poco ridicoli.
Catarina sbuffò, dandogli un colpetto sulla spalla: « Ovvio che non intendevo questo. - cominciò, trattenendo una risata - anche se l’idea di vederti suonare campanelli come un venditore ambulante, mi alletta tantissimo. » continuò, scoppiando letteralmente a ridere.
Cazzo.
Alec era ormai certo che quei ‘buzzurri’ non erano altro che lui, Jace e Isabelle.
Questo sì, che era un grosso problema.
Sebbene la sua etica morale non gli permettesse di ignorare l’accaduto, incitandolo quindi a prendersi le proprie responsabilità, la parte spaventata del suo cervello - perché ovviamente, non era lui ad essere spaventato, no. -, gli impediva qualsiasi sottospecie di movimento.
« Molto divertente, davvero. » sentì sbuffare l’uomo in risposta.
Ma ora il problema principale era: rivelarsi o non rivelarsi?
Dubbi che avrebbero fatto senz’altro concorrenza con quelli Shakespeariani dell’Amleto.
Ma chi era Shakespeare in quel momento, in confronto a lui?
Si portò una mano all’altezza del cuore, sentendolo battere così forte che temeva che gli altri due nella stanza potessero sentirlo.
« Allora, che intendi fare? » gli domandò la donna, riprendendo un po’ del suo contegno. Se gli alunni l’avessero vista in quello stato, la sua reputazione professionale da infermiera, sarebbe crollata immediatamente.
Alec voleva alzarsi, ma sentiva le gambe molli.
Codardo.
Una vocina fastidiosa si insinuò prepotentemente nella sua mente, facendolo sentire ancora più vigliacco di quanto già non si sentisse.
E dire che mai si era sentito tale, perché mai si era comportato in un modo così vergognoso.
Infatti il problema non era assumersi le proprie responsabilità, quanto ammettere di essersi lasciato andare senza un minimo di ritegno.
Perché era quello che lo infastidiva maggiormente: l’essere stato un irresponsabile.
« Credo che andrò dal parrucchiere. » disse il glitterato, facendo accigliare la donna.
Se la situazione non lo avesse sconvolto così tanto, Alec sarebbe scoppiato sicuramente a ridere, ne era certo.
« E questo come pensi possa esserci utile..? » gli domandò lei, temendo la risposta.
L’uomo si alzò, guardandosi intorno con aria schifata: « Ovviamente sarà utile ai miei capelli, dato che ora hanno preso l'odore del disinfettante. » disse serio, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Catarina si batté una mano sul viso, come a voler dire ‘cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?’
Ed Alec non sapeva darle torto, avere un fidanzato così.. eccentrico, non doveva essere il massimo.
Ma ora che ci pensava bene, se il Pandemonium era il suo aveva finalmente capito il perché di quell’arredamento così strano.
Lui stesso lo era.
Il rumore della campanella lo riportò brutalmente alla realtà, facendolo trasalire.
Oh merda.
Alec sapeva rendersi invisibile a volte e gli riusciva anche piuttosto bene, ma in quel momento le sue doti di mago avevano fatto senz’altro cilecca.
« Oh cavolo, mi ero dimenticata di lui: Lightwood, devi andare in classe ora. - gli disse, attraverso la tenda - sai, ieri sera era al nostro locale e io gli ho gettato un drink addosso, per sbaglio. » continuò rivolgendosi all’uomo che la guardò scuotendo appena la testa in un gesto di rassegnazione.
Il moro avrebbe tanto voluto morire in quel preciso momento: non solo di lì a poco sarebbe stato scoperto, ma avrebbe fatto anche una pessima figura per non essere intervenuto di propria volontà.
« Mi domando da chi tu abbia preso questa sbadataggine. - le disse, sorridendole - Beh, in ogni caso credo che sia d’obbligo presentarmi. »
La tenda si aprì con uno scatto e ad Alec mancò improvvisamente la terra sotto i piedi.
I due si studiarono per alcuni secondi e il moro non potè far a meno di pensare a quanto fosse, , strano, ma molto bello.
Gli occhi dal taglio felino erano di un verde acceso e, il mascara e l’eyeliner che vi portava sopra li metteva ancora più in risalto.
La labbra carnose, lucide e brillantinate, permettevano ad Alec di distinguerne perfettamente il contorno.
La pelle, dal colorito bronzeo, era un chiaro segno distintivo delle sue origini asiatiche.
L’uomo lo studiò a sua volta, ammirato, ma durò tutto pochi secondi perché poi sbarrò gli occhi, puntandogli il dito contro: « Tu! Ti ho trovato! Sei quello che mi ha sfasciato metà locale! »
Catarina alternò lo sguardo dall’uno all’altro, visibilmente perplessa.
« Lui? Ma ne sei sicuro? » chiese dunque, rivolta al glitterato.
Quello annuì, riducendo gli occhi in due fessure alquanto minacciose: « Sicurissimo. Anche se non ricordavo fosse così.. » attraente, avrebbe voluto dire, ma non gli sembrava il caso in un momento del genere.
« Io ecco.. credo tu abbia ragione ma non ricordo granché sinceramente, mi dispiace. »  disse, grattandosi la testa imbarazzato.
Sicuramente si sentiva molto più sollevato e in pace con la sua coscienza.
Altrimenti era sicuro che quella notte non avrebbe dormito, in preda ai rimorsi.
L’uomo lo guardò sorpreso, aspettandosi una reazione del tutto diversa: infatti, credeva che non l’avrebbe mai ammesso e che avrebbe negato fino alla morte.
Cose che accadevano praticamente ogni giorno.
Invece, il ragazzo era stato diretto e sincero e, l’aveva lasciato piacevolmente sorpreso come non accadeva da anni.
Persone del genere potevano contarsi sulla punta delle dita.
« Il tuo nome? » gli chiese, sorprendendolo a sua volta.
Lo guardò smarrito, ma poi rispose: « Alexander Lightwood. »
Catarina guardò la scena incuriosita: tutto ciò stava prendendo una piega piuttosto inaspettata e curiosa.
« Io sono Magnus Bane, conosciuto anche come il Sommo Stregone di Brooklyn. » si pavoneggiò, facendo accigliare la donna.
Questa poi.. Sommo Stregone dei suoi stivali, semmai.  
Alec annuì confuso, come se stesse cercando di capire il perché di quella presentazione.. Inappropriata?  Bah, sì, si poteva anche definire tale.
« Dato che sei un alunno di mia sorella - Cominciò, lasciando sbalordito l'altro che pensava fosse il suo fidanzato - non ti chiederò soldi per i danni, né sporgerò denuncia. » disse, guardandolo serio.
Il moro lo osservò, un misto tra gratitudine e sorpresa, poi però quello continuò: « Ma, c'è un ma.. »
« Sono disposto a fare qualsiasi cosa. » lo interruppe Alec, prontamente.
Avrebbe assolutamente accettato qualsiasi cosa gli avrebbe proposto, per ripagarlo della sua gentilezza.
« Dovrai aiutarmi a rimettere tutto in sesto e, in più, dovrai lavorare da me per un mese. Il tempo necessario per ripagarmi i danni. » esordì, molto serio.
Ad Alec sembrò una richiesta piuttosto equa, e poi si trattava di un mese, dunque non ci sarebbero state grandi ripercussioni sullo studio.
« Va bene, accetto. Quando comincio? »
Magnus gli sorrise: « Ci vediamo alle cinque. »
Catarina trattenne un ghigno: conosceva troppo bene suo fratello, per non capire cosa stava architettando..     La situazione stava per farsi molto interessante.

***

Correva ormai da un paio d'ore, cosa affatto insolita per lui.
Jace aveva sempre amato la fatica degli allenamenti, la piacevole sensazione che lo assaliva nel momento in cui, estraniandosi da tutti i suoi problemi, riusciva finalmente a sentirsi in pace con se stesso.
Non esisteva niente di meglio al mondo.
Alec avrebbe dovuto essere insieme a lui, come ogni giorno, ma per qualche motivo, aveva cancellato all'ultimo minuto il loro solito appuntamento.
Considerando lo stato in cui lo aveva visto quella mattina, non ci aveva trovato niente di così strano, e aveva dunque evitato di chiedergli spiegazioni.
Probabilmente, pensò ridacchiando, si stava ancora riprendendo dalla sua notte brava.
Dopotutto, restava pur sempre un bravo ragazzo, per nulla abituato a cose del genere.
Infatti, quando Iz si era precipitata da lui, gridandogli un: « Alec sta per picchiare un tizio, alza il culo da quella poltrona e fermalo! », con la sua solita grazia da scaricatrice di porto, era rimasto a dir poco sconvolto e incredulo.
Per un attimo, aveva persino faticato a credere al fatto che stessero parlando della stessa persona.
Si era alzato immediatamente, ignorando volutamente la ragazza che gli era stata appiccicata per tutta la serata come la colla.
Non che gli fosse dispiaciuta poi così tanto, la sua compagnia, ma solitamente preferiva le donne con carattere a quelle remissive.
Poi, l’aveva visto assumere buffe posizioni per cercare di colpire il povero malcapitato di turno, cosa che, solo sotto effetto dell'alcool avrebbe potuto fare.
Era troppo buono per far male a qualcuno.
Stava per tornare indietro, diretto all'uscita del parco, quando la vide: la ragazza del Pandemonium, quella che, nelle ultime ore, non era riuscito a togliersi dalla testa, malgrado tutti i suoi sforzi.
Se ne stava seduta su una panchina poco distante, fissando con sguardo assorto, l'album da disegno posato sulle sue gambe.
Osservandola, si ritrovò a sorridere piacevolmente sorpreso, considerando che, fino a pochi istanti prima, era convinto di non rivederla più.
O perlomeno non così presto.
In una città grande come quella, era matematicamente impossibile scontrarsi, in modo accidentale, con una persona per più di volta.
Nel giro di due giorni poi.. sembrava quasi un segno del destino. E chi era lui per contraddire il grande disegno?
Con passo sicuro, accorciò la distanza che li separava e, nel giro di pochi istanti, si trovò davanti a lei.
« Ehi bellezza, ci rincontriamo. » esordì il biondo, guardandola con aria ammiccante.
La ragazza lo degnò a malapena di uno sguardo, dopo di che, raccolti i fogli che aveva di fronte, si alzò dalla panchina, decisa ad allontanarsi da lui.
Quel gesto lo lasciò a dir poco esterrefatto: non era mai successo prima che qualcuna lo snobbasse in quel modo.
Insomma, era abbastanza consapevole di non essere per nulla male e, molte ragazze lo avevano confermato con apprezzamenti tutt'altro che velati.
Senza neanche rendersi conto di quel che stava facendo, l'afferrò per un braccio, facendola voltare verso di sé.
« Andiamo, qual è il problema? » le chiese, sinceramente interessato.
Lei alternò lo sguardo dal suo braccio al viso di Jace, mentre un aria scocciata andava a dipingersi sul suo volto.
« Intendi dire, oltre al fatto che uno sconosciuto che potrebbe tranquillamente essere un maniaco, mi sta praticamente braccando? Ah giusto. Tu non sei uno sconosciuto, vero? Sei solo il tipo che stava insieme a quell'ubriacone che ha cercato di pestare il mio migliore amico! » rispose, rivolgendogli un occhiata decisamente truce.
Jace la guardò, momentaneamente smarrito, anche se lei non sembrò accorgersene, dato che, continuava a guardarlo accigliata.
Che caratterino.
« Lui non è un ubriacone! - protestò l'altro - e mi dispiace veramente per il tuo amico nerd. Ti assicuro che, in circostanze normali, Alec non farebbe del male ad una mosca. Ieri era decisamente fuori di sé, cosa che, nel caso in cui te lo stessi chiedendo, capita una volta ogni.. mai. »
La ragazza sbuffò, strattonando il braccio in modo che lui lo lasciasse.
« Ora che abbiamo risolto questo problema, sarà meglio che io mi presenti, tanto perché tu non possa dire che sono un estraneo: sono Jace, piacere di conoscerti piccola. » disse, sorridendole in maniera provocante.
«  Bene. Voglio fare finta di credere alla tua storia, per cui okay, accetto le tue scuse. Ora se vuoi scusarmi.. » iniziò a dire la ragazza, che però fu subito interrotta.
« Non credo di poterlo fare. Non finché non mi avrai detto il tuo nome e, avrai accettato di uscire con me. »
Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma quel suo comportamento così restio nei suoi confronti, lo stava facendo impazzire.
Lei sembrò studiarlo per qualche istante, poi si decise a rispondere: « Clarissa, ma tutti mi chiamano Clary. Tuttavia mi dispiace caro Jace, ma non vedo perché mai dovrei accettare.»
Calmati Jace, si disse, cederà.
« Oh andiamo, la maggior parte delle ragazze darebbe il braccio destro per un occasione simile. Non che io possa biasimarle.. sono maledettamente affascinante. » disse l'altro, in tono decisamente malizioso.
Per tutta risposta, Clary scoppiò a ridere di gusto.
« E' questo il tuo modo di rimorchiare? Seriamente? » gli chiese, guardandolo palesemente divertita.
« Potrei fare di meglio, se solo tu me ne dessi la possibilità. Quindi devo considerarlo un sì? » le chiese a sua volta.
« Beh in questo caso.. » gli disse, alzando le spalle.
Tuttavia, il sorriso sul volto di Clarissa, fu una risposta più che sufficiente per Jace.






HeLLo! :D
E come promesso settimana scorsa, ecco il secondo capitolo! :D
Finalmente è entrato in gioco Magnus, persona stravagante ma che, Alec, trova bellissima.. ehehe!
E sì, in questa storia abbiamo un altro personaggio fondamentale: Catarina, sorella di Magnus(lol, tranquilli, si spiegherà più avanti questa scelta). Non dimenticatevi di lei eh! hahahaha!
Infine, per non rendere il capitolo pesante ho deciso di inserirci un pezzettino Clace che spero abbiate gradito!
Ah, volevo informarvi che dal prossimo capitolo in poi, parte la vera storia e, quindi, si scoprirà di questo famoso "patto" accennato nel prologo!
Dunque, se ne volete sapere di più, non vi resta che seguirmi ahahaha! :D
Spero comunque che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! E vi invito, ad esprimermi il vostro parere(ovviamente se volete! :D), per dubbi, perplessità, domande, critiche.. tutto quello che volete! :D
Ci si rilegge settimana prossima, ma nel mentre vi lascio un piccolo spoiler del prossimo capitolo:

" « Non riesco proprio a capire come possano permettere di sposarsi a persone del genere - sputò fuori con disprezzo -  il matrimonio è un istituzione sacra, non un divertimento per certi fenomeni da baraccone.» continuò, infatti, in tono altezzoso.
Alec non riusciva a respirare: era di lui, seppur indirettamente, che sua madre stava parlando. "

Bye! <3

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: S h a d o w h u n t e r _