Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    18/08/2016    14 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 20

Il mattino dopo i voli di guerra cominciarono presto: un allarme antiaereo spinse tutti fuori dagli alloggi alle prime luci dell’alba e fin quasi a mezzogiorno il maggiore Stuart, esausto e frastornato per non aver chiuso occhio tutta la notte, non ebbe modo di indugiare sui propri guai.
Al venir meno della pressione nemica, però, i pensieri che aveva accantonato tornarono uno dopo l’altro, e ricominciarono a far scempio della sua anima come un branco di lupi affamati.
Non aveva ancora ricevuto notizie di Poynter, tanto per cominciare, e ormai anche le più tenaci speranze di ritrovarlo in vita stavano cominciando a vacillare.
E se il timore – ormai quasi certezza – di aver perso un amico non fosse stato sufficiente, ci si metteva anche il dannato von Rohr a complicargli l’esistenza. Gli aveva parlato, avevano bevuto insieme, alla fine avevano addirittura riso insieme, seppur brevemente.
Era un ragazzo bello, coraggioso e determinato, orgoglioso e con le idee chiare.
Ed era un morto che camminava.
Capì perché quando era piccolo i suoi genitori gli proibivano di giocare con gli agnellini e i vitellini della tenuta.
Mentre era immerso in quelle angosciose considerazioni, un improvviso suono di tromba lo fece quasi sobbalzare. Alzò lo sguardo stupefatto e vide entrare nel piazzale una monumentale Bentley nera lucida come uno specchio, con le cromature che brillavano al sole e un autista in livrea alla guida.
Per un attimo pensò che fossero tornati quelli dell’Intelligence, ma era una macchina troppo lussuosa per qualsiasi rango delle Forze Armate. Nemmeno un capo di Stato Maggiore avrebbe potuto permettersi di andare in giro a bordo di una vettura del genere.
Sotto il suo sguardo perplesso la Bentley si fermò, l’autista scese e aprì con deferenza la portiera.
Ne uscì John Poynter, che si stirò, si guardò intorno con aria soddisfatta e disse: “Ciao, George.”
Il maggiore Stuart lo fissò senza proferire parola.
L’altro stava per replicare quando dal finestrino della vettura uscì un’avvizzita mano femminile che sventolava un fazzolettino di chiffon.
Au revoir, mio caro!” disse una voce chioccia, “à bientôt, j’espère!”
“Lady Fetherstonhaugh,” spiegò Poynter in risposta all’occhiata interrogativa del maggiore. “Ci invita tutti alla prossima caccia alla volpe, a proposito.”
Si chinò per salutare la nobildonna e continuò a fare ampi gesti con la mano anche mentre la Bentley ripartiva.
“Milady è stata molto gentile,” disse quando la vettura fu scomparsa alla vista.
Stuart continuava a tacere.
“Vecchio mio, il gatto ti ha mangiato la lingua?” s'informò cortesemente Poynter al protrarsi del silenzio.
“Ti credevo morto.”
“E invece sono qui, come vedi,” rispose il capitano con un sorriso.
“Potevi anche degnarti di dirci qualcosa,” replicò Stuart con ira repressa. Tutta la tensione accumulata nelle ultime ventiquattro ore gli si stava scaricando in rabbia.
“Scusa, George, avrei tanto voluto,” disse l'altro con un sorriso disarmante, “ma vedi, quando mi sono buttato col paracadute sono atterrato dritto dritto nella serra di quella vecchia contessa un po' eccentrica. Per un bel po' sono rimasto svenuto, poi verso sera mi sono ripreso e Milady ha voluto assolutamente invitarmi a cena. Le ho suggerito di avvertire qualcuno, e lei ha convenuto che sarebbe stata una cosa molto appropriata. Purtroppo ho scoperto solo stamattina che l'unica persona che ha pensato di avvertire è stato il giardiniere, affinché rimpiazzasse quanto prima i vetri rotti e le piante che avevo rovinato nella caduta.”
Stuart avrebbe voluto dire qualcosa, ma di fronte a tanto candore tutte le sue reprimende si dissolsero come neve al sole. “Sei ferito?” si limitò a chiedergli.
“Neanche un graffio!” rispose l'altro trionfante, allargando le braccia in un gesto vagamente messianico.
Come se quello fosse stato un segnale, tutti coloro che avevano assistito al ritorno del figliol prodigo gli corsero incontro e cominciarono a fargli festa. Poynter era benvoluto, e non c'era militare della base che non volesse almeno dargli una pacca sulla spalla o stringergli la mano.
Ancora sotto l'effetto dei sentimenti tumultuosi di poco prima, Stuart lo lasciò al suo bagno di folla e si allontanò di qualche passo.
Pensava di nuovo a von Rohr. Perché non riusciva a smettere di pensare a lui?

Von Rohr, frattanto, si aggirava per la sua cella egualmente spiazzato.
Si spostò ansante nella chiazza di sole che entrava da una delle finestre sfondate. Si terse il sudore dal corpo con un asciugamano e cercò di normalizzare il ritmo del respiro. Per mantenere intatta l’efficienza fisica passava le giornate di prigionia allenandosi. Faceva addominali, piegamenti sulle braccia, esercizi a corpo libero e cose del genere. Tutto ciò che gli veniva in mente pur di temprare il corpo.
Quella mattina, però, si era allenato con tale energia che adesso era completamente esausto e grondante di sudore.
Si era svegliato con la testa pesante per colpa dell’alcol bevuto la sera prima. La sensazione, per lui completamente sconosciuta, non gli era piaciuta per nulla. Odiava anzi l’idea di non essere perfettamente lucido e padrone di sé, perché quella era la via che portava a perdere il controllo e trovarsi in balia della volontà altrui.
Per nulla al mondo avrebbe accettato di essere soggetto a volontà diverse dalla sua, quindi aveva deciso che doveva depurarsi, e come diretta conseguenza l’allenamento era stato molto più intenso del solito.
Ricordò che aveva bevuto il primo sorso per compiacere Stuart, ma poi il vino gli era piaciuto e aveva esagerato.
Strinse le labbra, si buttò a terra prono e ricominciò a fare piegamenti sulle braccia doloranti, stando ben attento a tenere la schiena dritta e gli addominali tesi. Tocca terra col mento! si ordinò inflessibile, devi farne cinquanta, non uno di meno!
Quando ebbe finito si abbandonò esausto sulle pietre fredde del pavimento. Nonostante tutto, i suoi pensieri continuavano a tormentarlo: avrebbe fatto così anche con l’altra cosa? Avrebbe cominciato con un sorso e poi non sarebbe più stato in grado di porsi un limite?

Le chiazze di sole sul pavimento si spostarono e si allungarono, divennero aranciate e infine scomparvero lasciando il posto a una penombra silenziosa. A questo punto von Rohr, che nel corso della giornata le aveva seguite con crescente apprensione, prese a passeggiare su e giù per la navata come faceva sempre quando era nervoso.
Giunse il buio che stava ancora camminando. Arriverà? pensava. Quando arriverà?
Non aveva orologi, e immerso nelle tenebre com'era non aveva alcun modo per misurare il passare del tempo, quindi poteva solo aspettare.
Si chiese di nuovo se il maggiore sarebbe arrivato. Viene qui tutte le notti, si disse pragmatico, perché stanotte non dovrebbe?
Si sorprese a considerare con un'ombra di apprensione che ogni giorno l'inglese poteva cadere in combattimento.
E se fosse stato abbattuto?
Quel pensiero gli diede un tale inspiegabile disagio che interruppe il suo passeggiare e rimase fermo nel buio come un cavallo bendato. Se fosse stato abbattuto, addio possibilità di fuga, considerò concreto, ma il disagio non si risolse. C'era qualcos'altro che lo preoccupava, qualcosa di strano, che al momento non gli era ben chiaro ma gli comunicava una sconosciuta inquietudine.
Toccò il distintivo della Hitlerjugend che portava sul petto come un fedele avrebbe toccato in un momento di particolare apprensione la croce che teneva al collo.
Nervi a posto, si ripeté, non farti prendere dalla smania.
Nel silenzio udì il ben noto passo che si avvicinava, e prima di rendersi conto di ciò che stava facendo era al cancello e scrutava ansioso la tenda.
Non fu deluso: subito udì lo scatto del catenaccio e lo sfregamento del fiammifero sulla scatola, quindi il chiarore dorato della candela filtrò da sotto la spessa cortina.
Si morse nervosamente il labbro inferiore nell'attesa di ciò che sarebbe successo.

La stoffa nera si spostò da una parte e apparve il maggiore Stuart con una bottiglia in mano. “Buona sera, tenente,” lo salutò, “ha voglia di ripetere la conversazione di ieri sera?”
“Se a lei va”, rispose von Rohr dopo qualche secondo di esitazione, indietreggiando di un passo.
“Certo che mi va,” rispose l'altro con un sorriso, “altrimenti non gliel'avrei chiesto, non le pare?” Poi, dopo una pausa: “Mi dia giusto il tempo di preparare il nostro piccolo boudoir e sarò subito da lei.”
Scomparve prima che il tenente potesse replicare, stette via qualche minuto e tornò con la chiave del cancello.
“Inutile ricordarle che sono armato e non ci sono vie di fuga, giusto?” gli domandò prima di far scattare la serratura.
Von Rohr non rispose.
Stuart lo condusse nella stanza della sera prima. Lì c'era già il tavolino preparato con la bottiglia e i due bicchieri, ma stavolta al posto della candela c'era un candelabro a tre braccia, col risultato che l'ambiente era molto più luminoso.
“Si sieda, tenente” lo invitò l'altro.
Il tedesco obbedì. “Dove siamo, qui, maggiore?” chiese dopo essersi guardato intorno.
“Nel mio alloggio, come vede.”
Von Rohr ebbe un moto di impazienza. “Non mi dia risposte da inglese, la prego. Intendo dove siamo geograficamente, in quale località.”
“Ovviamente non glielo posso dire,” rispose l'altro con un sorriso, “sarebbe contro le procedure.”
“Anche tenermi qui è contro le procedure, eppure lo fa.”
Stuart esitò qualche secondo prima di replicare. “Si lamenta della sistemazione, tenente?” gli chiese poi senza smettere di sorridere. “Preferirebbe dividere una camerata sporca con altri cinquanta prigionieri?”
“Mi dica dove siamo”, insisté von Rohr imperterrito.
Il maggiore sospirò con fare indulgente. “Lei è davvero un tipo caparbio”, osservò. Nella pausa che seguì stappò la bottiglia e versò due bicchieri di vino. “Ci beva sopra”, gli consigliò porgendogliene uno.
“Che intende dire?”
“Si rassegni, non posso dirle dove ci troviamo, lei è pur sempre un nemico.”
A quelle parole, il carattere focoso di von Rohr prese il sopravvento nonostante ogni suo buon proposito: “E allora mi riporti in gabbia, no? Visto che sono un nemico, che senso ha tutta questa commedia?”
Rimase a fissare il suo interlocutore con gli occhi che mandavano lampi e le mani puntate sui braccioli come se fosse in procinto di scattare in piedi.
“Non ha molto senso, in effetti,” ammise il maggiore dopo un lungo silenzio, “ma sa, io sono un romantico, e mi piace pensare che nonostante tutto si possa fare la guerra in modo onorevole, combattendo per i propri ideali senza perdere umanità e compassione.”
“Mi scusi allora se non lo sono altrettanto,” rispose sarcastico von Rohr, sempre teso come per balzare via da un momento all’altro, “ma il romanticismo è un lusso che chi combatte per la sopravvivenza non può permettersi.”
“Non mi sembra proprio il caso di voi tedeschi, tenente,” replicò il maggiore, “avete invaso Polonia e Francia. Questa non è certo la condotta di chi lotta per sopravvivere.”
“Immagino che a voi faccia comodo considerare la faccenda in questo modo,” rispose l'altro, tornando lentamente alla posizione rilassata, “il cattivo Terzo Reich che opprime le povere nazioni confinanti. Posso ricordarle che quelle stesse nazioni qualche decennio fa hanno messo in ginocchio la Germania con debiti di guerra esorbitanti?”
“La Polonia no.”
“Ma la Francia sì.”
“Beh, in realtà l'Impero Tedesco se l'è cercata, non le pare, von Rohr?”
“Forse dal vostro punto di vista,” rispose l'altro imperterrito, “e di certo i debiti e gli obblighi che ci sono stati imposti erano al di fuori di ogni ragionevolezza. Come si sentirebbe per esempio lei, maggiore Stuart, se le potenze straniere venissero in Inghilterra con la pretesa di regolare persino i trasporti fluviali? Se a voi inglesi venisse impedito di avere un esercito degno di questo nome e un'aviazione militare, se vi venisse tolta la maggior parte del frutto del vostro lavoro, se foste costretti a raccogliere gli avanzi per mangiare mentre avvoltoi stranieri si ingrassano col vostro sangue? Non le verrebbe voglia di ribellarsi e far valere il suo buon diritto?”
Di nuovo fissò il maggiore con lo sguardo acceso e un'espressione spaventosamente risoluta sul volto pallido. Stuart ebbe quasi paura di lui, perché si rese conto di avere di fronte una persona disposta a combattere fino alla morte per i propri ideali.
“Beva qualcosa, tenente,” gli disse porgendogli il bicchiere.
“Ma certo, meglio evitare il discorso, vero?” lo sfidò l'altro.
“Come oratore non valgo nemmeno la metà di lei,” replicò l'inglese con un sorriso, “l'esito dello scontro sarebbe troppo scontato.”

Poche ore dopo, nel buio opprimente della camera oscurata, il maggiore Stuart si rivoltava fra le coltri in preda ad una sorda angoscia. Cercava disperatamente di distogliere il pensiero da Hans von Rohr, ma per quanto ci provasse esso tornava sempre a lui, con la pervicacia di un animale sitibondo che ha finalmente trovato una polla d'acqua.
Riuscì faticosamente ad addormentarsi, sudato e agitato, e fece sogni terribili. Vide la sua fidanzata morta, adagiata su un letto di rose rosso sangue, coperta da una bandiera della Hitlerjugend che lasciava visibile solo il volto.
Poi vide se stesso nudo, al centro dello spiazzo che si trovava di fronte alla baracca del comando. Tutti gli uomini dello Squadron lo insultavano e lo deridevano, mentre seduto nella sua solita poltrona, sordo alle sue richieste di aiuto, Poynter beveva un Old Fashioned e con un risolino diceva: “Me l'aspettavo.”
Vide anche il ragazzo di cui si era invaghito in accademia, il Fair Youth di shakespeariana memoria, che indossava l'uniforme della Luftwaffe e teneva in mano un calice di vino dal colore rosso cupo.
L'ultimo sogno però fu il più spaventoso di tutti: era nel salotto del suo alloggio e sedeva in una delle poltrone con uno strano senso di angosciosa aspettativa. Era come se sapesse che sarebbe accaduto qualcosa di molto brutto ma avesse nel contempo la consapevolezza di non poter fare nulla per evitarlo. Quel pensiero lo rendeva inquieto, era sicuro che avrebbe dovuto tentare di fare qualcosa per scongiurare ciò che stava per accadere, tuttavia non riusciva a muoversi.
Fissava poi lo sguardo sulla porta della camera da letto, certo che da lì sarebbe uscito qualcosa di terribile. Aveva paura, ma al tempo stesso avvertiva una sorta di morbosa curiosità. Ad un certo punto la porta si apriva lentamente ed egli vedeva uscire un altro se stesso. Un se stesso strano, dall'espressione viziosa, quasi laida. Con i capelli spettinati e gli abiti discinti.
Senza degnarlo di attenzione, il suo doppio andava a staccare dal chiodo cui era appesa la chiave della prigione di von Rohr, e poi si dirigeva con sicurezza al cancello che la chiudeva.
Stuart a questo punto lo seguiva ed era testimone impotente di un episodio orribile: il suo alter ego entrava deciso nella chiesa e raggiungeva il letto sul quale von Rohr stava dormendo. Dalla posizione in cui si trovava, Stuart vedeva bene il ragazzo addormentato, con il bel corpo parzialmente coperto dal lenzuolo in un seducente gioco di trasparenze.
L'alter ego afferrava il giovane ufficiale per un polso, tirandolo poi brutalmente verso di sé. Svegliato di soprassalto, l'altro cercava di divincolarsi, ma il misterioso doppio sembrava dotato di una forza sovrumana e rintuzzava facilmente i suoi sempre più convulsi tentativi di liberarsi.
Il maggiore vedeva la rabbia negli occhi di von Rohr mutarsi in paura nel momento in cui egli raggiungeva la consapevolezza di non essere in grado di difendersi.
I due comunque lottavano brevemente e alla fine l'alter ego immobilizzava al suolo von Rohr, che rimaneva a divincolarsi invano con la faccia a terra e le mani bloccate dietro la schiena.
Sotto il suo sguardo attonito, il suo doppio si calava i pantaloni, rivelando un fallo enorme, che svettava turgido e pulsante. Poi gli rivolgeva un sorriso che aveva un'odiosa connotazione di complicità e con un esperto colpo di ginocchio allargava le gambe del giovane prigioniero.

“No!” gridò il maggiore Stuart svegliandosi di soprassalto. Si rizzò bruscamente a sedere e cercò a tentoni il bicchiere d'acqua che teneva sempre sul comodino. Lo bevve affannosamente, tutto d'un fiato, con tale impeto che gliene colò addirittura un rivolo lungo il mento.
Si passò una mano fra i capelli sudati. Stava ansimando ed era – orrore – eccitato. L'erezione gli pulsava dolorosamente, obbligandolo a rievocare suo malgrado i particolari di quel sogno terribile.
Eppure era stato uno spettacolo rivoltante. Come poteva essersi eccitato assistendo ad una scena così efferata?
Rivide Hans von Rohr prono sul pavimento, nudo e immobilizzato, e con suo sconcerto un brivido di colpevole piacere gli percorse la spina dorsale.
Ne rimase allibito. Davvero nel suo subcosciente albergavano desideri di quel tipo? Non riusciva a crederci.
Si lasciò ricadere sdraiato e giacque nel buio disteso sulla schiena, cercando di ignorare ciò che aveva fra le gambe.
È stato solo un sogno, si ripeteva, niente di ciò è accaduto realmente. È stato uno scherzo della tua immaginazione.
Uno scherzo talmente realistico che doveva fare appello a tutta la sua forza di volontà per impedirsi di andare a controllare che von Rohr stesse bene.

   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned