Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    10/08/2016    15 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 16

Stuart si svegliò ancora pervaso dalla sensazione di piacere di quel volo. Si stirò nel letto rievocando nubi così corpose da sembrare solide, di colori che andavano dall’arancio al rosa, e un mare blu cupo sul quale i raggi del sole calante si riflettevano in migliaia di luccichii.
Pensò al Messerschmitt 109 che aveva pilotato nel sogno.
In realtà gli era capitato raramente di vedere da vicino il celebre caccia della Luftwaffe. Una volta ne avevano abbattuto uno vicino alla base e lui era riuscito ad arrampicarsi sull’ala, ma mentre stava osservando l’abitacolo c’era stato un allarme antiaereo e aveva dovuto sospendere la sua ispezione. Poi ne aveva visto qualcun altro, ma sempre da fuori, e variamente danneggiato dalla contraerea o dai duelli coi caccia.
Allungò una mano per scostare la pesante tenda da oscuramento. Fuori c’era il vago chiarore che precede l’alba e la finestra era un reticolo nero su un cielo color piombo. Quell’intersecarsi di linee ortogonali gli ricordò la capottina squadrata del Messerschmitt 109, ma subito dopo gli evocò un ricordo decisamente meno gradevole: il soffitto vetrato della galleria delle statue.
Ripensandoci si accorse che il luogo non era un'invenzione del suo subconscio, ma uno degli ambienti di rappresentanza dell’Accademia Militare che aveva frequentato. Ovviamente là non c’erano le statue nude, ma l’architettura classicheggiante era tale e quale.
E ad un tratto gli tornò in mente un episodio verificatosi quando era un cadetto. Tutto pervaso di antica Grecia e sodalizio virile, si era legato a un giovane di un altro corso, e poiché stavano in due ali diverse dell’Accademia era solito lasciargli dietro il piedistallo del busto di Wellington, che troneggiava circa a metà della galleria, delle poesie composte di propria mano. Nei suoi versi lo chiamava Fair Youth, esattamente come il misterioso giovane cui si rivolgeva Shakespeare nei sonetti e che si diceva fosse stato suo amante.
Lo ricordava ancora: era un ragazzino biondo, dalle fattezze delicate, con grandi occhi azzurri dall’espressione sognante.
All’epoca si era invaghito di lui, ma probabilmente solo perché non c’erano ragazze in giro. E poi perché era giovane e non sapeva ancora niente del sesso. Fortunatamente, comunque, in tutta la loro frequentazione non si erano scambiati altro che qualche carezza e qualche casto bacio sulle labbra.
Molti palpiti, però, e molte poesie.
Sospirò a disagio. Avrebbe voluto dimenticare quell’incresciosa faccenda, ma certi ricordi rimangono piantati nella memoria come chiodi nella croce di Cristo.

Si alzò con la sensazione di dover scongiurare una tragedia incombente: quel sogno gettava una luce nuova – nuova e decisamente inquietante – sulla presenza di von Rohr.
Perché si opponeva con tanta veemenza al suo trasferimento? Non voleva che fosse accusato ingiustamente, certo, ma era davvero il solo e unico motivo? Non c’era per caso qualche sentimento strano in mezzo?
“Dio mi scampi,” mormorò passandosi una mano sul viso.
Febbrilmente cominciò a enumerare tutti gli elementi che deponevano a sfavore della paventata eventualità, con l’angoscia di un paziente che valuta i propri sintomi cercando di escludere una malattia incurabile.
Io ho una fidanzata, pensò per prima cosa, una fidanzata che amo e con la quale vado a letto tutte le volte che posso. Ce l’ho sempre in mente. Abbiamo deciso di non sposarci, questo è vero, ma solo perché c’è la guerra. Sarà la prima cosa che faremo quando finirà. E poi vogliamo bambini, tanti bambini. Nessun anormale vuole bambini. E comunque von Rohr è un maschio, e a me i maschi non piacciono, non c’è altro da dire.
Ma la cosa non gli dava la sperata tranquillità. Stralci dei versi che aveva composto in Accademia continuavano a risuonargli in mente suscitandogli un colpevole imbarazzo, inoltre le allusioni di Poynter, quelle frasi che buttava lì quando credeva di fare il simpaticone, continuavano a tormentarlo: il tuo tedesco, sei più geloso di lui che della tua fidanzata, abiterete insieme…
Davvero erano solo battute o aveva capito qualcosa?
O magari stava cercando di dirgli qualcosa, di fargli capire cosa rischiava a tenersi lì quel tedesco.
Perché in effetti von Rohr era sì un nazista dal carattere sgradevole e dai modi scontrosi, ma bisognava ammettere che era anche dotato di notevoli attrattive.
Era bello, tanto per cominciare. Nonostante la giovane età non aveva nulla dell’adolescente sgraziato che tenta con fatica di diventare uomo. Aveva anzi un bel viso dai lineamenti severi, e per quello che aveva visto anche un corpo armonioso e forte.
E poi era coraggioso, tenace e risoluto. Forse un po' rigido e ideologizzato, ma quella in realtà era una cosa che aggiungeva fascino, anziché toglierne. Tutta quell’intransigenza dava l'idea di avere a che fare con una specie di templare votato ad una santa impresa.
Quel pensiero gli evocò la navata della chiesa, e naturalmente il suo inquilino. Si voltò a disagio in quella direzione, rimase qualche secondo come in ascolto, quindi si girò bruscamente e cominciò a vestirsi in fretta per andare in servizio.
Passò davanti all'improvvisata prigione alla chetichella, quasi non volesse farsi sentire. Non c’era pericolo che von Rohr tentasse di rivolgergli la parola, normalmente quando lui passava il tedesco stava ben attento a spostarsi verso la parete più lontana e a girarsi di spalle, ma stavolta non voleva nemmeno correre il rischio.

La giornata trascorse in voli di guerra. Stuart prese parte a ognuno di essi, usando addirittura l'aereo di un altro pilota quando il suo ebbe un'ala sforacchiata e per qualche ora non fu in condizione di volare. Quando fu troppo buio per le missioni di caccia andò alla baracca del comando e attaccò febbrilmente un cumulo di burocrazia arretrata.
Dopo un tempo imprecisato, Poynter si palesò sulla porta. “Credevo che un commando di mangiacrauti ti avesse catturato,” disse semplicemente.
“Cosa?” esclamò il maggiore, alzando bruscamente la testa dal suo lavoro. Poi, a voce più bassa: “Non ti avevo sentito entrare.” Il tono aveva una nota di vago rimprovero.
“Non mi avresti sentito nemmeno se fossi entrato suonando la grancassa,” rispose noncurante il capitano. “Sembravi parecchio assorto nel tuo lavoro.” Poi, avvicinandosi: “Che roba è?”
“Stavo sistemando la corrispondenza.”
“Oh. Sembra appassionante,” lo canzonò l'amico, quindi soggiunse, imitando il tono di un maggiordomo della Casa Reale: “Il signor maggiore intende onorarci della sua presenza in mensa?”
D'istinto Stuart guardò l'orologio e subito esclamò: “Accidenti, ma è tardissimo!” Diede un'occhiata fuori dalla finestra e si accorse che era calata la notte. Scattò a tirare le tende nere e spense la luce principale lasciando solo quella da tavolo.
Imbarazzato all'idea di essere stato colto in fallo proprio sull'oscuramento, una necessità che aveva ribadito ai suoi uomini fino alla nausea, evitò di guardare in viso Poynter. “Sarà meglio che andiamo,” disse soltanto, uscendo rapido dalla stanza.
Il capitano fece spallucce e gli tenne dietro senza replicare.

Dirigendosi a grandi passi verso la mensa, il maggiore si sentiva però quasi sollevato per la prima volta nella giornata. L'apparizione di Poynter aveva in un certo senso fatto da catalizzatore per certe idee che da parecchie ore andava rimuginando senza riuscire a concludere nulla.
Vederlo sulla porta e pensare alle sue battute caustiche era stato tutt'uno. Chissà cosa direbbe se sapesse del mio sogno, si era chiesto con apprensione.
E da lì, in un immaginabile concatenarsi di pensieri, era giunto alla conclusione che era arrivato il momento di allontanare il prigioniero.
Non c'era più motivo di tenerlo lì. Anzi, con la sua destabilizzante presenza gli toglieva sonno e concentrazione, mettendolo a rischio di commettere errori potenzialmente fatali durante le missioni di guerra, quindi era imperativo che fosse allontanato quanto prima.
Era ora di consegnarlo all'Intelligence come gli era stato richiesto. Sicuramente alla fin fine non intendevano fargli chissà che, ci sono delle regole per certe cose. L'avrebbero sballottato un po' in giro, magari, l'avrebbero messo in qualche finto documentario per mostrare alla gente gli Unni cattivi e poi l'avrebbero spedito in un campo prigionieri dall'altra parte del mondo ad aspettare la fine della guerra. Certo non era corretto, e non era nemmeno una gran prospettiva per un giovane ufficiale ansioso di fare il proprio dovere, ma un sacco di gente aveva fatto una fine ben peggiore, quindi von Rohr non avrebbe potuto lamentarsi più di tanto.

Stuart trascorse la cena nel più ameno degli stati d’animo. Si sentiva sollevato come uno che fosse riuscito a scongiurare una minaccia che da tempo lo terrorizzava. Partecipò alle conversazioni, lodò il cuoco per la sua abilità e proferì addirittura alcuni garbati motti di spirito. Relegato in un angolo della sua mente come un metaforico pacco da spedire, il tedesco sembrava aver cessato di esercitare la propria nefasta influenza su di lui.
Non gli faranno niente, si ripeteva, alla fine lo strapazzeranno un po’ e poi lo manderanno in Canada, magari, o da qualche parte nel Pacifico. Clima buono e belle ragazze, sempre meglio di una trincea piena di fango. O di una fossa comune.
“George?” La voce di Poynter lo fece quasi trasalire.
“Eh?”
“Eri di nuovo nel tuo mondo, stasera mi sembri Alice nel paese delle meraviglie. Si può sapere a cosa stai pensando di così piacevole?”
Stuart ritenne che nominare von Rohr non sarebbe stata una buona idea, quindi prontamente disse: “Stavo pensando a Margaret. Credo sarebbe meglio se ci sposassimo.”
“Mi pareva che fossi stato proprio tu a dirle che preferivi aspettare la fine della guerra.”
“Lo so, ma forse non è stata una buona idea. Un uomo si deve sistemare a un certo punto, no?”
“Immagino di sì,” fu la diplomatica risposta del capitano.
“Ma certo che sì!” rispose Stuart con entusiasmo. Poynter valutò che faceva pensare a un sensale mentre cerca di piazzare un cavallo. Ostentava una strana allegria forzata, decisamente diversa dal suo solito atteggiamento pacato e silenzioso.
“Tutto bene?” s’informò con discrezione.
L’altro assunse un’espressione stupita. “Perché me lo chiedi?”
“Non lo so, mi sembri strano.”
“Strano perché parlo della mia fidanzata? E di cosa dovrei parlare secondo te per non essere strano?” E provvidenzialmente s'interruppe prima che gli scappasse detto: “Di quel dannato tedesco?”
Tese il piatto affinché fosse riempito di nuovo e riprese a mangiare in silenzio. Così non va, pensava indispettito, così non va per nulla.
Perché, nonostante tutti i suoi sforzi, quel dannato von Rohr tornava sempre fuori? Per quanto cercasse di cancellarlo dalla mente, nelle occasioni più inaspettate si trovava a pensare a lui.
Era decisamente ora di allontanarlo, se lo ripeté per l’ennesima volta. Non poteva sperare di condurre le missioni di guerra con la necessaria lucidità se l'assillo di quel giovanotto non voleva lasciarlo in pace. Molto meglio liberarsi di lui e non pensarci mai più.

Era piuttosto tardi quando Stuart fece ritorno al suo alloggio. Si era trattenuto a chiacchierare con gli altri piloti, una cosa che normalmente non faceva, e anche nel dirigersi verso la canonica aveva indugiato in modo insolito.
Si fermò per l'ennesima volta a scrutare l'edificio, che nel buio dell'oscuramento appariva come una sagoma indistinta e vagamente oppressiva. Prese in considerazione l'idea di andare a dormire nella baracca del comando. Là c'erano una brandina e un cambio di biancheria per ogni evenienza, ma soprattutto non c'era quel dannato crucco ad aspettarlo.
In realtà di sicuro il tedesco non lo stava aspettando, anzi con ogni probabilità stava già dormendo della grossa, ma la sola idea di accorciare le distanze tra sé e lui aveva il potere di metterlo a disagio.
Si voltò speranzoso in direzione della baracca del comando, ma dovette a malincuore rinunciare al suo proposito: se avesse fatto una cosa del genere avrebbe dovuto dare ai suoi piloti una giustificazione plausibile del perché abbandonava le comodità del suo alloggio in favore di una brandina sgangherata, e purtroppo non gliene veniva in mente nessuna. Si augurò che arrivasse un'incursione aerea e risolvesse lo spinoso problema obbligandolo a trascorrere la notte nel rifugio, ma quella sera i ragazzi di Goering non sembravano avere voglia di intervenire in suo favore.
Con un sospiro raggiunse a malincuore la canonica.

All'interno il silenzio era perfetto. Stuart rimase in ascolto qualche secondo, ma non udì il più piccolo rumore. Von Rohr dormiva, o se non dormiva era immobile da qualche parte come faceva di solito, ben attento a non dar segno di sé per non attirare la sua attenzione.
Invece di dargli lo sperato sollievo, quell'idea in qualche modo lo intristì. Provò fugacemente la stessa costernazione di quando da bambino aveva tentato di dare da mangiare a un cerbiatto e quello, invece di prendere il pane dalla sua mano, era scappato via.
Fece un cauto passo avanti, tastò nel buio finché non trovò una candela e l'accese.
A quella pur tenue luce notò immediatamente una cosa insolita: la tenda che separava la canonica dalla chiesa stava oscillando.
Subito si guardò intorno alla ricerca di correnti d'aria, ma la fiammella palpitava perfettamente dritta, segno che l'aria era immobile.
Fissò di nuovo la tenda, le cui oscillazioni si andavano lentamente smorzando.
Mi aspettava? pensò turbato. Poi stabilì che probabilmente von Rohr voleva solo essere sicuro di non farsi sorprendere dal suo rientro. Magari i suoi vestiti non erano ancora asciutti e non voleva correre il rischio di essere visto nudo una seconda volta.
L'idea gli strappò un sorriso. Ripensò alla comica espressione di imbarazzo che il giovanotto aveva assunto trovandosi improvvisamente in tenuta adamitica e per un attimo si sorprese a desiderare di scompigliargli affettuosamente i capelli.
Poi intervenne la voce della coscienza a ricordargli che von Rohr era un ufficiale nemico.

   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned